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L'architettura africana di Caròla

di Cecilia Berengo

 

Un'architettura che nasce dalla libertà e dal sapiente rispetto del luogo: è l'architettura di Fabrizio Caròla che, nato a Napoli, si diploma alla Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Bruxelles nel 1956 e dopo aver conseguito la laurea in Architettura a Napoli, inizia il suo percorso che dall'Italia a Parigi lo porta, nel 1972, in Africa.

[17jan2001]

Ospedale di Koedi in Mauritania (1981-1984). Veduta d'insieme.
L'Africa del Sahel libera il pensiero progettuale di Fabrizio Caròla che con umiltà e semplicità da vita ad una architettura fatta di terra, modellata, come una scultura, dalla mano dell'uomo, nata dal profondo amore e dalla puntuale conoscenza di un paese e frutto di una logica tesa alla più completa valorizzazione delle risorse locali.

Guardando l'architettura africana di Caròla si ha la sensazione di trovarsi a contatto con qualche cosa di familiare, accogliente, spartanamente confortevole; la sua architettura non "urla", le sue cupole ogive, gli archi e le volte, si adagiano sull'arida terra senza far rumore e accompagnano il paesaggio nell'assoluto rispetto di chi le vive da dentro e da fuori.

Instancabilmente Caròla parla di forme logicamente derivate dalle condizioni contingenti con cui ha dovuto confrontarsi: "se c'è una certa somiglianza con le architetture del luogo è solo fortuita, o almeno non c'è volontà di somigliare, in quanto la logica seguita si basa sul soddisfacimento dei dati del problema"; attraverso una sequenza, quasi matematica, che parte dalle condizioni sociali, economiche e climatiche, Caròla arriva infatti a compiere una selezione sui materiali, escludendo il cemento e il ferro, in quanto materiali di importazione e quindi altamente costosi, eliminando il legno, contribuendo questo alla desertificazione, scegliendo infine la terra o la pietra "quando questa è nei paraggi".


Mercato per le erbe mediche nel quartiere Medine a Bamaco in Mali (1995). Corte interna del mercato.
La terra cotta sotto forma di mattone ha incanalato le decisioni strutturali, essendo un tipo di materiale che lavora bene in stato compresso, nel prediligere volte, archi e cupole che si sono ben presto rivelate "economiche e di facile e rapida esecuzione anche per la manodopera non qualificata"; "gli archi e le volte sono realizzati a mezzo di centine in legno mentre per le cupole ho utilizzato una sorta di compasso: è un sistema ritrovato dall'architetto egiziano Hassan Fathi nella tradizione nubiana. Questo compasso, che indica al muratore la posizione e l'inclinazione esatta di ciascun mattone nello spazio, consente di costruire le cupole senza centine o casseforme".


Mercato per le erbe mediche nel quartiere Medine a Bamaco in Mali (1995). Vista esterna del mercato.
Grazie a questi semplici, ma non scontati, ragionamenti, Fabrizio Caròla ha messo in grado di fare chi lo ha voluto seguire nel suo coinvolgente cammino; l'incessante ricerca del più appropriato materiale, delle giuste tecniche, di una geometria, quella polare, capace di essere facilmente gestita, ha foggiato un'architettura "umana", autocostruibile, libera da tutti i vincoli e non certo priva di sentimento.

Ciò che infatti emerge dalle sue forme architettoniche è il lavoro di un uomo per altri uomini che grazie a lui hanno visto uno spiraglio di autonomia nei confronti di un dominio economico e sociale che ormai da troppo tempo li affligge. Con un'architettura che si sforza di interpretare le esigenze e le possibilità reali di un luogo, Fabrizio Carola attraverso opere come l'Ospedale di Koedi in Mauritania (1981-1984), il Centro di Formazione e Ricerca sulle Tecnologie di Costruzione per il Sahel a Mopti in Mali (1995), il Mercato per le erbe mediche nel quartiere Medine a Bamaco in Mali (1995), raggiunge l'obbiettivo di rendere consapevoli i popoli di quelle terre delle loro potenzialità e capacità.


Centro di formazione e ricerca sulle tecnologie di costruzione per il Sahel a Mopti in Mali (1995). Veduta d'insieme.

Ospedale di Koedi in Mauritania (1981-1984). Percorsi preferenziali per i medici.
L'opera di Carola, senza aver bisogno di nessun tipo di etichetta, rappresenta un prezioso esempio di come in punta di piedi si possa fare architettura senza bisogno di soffocare qualsivoglia territorio sia esso africano, napoletano..." il paesaggio va guardato, goduto, apprezzato, deve far parte della vita, del lavoro o delle vacanze! Solo una generazione di stupidi analfabeti ha potuto insediare abitazioni o alberghi nei luoghi più belli delle nostre coste o delle nostre montagne. Luoghi da lasciare intatti proprio per farli guardare dai balconi di una casa o dalle terrazze di un albergo! Il posto di poco pregio va trasformato e migliorato con l'edificazione, e il posto più bello deve restare intatto e fruibile. Se lo riempi di cemento non è più né bello né abitabile. È la cosa più stupida che potevano fare e l'hanno fatta ovunque. È come uno che dice oh, che bel fiore! E lo strappa".

Cecilia Berengo
cebe@dada.it






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