Con
il presente intervento Alberto Alessi, docente di Teoria dell'architettura
presso l'ETH di Zurigo, contribuisce alla discussione, aperta
in ARCH'IT files nelle ultime settimane, sullo stato dell'architettura
in Italia. |
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1.
Perché, Cosa, Come, Dove, Quando, Per chi, facciamo ciò che facciamo?
I due Budda distrutti. Nell'epoca dell'opera d'arte riproducibile ad
oltranza, i due Budda divengono una carta al tornasole. Rifarli oggi
sarebbe un simulacro: di poche architetture moderne e contemporanee
si potrebbe dire che significhino altrettanto. Non è certo un problema
di qualità, ma di contenuto, cioè di perché. Sappiamo fare le
cose, ma non ci ricordiamo perché le stiamo facendo. E per chi. Mai
come oggi la qualità dell'architettura e del costruire sono state così
diffuse. E così superflue. Spesso oggi il risultato non può essere spiegato
ma solo percepito. Perché possiamo considerare cose molto diverse fra
loro, tutte architettura? Cosa le accomuna? |
[21jan2003] | |||
È
utile confrontare la modalità operativa di un artista contemporaneo
come Christo con quella degli architetti attuali. Nei suoi interventi
Christo individua due momenti, successivi all'ideazione del progetto.
Innanzitutto un momento che consiste nel convincere, nel cercare i permessi,
nell'ottenere il supporto della società, nel rendere il progetto patrimonio
collettivo. Quindi, avuto esito positivo il primo momento, da lui definito
software, si tratta di passare alla fase hardware della
realizzazione vera e propria. La prima fase è la più delicata ed indispensabile
perché senza il buon fine di quella, non si può attuare la seconda.
L'hardware è fattibile, sempre. Il software no. Ha bisogno
di essere condiviso. Quante architetture passano oggi attraverso un processo analogo, di prediscussione e verifica con la società, atte a farle divenire parti integranti di questa? Attualmente, si pensa che l'appropriazione pubblica delle opere avvenga automaticamente attraverso la loro realizzazione, o anche solo (e meglio) pubblicazione. Non è così. La costruzione può essere frutto di interessi eminentemente funzionali e/o speculativi. La pubblicazione vale solo per addetti ai lavori, e per un pubblico che sfoglia le riviste distrattamente (o al contrario anche troppo attentamente come fonte da cui attingere stilemi in voga). Quello che serve è la capacità di far prefigurare, anche da altri, ciò che si ha in mente. Serve il lavoro sull'immaginario collettivo. L'architettura è la concretizzazione di un'idea contemporanea di spazio aperto sul meraviglioso. Oggi il dato da discutere non è quello di un'architettura senza architetti, ma di architetti senza architettura, cioè senza la visione di un senso del proprio fare che vada oltre l'individuale sentimento. 2. Ci sono tre figure che professionalmente e strutturalmente ruotano attorno al fare architettura (non al costruire): - lo storico, che ha una visione consequenziale, si muove all'interno della disciplina; - il critico, che deve avere una natura multidisciplinare, pienamente addentro alla società contemporanea; - l'architetto, che è sempre contemporaneo e locale, disciplinare, con una visione aperta ma chiara della disciplina. Il dato specifico oggi è che le tre figure convergono tutte sempre più e solamente nell'ultima, l'architetto, il quale spesso inizia ad agire in maniera schizofrenica o confondendo i momenti e le finalità dei diversi sguardi sul proprio fare. Il dato è grave, perché per ben poter funzionare e operare nella realtà, la disciplina ha bisogno di tutte tre le visioni anche da un punto di vista "specialistico". In particolare oggi ha bisogno di critici consapevoli. È bene domandarsi a chi deve essere diretta la critica architettonica: alla disciplina per il tentativo di trarre dalle secche della filologia filosofica di scuola recente; al cittadino per stimolarlo a divenire attore del proprio spazio. |
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Ruolo
della critica è individuare i caratteri specifici della visione contemporanea,
di renderli pubblici e di stimolare alla necessità di una risposta architettonica.
Ruolo della critica è creare una presenza dell'architettura al di fuori
della disciplina. Deve essere in grado di inserire le persone nella
storia, ma tutte o il più possibile. Il critico deve avere la volontà
di rimettere in discussione sempre il tutto, di guardare con occhi aperti
e senza pregiudizi, anche se ciò in lui vale più a parole che a fatti.
