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L'architetto del paesaggio

Luciano Bolzoni



Prima di avvicinarci alla figura di Edoardo Gellner ed al suo contributo architettonico nel territorio montano dobbiamo chiederci dove si trovi e cosa sia la città alpina. Questo ci servirà per leggere i sintomi dell'invasione edilizia delle Alpi che Gellner cercò di dominare; la forte domanda di edilizia turistica nata nell'immediato dopoguerra suggerì a Gellner di raccogliere la sfida lanciata dalla richiesta di nuovi insediamenti, attraverso la proposizione di un progetto globale ambientato in una sorta di cantiere infinito, quale era il teatro alpino.

[16may2005]
Pur considerando i rischi che derivavano dall'incapacità politica di filtrare la domanda di nuove costruzioni per convogliarla entro i limiti ricettivi dei siti preesistenti, Gellner criticò i danni e le ferite arrecati al paesaggio dall'implosione di un turismo asettico ed impermeabile alla qualità; l'esperienza del turismo animò ininterrottamente tutto il percorso professionale di Gellner e proprio il suo trasferimento a Cortina nel 1946 gli facilitò (o gli complicò) la carriera, consentendogli un approccio particolarmente attento al tema dell'habitat per vacanze.


Casa Menardi, Cortina d'Ampezzo, 1948. Foto di Isabella Foresti.

E torniamo alla domanda iniziale; cos'è e dov'è la città di montagna? Osservando il confuso insieme abitato della pianura padana, considerandolo come base di uno sfondo naturale quali sono le Alpi, si delinea che la città alpina è di fatto costituita da quel paesaggio artificiale formato da una macrometropoli che, partendo dalle città di pianura originali, è arrivata a lambire la base dei monti. È la città che è salita in montagna portando con sé non solo i modi ma anche i sintomi che ogni nuova realtà determina, la costruzione di nuove emergenze, di volta in volta affrontate attraverso un lavoro di aggiunta su aggiunta, pezzo per pezzo, senza raggiungere un equilibrio, mai cercato a dire il vero, fatto di cose, case e persone.


Metamorfosi del verde in una delle residenze.

La città esplose all'esterno e la ricaduta a terra dei detriti derivanti provocò la semina nel paesaggio alpino di nuove emergenze nate in pianura per il territorio urbano e per i suoi abitanti; in tale clima l'architettura non poteva che essere vista all'inizio come una continuazione di quell'armonia perpetua che solo in una isolata landa montana si poteva trovare. L'immagine della montagna, impervia, difficile, pericolosa ma comunque conciliante, diede luogo ad una sua effigie edilizia che caratterizzerà una breve quanto contraddittoria stagione progettuale. Gellner rappresentò una testarda eccezione a questo atteggiamento; il suo lavoro non produsse mai opere uniche, sole, solitarie e benché egli denunciasse la sua fatica ad abituarsi ad un paesaggio così impegnativo come quello alpino, fece sue le leggi e le caratteristiche del territorio dei siti in cui operò, senza arrivare ad atteggiamenti mimetici ma interpretando nella sua architettura i tratti tecnici, sociali, topografici, culturali ed economici del luogo.

  Gellner non mirò alla riproduzione dei tipi edilizi né alla moltiplicazione nel paesaggio di un'architettura seriale; nella disamina dei perché di un costruzione rurale, un po' come il Mollino del flusso vitale dell'architettura, non ricorse alle immagini del vecchio mondo ma, attraverso un complicato e proficuo processo di rielaborazione e di scarto, arrivò alla proposizione della forma nuova, rivelatrice dei particolari della vecchia e che, nella rilettura dei segni distintivi, si liberava dal pericolo del confronto.


La trama strutturale della Casa Giavi di Cortina d'Ampezzo. Immagine da Franco Mancuso (a cura), Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Electa, Milano, 1996.

Nella Casa Giavi di Cortina del 1955 ripropone gli elementi strutturali tradizionali, adottando una trama strutturale nella facciata, quale riferimento alla balconata della casa rurale, senza suggerire alcuna riflessione propensa al raffrontamento. Il laboratorio progettuale di Gellner fu ambientato in una sorta di cantiere alpino, che diverrà di volta in volta un osservatorio di modalità ed abitudini costruttive locali che diverranno progetto: la Val Zoldana, Auronzo di Cadore, Longarone, la Valle d'Aosta e le montagne cuneesi.


La trama strutturale di una casa cortinese. Immagine da FRANCO Mancuso (a cura), Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Electa, Milano, 1996.

L'opera più ambiziosa di Gellner è il villaggio di Corte di Cadore, progettato per il presidente dell'ENI Enrico Mattei, cliente illuminato ed ambizioso che desiderava un centro turistico per i suoi dipendenti. Gellner e Mattei scelsero un'area edificabile alle pendici del Monte Antelao; la stessa scelta del sito rivela particolari eloquenti del modo di ragionare di Gellner; "su un punto non avevo dubbi: si trattava di resistere soprattutto al fascino dei luoghi troppo belli" perché nella scelta del sito atto ad ospitare l'insediamento era necessario che la natura fosse elemento autonomo e non soggetto alle decisioni dell'uomo. Difatti l'area non era particolarmente attraente dal punto di vista ambientale, un sito arido e spoglio.


