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Naufraghi

di Domenico Cogliandro

 

Idee da naufraghi? Ipotesi originali su quello che ci ha lasciato Le Corbusier. Cose che non sappiamo più fare perché non siamo più ricercatori, ma molluschi nel carapace, e tutto quel che facciamo si rivolta su noi stessi, come un guanto o una maledizione. Resta lo spazio dell'osservazione monastica. L'occhio sul libro, l'occhio verso l'infinito. E tra il libro e l'infinito il coercitivo presente, che costringe a pensare nei tempi ristretti del necessario o, estrema ratio, dell'utile. Questo è quel che rimane. Il presente, adesso.

Ne ho parlato una volta, distante da qui. Ogni volta che ne parlo le cose cambiano, le carte in tavola, i concetti, i contenuti, emergono nuove istanze, affiorano, per dirla con Chandler, fazzoletti dal taschino come zampilli di una fontana illuminata. La lezione c'è stata, questo è assodato. Alcuni l'hanno pure ascoltata, me misero, anche questo è un dato. E altri, coraggiosamente, piccoli naufraghi alla deriva, deriva di parole, hanno tentato di prendere appunti, per non perdersi ancora. Bene. Cosa ne è venuto fuori? Per esempio che un progetto, qualsiasi progetto di chiunque, deve essere osservato da molti punti di vista, e che questi non sono solamente concettuali. Sono reali. I punti su cui Luigi PP sta, traguardando l'orizzonte, perduto sulla prima isola, metafora egli stesso di una coordinata geografica liminare, e infigge la sua personale palina. Traguarda, legge, trascrive. Dice, poi, questo è accaduto domani. Ecco. Bisogna spostarsi, fermarsi, guardare con attenzione e poi spostarsi ancora. Guardare, spostarsi. Anche questo è cercare, mollusco, carapace.

[03sep2001]

Ronchamp, 17.08.1988, disegno di Domenico Cogliandro su La ricerca del giardino di Hector Bianciotti, pag. 75.

Era una lettura di Le Corbusier, l'ho detto, è assodato. Seconda isola. Con Fabio, da una parte, tournieriano robinson affacciato sui gorghi cenidei, e il signor Séstito, borgesiano artefice, da una parte diversa. Altri impersonavano gli ascoltatori attenti, quell'imperdonabile momento, oggetti pirandelliani alla deriva. Ma una cosa è dire parole, una cosa è scriverle. Altra cosa ancora, difficile più di qualunque altra, è scriverne. Piscina per i semantici, sguish, splash. Scrivere di una cosa che altri hanno scritto, o hanno detto. Trampolino, salto, triplo, carpiato, e giù in acqua. Ah, le parole! Nuotarvi dentro! Le Corbusier, appunto. Impeccabile nuotatore, tranne quell'ultima volta. Ma questa è una storia diversa. Pensate. 

Scrive Christopher Morley "favorite immaginare". Ecco, favorite immaginare. Una storia diversa e parallela. (Una terza isola?) Le Corbu sta sulla spiaggia di Cap Martin, cammina, vede qualcosa a venti passi, la raggiunge, si china, la prende, la tiene in mano per un po' e poi la porta nel suo capanno. La depone sul piccolo tavolo in legno. Va a pranzare, si appisola, dorme, sogna. Poi si sveglia e torna al capanno e, con inattesa meraviglia, scopre sul piccolo tavolo in legno proprio quella cosa che alcune ore prima aveva raccolto dalla battigia. Prende il taccuino, altre volte riposto con metodica attenzione nel cassetto del tavolino, e sopra comincia a disegnare la piccola cosa: un carapace. La casa, definitivamente spersa, di un essere vissuto. Il corpo è concentrato ad osservare quel piccolo frammento di vita, non solo l'occhio: ma il braccio, la mano, la postura della spina dorsale, la curvatura del capo, i muscoli delle gambe, la lingua che inumidisce le labbra. Le Corbu disegna il guscio di un mollusco, lentamente, con millimetrica attenzione, concentrandosi sulle minime, eppur singolari, curvature: una sola linea, una linea soltanto. Il carapace è un frammento, l'attimo del disegno è un frammento, il signor Jeanneret, anch'egli, è un frammento, ad altra scala, ma pur sempre frammento. I singoli frammenti non vanno visti nella loro dispersione, bensì nell'unità che creano: 1+1+1=4. Ecco cosa accade, che i vari frammenti uniti vanno a costituire una cosa altra di altro valore, il cui contenuto è inesprimibile a parole. È altro e basta. È altro in quel preciso momento, e quel momento inesplicabile non può far altro che creare una cosa che è, in assoluto, quella cosa. Bene. 

Oggi, col senno di poi, col senno del tempo trascorso e delle cose fatte, col senno della storia, nel carapace (descritto o meno a Cap Martin) leggiamo un riferimento organico alla cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp, alla copertura del piccolo santuario, alla strana forma di quella architettura. Il temporaneo Bartleby, per quel che ne sappiamo, naufrago ideale, intanto, sta cesellando il suo "ragionare intorno a". "A partire da". 

Seduto alla scrivania che non ha più calamaio e inchiostro, né penne e pennini, né la patina di polvere che va soffiata via o il fruscìo sommesso dello sfoglio di carta. Per cui solo, tra sé e il suo autore. Sa, peraltro, che, in una maniera speciale, inesprimibile, scrive per Marco, altro naufrago su un'isola di chiara onomastica, di cui sta dimenticando le fattezze, e che individua come linea fisiognomica tra la rotondità della b e la durezza delle z. Lo scrivano annota, in maniera assorta, attenta, partecipata, per quanto Melville ritenga disdicevole un tale atteggiamento, i frammenti e su essi ricama la scrittura. Non è il suo campo, non è il suo tempo. Ma ha davanti gli appunti, disseminati, sulla piccola architettura. Fogli, carte, copie, disegni, lettere scompaginate, teorie, questioni, assiomi, formule magiche e matematiche, schizzi, rilievi a vista, aforismi, citazioni, pagine strappate, fotografie, incluse, e non troppo distanti, le piccole illazioni, invisibili, di cui il coraggio e l'incoscienza si nutrono. Sa, inoltre che, ahinoi, nella lezione s'è detto, "in fondo nemmeno di architettura si tratta". Ma quello che qui andava scritto è questo, null'altro. Il resto galleggia in un tempo che nemmeno un tuffo tra le parole può scombinare. 

Domenico Cogliandro

cenide@citiesonline.it
Il presente testo, qui riscritto e ampliato, è stato ospitato da www.laboratorio1.unirc.it.
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