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Traghetto
Toremar che porta all'Isola d'Elba. Tra il porto di Piombino e la
sala giochi del secondo ponte (quello sopra il garage auto).
Aprile & Mirti si sono fatti incastrare per l'ennesimo workshop
strampalato e stravagante. Da qui a poche ore, si troveranno nel solito
frullatore. Incontri con gli amministratori, gita alle cave,
alle miniere, saluta, sorridi, mostrati interessato, fai una domanda,
racconta una cosa e rispondi a un'altra. Stringi una mano, di' una
cosa un filo più intelligente di quella detta tre minuti fa,
fai due foto che così tutti pensano che sei proprio una persona
seria.
Un film già visto.
Il workshop random dal tema random in località random con
gli studenti random pagato random (attività di cui i nostri
due, sono esperti di fama internazionale).
Esaurita la giornaliera dose di Gazzetta (per Mirti)
e dei Fratelli Karamazov (per Aprile), guardato il mare,
la costa e i gabbiani, alcuni pensieri affiorano sulla superficie
del mare. Sembravano delle meduse, e invece erano dei pensieri. Pensa
te.
Con in più una new entry. Fabrizio Gallanti di ritorno
dal Cile. Che come sua abitudine dà il suo contributo (tipo
fabbro con un martello di ghisa da venti quintali) al tutto.
'Sti mille workshop. Quelli del passato, quelli del presente e quelli
del futuro. Ma perché li facciamo? Ma perché gli studenti
si iscrivono? Ma perché c'è gente che li commissiona?
A cosa servono? A chi servono? Ma servono?
O meglio ancora, ha un senso chiedere se servono (in fondo, mica ci
chiediamo mai se "serve" andare in vacanza o andare allo
stadio a vedere la semifinale di Champions League...)
Insomma.
Essendo che è estate tutta la gente è sul ponte superiore
ad abbronzarsi.
Marco Brizzi & gli altri iMagers ci aspettano sull'Isola.
Aprile & Mirti sono tranquilli sotto coperta. Caffè, sigaretta,
Aprile ha aperto il folder "Squallor Complete" nel suo lettore
mp3 collegato agli speaker del computer e da quel momento Amedeus
e il dottor Palmito ci tengono compagnia.
Se non sapete chi sono il computer Amedeus e il dott. Palmito eccovi
i link:
dott. Palmito (era il 1984, l'album era: "Uccelli d'Italia"):
http://www.squallor.com.nyud.net:8090/testi/index.php?testo=36
il Computer Amedeus (era il 1985, l'album era: "Tocca l'Albicocca"):
http://www.squallor.com.nyud.net:8090/testi/index.php?testo=46
SM: - Walter, partiamo da una roba interessante vista di recente su
YouTube. L'intervento di Malcolm Gladwell al TED...
WA: - Quello in cui parla dell'evoluzione della salsa per gli spaghetti
negli Stati Uniti?
SM: - Esattamente quello. Cioè, quello in cui si parla dell'evoluzione
del ragù in scatola, ma dove poi in verità si parla
di tutt'altro...
WA: - Magari, iniziamo con il dare il link al video: http://tedblog.typepad.com/tedblog/2006/09/
malcolm_gladwel.html
SM: - Visto che vuoi fare le cose per benino, essendo che 'sto video
di diciotto minuti è in inglese, prova a fare una sintesi per
i lettori più pigri.
Peraltro, cosa è il TED (che è una roba interessante)
ve lo vedete qui: http://www.ted.com
WA: - Gladwell, che è un giornalista di vaglia (http://www.gladwell.com),
ci tratteggia diverse evoluzioni nel mercato dei sughi pronti negli
Stati Uniti. In particolare ci fa notare come i produttori siano passati
dal cercare di produrre un singolo sugo "perfetto" e vendibile
a un massimo di persone, al cercare di produrre una gamma
di sughi pronti, che soddisfino le diverse nicchie del mercato.
SM: - Insomma, Malcolm Gladwell ci parla del ragù e di come
si sia trasformato completamente la maniera di progettare / produrre
/ comprare / gustare il nel mondo a stelle e strisce.
