John
Deere Joinery Pietro Valle |
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Eero
Saarinen, la sua libertà e la capacità di cambiare continuamente
registro pur producendo architetture che costituiscono le prime icone
mediatiche del dopoguerra. Pietro Valle rievoca l'opera dell'architetto
finnico-statunitense e analizza il suo lavoro più enigmatico,
gli uffici John Deere a Moline, Illinois, una paradossale traduzione
della carpenteria lignea giapponese con profili di acciaio corten. Mai
la tettonica modernista è stata così manipolata per produrre
una narrazione parallela: ma allora qual è l'identità
delle tecniche? |
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John Deere, blocco alto. |
È stato detto che i suoi edifici scoprono il valore simbolico
delle forme in pieno rigore modernista e diventano le prime icone di
consumo del dopoguerra. È stato detto che, dopo di lui, "la
forma segue solo la forma" con oggetti fuori scala che non hanno
più nessun legame logico con le funzioni. È stato accusato
di spettacolarità gratuita, antiurbanismo ed empirismo senza
coerenza. Ci sono diversi aspetti che, apparentemente, legano Eero Saarinen
ai temi della contemporaneità: dalla bigness al medialismo,
dall'espressionismo upfront al culto per le superfici senza
profondità. I suoi edifici, tuttavia, hanno un'immagine che non
può essere compresa in una cornice definita. L'identificazione
di un tema riconoscibile si estende all'infinito in involucri sfuggenti
che, pur rappresentando i grandi gruppi di potere degli anni '50/60,
contengono anche un'altra immagine del capitalismo, quella di un'entità
che dissemina (il mercato) e disperde (il consumo)
senza mai fissarsi in forme stabili. Tensione tra identità e
autoannullamento: sono edifici od oggetti, figure o rispecchiamenti?
Difficile dirlo, nel loro antideologismo. La celebre formula dello "style
for the job", l'apparente empirismo del "caso per caso"
non descrivono un semplice eclettismo stilistico ma modulano la rappresentazione
dell'istituzione corporate con ironia sfuggente: c'è
sempre un'icona ma non esiste un trademark ripetibile in successivi
lavori. Il prodotto si autoconsuma nella sua unicità e poi si
passa a qualcos'altro. Nulla rimane, nulla può essere scritto:
non ci sono né l'ideologia di Mies, né i muscoli di Breuer
né l'irreggimentazione di Skidmore, Owings e Merrill. Saarinen,
"europeo diverso", diviene più americano degli americani:
l'edificio è merce di scambio, attrazione ogni volta diversa
ma, essendo anche presente fisicamente, ha un afterlife (dopo
la prima, superficiale apprensione) che rivela il territorio privato
di un architetto solo apparentemente ingabbiato in un ruolo istituzionale.
John Deere, blocco basso. Dietro la facciata appaiono uno straordinario gusto per le deformazioni, il gioco con le figure a scale diverse, le attenzioni materiali tutte nordiche e un'inversone dei ruoli sociali che deride l'uso prefissato per gli spazi dalle convenzioni: ecco quindi Saarinen che "intuba" i passeggeri al TWA Terminal, fa rispecchiare gli impiegati dell'IBM Training Center nelle loro stesse finestre e pone le studentesse del Women's College all'University of Pennsylvania dietro a schermi come se risiedessero in un harem da Mille e una Notte. Per questo e per altri motivi, Eero è imitato segretamente da contemporanei come Rem Koolhaas, è lui l'architetto che veicola il proprio cinismo commerciale in sempre nuovi territori di libertà e conquista l'America reinventandosela ogni volta a proprio uso e consumo. E tuttavia i vari progettisti che gli hanno rivolto un omaggio (non solo Koolhaas ma anche Nouvel, Herzog & De Meuron, Calatrava, Foster e altri) sono troppo impegnati a veicolare il proprio messaggio. Loro avranno sempre bisogno di una sovrastruttura, di un testo o di un diagramma, per spiegare le proprie opere e renderle riconoscibili. Lavori come il TWA Terminal o il Gateway Arch a St. Louis, invece, possiedono un'autoevidenza che non termina mai, che si amplia in successivi livelli lasciando queste strutture perennemente enigmatiche. |
[14jan2005] |
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Gateway Arch, St. Louis. |
La tecnologia non è un dio da rispettare, è merce
che cambia: con lei si può solo giocare, renderla segno, riflesso
sfuggente, intrico ipnotico. In questo ruolo, le pelli degli edifici
di Saarinen hanno più affinità con le arti applicate (il
loro essere gigantesche sculture o pezzi di design) che con la logica
costruttiva. Alla Cranbrook Academy, Eero impara la sapienza tessile
Art Deco, quella strana unione tra classicismo e cosmesi, e non sorprende
che questa "scuola diversa" del Moderno abbia prodotto progettisti
(come l'amico Charles Eames o lo scultore Harry Bertoia) irrispettosi
del New Bauhaus di Chicago e di Harvard. Il tema del gioco
è condiviso con gli Eames ma in Saarinen non sarà mai
didattica del pattern: gli sfugge il senso puritano che costringe
Charles e Ray a diventare "ambasciatori del design" e si impegna
invece in originali traduzioni di forme e tecniche. Questo
straniamento è forse il contributo più originale di Eero
e costituisce una personale semiotica delle figure architettoniche
che si sviluppa anni prima che questa parola entri nel dibattito architettonico.
