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La forza del destino

di Gabriele Toneguzzi

 

Era il 22 Aprile 1945: l’opera di disarticolazione di un percorso culturale di una generazione proseguiva nel momento della morte di Giuseppe Pagano. Per noi storia di ieri, per altri storia di oggi: quanti Giuseppe Pagano, Raffaello Giolli, Gianluigi Banfi, Giuseppe Terragni si dissolvono nelle guerre attuali, quanti uomini di cui non avremo mai occasione di studiare teorie, realizzazioni, idee… [Julian Adda]


[22apr2001]
> LETTERA Giuseppe Pagano Pogatschnig è stato eroe. Eroe d’altri tempi: talmente d’altri tempi che se Giuseppe Verdi ed il suo librettista preferito, Francesco Maria Piave, avessero potuto conoscerne le gesta, n’avrebbero forse tratto un’opera. Tuttavia non si tratta di melodramma: quanto occorso a Pagano è realtà. Realtà che sarebbe pure avanzata per ispirare qualche dei superbi contes fin-de-siècle di Guy de Maupassant.


Giuseppe Pagano Pogatschnig e Gino Levi-Montalcini, palazzo per uffici Gualino, Torino, 1928-29.

Giuseppe Pogatschnig nasce a Parenzo, cittadina della costa istriana, nel 1896. Si forma in sostrato irredentista; intraprende studi liceali a Capodistria, proseguendoli a Trieste e concludendoli infine a Padova ov’è fuggiasco nel 1915, all’entrata in guerra dell’Italia. Diciannovenne, è subito volontario trasformando il proprio cognome in quello di Pagano per ragioni di sicurezza: suddito italiano dell’Impero AU, rischia il capestro per tradimento. Nel 1915 combatte sulle Dolomiti: cime di Lavaredo e Monte Piana; passa dipoi sul Sabotino, presso Gorizia, dove subisce il primo ferimento. Nel 1916 è in Trentino, sul monte Colombara, ed è un'altra volta ferito, piuttosto gravemente. All’inizio dell’anno successivo, 1917, si trova nuovamente nella zona di Gorizia: verso la fine di maggio, a causa di un ferimento, è fatto prigioniero e condotto in Boemia, nella fortezza di Theresienstadt. Evade per la prima volta, giugno 1918, riuscendo ad arrivare fino alla prima linea del Piave; è ripreso, in extremis, metri prima di riguadagnare le postazioni italiane. Rievade in Ottobre, giungendo a Trieste: qui ha l’onore di ricevere le armi dal comandante austriaco della piazza marittima il 30 dello stesso mese. Dopo il 4 Novembre, a guerra appena cessata subisce un incredibile processo per diserzione, dal quale esce assolto. Legionario di Ronchi, aiutante maggiore del battaglione volontari della Venezia Giulia, partecipa alla Dannunziana Impresa di Fiume. Passato il Natale di Sangue, s’iscrive al Politecnico di Torino ove, 1924, è laureato in appena quattro anni. Nel 1927 ottiene la nomina a capo dell’ufficio tecnico dell’Esposizione internazionale d Torino. Dal 1931 è a Milano: gl’è offerta la direzione della rivista La Casa Bella che mantiene, ininterrottamente, fino all’interruzione delle pubblicazioni, 1943. Alla fine del 1940 accetta pure la direzione di Domus che occupa per un breve periodo. È il 1941 quando presenta domanda di volontario, destinato in Albania e Grecia. Congedato alla fine dello stesso anno, è richiamato nel seguente: si dimette dalla direzione della scuola di mistica fascista e dal partito. Dopo l’8 settembre 1943 si porta a combattere sull’Appennino, nella zona di Carrara, tra le file dei resistenti. In novembre, arrestato, è trasferito a Brescia e rinchiuso nella stessa cella che appartenne a Tito Speri. Il 13 luglio 1944 -rifiutata l’amnistia in cambio dell’arruolamento nell’esercito della Repubblica di Salò- riesce ad attuare l’evasione generale dei 260 detenuti dal carcere. Grazie ad un tradimento, 15 settembre, viene ripreso, a Milano, dalla famigerata Banda Kock: gettato in una cella alta meno di 1,70 è sottoposto a torture e pestaggi. Da San Vittore, 9 novembre, viene condotto al campo di transito di Bolzano: insieme al ritrovato Raffaello Giolli è deportato in Germania, assegnato a lavori durissimi a Melk. Verso la fine di febbraio del 1945, l’incidente fatale: futili motivi: subisce un pestaggio a sangue da un aguzzino, un kapò, un internato come lui. Costole rotte, assenza di medicinali, abituri, temperature molto rigide, vestiario assurdo e cibo inesistente contribuivano a piegarlo sempre più. Il 4 aprile, attestatesi le truppe russe a meno di 30 km da Melk, parte l’ordine di sgombero del campo: giunge a Mauthausen, fra mille stenti; la mattina del 22 aprile –ad alcuni di giorni dalla fine del conflitto-, muore.