I tecnologi affascinati dicono: "Minchia, ma è esattamente
uguale a quello che sta capitando nel mondo del software, dell'hardware,
del computer".
WA: - Sì, sembra ovvio: il mercato si segmenta. One size
does not fit all.
Altra cosa, i produttori fanno un passo avanti nel momento in cui
abbandonano la nozione di autenticità, cioè non cercano
più di fare un sugo pronto simile a quello che si mangia in
Italia (o a quello che loro pensano si mangi in Italia), e capiscono
che al consumatore americano il sugo "autentico" non dice
niente: ma il sugo con i pezzetti di pomodoro visibili sì.
SM: - OK. Perfetto. E io ti butto lì: "Come si trasferisce
il sapere nel mondo dell'architettura e del design", tu
che mi rispondi?
WA: - Sostanzialmente questo Gladwell dice: il ragù perfetto
non esiste e non potrà mai esistere. L'idea fondamentale di
questa presentazione è che, almeno per quello che riguarda
il cibo, non esiste l'ottimalità.
SM: - Bene. Non esiste il ragù in scatola perfetto. Ancora,
quello che può essere è un meccanismo dove la Campbell
o qualsiasi altra azienda ci metta in commercio 36 tipi diversi di
ragù. In grado di soddisfare in maniera ragionevole la maggioranza
della popolazione...
WA: - Cioè non esiste la soluzione che fa felici una grande
maggioranza di persone. Gli utenti si ammassano in grumi, in cluster,
attorno a delle identità di prodotto riconoscibili.
FG: - Mmmh, la tragedia però è che molti si comprano
il ragù in scatola o i surgelati "quattro salti in padella".
Come dimostra lo chef televisivo Jamie Oliver si spendono meno soldi
e tempo a cucinare "from scratch" che a scaldare il surgelatino
tristolino (http://www.jamieoliver.com).
Ed è lì che entra in gioco la vera varietà. Altro
che 36 sughi. Milioni! Come metto 'sta variabile nel design o nell'architettura
o in qualsiasi insegnamento?
SM: - Esatto. Proprio di questo si tratta. Torniamo dunque al design
e all'architettura. Per dire, io andavo a scuola in un mondo in cui
chiunque volesse diventare designer andava a una sola facoltà
uguale per tutti: architettura.
Vabbe', c'erano i piani di studio, gli esami, però alla fine
c'era un unico ragù per tutti, che si chiamava facoltà
di architettura. Poi alla fine facevi tremila mestieri diversi (dal
tassista al professore alle medie, però comunque il curriculum
per imparare a progettare era uguale per tutti).
FG: - Tre architetti diventati celebri per attività extra-curriculari:
Edoardo Bennato (http://www.bennato.net),
Mario Marenco, l'assessore Renato Nicolini (il Jack Lang de noantri),
Claudio Baglioni (http://www.baglioni.it)
e soprattutto Francesco Salvi, quello di Drive In, diventato nel frattempo
ricchissimo (http://www.francescosalvi.it).
http://www.francescosalvi.it/gallery_dis.php
http://www.repubblica.it/2006/04/sezioni/persone/...
SM: - Peraltro, se ben ricordo, Salvi non solo era architetto, ma
addirittura era un assistente di Aldo Rossi. Architetto di Tendenza,
del nocciolo duro...
WA: - Dai... Fatemi finire... Torniamo a Gladwell e al TED sennò
perdo il filo...
Altra cosa importante che ci ricorda Gladwell, la gente mente.
Quando si chiede al consumatore cosa vuole, dice delle bugie, che
dipendono dall'immagine che vuole proiettare e da tante fantasie che
ha su sé stesso.
Per esempio, il consumatore dichiara sempre che a lui il caffè
piace robusto, forte, profumato. In realtà alla maggioranza
piace (sempre negli USA) un caffè-brodaglia, dolce e con parecchio
latte: ma si vergogna di dirlo, o meglio, non è capace di articolare
il suo desiderio.