Saarinen intuisce che la tecnologia, nel suo essere nomade all'interno
della logica di mercato, non si fissa in configurazioni permanenti e
può essere tradotta in diversi contesti operativi. Questo
transfer da una natura all'altra permette di riprodurre una
forma di relazione tra materiali e componenti con altri elementi.
La nuova configurazione è diversa ma, parallelamente, allude
a una forma di relazione già nota che può avere valore
di memoria culturale. La tecnologia diviene segno alienato
che richiama ma, allo stesso tempo, non può mai
essere stabilizzata, travolta com'è dalla propria natura
transiente. Questa identità mobile della tecnologia è
per Saarinen l'unica strada possibile: presenti nell'opera dell'architetto
vi sono contemporaneamente l'esercizio riparatorio di richiamare
quello che è irrimediabilmente perso e il sadismo di rimuovere
continuamente ogni certezza. Questo doppio movimento produce un effetto
allucinatorio che Saarinen cerca di dominare giocando con gusci di cemento,
reticoli, curtain walls, schermi e alternanze materiali tra
il pesante e il leggero senza trovare un punto di equilibrio. In lui
c'è una componente tragica: è la consapevolezza di essere
un equilibrista sul filo del rasoio che non sa fino a che punto può
tirare la corda. |
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Greene and Greene, Casa Gamble, Pasadena 1908. Siamo a Moline, Illinois dove si trova l'opera più enigmatica del Saarinen ultimo: gli uffici della fabbrica di trattori John Deere (1961-64). Assistiamo qui ad un radicale transfer della joinery della carpenteria di legno (la tecnologia che sagoma i profili per incastrarli uno nell'altro) in un edificio di acciaio e vetro. L'America ha prodotto il balloon frame, il telaio di legno leggero che forma solai e pareti con sequenze di identici profili. Quando Mies Van Der Rohe promuove lo scheletro di acciaio a vista sulla scena statunitense, questo è riletto dai discepoli americani attraverso l'indifferenziazione tettonica del balloon frame che costoro si portano inconsciamente dentro. Nel loro lavoro scompare l'alfabeto "classico" di elementi trilitici che tanto preoccupava Mies e assistiamo ad un progressivo allentamento dell'espressione strutturale a favore di una spazialità fatta di schermi e diaframmi senza peso: solo così si possono spiegare le architetture delle Case Study Houses californiane e delle prime ville di Paul Rudolph in Florida. Il balloon frame, tuttavia, porta con sé il peccato originale di essere semilavorato industriale giuntato con viti e chiodi, elementi terzi che violano la natura dei materiali. |
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Tempio di Honden, ricostruito nel 1744, Giappone. L'architettura giapponese insegna l'arte di una carpenteria lignea ottenuta semplicemente sagomando le teste di pilastri e travi i quali sono incastrati e incrociati. Vi è tutta una linea dell'architettura moderna statunitense che guarda a questa joinery orientale per ritrovare un rapporto tettonico espressivo della casa di legno, per ricondurre schermature e struttura alla stessa identità. La California è il luogo dove queste pulsioni e i legami con l'oriente sono più presenti: Saarinen ne viene a contatto durante il periodo in cui segue il programma delle Case Study Houses anche se sembra orientarsi su una linea diversa da esso, più vicina alla sensibilità di individualisti come Harwell Hamilton Harris, Quincy Jones e John Lautner. Le residenze arts and crafts dei fratelli Greene all'inizio del secolo sono probabilmente l'origine di questa tendenza: esse, infatti, emulano la joinery giapponese per nobilitare anonimi bungalows suburbani. Nella Gamble House a Pasadena (1908) ogni colonna porta due travi che la bilanciano incastrandosi a lato di essa, gli elementi ortogonali si incrociano aggettandosi oltre al punto di connessione e non finiscono mai l'uno contro l'altro. Il risultato è una complessa intelaiatura, un labirinto di reticoli apprezzato più per il peso visivo che per una vera portanza strutturale. A John Deere, Saarinen crea lo stesso effetto con le travi di acciaio corten a doppio T: costruisce una casa di tronchi con i componenti più artificiali che ci possano essere, quei membri scuri come i legni stagionati della Gamble House ma freddi come le travi di Mies. Il landscaping aiuta a percepire questo