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Senza futuro

Domenico Cogliandro

 

Paolo Soleri è stato a Palermo, a Siracusa, a Reggio Calabria. Non so se andrà oltre, andrà ma io non lo so, non me ne preoccupo e, dopotutto, a lui non può interessare di meno quanto io mi preoccupi di questo. Io sono un viso, occhi che parlano e braccia che giocano. Chi sta davanti è un viso, prima di diventare un conoscente e, in ultima analisi, un amico. Paolo Soleri a Reggio Calabria si muoveva come si muovono quelli che per un secolo hanno fortemente deciso di continuare a sognare, e non sono tanti. Alcuni sono angeli senza coscienza, altri sono persone comuni, altri ancora sono, come Soleri, omini sinceri che hanno dato via cavallo e armatura per combattere, contro la terra e il fato, la guerra presente. Quella delle idee. Quella guerra che sopravvive alle battaglie. Soleri è un architetto svagato, direbbe Navarra, che ha costruito tante piccole cose per realizzare una sola vita, la sua. L'omino è in giro per l'Italia, accompagnato per tappe da nomadi sereni, come Séstito per esempio, che lottano per il loro diritto a pensare, cosa che di questi tempi è rara. Vorrei appuntare una piccola cosa su questa presenza. L'omino dice che il futuro non esiste, la vita è sempre "presente" e quello che si può costruire è una successione di eventi che stanno tutti nel passato. Non lo si sarebbe detto. L'omino che ha predicato per Arcosanti è diventato acrono (una sorta di teologia che non ammette il tempo, o che lo nega come categoria di riferimento). Lui è qui, oggi, e domani è là (la si può porre più o meno in questa maniera). Ecco, non so cosa direbbe a questo punto Luigi Prestinenza. Ma qualunque cosa fosse, la direbbe stizzendo e aggrappandosi al mistero gestuale che lo pervade (è così!).

[29dec2001]

 

Paolo Soleri dice che non esiste il futuro, in maniera cauta, che è una categoria inimmaginabile e che i suoi non sono nemmeno progetti, ma semplici realizzazioni. L'Arcologia è sì una specie di filosofia, ma è letteratura. Né più né meno che Tolkien, Wells o Asimov. Serve a comunicare che ci sono persone che esistono e che stanno realizzando, autofinanziandosi, una specie di cattedrale nel deserto a Phoenix, USA. La questione è di raro pregio. Ne scrivo, e lo divulgo, come si farebbe in un breve intervento radiofonico, come quelli che l'asceta Nicoletti è solito fare. Arcosanti è un totem, costruito senza apparente progetto e calato dentro un presente che è la somma di tanti eventi trascorsi. Il progetto, io dico, ma nemmeno io lo dico, è proiezione, è qualcosa che viene prima di essere. Masiero lo direbbe meglio, ma in sostanza è questo. L'architettura che l'omino Soleri ci propone è fatta di tanti pretesti, di cose che si toccano e che non sono se qualcuno, concretamente, non le fa. Contro tutte le nostre certezze, che sono distanti e aleatorie, la tesi di un Quixote che vede mulini solo quando i mulini sono effettivamente lì. Un cavaliere fatalista o soltanto rassegnato? Nemmeno il buon Sancho saprebbe sciogliere il nodo dell'anima che l'architetto trascina con sé. Le cose sono così come sono, non c'è nessun futuro e nemmeno le idee sono buone per inventarsi qualcosa di realmente costruttivo. Le nostre architetture sono speculazioni, come le nostre immagini di futuro. Leggendolo, potrebbe sembrare un nichilismo terminale senza via d'uscita. E invece no, è uno stato di grazia. Soleri vive questo stato di grazia con semplicità francescana, e viene a dire che le cose stanno come stanno perché stanno come stanno. Gaber, tempo fa, finiva così un suo pezzo: "Io se fossi Dio, io me ne andrei in campagna, come ho fatto io."

 



"La conoscenza è difficile ma bisogna arrivarci sentendo che abbiamo qui la nostra sede, la nostra casa, il nostro spazio, dove vivere umanamente e costruire quotidianamente qualche cosa; ma bisogna costruire, le parole sono quasi sempre inutili. (...) Bisogna realizzare, è inutile parlare di come è fatta una casa, bisogna costruirla passo per passo, momento per momento e avere il coraggio di tirarci fuori e metterci in discussione." Parole di Giovanni Michelucci. Ora, l'età dovrà pur contare qualcosa e l'esperienza altrettanto. Forse questo ci dovrebbe aiutare a pensarci sopra, a pensare che la radice di tutto sono i fondamentali, come si dice in palestra. Bisogna che una casa abbia fondamenta solide, ce lo si racconta dalla Bibbia, per resistere al tempo, e che i materiali di cui vien fatta siano realmente posti in opera ad arte. E l'arte è cosa rara, l'esperienza consente all'arte di mostrarsi, con buona pace dell'estetica. Forse chi, con solerzia e dedizione, si ostina a cercare il pelo nell'uovo, smarrendosi tra parole non dette e cose non fatte, sta soltanto sbagliando sentiero. Le cose, ha detto Soleri, o così mi è parso, sono dove sono le cose. E quando le si trasforma si costruisce una concatenazione di passato. Uno dietro l'altro. Eppure dalle parole di Michelucci traspare l'esigenza di essere il presente per guardare avanti, verso e non dentro. La sottile differenza verrà notata, ma non me la sento di incartarmi ancora tra le parole. Consiglio soltanto di inseguire il signor Soleri, ovunque egli si trovi, per chiedergli delle cose che fa e delle cose che dice, di come vede, con quali occhi, i nostri luoghi e di come vive questo improbabile tempo presente. È un messaggio ai viandanti scostanti, a quelli che fanno le cose, a quelli che sorvolano le parole ma non le rifuggono, a quelli che stanno cercando le loro radici, a quelli che sono distanti dagli annosi dibattiti, a quelli che hanno una specie di etica da difendere e a quelli che si sono già persi per strada e sono diventati cinici e pratici. È un messaggio agli architetti di questo tempo, che non sono nello star system e nemmeno fanno da vallette negli shows universitari, e ce ne sono tanti, e anche molto bravi.

Domenico Cogliandro
cenide@citiesonline.it

 

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