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Steven Holl. Poetica di resistenza

Luigi Prestinenza Puglisi
Steven Holl è più che un bravo architetto appartenente al firmamento dello Star System. Rappresenta un movimento di resistenza alla moderna architettura dell'informatica, della comunicazione, dell'immagine. Propone l'attenzione per il particolare, la materia, la luce, l'unità contro il perdersi nell'indistinto della globalizzazione, l'indugiare nella trasparenza dell'immateriale, il frammentarsi della decostruzione. E lo rappresenta nel modo più alto: senza le nostalgie passatiste e le durezze che, invece, caratterizzano tanti altri personaggi che a lui sono naturalmente alleati e che gravitano intorno alla roccaforte di Harvard e alla figura di Moneo, di cui si segnala negativamente la recente cattedrale costruita, con dovizia di mezzi e povertà di senso della misura, a Los Angeles.

[03jan2003]

Turbulence House, New Mexico.


Viste in questa luce, le recenti mostre a Roma alla American Academy, a Vicenza alla Basilica Palladiana e anche alla biennale di Venezia rappresentano un utile momento di verifica e di riflessione sulla sua produzione, anche per la qualità dei plastici e dei numerosi acquarelli che illustrano i recenti progetti: dalla Turbolence House per Richard Tuttle sino al Nelson Atkins Museum of Art a Kansas City, all'Art Museum di Bellevue, alle residenze al MIT a Cambridge, al College of Art and Art History all'università dello Iowa, al Centro di arte contemporanea a Roma e il museo dell'evoluzione umana a Burgos.


Cranbrook Institute of Science, Bloomfield Hills, Michigan, 1999.


Fondante nella poetica di Holl è l'aderenza del progetto a un concetto preliminare, tratto dalla letteratura, dall'arte, dalla scienza che però è svolto dall'architetto in termini rigorosamente disciplinari. È un metodo che ritroviamo in tutte le sue opere. A partire dalle più note. Per esempio il museo Kiasma trae il suo nome dall'inversione di due membri contigui e che, in natura, caratterizza il modo attraverso il quale i nervi ottici si invertono per raggiungere l'emisfero del cervello corrispondente. La Cappella di Sant'Ignazio a Washington deve i suoi lucernari colorati all'idea di bottiglie di luce che si inseriscono nella scatola muraria. La casa Stretto è una trasposizione spaziale di un tema musicale. La stretta aderenza del progetto ad una metafora, che guida e indirizza ogni singola scelta di dettaglio, permette a Holl di concepire l'edificio in termini unitari, evitando i pericoli della frammentazione e della disomogeneità. Permette di indagare la qualità della luce, i valori tattili della materia, la fluidità delle forme nello spazio e, nel contempo, sfuggire allo snervato gioco dei segni che caratterizza la ricerca di altri architetti, cioè per capirci quel filone americano che, pur con esiti diversi, va da Venturi ad Eisenman.

È interessante vedere, per esempio, come il College of Art and Art History all'università dello Iowa nasca da un concetto astratto quale una chitarra, vista in una prospettiva cubista alla Braque e si trasformi, nel suo svolgimento, in un incantevole edificio che si apre sull'acqua con un coraggioso sbalzo di inaspettate valenze paesistiche. In un processo, ben documentato dai plastici in mostra, dove il segno perde, strada facendo, i suoi riferimenti intellettualistici per diventare pura riflessione sulle qualità dell'architettura. Formalismo assoluto, saremmo tentati di dire, garantito proprio dai concetti base di partenza: così arbitrari, così pervasivi, così necessari. L'opera, insomma, come unicum, in un rapporto inconfondibile con il luogo, garantito dalla felicità della metafora scelta. Tanto che non è difficile accostare la ricerca di Holl con le teorie di Pallasmaa, le realizzazioni di Sverre Fehn e il regionalismo critico di Frampton. E con un modo pretestuoso di intendere la fenomenologia di Husserl e Merleau Ponty che, sebbene abbia poco a che vedere con il pensiero effettivo dei due filosofi, serve agli architetti a esprimere volontà di concreta materialità della forma e, insieme, insoddisfazione per una progettazione intellettualistica, distratta dall'hic et nunc dell'atto percettivo.


YHouse, Catskill Mountains, New York, 1999
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È proprio l'amore per l'ineffabilità dell'evento, la fascinazione per il continuo variare della luce e la sensibilità per l'apparire sempre diverso del colore che rendono le architetture di Holl vagamente impressioniste. Come accade quando copre con una vibrante lamiera traforata il cemento dei rivestimenti, a sua volta campito, con differenti macchie di colore oppure quando varia bruscamente un partito rigorosamente geometrico per inserirvi una cavità dalla forma complessa o, ancora, fa interagire, sopra una vasca d'acqua, forme irregolari e primordiali con partiti regolari e meccanici. È attraverso questa linea impressionistica che Holl riscopre il piacere del mestiere, l'eredità di Frank Lloyd Wright e il Le Corbusier della luce e della materia, per capirci di Rochamp e La Tourette. E così facendo riconduce se stesso a una tradizione disciplinare che vede in evoluzione ma senza rotture o salti bruschi. Perché la struttura percettiva dell'uomo è sostanzialmente sempre la stessa e i problemi dell'arte sono in larga misura ricorrenti. Da qui l'utilizzo di tecniche antichissime quali l'acquarello, l'amore per le culture orientali e zen e, viceversa, la posizione di difesa verso le tecniche contemporanee accusate di portare a una deprivazione sensoriale, a una riduzione delle capacità contemplative, a un annichilamento del vivere poeticamente all'interno del mondo. Attraverso questa strada, affiora a tratti il fantasma di Heidegger e la sua insopportabile visione del dasein. E non poteva essere altrimenti a causa di un formalismo così assoluto e così proiettato verso la contemplazione dell'essente, e cioè dell'essere nel suo darsi in una condizione percettiva pensata come autentica. Anche se, a dire il vero, Holl è troppo nutrito di anticorpi americani per tuffarsi interamente in un tale e tanto pericoloso gorgo nostalgico.


Chapel of St. Ignatius, Seattle, Washington, 1997.


Resta però il fatto che la sua è poetica di resistenza. Poco propensa a approfondire in che modo la struttura sensoriale dell'uomo sia oggi integrata da altre modalità percettive. E come la virtualità, gli occhi elettronici, i sempre più veloci mezzi di comunicazione, l'immaterialità, il tempo reale abbiano reso più complesso, implementandolo e non solo impoverendolo, il nostro rapporto con lo spazio, la luce, la materia e quindi il modo di vedere e di sentire il mondo. Basti per tutte citare l'affermazione di Freeman Dyson, secondo il quale le recenti scoperte scientifiche sono determinate più dai punti di vista radicalmente nuovi imposti dalle strumentazioni elettroniche che da nuovi paradigmi concettuali. Pur in questo limite, le proposte di Holl sono affascinanti e una visita alle mostre che lo pubblicizzano, anche se incomplete come a Vicenza, un atto dovuto ad uno dei più interessanti architetti americani che oggi lavora sulla scena internazionale.

Luigi Prestinenza Puglisi
L.Prestinenza@agora.stm.it

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