La storia va letta a ritroso, partendo dal vicino fino a cercarne le
radici. Contemporaneità è assenza di distinzione fra passato e presente:
le cose valgono in sé e non per aulicità pregressa. Il critico deve progettare la critica architettonica come si progetta un edificio. Il critico parla a tutti, non solo agli architetti, senza copiare altre dinamiche disciplinari proprie della moda o simili, ma ben conoscendole. Il critico deve avere la capacità di guardare oltre sé, fuori di sé, superando lo iato fra architettura e urbanistica, fra l'individuo e il collettivo. Sono poche le architetture moderne che si pongano il problema dell'altro da sé. Perciò esistono le "periferie", luoghi di visioni accentratrici. Molto più che nei tessuti storici, nelle periferie è necessario ogni nostro senso e concentrazione. Ogni elemento vuole essere visto e letto per sé, senza rimandare ad un insieme superiore. Nelle periferie ci si dimentica che "L'urbanistica ha lo stesso oggetto della politica. L'urbanistica che ha forma è architettura". (Carlo Ludovico Raggianti) |
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3.
Architettura come paesaggio del fare. Errato leggere oggi le specificità
nazionali come soli dati storici. Corretto leggerle come specificità
geografiche. Tutto ciò che esiste prima del proprio progetto può e deve
essere visto come geografia. Ognuno di noi ha una responsabilità nella
gestione della propria geografia. La continuità storica oggi è nella
discontinuità. Il passato continua e insegna solo se visto al di là
della chiusura culturale. C'è troppo movimento oggi per potersi chiudere
nel proprio giardino. È necessario avere le forme aperte della geografia,
cresciute per successive stratificazioni, elaborando attraverso la novità
della situazione ambientale ciò che si trovava di volta in volta sul
posto, assecondando spontaneamente le attitudini. Senza concetto di
progresso, ma "solo" di mutamento costante. Perciò la visione è continuamente
oscillante fra la situazione locale e quella internazionale. Il Regionalismo
critico non ha detto tutto ciò che poteva dire. 4. Vestire più ruoli, avere più immaginari contemporanei è un dato normale oggi. Coppie o gruppi temporanei e casuali (es. turisti) si formano in continuazione. Ognuno di noi ha più esperienze temporali e spaziali nel corso della stessa giornata (cinema, aereo, Internet, televisione, ecc.). Tutto ciò non può non avere influenza sul modo di pensare l'architettura, e perciò sull'architettura stessa. La casualità della successione spaziale diviene un dato col quale fare i conti costantemente, in vario modo. Venturi deve essere riletto anche oggi. |
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5.
La fondazione di un nuovo immaginario collettivo libero e personale
passa attraverso il rendere nuova visibilità, nel proiettare la visione
partigiana sulle cose per renderle altre da sé e da ciò che vengono
ritenute normalmente. Mischiare disciplina coerente, immaginario dinamico
e incoerente, suggestioni transitorie. Affrontare compiti funzionali
e tipologici. Affrontare le storie personali. Fare attenzione di avere
più scelte di immaginario. Disinteressarsi della plausibilità o attendibilità,
ma porre delle condizioni alle conseguenze del fare. Tutto ciò è alla
base del lavoro e del compito del critico di architettura. La Fine
del fine di Eisenman è finita. Il fine è cambiato. 6. Quando si legge un'architettura si pongono due alternative: la lettura formale-spaziale e la lettura semantico-simbolica. La porta di Duchamp, che al contempo apre e chiude, ne è l'interpretazione sintetica. La lettura critica puramente formale o spaziale dell'architettura rischia di togliere spazio alla fascinazione e al mistero, dà libertà ad alcuni togliendola ad altri. Inoltre il problema dello spazio è errato e inutile se riferito solo all'interno del singolo oggetto. Questa lettura deve essere integrata da un lavoro sulla visibilità simbolica della superficialità, sulla visione sempre soggettiva delle cose che ne influenza il divenire. Le valenze sono sempre più variabili, perché variabile è il riferimento culturale. Non è più possibile e necessario scegliere a priori fra simbolo e spazio, fra valore semantico e valore corporeo. Una differenza fra involucro e contenuto, può sussistere. Oppure no. Non ha senso parlare di architettura aperta, chiusa, finita, non finita, pura, a meno che non si stia facendo un'esegesi di un'opera vista come assolo nel deserto. In un contesto qualsiasi, ogni opera è dialogante, anche suo malgrado. Oggi come nel medioevo l'architettura può essere narrativa. 7. "L'architettura è troppo importante per essere lasciata 'solo' agli architetti" (Giancarlo De Carlo). Probabile, ma sono comunque loro che sono chiamati a realizzarla. Alberto Alessi alessi@arch.ethz.ch |
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