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An(y)alysis: Cynthia Davidson parla con se stessa

Cynthia Davidson
Nel 1993 esce il numero 0 di ANY magazine, acronimo di Architecture New York, e prefisso che contraddistingue le tematiche affrontate nei 10 convegni annuali, svoltisi in giro per il mondo dal 1991 al 2000. Rivista, seminari e i relativi atti pubblicati gravitano intorno alla Anyone Corporation, fondata da Arata Isozaki, Peter Eisenman, Ignasi de Solà-Morales e Cynthia Davidson, editor di ANY, che dopo 27 fascicoli ha interrotto la sua pubblicazione nell'ottobre del 2000. La rivista Parametro 252/253 ne analizza la collezione, attraverso le schede curate da Julian Adda, Luka Skansi, Marcello Gizzarelli, Luca Galofaro, Anna Barbara, Rossella Gotti, Gisella Bassanini, 2a+p, Sergio Pirrone, Andrea Guardo, Gabriele Mastrigli, Silvio Cassarà, Fabio Quici, Ruggero Baldasso, Cesare Birignani, Giovanni Damiani, Cecilia Bione, Maddalena Scimemi, Daniele Pisani, Furio Barzon, Gianluca Milesi, Giovanni Corbellini, Brett Terpeluk, Raffaella Laezza. Il taglio monografico delle diverse trattazioni spazia dalle opere di singole personalità –James Stirling, Tadao Ando, Buckminster Fuller, Colin Rowe, Manfredo Tafuri– alla discussione critica sugli esiti di concorsi di architettura –per la Tate Gallery, per l'ampliamento dell'IIT di Chicago di Mies– fino ai ragionamenti sulle mutazioni e le contaminazioni subite dall'architettura nel decennio trascorso, indagando l'Elettrotettura, il ruolo del gioco e della memoria, lo strumento del diagramma. Una sezione antologica si compone di saggi, inediti in italiano, di Cynthia Davidson, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Robert Somol, Christian Hubert, Sanford Kwinter, Greg Lynn, Wolf Prix, Jean-Louis Cohen, Kevin Roche, Richard Meier, Francesco Dal Co, Ralph Rugoff, Toyo Ito, Ben Van Berkel & Caroline Bos, Pierluigi Nicolin, John Hejduk, Detlef Mertins. Insieme alle schede, Parametro 252/253 ospita un'intervista di Pier Vittorio Aureli a Peter Eisenman sulla condizione contemporanea della disciplina architettonica e una rilettura aggiornata di Cynthia Davidson sull'esperienza di ANY. È questa che, per gentile concessione di Parametro, anticipiamo ai lettori di ARCH'IT.



[in english] So che i redattori di Parametro ti hanno chiesto di scrivere un saggio sulla rivista ANY per questo numero, ma tu hai rifiutato. Tuttavia hai accettato di rilasciare questa intervista. Per quale motivo?

Mi è stato spiegato che i redattori intendevano svolgere un'analisi critica di tutti i numeri di ANY. Io sono molto auto-critica nei confronti del mio lavoro, ma non mi sento di avere il distacco sufficiente per potere essere critica nei confronti dei numeri di ANY, almeno non ad una distanza così ravvicinata al momento della loro pubblicazione.

La rivista ANY non è più pubblicata da quattro anni. In quale momento si guarda indietro e si valuta l'effetto di una rivista come ANY?

Forse non avrei dovuto introdurre il concetto di tempo poiché intendo scrivere un saggio che riguarda la velocità con cui le cose oggi diventano storia. Fukuyama può avere proclamato la fine della storia, ma io penso che il movimento di idee e di eventi sia talmente veloce che la cultura si chieda: "È già storia?". In altre parole, la domanda è: è già tutto finito? Possiamo archiviare tutto? Ovviamente, è molto meglio diventare storia che essere semplicemente dimenticati. Io credo che la storia sia una fonte vitale di idee, mentre ANY mette in questione la storia come categoria di pensiero.

In che modo l'idea della storia ha modellato ANY?

Poiché non esiste alcuna idea della storia, la domanda è problematica. Tuttavia, non si può creare una rivista che si occupa del pensiero critico in architettura senza tenere presente le pubblicazioni precedenti in questo stesso campo, anche perché non ve ne sono molte, o almeno molte di cui ci si ricorda. L'Italia, ad esempio, vanta un primato in questo campo, per esempio Spazio o Controspazio. Negli Stati Uniti c'era Oppositions che si occupava direttamente di interpretazioni della storia, e Assemblage che invece univa teoria e storia. ANY considerava la storia più come una risorsa o sfondo con il quale verificare il nuovo pensiero. In altre parole, la storia era considerata una sorta di continuità dalla quale il nuovo non può evadere completamente, ma sulla quale il nuovo può forse gettare nuova luce.



