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Progetto in India: definizioni sfuggenti

di Roberto Zanon

 

L'India, agli occhi di un occidentale, si rivela un Paese di contrasti molto forti, anche contraddittori, e l'impressione che si riceve e che permane è molto intensa. L'esperienza dalla quale posso trarre delle riflessioni è rapportata principalmente al campo della progettazione sia essa sul prodotto o architettonica. È chiaro però che anche l'environment, l'ambiente, diventa in questa visione scenario complementare ed influente. Non può essere cioè ignorata la presenza di una natura prepotentemente straordinaria, di un ambiente artificiale caotico e non governato dalle regole e dai parametri presenti in Occidente, di un sistema di vita che adotta convenzioni altre, alternative, la cui nebulosità nasconde probabilmente un diverso rapportarsi all'esistenza ed al significato della vita.


MG Road una delle vie più eleganti di Bangalore.

[04apr2001]
L'impatto è avvenuto nella città di Bangalore, al sud della penisola, un luogo che si contraddistingue per l'alta industrializzazione e per l'impennata di informatizzazione che ha subito negli ultimi anni. È in questo contesto che si inserisce l'Indian Institute of Science (IIS) e più in particolare presso il Centre for Product Design and Manufacturing (CPDM) ed il corso di master con il quale ho avuto l'opportunità di collaborare attraverso un intensivo programma di "furniture design". È un corso giovane di un paio di anni, all'interno di un Istituto dalla lunga tradizione -l'IIS è stato fondato nei primi anni del 1900- e si contraddistingue principalmente per i suoi insegnamenti "scientifici". La formazione è molto legata al momento dell'ingegneria, anche se non manca la presenza di architetti e l'interesse verso l'estetica e l'essenza formale degli ambienti e delle cose. Il problema è che questo interesse presente e cosciente è di continuo sopraffatto dall'esigenza che le cose funzionino, dalla meccanica. Un lavorìo sul motore degli oggetti che poi vengono vestiti con un mantello finale che si adagia dolcemente, ma che assume spesso una conformazione a fatica giustificabile.

Sto parlando di prodotti tridimensionali, di oggetti pensati per essere realizzati industrialmente e ciò che è difficile comprendere è come questo tipo di oggetto evoluto (e il riferimento parte dagli elettrodomestici ed arriva al design delle automobili) possa poi trovare referenza nel mondo effettivo indiano, nella povertà diffusa, in una realtà sociale in cui i bisogni primari spesso non sono soddisfatti. Sembra ci sia la ricerca di parlare un linguaggio che utilizza delle parole provenienti da una lingua non propria e di queste, pur conoscendone il significato, risulta difficile gestirne non solo il corretto uso grammaticale, ma anche la sintassi. Nello stesso momento però la lettura di questa realtà lascia intravedere una coscienza di questo, una sete di conoscenza che gli studenti desiderano soddisfare, una capacità critica nella lettura dell'ambiente nel quale si trovano a vivere, una capacità di relazione -grazie anche alla diffusione del mezzo telematico- con realtà provenienti da altri contesti, una abilità nella realizzazione fisica degli oggetti totalmente invidiabile e sorprendente. L'universo indiano, riferendo la riflessione al mondo del progetto, sembra essere del tutto autonomo quando riesce a rapportarsi con i valori che arrivano dalla tradizione e diventa "perdente" quando vuole emulare una realtà che evidentemente non gli appartiene proprio perché scorrelata dal patrimonio culturale lasciato delle generazioni passate.


Oggetti realizzati in una scuola in cui si insegna l'arte della tonitura del legno viciono a Bangalore.

Forse la causa di questo "gap", della frattura che si è creata, proviene dal non aver avuto quella "rivoluzione industriale" che ha permesso di essere momento di mediazione nella nascita di nuovi bisogni per nuovi sistemi di vita. Il brusco passaggio tra le esigenze di una società "primitiva" e l'improvvisa modernizzazione restituisce questa immagine contraddittoria, anche se la vera essenza del mondo indiano non può certo essere congelata in una tale affermazione semplicistica. 

La lettura diventa ancor più complessa quando si analizza la capacità di ragionamento sulle forme bidimensionali; la gestione compositiva del disegno, della rappresentazione, appare molto evoluta ed è anzi in questo caso chiara la presenza di una forte consistenza culturale dettata da una lunga e autonoma tradizione. Una gestione progettuale dei rapporti segnici e grafici che non è slegata da una gestione manuale del disegno molto presente un po' a tutti i livelli sociali. Dagli enormi cartelloni pubblicitari stradali che sono quasi esclusivamente dipinti a mano, alle decorazioni che, con grafismi dalla forte enigmaticità, spesso vengono disegnate a segnare i bordi delle stanze oppure gli ingressi delle case.


Tonitura di palline di legno che assemblate diventano i coprisedili antisudore delle automobili.

Anche nell'architettura e nella gestione degli spazi i parametri di lettura diventano difficili da interpretare. La percezione dello spazio è evidentemente sentita in modo altro. Comparata all'Occidente è caotica, nebulosa, affastellata, approssimativa, scoordinata, ma questi termini perdono la loro negatività nel momento in cui si tenta la traduzione. È un ragionare che adotta una percezione alterata, non rapportabile alla tridimensionalità convenzionalmente da noi intesa. Spazi e movimenti sono generati da regole che non ci appartengono -per esempio la disciplina del Vastu, la scienza proveniente dall'antica India che ottimizza la progettazione architettonica in rapporto al contesto. Si ha solo la percezione della complessità di queste regole, ma la loro definizione è continuamente sfuggente.


Lavorazione manuale di tornitura con laccatura esterna per mezzo di strofinamento di resina colorata.

L'insegnamento che forse si può trarne alla fine sta proprio in questo. Il non poter riparametrizzare un mondo che nasce da una cultura profonda con matrici completamente alternative a quelle che appartengono al mondo occidentale, permette comunque di esplicitare degli stimoli che, per quanto non correlati al nostro vivere, possono comunque diventare scintille generative di nuovi focolari di ricerca. 

Roberto Zanon
rz@trivenet.it
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