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Zaha Hadid's Contemporary Arts Center, Cincinnati, OH

Kay Bea Jones
[in english] Negli ultimi anni i "Centri per l'Arte Contemporanea" sembrano spuntare come funghi in ogni parte del mondo. Molti di questi spazi sembrano soprattutto occasioni per annunciare al mondo con grande clamore la realizzazione di grandi e avanguardistici progetti architettonici: edifici nuovi o nati dal recupero di spazi esistenti, spesso realizzati senza sapere quali opere d'arte dovranno poi contenere. Non è però questo il caso del Contemporary Arts Center realizzato a Cincinnati da Zaha Hadid e KZF. La celebrazione della conclusione degli otto anni di lavori che sono stati necessari è avvenuta lo scorso 31 maggio, con l'inaugurazione di una mostra curata da Thom Collins e intitolata "In qualche posto migliore di questo: Esperienze sociali alternative negli spazi dell'arte contemporanea". Ma in questo particolare momento non c'è da nessuna parte un luogo più adatto di questo.

Le migliaia di persone che hanno preso parte alla grande festa di strada del vernissage sembravano totalmente d'accordo. Gomito a gomito, siamo stati risucchiati dal "tappeto urbano" fino alla nera e lenta scala che corre a zigzag tra i sei livelli di gallerie per servire il complesso puzzle spaziale che corrisponde all'incastro volumetrico delle sale espositive. Negli ultimi mesi, mentre il pubblico di Cincinnati fibrillava in attesa del nuovo Centro, in giro per il mondo ci sono state molte mostre e pubblicazioni dedicate al lavoro di Zaha Hadid. Nel frattempo Zaha ha continuato a modificare il progetto durante la sua lenta evoluzione, tanto che non è possibile trovare due pubblicazioni sull'edificio con la stessa serie di piante. L'edificio d'angolo che oggi osserviamo sembra il risultato della trasformazione da un montaggio di volumi galleggianti di vetro trasparente a un composizione di solide masse chiare e scure aggettanti su uno degli incroci principali di downtown.

[10jul2003]
Quando è comparsa tra i venticinque progetti inclusi nella selezione "Museums for a New Millennium" (2000-2003), la proposta di Zaha era visibile in una serie di prospettive digitali e in un modello di plexiglas, ma non c'erano piante né sezioni. In sostanza in questo modo si capisce come la pianta non sia l'elemento generatore primario né nella progettazione, né tanto meno nell'esperienza reale degli edifici di Zaha Hadid, e che la sua sofisticata integrazione di spazi dissimili non sarebbe affatto evidente e apprezzabile attraverso una rappresentazione tradizionale. Alla fine la percezione degli spazi del CAC di Cincinnati è labirintica, fortemente evocativa, sensuale fino al sublime, e allo stesso tempo rassicurante e familiare.

Con il suo edificio di Cincinnati, Hadid potrebbe essere forse riuscita a fissare un canone per lo spazio espositivo per l'arte contemporanea, un risultato inseguito da moltissimi architetti contemporanei, ma raggiunto da pochissimi. Il suo "museo" incarna molte delle caratteristiche che Gianni Vattimo elenca come tipiche dell'incontro con l'arte, tra cui la necessità di "sperimentare attraverso l'immaginazione forme di esistenza e modi di vita diversi da quello nel quale siamo immersi nella nostra quotidianità concreta".

Il museo è legato al suo sito in Downtown Cincinnati attraverso una serie di sofisticate relazioni visive e formali con l'esperienza urbana quotidiana. Visto da Walnut o dalla Sesta Strada, il sorprendente aggetto nero sospeso quattro piani sopra al marciapiede ci annuncia la presenza dell'edificio. L'angolo arretrato, avvolto nel vetro, favorisce la reciproca possibilità di guardare l'interno da fuori e viceversa. I visitatori sono attratti dentro dallo spettacolo della luce del sole riflessa sulla facciata interna in cemento. La stretta rampa di scale sospese che portano al piano seminterrato offrono un altro possibile sguardo all'interno per i passanti, mentre la salita monumentale verso il percorso "nero" consente una sequenza dinamica di vedute della vita esterna da vari punti e da vari livelli. I punti di arrivo delle rampe orientano la vista verso la piazza al di là di Walnut Street al confine sud dell'Aronoff Performing Center. In qualche modo a Est la visuale riesce a inquadrare Mount Adams.