Uno dei nuclei residenziali del Villaggio ENI. Cartolina illustrata.

La visione del paesaggio e la futura proiezione del villaggio nell'ambiente suggerirono di ubicare le costruzioni in maniera trasversale rispetto alla pendenza del terreno, dotandole di copertura piana e sviluppo in orizzontale in modo da scandire le linee orizzontali del paesaggio, con alcune eccezioni come la chiesa ed il padiglione centrale della colonia, emergenze dotate di ampie coperture a due ampie falde spioventi. Il programma di costruzione previsto per circa seimila abitanti comprendeva un comprensorio di duecento ettari e la realizzazione di seicento abitazioni, una colonia, un campeggio, un centro sociale (non realizzato), due alberghi, fabbricati vari, pianificazione del verde, viabilità e parcheggi, opere impiantistiche ed una chiesa progettata con Carlo Scarpa. La costruzione del villaggio rimarginò le ferite che il paesaggio si era imposto nell'area precedentemente caratterizzata da ghiaione; come scrisse nel 1961 Giuseppe Samonà per un numero speciale di Casabella che non vide mai la luce: "secondo me Gellner, di fronte alle potentissime suggestioni di un ambiente naturale ancora indenne da modificazioni apportate dall'uomo, si è trovato nella situazione straordinaria di dover creare lui il primo e unico paesaggio umanizzato di questa natura meravigliosa e caratteristica, e ha saputo approfittarne con notevole abilità architettonica. Egli ha avuto tanta sensibilità da sapersi esprimere in una forma che sottolinea i valori del paesaggio per chi lo guarda dall'esterno, e che piega questo stesso paesaggio a misure e rapporti umani per chi ci vive all'interno".


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, la chiesa. Cartolina illustrata.


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, la chiesa. Foto di Ornella Cedro.


Palazzo della Telve, Cortina d’Ampezzo, 1954. Foto di Isabella Foresti.


Casa unifamiliare. Foto di Isabella Foresti.

Impossibile citare tutti gli edifici, troppi. Gellner diede luce nel periodo al più grosso cantiere alpino di edilizia residenziale. Ricordiamo il lavoro a quattro mani fatto con Scarpa che nasce nel settembre del 1956 e si conclude nel marzo del 1961 con la consacrazione della chiesa.


Capanna del campeggio a strutture fisse. Foto di Isabella Foresti.


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, il Monte Antelao, prima e dopo la costruzione dell’insediamento. Immagine da F. Achleitner, P. Biadene, E. Gellner, M. Merlo, Edoardo Gellner Corte di Cadore, Skira, 2002.


Edoardo Gellner e Carlo Scarpa. Immagine da FRANCO Mancuso (a cura), Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Electa, Milano, 1996.


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, albergo Boite. Foto di Isabella Foresti.


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, albergo Boite. Foto di Isabella Foresti.

Diceva Gellner del suo rapporto con l'altro maestro: "Scarpa era geniale nell'inventare sofisticate cerniere, serrature o maniglioni, o ancora complicati sistemi di scorrimento, come la parete scorrevole lungo il fronte della chiesa che consentiva di mettere in comunicazione la navata con il sagrato. Vi aveva lavorato per tre giorni consecutivi, con mio grande disappunto, perché avevamo tante altre cose da risolvere. Ho visto che aveva realizzato lo stesso sistema di scorrimento nel Museo di Castelvecchio di Verona". E ancora: "della chiesa, anzi della sua altissima guglia di 55 metri, voglio ricordare un ultimo episodio che riattinge ai miei rapporti con Scarpa. Avevo infatti previsto che le palle dorate della grande guglia fossero del diametro di una ventina di centimetri, in considerazione della sua notevole altezza e della forte luce diurna esistente in montagna, ma Scarpa mi disse: Gellner sei matto? Il diametro di dodici centimetri è più che sufficiente, altrimenti la troppa luminosità le renderebbe volgari. Abbiamo discusso un bel po' e siamo arrivati ad un compromesso: diametro 14 centimetri. Dopo che Scarpa se ne era andato, ho fatto aumentare a sua insaputa il diametro a 18 centimetri. Quando la chiesa fu finita, Scarpa venne a vederla e mentre osservavamo dal basso il campanile, mi disse: Hai visto Gellner che avevo ragione? Sono più che sufficienti 14 centimetri. Me ne stetti zitto e non gli dissi nulla del piccolo sotterfugio".

Luciano Bolzoni
boluad@fastwebnet.it

Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, albergo Boite. Foto di Isabella Foresti.


Villaggio ENI, Corte di Cadore, 1955-1963, albergo Boite. Foto di Isabella Foresti.

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