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Summer In_ Chicago

Marialuisa Palumbo
[in english] Dalla Architettura del tempo di Sanford Kwinter a La piega di Gilles Deleuze, dalla Cultura dell'interfaccia di Steven Johnson a L'Architettura dell'intelligenza di Derrick de Kerckhove, da L'architettura della Cyberception di Roy Ascott a Nuovi Ventri. (1) Queste le tappe principali della riflessione teorica che ha animato il Summer Institute in Digital Media (2) organizzato da Ammar Eloueini e Doug Garofalo all'Università dell'Illinois a Chicago al quale quest'anno sono stata invitata a partecipare.

[06aug2002]
"What would it change in our arts, our science, and our technics if time were conceived as something real?". Ed in particolare, che cosa significa introdurre il tempo reale come variabile fondamentale del processo di morfogenesi? A partire da queste domande, suggerite dal testo di Kwinter, abbiamo cominciato ad interrogarci sul rapporto tra progettazione e nuovi strumenti digitali.

Infatti se la questione Tempo è di per sé centrale per ogni riflessione sulle trasformazioni che il digitale ha comportato nel nostro modo di vivere ed abitare, essa è più che mai chiamata in causa da un approccio alla progettazione basato, come in questo laboratorio, sull'utilizzo di software di animazione, Maya e Softimage, finalizzati proprio ad 'intrappolare' la variabile tempo nelle coordinate della rappresentazione!



Tra le argomentazioni di Kwinter una mi sembra quanto mai esplicita: il confronto tra la genesi di un cubetto di ghiaccio 'domestico' ed un cristallo di neve. "Is time real for the ice cube in the same way as for the snow crystal? (...) In the former case a cube slot is prepared and performed in plastic or metal and filled with water (...) everything is locked into a static spatial system that reproduces a pregiven form. All the aleatory conditions, all of chance, hazard, all virtuality and sensitivity to other disturbances and changes in the environment -all wildness and openness- are scrupulously (i.e., by design) eliminated. The snow crystal is different. (...) As the snow crystal falls it absorbs, captures, or incarnates all the chance events, all the fluctuating conditions (magnetic, gravitational, barometric, electrical, thermal, humidity, speed) and builds them, or rather uses them, to assemble itself, to form its structure or edifice. The snow crystal creates itself in the middle of, and by means of the convergence of, flux".

(1) Sanford Kwinter, Architecture of Time. Toward a Theory of the Event in Modernist Culture, MIT Press, 2001; Gilles Deleuze, The Fold: Leibniz and the Baroque, Univ. of Minnesota Pr, 1992; Steven Johnson, Interface Culture. How New Technology Transforms the Way We Create and Communicate, Basic Books, 1997; Derrick de Kerckhove, L'Architettura dell'Intelligenza, Testo & Immagine, 2001; Roy Ascott, The Architecture of Cyberception, essay presented at ISEA '94, The 5th International Symposium on Electronic Art, Helsinki; Maria Luisa Palumbo, Nuovi Ventri. Corpi Elettronici e Disordini Architettonici, Birkhauser, 2000.

(2) Summer Institute in Digital Media. Partecipanti: Niccolo Casas, Colin Franzen, Eduardo Gomez, Zane Karpova, Siamak Mostoufi, Maria Regina C. Orig, Antonio Rodriguez, Chiara Tuffanelli.




Ma se come afferma Kwinter proseguendo nella sua riflessione, questo modello analitico -"based on developmental pathways, dynamical intersections, singular points, and qualitative movements in abstract, sometimes multidimensional space"- ci fornisce una nuova "teoria del luogo", e del rapporto tra forma e luogo, estremamente affascinate e complessa, proprio il concetto di tempo reale chiama in causa un'altra questione critica per la progettazione dei nostri giorni.

Come scrive Johnson: "we live in a society that is increasingly shaped by events in cyberspace [corsivo mio], and yet cyberspace remains, for all practical purposes, invisible, outside our perceptual grasp. Our only access to this parallel universe of zeros and ones runs through the conduit of the computer interface, which means that the most dynamic and innovative region of the modern world reveals itself to us only through the anonymous middlemen of interface design".


Se la questione delle nuove possibilità di generazione della forma è certamente centrale rispetto all'uso di nuovi software per la progettazione in ambiente digitale (e cioè al computer), la questione della progettazione di nuovi sistemi di interfaccia tra lo spazio reale e lo spazio delle informazioni rappresenta forse la novità più importante per un 'programma' architettonico appropriato all'era digitale.

