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Tokyo tra ordine e disordine

di Giuliana Succo

 

Le note che seguono sono parte del lavoro che Giuliana Succo ha presentato per la tesi del corso di Master in Architettura presso il Tokyo Institute of Technology. L'autrice propone questo intervento come un piccolo diario dell'incontro con l'idea dello spazio e della sua percezione nella cultura nipponica contemporanea.





[08jan2001]

Hachiko Square a Shibuya.

A Tokyo si arriva con molte aspettative e qualche ingenuità. Definita una megalopoli, Tokyo in realtà sembra molto più un villaggio senza limiti. È come un organismo in continua evoluzione e si adatta male a qualunque tipo di definizione.


Stazione di Kanda a Jinnbocho.


Shinanomachi.
Per gli occidentali direi che la prima reazione è per l'apparente mancanza di logica, caratteristica che spesso innervosisce gli stranieri. Lo spazio urbano di Tokyo impone le proprie regole e poco importa se per occhi occidentali è puro caos. Non viene giudicato così dai giapponesi.

Una frattura in sistema uniforme è una variazione, una interruzione dell'ordine. Ma se un intero sistema è fatto di fratture, come va considerato allora? Il disordine di Tokyo è diffuso su tutto il territorio urbano. Ne conseguirebbe quindi uno stato particolare di ordine, che è abbastanza difficile da accettare: il paesaggio infatti è una continua sollecitazione per i nostri sensi, che ne rimangono stremati.

In questo contesto, come viene vista l'architettura nelle università? Relativamente al Tokyo Institute of Technology, la tendenza al disordine non viene affatto repressa, ma promossa. Gli oggetti che si progettano sono dei veri e propri invasori dello spazio urbano, che si intersecano, incrociano, scontrano con tutte le altre realtà: strade, ferrovie, ponti, passaggi pedonali e così via. Non esistono gerarchie o priorità.

Semplicemente, le cose crescono insieme e silenziosamente convivono, si concedono reciprocamente. Alla fine di questo processo, il risultato più importante è lo spazio "negativo" che rimane tra gli edifici: frutto imprevisto, è una sorpresa che si rinnova senza mai essere uguale a se stessa. A Tokyo (e in Giappone…), si può dire che la città ha superato l'architettura: l'episodio singolo non conta tanto quanto quello che si crea spontaneamente tra i vari oggetti: irrazionalità, follia, nuove possibilità.
Una compagna di corso mi confessa che le città europee sono belle, ma noiose perché non ci sono sorprese. Rifletto ancora molto su questa osservazione e sul valore dell'imprevedibile (leggi, il non progettato) anche in architettura. Purtroppo progettare così non è semplice come sembra: le culture non asiatiche percepiscono le fratture con un sentimento negativo, o meglio, non riescono ad accettare la "negatività" come parte integrante dell'attività progettuale. Inoltre tendono a controllare lo spazio col risultato da non lasciare più spazio alla spontaneità, così forte e vitale a Tokyo.


Tesi di Master, immagini di progetto.

Tesi di Master, immagini di progetto.
Il corso è cominciato con una fase di osservazione della città a cui poi è seguita un'analisi delle potenzialità degli edifici con carattere di invasività. Questa si è infine concretizzata nella creazione di una serie di oggetti con funzione di arredo urbano, adattato alle necessità di Tokyo. Tutti i miei progetti sono stati realizzati con l'uso della computer grafica, in contrasto con la tendenza promossa dal TIT di realizzare tutti i progetti con metodi più tradizionali, quali i modellini.


Tesi di Master, immagini di progetto.

Traendo spunto dalla indeterminatezza di Tokyo, ho creato in CG delle forme astratte ma plausibili, in cui fosse possibile quella libertà dalle restrizioni gerarchiche che ho trovato a Tokyo.


L'analisi della città si è inizialmente incentrata su una tipologia molto diffusa, quale quella dei "pencil buildings" e in generale tutti quegli edifici di dimensioni ridottissime.
La differenza principale riscontrata con i progetti degli studenti giapponesi sta nel diverso modo di rapportare i vari oggetti al contesto. Nel caso dei giapponesi la relazione era quasi nulla oppure nasceva da suggestioni assolutamente personali.

In più, i giapponesi sembrano avere una particolare capacità nell'ignorare il contesto in modo da favorire al massimo la spontaneità, mentre per gli occidentali è difficile non fare riferimento alle particolarità dei luoghi e trarne ispirazione, anche in senso provocatorio.

A parte l'esperienza progettuale in una facoltà giapponese, rimane ancora da raccontare la sorpresa di un Giappone più reale e meno futuristico, per alcuni aspetti molto più libero e permissivo di quanto non lo siano le società occidentali. La condizione di forzatura culturale in cui ci si trova è sicuramente un'ottima occasione per mettersi alla prova. Ci costringe a riconoscere quanto sia difficile liberarsi dai propri fondamenti culturali, anche quando ci si considera liberi da pregiudizi o pronti all'inconsueto.

La mia permanenza a Tokyo continua.

Giuliana Succo
giuliana9@supereva.it





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