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Clichefication?

Alberto Alessi



Around Italy now. Il doppio numero monografico, curato da Alberto Alessi, della rivista cinese di architettura "WA World Architecture", apparso negli scorsi mesi di settembre e ottobre e dedicato all'architettura dall'Italia, verrà discusso a Roma, il prossimo lunedì 13 febbraio alle ore 20.00 presso l'ACER di via di Villa Patrizi 11, per iniziativa dell'in/arch Lazio. L'iniziativa segue quella svoltasi nello scorso gennaio presso la Triennale di Milano in cui si è data presentazione, insieme a "WA", del numero della rivista giapponese "a+u" dedicato all'Italia e curato da Luca Molinari). All'incontro romano, introdotto da Livio Sacchi, partecipano Alberto Alessi, Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli, Pippo Ciorra e Franco Purini. Con l'occasione pubblichiamo un saggio introduttivo di Alberto Alessi.



 
[in english] "Quando gli dèi non c'erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c'è stato un momento unico in cui è esistito l'uomo, solo."
Margherite Yourcenar (citando Gustave Flaubert), 1951

CASELLE VERSUS BABELE. Nel numero di settembre di WA, attraverso il lavoro di 10 architetti da nord a sud, da Torino fino a Caltanissetta, abbiamo indagato cosa sta avvenendo nell'architettura in Italia. Nel numero di ottobre abbiamo poi concentrato la nostra attenzione alla regione fra Roma e Napoli, presentando il lavoro di altri 10 architetti che operano da e in questi luoghi. In entrambi i casi trovando la stessa varietà di approcci personali, la stessa intensità di diversità, a dimostrazione che oggi è chiaramente illusorio ricercare o identificare una coerenza scolastica o una continuità linguistica.

Nonostante questo, anzi forse proprio per questo, la discussione contemporanea più in voga sull'architettura gira invece continuamente attorno alla nostalgica ricerca di una sempre nuova e definitiva definizione di architetti, architetture ed esperienze, e delle loro possibili appartenenze, incasellando cose che sono necessariamente uniche e continuamente differenti. Ed in particolare, poiché l'analisi morfologica e tipologica paiono essere non più utilizzabili, non più selettive di gruppi univoci e non più indicanti soluzioni definite, la classificazione più di successo diviene quella della identificazione nazionale. Cosa si nasconde dietro questa necessità di parlare di architettura come risultato nazionale? Che cosa ci si aspetta dal costruire, quali valori devono esservi incorporati? Poiché i sistemi politici, finanziari e culturali sono sempre più simili ovunque, e le religioni sono troppo diffuse per definire gruppi identificabili (eccetto paradossalmente i terroristi invisibili), la nazione viene identificata con la specificità di una lingua parlata. Questa rimane ad oggi il più grande handicap da superare per un vero scambio libero di conoscenze. Specialmente laddove queste lingue sono parlate solo da minoranze o in un piccolo paesaggio. Analogicamente con il linguaggio, la discussione sui nazionalismi diviene il nuovo –ismo da imporre ed estendere all'architettura, intesa come uno specifico linguaggio formale chiuso e definito.



"Si è chez soi quando è possibile essere intesi senza problemi, e al contempo è possibile entrare nelle ragioni degli altri senza necessità di lunghe spiegazioni."
Marc Augé, Non-lieux, 1992

Avviene anche in architettura? È possibile per un cittadino italiano entrare in una delle architetture qui presentate e sentirsi più a casa che in un edificio realizzato da un architetto straniero? Cosa viene interpretato come elemento identificativo di questa o quella nazione, e cosa è generico? Potrebbe un edificio italiano oggi essere un edificio francese, o cinese? Perché sì? Perché no? Per chi è realizzata l'architettura? Chi deve esserne affascinato? Chi vi è rappresentato?

Nella fastidiosa relatività della realtà odierna, la reale, concreta, fisica architettura si trova a dover rappresentare l'altrimenti negata identità. È difficile enumerare tutte le pubblicazioni celebranti la riscoperta dell'identità come una memoria fissa di un periodo d'oro, pronta per essere usata nuovamente.

Ma, nonostante il successo della lettura nazional-ista, ciò che comunque appare oggi essere realmente esperito come tradizioni usi e specificità nazionali, sia in Italia che altrove, è solo il livello di difficoltà che si trovano fra la volontà di realizzare qualcosa e la possibilità di farlo. Di nuovo: cos'è Architettura Italiana? E cos'è Italiano in Architettura? Qual è il senso di queste domande quando il codice d'uso è perso, e le supposte tradizioni e memorie diventano solo un ostacolo o un repertorio di materiali formali e/o di pezze giustificative da cogliere e applicare?



CLICHEFICATION. Quando si guarda alla Casa del Fascio o a Villa Malaparte, si vede l'architettura, l'architetto, la situazione? Quando si guarda al lavoro di Moretti, si può negare Mollino o Gardella? Quando si analizza Rossi, si può dimenticare Scarpa o De Carlo? Quando si guarda il progetto per il Centro Pompidou di Piano-Rogers a Parigi, o il Maxxi di Zaha Hadid a Roma, cosa si vede? Un'architettura? O il lavoro di un architetto straniero in una terra straniera? Possiamo giocare un gioco. Prendiamo le seguenti Icone dell'architettura degli ultimi 100 anni progettata in e dall'Italia. Scegliete quella che secondo voi meglio rappresenta l'architettura italiana esemplare. Cercate di spiegarvi la vostra scelta.










