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L'architettura e lo shopping

di Francesca Pagnoncelli

 

Nell'articolo "La filosofia dello shopping contamina l'architettura" -pubblicato sul quotidiano Il Corriere della Sera di venerdì 16 marzo scorso e scritto a commento della mostra milanese dedicata ai nuovi progetti realizzati da OMA Rem Koolhaas e Herzog & De Meuron per Prada- Vittorio Gregotti ha sollevato dubbi e mostrato perplessità intorno ai contenuti esposti e ad alcune rilevanti espressioni dell'architettura contemporanea. Volentieri pubblichiamo sull'argomento un intervento di Francesca Pagnoncelli. [MB]



[26mar2001]
> LEGGI L'ARTICOLO La domanda sorge spontanea: perché il "caso Prada" fa tanto scalpore? Perché il meritato successo della mostra dei progetti di Koolhaas e di Herzog & De Meuron crea sgomento nell'architetto Vittorio Gregotti che ne critica apertamente i contenuti e le finalità ne Il Corriere della Sera di venerdì 16 marzo scorso? Perché un'operazione imprenditoriale e pubblicitaria lungimirante e sorprendentemente intelligente, incentrata sulla professionalità e le competenze di architetti di chiara e trasparente fama come quella suddetta lo spaventa tanto?

È lecito pensare che solo un'architettura capace di dialogare con la realtà economica e imprenditoriale e, in questo caso, ancor prima creativa, sia l'unica che possa continuare ad esistere in un futuro che è già presente. Si teme forse che il committente privato, che gli Olivetti del nuovo millennio, sostituiscano gli incarichi pubblici facendo onore al merito dei progettisti? Gregotti accusa superficialmente di inorganicità, multimedialità, virtualità delle opere che difficilmente potrebbero essere più concretamente risolvibili. Abbiamo di fronte dei programmi funzionali precisi e inderogabili, la necessità di una ricerca estetica che diventa occasione di sperimentazione di materiali, esigenze di mercato, immagine economia cui sottostare.

Non sono forse queste le condizioni al contorno da cui traevano vigore movimenti importanti come quello delle Arts and Crafts, come il Bauhaus, De Stijl e il miglior design italiano degli anni '60? Forse è davvero il tempo di abbandonare l'aventiniano distacco dalla realtà che gli architetti italiani continuano testardamente a sostenere in nome di quella che Gregotti definisce genericamente "cultura delle arti" e che rischia di trasformarsi in cieco passatismo. È necessario ricordare che "sollecitare il gusto della maggioranza" è un preciso compito dell'architettura, non per subirne le oscillazioni, come teme l'architetto milanese, ma per rispondere a necessità di autorappresentazione della società contemporanea e per farlo con standard qualitativi elevati. Basta quindi nascondersi all'ombra della nostra seppur gloriosa storia, basta appellarsi ai principi vitruviani. È bene invece aprirsi alle contaminazioni, acquisire il linguaggio proprio di altre forme di comunicazione, saper essere competitivi sul mercato.

Non è una "immagine fantasmatica" quella proposta nella mostra allestita allo spazio Prada: l'esposizione rinuncia alla spettacolarizzazione mediatica e piuttosto che di "molto rumore per nulla" si può parlare qui de "il silenzio degli innocenti". La scelta di semplici tavoli per l'appoggio dei plastici e dei disegni, l'uso di fotografie e diapositive preferite a videoriprese d'effetto, l'uso didascalico dei post-it non sono né un omaggio al minimalismo né un richiamo all'arte povera. Si tratta semplicemente di una descrizione priva di orpelli, di un racconto che rinuncia alla forma per porre l'attenzione sui contenuti.

È tempo di alzare la testa, di smettere di fare gli struzzi: solo una Cultura, nel senso più ampio del termine, capace di essere imprenditoriale può affermarsi e difendere i propri principi in una realtà in cui il mercato è il parametro di riferimento principe. Denaro e strumenti digitali sono da vedere semplicemente come mezzi per raggiungere obiettivi che devono essere oggi ripensati, ristabiliti e affermati con forza. Economia e tecnologia sono cavalli da domare, oggetti da usare e non soprammobili, sono scatole da riempire di contenuti culturali e di principi morali.

Francesca Pagnoncelli
f.pagnoncelli@libero.it
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