Rumeurs New-Territories |
||||
I've
heard about... è il titolo scelto da François
Roche e Stéphanie Lavaux, del gruppo R&Sie(n), in collaborazione
con Jean Navarro e Benoît Durandin, per la loro ultima fatica:
la mostra che dal 7 giugno scorso e fino al 9 ottobre 2005 sarà
visitabile presso il Museo d'Arte Moderna (ARC) di Parigi. Ma I've
heard about... è anche l'insolito nome che François
Roche attribuisce al suo più recente esperimento architettonico
a scala urbana, così come è delineato all'interno del
saggio intitolato Rumeurs che accompagna la esposizione. Si
tratta di un'ipotesi di città futura, la cui forma non dipenderà
più da decisioni arbitrarie o dal controllo di pochi eletti,
ma si auto-costituirà seguendo una propria logica interna, adattantesi
alle esigenze degli abitanti. Tradotto in italiano equivarrebbe ad un
"Ho sentito dire che...", ovvero la frase con cui sovente
iniziamo un pettegolezzo o una diceria. Roche come al solito gioca con
le parole, dato che il termine "rumeur" in una delle sue molteplici
accezioni significa appunto "voce" o "diceria".
Ma "rumeur" è anche il "rumore" di un soffio,
come quello che ci attende all'ingresso dell'esposizione; il "brusio"
della voce dell'architetto, emessa da una cassa nascosta in prossimità
del passaggio dei visitatori, laddove i primi plastici espositivi sono
sistemati; il "frastuono" di un luogo o il "trambusto"
di una città, come quella che possiamo infine immaginare immergendoci
nella mostra. A questo punto non ci resta che addentrarci nell'ultima
eresia che questo gruppo di giovani architetti francesi ha in serbo
per noi! [TD] |
||||
Ho
sentito parlare di una cosa che si costituisce solo attraverso scenari
eterogenei, multipli e contraddittori, una cosa che rifiuta l'idea stessa
che una previsione possa essere emessa quanto alla sua forma di crescita
o alla determinazione del suo futuro. Qualcosa di informe che si innesta
su un tessuto esistente, una cosa che non cerca un punto di fuga per
giustificare la propria esistenza ma accetta di palpitare, di immergersi
in uno stato vibratorio, "qui ed ora". Questa cosa ingarbugliata,
intrecciata, sembra essere una città, no, piuttosto un frammento
di città. L'immunità di cui beneficiano i suoi abitanti è dovuta al fatto che essi sono al tempo stesso vettori e protettori di questa complessità. La molteplicità di esperienze e di forme che vi si ingarbugliano non ha di eguale altro che l'apparente semplicità dei suoi meccanismi. La forma urbana non dipende più da decisioni arbitrarie, né dal controllo della sua emergenza da parte di pochi, ma dall'insieme delle contingenze individuali. Essa integra al tempo stesso i presupposti, le conseguenze e l'insieme delle perturbazioni indotte, in un gioco di rinvii reciproci. Le leggi sono co-substanziali al luogo, senza sforzo di memoria. Gli stimoli che hanno concorso all'emergere di I've heard about... sono multipli e si rinnovano incessantemente. La sua esistenza è inestricabilmente legata alla fine delle grandi narrazioni, alla riconoscenza oggettiva delle trasformazioni climatiche, al sospetto di ogni morale un tempo ecologista, alla vibrazione dei fenomeni sociali e all'urgenza di rinnovare i meccanismi democratici. La finzione è qui il principio di realtà: ciò che avete davanti agli occhi è conforme alla verità della condizione urbana di I've heard about... Quale legge morale o quale contratto sociale potrebbero sottrarci a questa realtà? Impedirci o proteggerci dal vivere al suo interno? Il protocollo I've heard about..., al contrario, non annulla il rischio di essere al mondo. Gli abitanti si nutrono di un tempo presente, non differito, un tempo che alimenta direttamente la forma della struttura territoriale. I've heard about... si elabora anche a partire dalle angosce e dagli stati di stress, non è un rifugio contro qualche minaccia, non è un luogo di insolazione, d'isolamento, ma resta aperta a tutte le transazioni. È una zona franca e libera, prodotta affinché possiamo rivivere ciò che è stato all'origine del suo atto fondatore, perché possiamo conviverci e ripetere l'esperienza dell'inizio. Le forme di vita vi sono embricate, fatte di invaginazioni e di complessità annodate. La sua crescita è artificiale e sintetica, in nulla debitrice al caos o alla natura informe. Essa si fonda su procedure ben reali che generano le sostanze e le maniere operatorie della sua evoluzione. La sfera pubblica vi si ritrova ovunque come un organismo palpitante all'interno del quale molti postulati contraddittori si confrontano gli uni agli altri e pertanto restano veri. I rumori e gli scenari che portano i germi delle sue mutazioni future negoziano qui col tempo vibratorio di nuovi territori. È impossibile nominare tutti gli elementi che la compongono o di apprenderla nella sua totalità, poiché essa è la cosa dei più, della moltitudine. Solo dei frammenti ne possono essere estratti. Il mondo è terrificante quando è decifrabile, quando si aggrappa a un'apparenza di prevedibilità, quando cerca di preservare un'unità fasulla. In I've heard about... è ciò che si definisce negli interstizi che diventa garante della sua leggibilità, della sua fragilità sociale e territoriale e della sua indeterminazione. New-Territories |
[24sep2005] | |||
Traduzione dal francese di Teresanna Donà. | ||||
ARCH'IT
books consiglia: Andreas Ruby, Benoît Durandin (editors) "Spoiled Climate" Birkhäuser, 2004 pp60, acquista il libro online! |
Per
qualsiasi comunicazione laboratorio
|