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Intervista a Eduardo Souto De Moura

Marco Ligas Tosi
MARCO LIGAS TOSI: Partiamo dalla casa in "serra da Arràbida". Mi colpisce molto come questa sua architettura instaura rapporti tra topografia, tipologia e morfologia.

EDUARDO SOUTO DE MOURA: La costruzione è una serie completa di volumi, formata da diversi corpi geometrici, insidiata in un marcato pendio del lotto. Il progetto, soprattutto all'inizio, dovette superare parecchi ostacoli prima di essere finalmente realizzato. Tutte le stanze beneficiano di indipendenza formale, di intimità e di viste proprie, per cui la percezione in ciascuna di loro è differente da quella vicina, ma ugualmente ricca. Le mie sono architetture capaci di atmosfere semplici e a misura d'uomo, prive di un messaggio diretto. Non parlano, ma fanno capire tutto, senza autore e/o scuola e senza intenzionalità; si esprimono ma non per imposizione di un architetto. È comunque evidente come la mia architettura sia intesa come disciplina che ammette un percorso temporale, che si confronta con un contesto fatto di esseri umani, di elementi naturali e artificiali.


[29dec2003]
Esiste, comunque, l'influenza della "casa portoguesa" tradizionale?

Questo è vero se tu intendi paragonarla ad ambienti costruiti caldi e domestici, "poveri" perché fatti di pietra, legno, mattone e ferro, confortevolmente abitabili. Se rispettano con un giusto dialogo il sito, la storia, la tradizione e le preesistenze. Se ogni idea progettuale trova relazioni con l'essere umano e non diventa fredda occasione compositiva di forme geometriche.

Il peso di questa tradizione architettonica portoghese è evidenziato da un'opera oramai emblematica come la sua casa in Matosinhos...

Si, è sviluppata in maniera assolutamente fluida, che molti hanno visto come manifestazione pura delle mie inquietudini. La casa è situata su un terreno triangolare ed intercala parti edificate e giardini che, oltre a fornire ventilazione e luce naturale agli spazi domestici, creano la cornice ideale per godere attività all'aria aperta. La scelta del materiale locale si è limitata alla pietra, al gesso ed al legno. I muri esterni sono composti proprio da grandi blocchi di pietra che circondano il lotto creando intimità ed apportando un'aria rurale in armonia con l'ambiente. L'interno, invece, coniuga elementi in legno, come le scaffalature, gli armadi ed alcuni mobili e pareti intonacate con gesso e dipinte di bianco.


Secondo lei esiste un'architettura vulnerabile?

L'architettura che non diventa tradizione, che non lascia un patrimonio culturale, che non favorisce uno scambio sociale tra il passato e il presente, che non lascia un segno della propria contemporaneità è un'architettura fragile e vulnerabile. L'architettura incorpora da sempre la nostra concezione del mondo, la sua struttura e il come intendiamo la struttura dell'universo nel momento attuale. Dalla monumentalità delle civiltà antiche ai dettagli decorativi presenti in tutte le architetture vernacolari, lo spirito umano si esprime con creatività sul tessuto già costruito. È la nostra anima, la nostra mente, il nostro cuore: qui sono presenti i suoi battiti.

Esiste, invece, un processo generale di omologazione dell'architettura?

Indubbiamente le metodologie tendono a uniformarsi, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti visivi e consumistici. Vi è una libera circolazione degli architetti. Sono due casi di globalizzazione/omologazione, ma si tratta di una globalizzazione estremamente incompleta: ci si è dimenticati del diritto all'ambiente, alla città, all'architettura e in particolar modo ci si è scordati del diritto dell'identità. In qualsiasi Paese che si vada, gli architetti non possono trascurare nessuno di questi elementi, ma in particolar modo non possono prescindere dalle manifestazioni concrete che danno espressione alle diverse culture.

Lei considera ancora il progetto del piccolo oggetto architettonico come esperienza di apprendistato del mestiere di architetto?

Si impara a progettare progettando e costruendo e ancora oggi, in fondo, è così. Il sapere sul saper fare, la consapevolezza tutta mentale e colta dell'atto progettuale sull'efficacia dell'atto stesso, il cantiere che a tutt'oggi si identifica come uno dei luoghi dell'apprendistato e della ricerca sono ancora di fondamentale importanza. Il fare, disegnare, ideare, dirigere l'esecuzione sono occasione per interrogarsi sulle ragioni di procedimenti consolidati, porre problemi, cercare nessi, individuare i limiti legittimi tra idea e costruzione, tra espressione e reale utilizzo dell'oggetto architettonico.

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