Adesso andate più a fondo nella conoscenza della vostra selezione. Studiate la storia del progetto, le ragioni dell'architetto e quelle del cliente, le variazioni del progetto. Pensate a quanto stava accadendo altrove nello stesso periodo. E quindi domandatevi se questa architettura, questo architetto, questo luogo continua a rappresentare meglio di altri la vostra idea di italianità in architettura.

Quando parliamo della coppia architettura e identità, dobbiamo sempre comprendere:
- l'identità dell'architettura, le sue caratteristiche, le sue referenze alla disciplina;
- l'identità dello spettatore/fruitore che proietta le sue aspettative su tale architettura.
Le tradizioni stanno esplodendo. E non solo da ora. Come ben mostrano questi due testi di Ponti e Moretti, l'italianità è più uno stato dell'animo che una questione di risposte definite a e forme determinate.

"Ho scritto "la casa all'italiana". Si potrebbe scrivere "l'Architettura all'Italiana"? Non esiste un'architettura italiana se non quella moderna animata dallo stesso spirito in tutta Italia. Quella antica era diversa a Torino, a Genova, a Venezia (addirittura bizantina!), e da Venezia, a Vicenza, a Verona, a Mantova, a Bologna, a Firenze, a Roma, a Napoli, nelle Puglie, in Sicilia, animata da spiriti diversi in tutta Italia. Esiste però un'altra cosa, l'architettura degli italiani, quella fatta dagli Italiani che in tutte le epoche, in tutti gli stili - romanico, medioevale, bizantino, rinascimento, barocco, neoclassico e moderno - nelle opere dei migliori è stata eccezionale. Da noi non c'è nelle arti – non mi stancherò mai di dirlo – una tradizione formale, linguistica, c'è una tradizione di "sommità" dove la disuguaglianza formale è una ricchezza, è una libertà. Viva l'Italia."
Gio Ponti, Amate l'architettura, 1957

"Che l'architettura, il costruire in genere sia una qualità particolare dell'italiano, questo, a ben osservare, discende dalla sua conformazione tipica in senso biologico. L'italiano ha una straordinaria finezza e sensibilità sia nel suo operare manuale sia nel suo operare intellettivo. Possiamo dire che per la sua struttura biologica egli ha la mente e le mani sensibili per così dire al millimetro. Questa unità e coordinazione delle sue sensibilità visive, logiche, manuali e di fantasia, gli permette di operare ancora oggi nella costruzione (così come anche nell'industrial design) con estrema capacità. La finezza organizzativa ha bisogno (a parte gli ausili della tecnica operativa moderna che lasciata a se stessa è un'armata priva di capi) di questa biologica finezza ed eccitazione. I popoli del Nord sono biologicamente formati alla logica più che l'italiano, ma hanno la fantasia e le mani, traslatamente parlando, meno agili direi torpide. I popoli del Sud hanno la conformazione biologica contraria. L'italiano è quel famoso meccanismo di mezzo che ne ha fatto e ne farà sempre il modulo di paragone, il re, in certi campi, quali appunto l'operare in architettura, specie nelle costruzioni coraggiose ed imponenti."
Luigi Moretti, Costruire è la natura dell'italiano, scritto inedito, senza data

Perciò, nuovamente, le grandi differenze nei lavori degli architetti presentati in questo numero non sono casuali, ma piuttosto la conseguenza di una società in cambiamento. Queste differenze riflettono la reale mancanza attuale di qualsiasi linguaggio nazionale o geografico, e la discontinuità tutt'intorno all'Italia di oggi. Sembra ridondante e ovvio dirlo ma, almeno in Occidente, stiamo veramente vivendo in una società postmoderna globale. E perciò ogni architetto, come ogni cittadino, cerca la propria identità proiettata in un campo più grande di quello delle tradizioni nazionali.



SCEGLIERE LE PROPRIE REFERENZE, IL PROPRIO PASSATO, IL PROPRIO FUTURO. È sempre una questione di proiezione. Proiezione di conoscenza, di aspettative. Un'identificazione piuttosto che un'identità.



Alberto Alessi
a.alessi@bluewin.ch
[11feb2006]
"WA" 183, settembre 05
Torino: Cliostraat
Milano: Metrogramma, Zucchi Architetti
Brescia: Benno Albrecht
Genova: 5+1
Faenza: Cristofani&Lelli
Caserta: Beniamino Servino
Bari: Antonella Mari
Messina: Vincenzo Melluso
Caltanissetta: Itaca Architetti

"WA" 184, ottobre 05
Roma: ABDR, Alberto Alessi, GarofaloMiura, IaN+, Labics, n!studio, Pitzalis & Hanssen
Napoli: Corvino+Multari, Cherubino Gambardella, Vulcanica

I due numeri sono accompagnati da testi di Alberto Alessi, Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli, Matteo Agnoletto.
> WA WORLD ARCHITECTURE

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