Con sapienza Hadid si "appropria" dello spazio urbano adiacente per mettere in scena la sua composizione frontale di elementi bianchi, neri e vuoti. Due piani di uffici accompagnano la strada lungo il lato sud, dietro una parete interamente vetrata, mentre le gallerie sono contenute in volumi solidi e sono sempre rivolte all'interno. Due panorami straordinari mettono in scena Cincinnati per gli appassionati d'arte: il primo dalla terrazza al livello direzionale, sopra il grande corpo nero aggettante; il secondo dalla grande finestra dell'Unmuseum (lo spazio espositivo riservato ai bambini) all'ultimo piano. La vista dalla terrazza verso Walnut Street incornicia il fiume Ohio verso Sud. La vista angolare dal museo dei bambini è collocata nel punto terminale del percorso "nero" e rappresenta una degna conclusione di una notevole sequenza di eventi architettonici. Sebbene la grande finestra sia disegnata ad "altezza adulto", e offra una bellissima vista dei coronamenti delle torri e dei grattacieli di Cincinnati, ai bambini rimane la possibilità di guardare le nuvole.

Mano a mano che il progetto si è sviluppato, è emerso con sempre maggior chiarezza il carattere di "malleabilità" totale di forme, masse e facciate. Ciononostante, nell'evolversi dai primi schemi fino all'edificio reale,gli elementi essenziali della proposta architettonica di Zaha Hadid sono rimasti gli stessi: l'apertura del museo verso lo spazio della strada pensata per facilitare la relazione tra lo spazio della cultura e dell'arte con la vita civica e i cittadini di Cincinnati (da cui l'idea del "tappeto urbano"); gli spazi lunghi, corti, larghi o alti delle gallerie, tutti illuminati con dispositivi regolabili, concepiti in modo da indurre alla ricerca verso nuove forme d'arte (da cui il tema del puzzle a zigzag). Nei termini che lei stessa usa, si intende qui ribadire che gallerie efficienti, adatte alla flessibilità curatoriale, no devono necessariamente corrispondere a spazi deboli e banali o alle anonime scatole bianche. La luce naturale è stato il primo elemento generatore del progetto, e –come ha affermato in occasione della conferenza stampa– gli otto anni passati lavorando sul progetto di Cincinnati le hanno permesso di conoscere a fondo la qualità della luce nell'area nella quale sorge il museo. Il risultato è evidente. La modulazione della luce solare e dell'ombra fa sì che già nell'atrio si percepiscano condizioni molto diverse di luce, immessa attraverso la facciata esposta a sud-est e il grande lucernario destinato a illuminare la parete di cemento retrostante. La silhouette nera della scala si staglia contro un fondale a intensità variabile. la luce riflessa entra nelle gallerie che la fiancheggiano e orienta i visitatori lungo la sequenza espositiva.

L'Unmuseum, che colloca lo spazio per i bambini nel piano più alto e offre la possibilità di uno scambio interattivo con le opere d'arte, permette anche di affacciarsi nella grande corte vetrata delle scale. I bambini si trovano così collocati tra città e il centro del museo.

Il CAC di Cincinnati offre una gamma di piaceri sensuali che vanno dalle viste grandi e luminose fino al legno nero dell'auditorium, fino al freddo tappeto di cemento bagnato da calde lame di luce naturale. La scelta dei materiali appare coerente con la composizione creativa di relazioni spaziali, e rende l'insieme del progetto completo e profondamente soddisfacente. Perfino gli artisti sembrano a loro agio. Le esperienze sociali alternative messe in atto da Patty Chang, Groovisions, Moshekwe Langa, Nikki Lee, T.J. Wilcox, Zhang Huan, Inigo Mangloano-Ovalle, Mark Lombardi, John Armleder, Janet Cardiff –scelti tra i 37 artisti esposti nella mostra inaugurale– ci allontanano dalla concretezza della nostra quotidianità per riemergere –almeno temporaneamente– trasformati. O forse il merito è dell'architettura...

Kay Bea Jones
jones.76@osu.edu

> CONTEMPORARY ARTS CENTER, CINCINNATI

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