Sappiamo che ANY è acronimo di Architecture New York, ma che cosa significa esattamente?

Prima di tutto, ANY non è un acronimo. Abbiamo dovuto conferirgli lo stato di acronimo perché la parola any utilizzata come titolo confondeva la gente. Infatti, in inglese chiedere all'edicola "ANY magazine" (una rivista qualsiasi) non ha alcun senso perché non è una richiesta specifica, non indica cioè quale tipo di rivista si desidera acquistare. Quindi abbiamo deciso che ANY era l'acronimo di Architecture New York, che è diventato così il sottotitolo della rivista, ma non indica comunque l'argomento trattato da essa.

In secondo luogo, ANY non era un progetto individuale, ma era sviluppato dal progetto Anyone, ovvero una serie di convegni annuali, multi-disciplinari e interculturali sull'architettura che ebbero inizio nel 1991. L'idea della difficoltà di prendere decisioni che erano nell'aria ha alimentato la base teorica del progetto Anyone. Poiché quest'ultimo avrebbe dovuto avere luogo nei dieci anni precedenti la fine del secolo, o del millennio, l'idea della difficoltà di prendere decisioni suggerì non solo il fatto che niente è fisso in termini di pensiero architettonico, ma anche il fatto che sia la storia che il futuro potessero essere considerati non decidibili, ovvero non erano più punti fissi di riferimento. I convegni erano incentrati attorno alla ri-definizione delle 10 parole inglesi composte dal prefisso "any": anyone (chiunque), anywhere (ovunque), anyway (comunque), anyplace (in qualunque posto), anywise (in qualunque modo), anybody (qualsiasi persona), anyhow (in qualsiasi maniera), anytime (in qualunque moneti), anymore (mai più) e anything (qualsiasi cosa). I dibattiti sono stati pubblicati ogni anno in libri con lo stesso titolo. Le idee generate dai convegni necessitavano ovviamente di ulteriori approfondimenti e commenti che i libri da soli non erano in grado di fornire, così nel 1993 abbiamo lanciato ANY per sostenere ed ampliare il dibattito tra i convegni annuali.



ANY è stata la seconda pubblicazione del progetto Anyone, ma si doveva ancora decidere che tipo di rivista sarebbe stata.

Direi che esistono tre tipi di riviste di architettura: quelle per i professionisti, quelle per il pubblico di massa e quelle sul pensiero critico. ANY era principalmente interessata a quest'ultima categoria e ad analizzare in maniera critica al modo in cui si pensa all'architettura e a come si agisce in base a tale pensiero. Per localizzare questa attività, ANY ha aderito all'agenda del progetto Anyone, che posizionava l'architettura come ospite di un dibattito multidisciplinare con le altre discipline (scienza, matematica, arte, filosofia ecc.) che partecipano ad una discussione basate su o influenzate dall'architettura. ANY raramente si occupava di edifici in sé, e le volte che lo abbiamo fatto gli edifici in questione erano attorniati da questioni più ampie, come ad esempio come il critico vede o cosa costituisce il virtuale o l'idea di leggerezza nell'architettura. Le riviste per i professionisti svolgono il buon lavoro di disseminare belle fotografie di edifici o costruzioni e di commentare i vari aspetti del progetto. ANY era maggiormente interessata al tipo di pensiero o idee generati da e attorno all'architettura, mentre era meno interessata alla tipologia di prodotti che l'architettura utilizza o produce.

Visto che ANY è stata principalmente pubblicata negli anni '90, la consideri una testimonianza di quell'epoca?

Credo che ANY rifletta alcuni pensieri che negli anni '90 erano dominanti. Non costituisce comunque una testimonianza completa. Conservo tutte le copertine appese al muro sopra alla mia scrivania, ma quando le guardo penso alle cose che non abbiamo potuto esplorare. Ad un certo punto abbiamo tentato di sviluppare un numero sull'apparente ondata di lavoro di certi artisti come Mike Kelley e Jorge Pardo, che stava chiaramente spronando tropi architettonici per il proprio appoggio concettuale. Ciò di cui ci occupammo fu la memoria, la paura, e il virtuale e ciò tentò di rispondere a che cosa la gente pensava o di che cosa si parlava. Gli argomenti della rivista erano diversi da quelli sviluppati in occasione dei convegni annuali di ANY anche perché erano spesso sviluppati da parte di redattori ospiti. Vi furono anche scambi interni. Il numero di Mark Taylor (N. 4) sull'"elettrotettura", une termine da lui coniato nel 1994, quando le Internet "communities" iniziarono a sfidare il concetto di spazio pubblico, portò al numero di Wes Jones (N. 10), "mech in tecture," che conteneva la trascrizione di tre settimane di una chat room on-line riguardante la meccanica nell'architettura. Quindi posso dire che ANY sicuramente rispecchia i tempi. Si potrebbe anche dire che la pubblicazione di ANY è stata interrotta perché il tempo della difficoltà di prendere decisioni come idea concettuale è finito. Stranamente però, tale difficoltà sembra essere un fattore più reale ora che negli anni '90.