paradossale effetto. Il complesso è formato da due edifici di diverse altezze legati da un ponte e posti su due collinette alla base del quale c'è un lago. La natura è artificialmente impervia, il telaio ortogonale, per contrapposizione, sembra creare un'impalcatura per elevarsi sopra di essa. È, infatti, impossibile avvicinarsi al lato degli edifici senza essere rimandati su un declivio incerto e boscoso: John Deere è una casa sugli alberi, i suoi montanti si puntellano su un terreno impraticabile. L'involucro presenta colonne e doppie travi, schermi di lamelle aggettanti e finestre arretrate che creano profondità nella facciata: è una perfetta traduzione straniata della joinery giapponese. Ma come vi può essere spessore in uno scheletro tutto travi e vetro? Saarinen costruisce densità con il diafano, e ricrea la di penombra dei templi orientali con componenti industriali, staccandoli l'uno dall'altro e ottenendo un involucro stratificato di notevole spessore anche se con poca materia. Il vocabolario Miesiano della struttura e del curtain wall viene proiettato in un esploso assonometrico dal sapore quasi analitico. |
Greene and Greene, Casa Thorsen, Berkeley 1904. |
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John Deere, angolo blocco basso.. John Deere, joinery e schermi. |
John Deere, blocco alto e ponte. Cosa serve affermare la profondità quando dietro ad essa vi sono solo piani di uffici perfettamente isotropi ed omogenei? Cos'è questa schermatura del nulla? Forse la costruzione di castelli in aria, o di sogni con componenti industriali. Fatto sta che l'intricacy pittoresca di John Deere è un esercizio irripetibile che usa la tecnologia della leggerezza in senso opposto, creando una foresta segnica che accumula strati invece di eliminarli: il beinahe nichts di Mies è diventato labirinto di interstizi sospesi. Il passo successivo è nelle foreste di detriti di Kawamata e nelle visioni di Lebbeus Woods (il quale lavorò da giovane da Saarinen come renderer), degni continuatori post-industriali di questa politica delle stratificazioni. Teso tra ricordi giapponesi/californiani, velature minimaliste e "assurdi accumuli" post-naturali, John Deere rimane un esempio non seguito di anti curtain-wall che usa gli stessi elementi dell'International Style ma non esprime la trasparenza e, anzi, assume un aspetto volutamente grezzo e materico. L'ossessione di Louis Sullivan per lo sviluppo naturale del grattacielo trova a John Deere una sorprendente risposta: la facciata non rappresenta più lo scheletro interno, qui è la struttura stessa che si fa involucro rimanendo volutamente pesante e "non finita". |
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John Deere, ponte di notte. Saarinen esibisce l'anonimo telaio che sta dietro a tutte le facciate della city grid mentre gli dà sembianze organiche richiamando la casa di legno, come se esso fosse lo sviluppo naturale della capanna primitiva dei coloni. L'ossatura strutturale rough viene mostrata nella sua nudità ma diviene allo stesso tempo maschera, casa di legno, impalcatura eccessiva. L'abbandono della divisione struttura-rivestimento (che caratterizzava anche la rappresentazione tecnologica-spaziale miesiana) e l'allegorica mimesis della narrazione lignea sono i due movimenti apparentemente opposti con cui Saarinen dà il colpo di grazia a qualsiasi presunta "verità" tecnologica o strutturale. Qui egli gioca con la cultura materiale che sta alla base di tutto lo sviluppo dell'high-rise dalla Scuola di Chicago in poi. Il fatto che il telaio sia riportato all'estetica della casa di legno e non al trionfo della tecnica industriale la dice lunga sull'oscillazione dei significati attribuibili alla costruzione. Questo non è semplice gioco postmoderno di inversione dei significati, è qualcosa di più, è scavo dentro i segni e dissoluzione delle loro radici, è anti-forma mentre si evoca un'impossibile naturalità materiale. Forse John Deere ambisce ad essere ricostruito ogni anno come i Templi di Ise: chissà quante versioni potrebbe assumere ad ogni (s)montaggio... Pietro Valle pietrovalle@hotmail.com |
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Le fotografie sono di Elena Carlini, eccetto l'immagine della Gamble House da Esther Mc Coy, Five California Architects, e quella di Honden da Kyosi Seike, The Book of Japanese Joinery. | ||||