Gino
Valle, protagonista discreto della stagione architettonica italiana
della seconda metà del Novecento, è scomparso due settimane
fa all'età di ottant'anni. I sentimenti e le alte qualità
presenti nella sua opera saranno coltivati, ne siamo certi, dalle generazioni
a venire, trascritti e riletti attraverso future pubblicazioni. Per
ricordarne oggi la figura ai lettori di ARCH'IT abbiamo chiesto a Giovanni
Corbellini una breve memoria. |
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"Non
avevo paura di niente". Così Gino Valle ricordava il suo stato d'animo
di giovane borsista ad Harvard nel 1951-52. Dopo la guerra, due anni
di prigionia in Germania, la laurea a Venezia e l'apprendistato con
suo padre a Udine, ha già un bagaglio di esperienze e una sicurezza
che ne caratterizzano da subito la straordinaria personalità. A Walter
Gropius, che al primo incontro gli raccomanda di andare a visitare i
suoi alloggi per studenti, risponde diretto: "Purtroppo ci sto!". Solo
un episodio fra tanti nei quali il suo ruvido modo di trattare alla
pari con i grandi dell'architettura o i suoi committenti, siano essi
ricchi tycoons, politici, artisti o intellettuali, ma anche con i collaboratori,
gli artigiani, i tecnici, si traduceva in stima e amicizia reciproche. |
[13oct2003] | |||
Era
un uomo immerso nel tempo, che viveva con eccezionale energia e intensità.
E infatti l'architettura costituiva per lui più un modo di vivere che
un fine totalizzante. Non amava pensare agli edifici come oggetti, non
si interessava al linguaggio, non ha mai cercato di essere formalmente
riconoscibile. Fin dai suoi esordi considera la costruzione come un'esperienza
dinamica, modellata da flussi immateriali: il vento e l'acqua del feng
shui (scoperto nella biblioteca di Harvard molto prima che la vulgata
new age lo facesse scadere a fenomeno di moda), la luce e la gravità
(da una definizione di Baldeweg che amava citare spesso). Flussi con
i quali l'architettura interagisce rispettandone e interpretandone le
sollecitazioni, senza regole prefissate, ma trovate nei luoghi che Gino
percorreva e modificava con attenzione e sensibilità da rabdomante.
Si capisce che l'accademia lo abbia sempre trattato come un corpo estraneo.
Una diffidenza sinceramente ricambiata, tanto che a un certo punto decise
di andare a insegnare al primo anno per provare a esercitare una sorta
di imprinting che preservasse la freschezza intellettuale degli studenti
dell'IUAV dai corsi successivi. |
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I
molti capolavori realizzati (tra gli altri casa Migotto e il monumento
alla resistenza a Udine, la torre di Trieste, gli uffici Zanussi a Porcia,
le case alla Giudecca, la facoltà di psicologia a Padova, gli splendidi
edifici industriali e commerciali, le opere a Brescia, Milano, Parigi,
New York e i suoi tanti interventi nella mia Carnia...) restano come
una lezione atipica e preziosa di architettura e libertà. Una lezione
interrotta quando ancora sentivamo il bisogno di rivolgerci al suo sguardo
tagliente, curioso e divertito. Giovanni Corbellini giovannicorbellini@libero.it |
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