Immaginare e mettere a punto sistemi architettonici, e quindi spaziali, che rendano possibili nuove forme di interazione e di passaggio tra lo spazio fisico e quello digitale, è una questione che pur avendo certamente a che fare con la genesi di nuove forme spaziali, riguarda forse più precisamente la genesi di nuove zone di spazio, dove l'integrazione tra la materia tradizionale del costruire e nuovi elementi tecnologici (reti, circuiti, schermi, sensori...) renda possibile una nuova reattività o interattività dello spazio.

Come scrive Ascott: "Instead of the planner's talk of streets, alleways, avenues, and boulevards, we need to think of wormholes, to borrow a term from quantum physics, tunnelling between separate realities, real and virtual, at many levels, through many layers".

Tornando al confronto tra la genesi del cubetto di ghiaccio ed il cristallo di neve come strategia verso una nuova teoria del luogo e dell'architettura, la possibilità non soltanto di usare il digitale come ambiente di progettazione ma di integrare la tecnologia digitale nel manufatto architettonico, ci permette di immaginare la conformazione di un nuovo tipo di spazio che resti, nel tempo e al di là del momento della sua concezione formale, sensibile agli eventi e alle progressive trasformazioni dell'ambiente complesso, locale e globale, cui esso appartiene: sensibile alla presenza umana e capace, per esempio, di offrirle accesso ad un dilatato spazio virtuale, sensibile ai flussi energetici che agiscono sull'edificio stesso così da sfruttarli, per esempio, per le necessità energetiche del proprio metabolismo (vedi la produzione di energia elettrica).

Questa è naturalmente la posizione (nonché la visione riassuntiva) di chi scrive, e certo occorrerebbe dire molto di più per ripercorrere l'intero corso di due settimane di intenso lavoro ma, piuttosto che tentare una sintesi oggettiva dei vari punti di vista dei partecipanti, preferisco ancora una volta sfruttare l'occasione di questo 'racconto' per focalizzare l'attenzione su quelli che ritengo nodi essenziali del dibattito su architettura e digitale.

È possibile sfruttare, non soltanto i nuovi software, ma più in generale i nuovi media per immaginare e produrre nuove specie di spazi, sensibili tanto alla presenza umana (e alle nuove dimensioni ibride della sua esistenza) quanto ad ogni altro tipo di forza/stimolo che li solleciti? È possibile costruire una nuovo pensiero architettonico forte, perché ideologicamente schierato verso il raggiungimento di obiettivi di rinnovamento sostanziali, come per esempio quello dell'autosufficienza energetica, attraverso una dinamica reattività dell'involucro all'energia solare? È possibile spostare il dibattito sul digitale dalla centralità dell'innovazione formale alla centralità dell'innovazione tecnologico spaziale? In altri termini, come usare le nuove tecnologie per produrre un'architettura che ci permetta di abitare la Terra in modo nuovo, in modo (e uso miratamente la parola) migliore rispetto agli equilibri globali del sistema eccezionalmente complesso in cui viviamo?









A chi era presente a Chicago, ma anche a chi non lo era, riprendere i fili del discorso e trarne le proprie conclusioni. Io ne approfitto per ringraziare ancora una volta Doug, Ammar e il resto della scuola per l'invito e il calore dell'accoglienza! Aggiungo soltanto qualche riga per descrivere brevemente un altro aspetto di questa esperienza...

A partire dalla discussione delle idee di cui sopra e parallelamente al loro sviluppo, questo Summer Institute è stato caratterizzato dalla elaborazione di una installazione collettiva mirata ad esplorare una forma di spazializzazione dell'immagine, attraverso l'articolazione di una superficie di proiezione tridimensionale estesa nel cono di luce di un videoproiettore.



L'installazione ha costituito dunque una possibilità, pur con risorse di tempo e tecnologie limitate, per lavorare al tempo stesso su una forma semplice di integrazione tra spazio reale (il luogo fisico) e spazio digitale (l'immagine proiettiva), e di realizzazione di una esperienza costruttiva.

Insieme alla progettazione e realizzazione dell'installazione (alla fine caratterizzata da due proiettori e due pannelli articolati e in sospensione) ognuno dei partecipanti ha realizzato una doppia animazione per la proiezione, lavorando così allo stesso tempo su una forma di occupazione fisica del cono di proiezione (o di dispiegamento della proiezione nello spazio) e sulla progettazione di un video la cui immagine venisse scomposta e ricomposta sui vari frammenti di schermo nello spazio.

Lo spazio scelto per l'installazione è caratterizzato da due vetrate che moltiplicano e proiettano all'esterno le immagini, ricollegando visivamente l'installazione alla vicina downtown di Chicago.

Marialuisa Palumbo
malupa@libero.it




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