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In the night all cows are Brown (I)

Ugo Rosa, Domenico Cogliandro
Chi è Mr. Brown? Anzi Doctor Brown? Anzi, per essere più precisi, Doctor William C. Brown? E cosa ha fatto di così importante nella sua, e nostra, vita? Ugo Rosa e Domenico Cogliandro hanno svolto un'indagine che si svilupperà in 5 puntate concatenate, ciascuna ospitata da una webzine di argomento architettonico: ARCH'IT, Archphoto, newitalianblood, Channelbeta, AntiThesi.




"Però... sul ponte fra Messina e Reggio
gli operai a gettoni sono progettati dalla Sony
alla mafia han dato in cambio un tamagotchi
e il monopolio nazionale del settore videogiochi"
Samuele Bersani



Non vorremmo apparire capziosi. Ecco, insomma, non vorremmo immischiarci troppo in questa questione, perché alla lunga, si sa, sarà costituita da tre momenti di grande afflato nazionalpopolare, per motivi tra loro molto differenti: il proclama alla nazione ("il ponte si farà", e questo lo abbiamo già visto), la demonizzazione ("chi ci contesta è contro il futuro del Paese", e questo lo si sta preparando con cura) e la cerimonia sentimentale ("questa è la prima pietra", applausi please). Ogni passaggio non sarà, e non è stato, senza recrudescenze. Ci sono studi di ogni genere e in ogni dove, in molte lingue e su qualunque argomento interno alla questione: l'ambiente, i territori, le economie locali e globali, l'effetto dell'offerta, le infrastrutture, le reti, i problemi geologici e tecnici, e chi più ne ha più ne metta, tanto non se ne uscirà comunque vivi. Molti e in molte salse abbiamo visto le simulazioni del progetto, ma nessuno (nemmeno i più illuminati e critici giornalisti, tanto per dirne una) si è fatto una domanda terra terra: ma chi diamine è il progettista del ponte, di questo ponte? Perché di antecedenti celebri, per nominare solo gli italiani, ne abbiamo: basti citare i progetti Morandi, Nervi e Samonà. Ma questo oggettone non è figlio di nessuno o piuttosto è figlio di padre ignoto. Un padre di cui abbiamo un nome, ma del quale non comprendiamo la presenza. Ora, questa è appunto una invettiva capziosa, che riguarda noi soltanto, perché ci è proprio sorta dal profondo questa curiosità: chi ha disegnato questa mirabile opera di ingegneria? È una questione che, almeno una volta negli ultimi dieci anni, ognuno di noi si è posto.


Foto di Gaetano Ginex.

La domanda, però, s'è persa "come lacrime nella pioggia" oppure, più prosaicamente è scivolata via, come un fragile canotto, tra le tumultuose correnti della vita quotidiana. Oggi però che il fragile guscio in cui siamo è arrivato alle rapide abbiamo pensato che fosse utile, prima di vederlo definitivamente sparire oltre la cascata, volgere un affettuoso pensiero ai suoi eroici occupanti.
Perciò ci siamo posti un'ultima volta il quesito e vi forniamo, qui di seguito, la risposta. Essa, per quanto riguarda l'anagrafe, è semplice, diretta, immediata e, direi, perfino dotata di quel vago sapore "politically correct" che, quando leggiamo un giallo, ci rassicura circa l'infallibile colpevolezza del maggiordomo: è stato il dottor Brown.

[13jun2003]
Il dottor William Brown, per la precisione.
Ma, detto questo, occorrerebbe delineare per bene il maggiordomo, dargli una configurazione e una storia. Sappiamo, come noto, che indossa il frac, possiede un perfetto accento inglese e appare puntualmente all'ora dei pasti compitando la storica frase "Il pranzo è servito", ma questo non ci consola.
Come non ci consola sapere che, per convenzione, definiamo il criminale che si diverte a mutilare la gente con gli scherzetti esplosivi, "Unabomber".

Chi è, dunque, il dottor Brown?
Dai dati in nostro possesso risulta solo che il dottor Brown ha effettuato il "progetto generale" del ponte. Neppure "Il progetto generale", a volere essere sinceri, sappiamo bene cos'è, ma a quello, più o meno, ci possiamo arrivare.
Dovrebbe trattarsi, sostanzialmente, di qualcosa che attiene agli aspetti formali dell'opera: il ponte come architettura. Oppure, se non la si legge come una discriminazione, il ponte-oggetto. Dunque il Dottor Brown, avendo effettuato il progetto architettonico di una delle più grandi opere della nostra epoca, deve essere uno dei grandi architetti della nostra epoca. Magari uno dei più grandi architetti di lingua inglese dei nostri tempi. Magari uno dei migliori degli ultimi venti anni. O un geniale architetto che è stato tenuto alla barra dall'accademia ma il cui talento, nell'ambiente, è noto. Oppure, alla peggio, anche solo una brillante promessa dell'architettura internazionale. Ci accontenteremmo che fosse un architetto bravissimo, la cui bravura è comprovata da realizzazioni concrete, visibili, visitabili, magari (per comodità) pubblicate da qualche parte.

Ma chi è il dottor Brown non lo sappiamo.
Ignoranza? Disinformazione? Può darsi. Certo però che chi gli ha dato l'incarico doveva essere un cultore della materia coi controcazzi, perché (ci siamo informati addirittura con filologi della pubblicistica architettonica) nelle riviste d'architettura internazionali, nazionali, regionali e perfino nei bollettini dell'ordine dell'architetto (che funzionano come il manuale delle giovani marmotte e in cui c'è praticamente di tutto, da come si preparano i bomboloni a dritte di giardinaggio pratico) non se n'è mai fatta menzione.

E allora? Allora ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo acceso non uno ma una flotta di computer e, a tappe forzate, ci siamo avventurati in una delle più strabilianti traversate di Internet che la storia ricordi.
Siamo arrivati dall'altra parte stremati, ma non al punto da evitarvi il resoconto che segue.

Ugo Rosa, Domenico Cogliandro

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