Giuseppe Pagano Pogatschnig, Giò Ponti et al., per Breda ed FS: Elettrotreno 200 (record di velocità assoluta sulla Roma-Napoli -non omologato-, record di velocità commerciale sulla Milano Firenze) anni '30.


Forme (Firenze, Stadio) 1940?


Carbonia, carrelli dall'alto, dopo il 1940.


Giuseppe Pagano Pogatschnig, Autoritratto, carcere di Brescia, 1944.
Bepi, mi permetto di rivolgermi a lui cosí -poiché cosí amava farsi chiamare-, era un romantico, uno spirito romantico che contrariamente a molti romantici non si perse o s’arroccò sul dubbio olimpo dell’arte: animo concreto, Uomo adamantino, null’affatto aduso ai compromessi, polemicamente positivo, sempre pronto a battagliare, insistentemente a caccia di brighe per questioni di coscienza, si trovò avviluppato nelle spire del fascismo in nome di principi sociali ed ideali dei quali credette aver trovato un alfiere. Generoso di sé –soprattutto coi giovani- agitatore esuberante, ottimista, sperimentatore, erudito indefesso, protervamente contrapposto all’accademia, vedeva l’arte come un insieme di postulati da mettere costantemente in discussione.


Giuseppe Pagano Pogatschnig, padiglione aggiunto al palazzo dell'arte alla VI Triennale, Milano, 1936.


Pagano-Buzzi, scala elicoidale, VI Triennale, Milano, 1936.

Di pochi elementi, durante il ventennio, fu tollerato carattere e linguaggio sí disinibito, pungente come il suo: in questo era compagno, con tutti i distinguo, forse solamente di Curzio Malaparte. Era tipo da soprannominare pubblicamente l’onnipotente Ugo Ojetti Eccellenza archiecolonne. Era tipo da permettersi il lusso di far collaborare alle sue iniziative editoriali pure personaggi come Raffaello Giolli, da un certo momento in poi proscritto.


Giuseppe Pagano Pogatschnig, Autoscatto innanzi l'Università Commerciale Bocconi, Milano (Pagano-Predaval 1937-41).


Giuseppe Pagano Pogatschnig, Autoscatto entro l'Università Commerciale Bocconi, Milano (Pagano-Predaval 1937-41).
Era tipo da difendere insistentemente Giovanni Michelucci e sodali perché potessero costruire la loro stazione, pur avendo direttamente partecipato al concorso. Ma anche tipo da non sottrarsi alle più gravi responsabilità della Vita come quando, prigioniero della famigerata banda Kock a villa Tri(e)ste, mandato libero tre giorni a parlamentare coi resistenti, ritornò, puntuale, per non compromettere la vita dei compagni. E, tacendo parecchio resto, tipo da accertarsi personalmente, nell’evasione dal carcere di Brescia –1944-, di non dimenticare nessuno dei 260 reclusi, ispezionando il penitenziario, fuggiasco buon ultimo.

La battaglia personale di Giuseppe Pagano, in quei frangenti, non lasciava scampo: ecco secondata cosí una volta ancora, ve ne fosse stato il bisogno, la forza del destino.

Gabriele Toneguzzi
g.toneguzzi@nettuno.it 
Bibliografia minima

- "Costruzioni-Casabella", 195/198, 1946
- "Pagano, Architettura e città durante il fascismo", a cura di Cesare de Seta, Laterza, 1976
> LETTERA DI GIUSEPPE PAGANO AD UN'AMICA SCONOSCIUTA
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