Non pensi che la grafica leghi ANY agli anni '90?

È possibile, ma la stratificazione non gerarchica, o addirittura lo sfocamento del testo e dell'immagine di ANY è ancora molto in uso nei siti web e nella pubblicità televisiva. L'unica differenza è che questi mass media sono in movimento, mentre l'articolo stampato è statico. La stratificazione ci ha aiutati a diminuire l'importanza dell'immagine, che è ampiamente utilizzata nelle pubblicazioni dei mass media, e a tentare di definire ciascuna pagina come un luogo di idee in cui l'immagine e il testo erano manifestazioni inseparabili della stessa idea. Certamente a volte capitava che il testo non fosse sempre leggibile, e questo era un problema. Ciò accadeva anche quando la presenza del design grafico era particolarmente forte all'interno del mondo del design in generale, e ciò era parzialmente dovuto ai designer, che iniziavano a comprendere cosa poteva essere realizzato con la possibile sintesi nel computer, in contrapposizione alla lavorazione con testi e immagini come elementi separati. Quando siamo arrivati all'ultimo numero, la sfida era quella di resistere alla sintesi e di osare essere semplicemente chiari.

L'ultimo numero, il 27, è intitolato Being and Nothingness (L'essere e il nulla). Questo argomento dava l'impressione di riguardare più la fine di ANY piuttosto che ciò che stava accadendo nell'architettura in quel momento.

L'essere e il nulla sono un'idea universale. Il numero 27 poteva essere interpretato in relazione alla fine di qualcosa: prima si è, poi si diventa il nulla, cioè non si esiste più fisicamente. Quindi posso dire che il numero 27 si occupa più di ANY che di qualsiasi altra idea approfondita dall'architettura. Tuttavia, esso riguarda anche un processo, la creatività, la storia, cioè tutte le cose che costituiscono il fare e l'essere dell'architettura. Si occupa di come un'idea appare e poi svanisce, sia perché essa è dimenticata troppo presto o semplicemente perché si rivela di poca importanza. Uno dei fattori più importanti della storia è la sua suscettibilità alla revisione, la sua non-decisione innata. Anche la storia può diventare il nulla e priva di significato alla luce degli eventi che la seguono. Si potrebbe anche dire che la "piegatura" del numero 27, diversa dalla solita rilegatura cucita, segnalava non solo la fine della rivista, ma anche, metaforicamente, la fine dell'idea di piegare l'architettura. Ad un certo punto stavamo parlando di un numero che si occupasse dell'idea Deleuziana della piega e i nostri designer ci suggerirono di piegare la rivista e di non rilegarla. Questa idea mi sembrava un po' ovvia e persino pretenziosa, quindi ne discutemmo. Tuttavia, giunti alla fine, la rivista piegata e non rilegata poteva essere vista come un'apertura ad altre possibilità perché per poterla leggere era necessario "smontarla".

L'apertura fu anche una critica ad ANY?

Non esplicitamente. Poiché non era rilegata, ci si poteva anche chiedere se era incompleta o in parti. La condizione della rivista come oggetto poteva essere non decidibile, e ciò sembrava proprio il punto conclusivo adatto a questo progetto particolare. Quando i convegni Anyone sono finiti, anche la rivista è finita. Abbiamo aspettato un po' per vedere come procedere. Lo scorso autunno abbiamo lanciato Log, un periodico sull'architettura e sulla città, che è probabilmente anche una valida auto-critica di ANY. Log è di dimensioni piccole, in bianco e nero, graficamente semplice e non è una rivista tematica. In questo senso Log è un commento critico su cosa è successo prima, inclusi il formato tabloid e l'organizzazione tematica di ANY. Tuttavia, nella sua semplicità, Log vacilla tra il facile e il difficile, tra figura e forma; in altre parole, esso agisce in un campo più dialettico rispetto a quello che gli argomenti di ANY possono avere sintetizzato. Tuttavia, nonostante Log, io non credo che ANY sia finito. Non pubblichiamo nuovi numeri, ma gli studenti continuano a richiederlo. Alcuni numeri sono addirittura utilizzati durante le lezioni di architettura. Lo scorso autunno il numero 23 di ANY, a cura di Ben van Berkel e Caroline Bos, ha avuto un grande successo ed ora c'è grande interesse per il numero 25/26 su Tafuri, ovvero il numero curato da Ignasi Sola-Morales. Secondo me ciò rende ANY ancora vivo.
[25sep2004]

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