SM: - Ok. Walterino, 'sto Gladwell era una scusa per iniziare l'articolo
in maniera un po' divertente e inaspettata. Ti rammento che http://www.architettura.it
tratta per l'appunto di architettura e non di salsa di pomodoro...
Stavo dicendo della facoltà che frequentavo io che era già
il secolo scorso.
Da allora, i grandi capoccia hanno capito che alla gente piace la
differenziazione. E abbiamo adesso un sistema con 3000 corsi di laurea
diversi: graphic designer, media-guru, progettista di yacht ecologici,
designer dei tavoli con tre gambe e così via... Se uno prende
un qualsiasi libretto con il piano di studi di un qualsivoglia politecnico,
Domus Academy, Naba o quant'altro, il tutto corrisponde esattamente
all'andare al supermercato ed avere una scelta tra duecento ragù
diversi.
WA: - Il designer, l'architetto, dalla storia della passata di pomodoro
capiscono che la scelta di "one design fits all"
è sbagliata. Ti ricordo poi che, si diceva prima, la gente
non è in grado di articolare cosa vuole. Lo studente, che messo
di fronte a un menù universitario è in grado di scegliere,
non è tuttavia in grado –a freddo- di dire cosa vuole
studiare.
E se lo fa, in generale dice delle menzogne anche a se stesso. Apparentemente
l'unico modo di capire è attraverso la sperimentazione di cose
molteplici.
Però...
SM: - Però?
WA: - Però, tornando ai pomodori, il ragù rimane riconoscibile.
La sua funzione rimane chiara.
SM: - Finché parliamo di ragù mi sembra ragionevole
e convincente: 36 ragù e tutti sono contenti... Quando invece
mi si para d'innanzi il neolaureato in "business design dei
new material per l'e-commerce & retail"... allora il
tutto non mi torna mica tanto...
Cioè, se io vado su: http://www.polimi.it
sono ben contento di aver studiato in un mondo diverso in cui
c'era una laurea in architettura all'incirca uguale per tutti.
FG: - Mica tanto, potevi laurearti con un progetto quasi da Quaderns
o una tesi di sociologia rurale o di estimo. Mi ricordo di compagni
di corso che non hanno mai disegnato in cinque anni (sette, otto,
dieci...).
La differenza era tutta assorbita nel minestrone. Adesso invece di
fare lo schifiltoso e scartare le verdure che meno ti piacciono, lo
fai all'origine, ordinando da menu più vasti (broccoli
and broad beans soup without garlic and without parsley).
Ma se leggi bene tra le righe i docenti sono gli stessi dinosauri
di dieci, quindici, venti anni fa (i contratti sono quello che sono
e Dino va in pensione ai settanta). È solo cambiato il packaging.
Per fortuna che c'è l'esame di stato, che decima abbastanza
la massa di sciagurati. Sarebbe bello se venisse abolito il valore
legale del titolo di studio.
SM: - Concordo completamente.
In verità, non solo sarebbe bello avere un mondo senza laurea
dal valore legale: un mondo senza ordini degli architetti sarebbe
ancora più estasiante. Tu ti laurei, può essere il MIT
o la MMU (Mickey Mouse University) eppoi da li in poi te la sfanghi
tu.
WA: - Infatti. Il risultato è che alla fine credi di essere
una cosa che non solo non sei, ma di cui (in sovrappiù) la
società non ha nessun bisogno.
SM: - Esatto. Allora, diciamo che la mia idea potrebbe essere questa.
Idealmente, uno studente dovrebbe diventare un progettista tradizionale.
Con i suoi esami tradizionalissimi. Storia 1, storia 2, statica che
la dai tre volte, scienza delle costruzioni che è un calvario.
Nessuna scelta.
Bam bam bam bam bam bam bam bam (un bam per ogni esame allucinante
da spezzarti la schiena)
WA: - Diciamo un piano di studi assolutamente normativo e tradizionalista.
FG: - Magari.
Però prima si poteva diventare uno storico dell'alto medioevo
o uno specialista di coibentazione termica.
Progettisti? Pochini, dedicarsi alla progettazione da studente voleva
dire passare troppe notti in bianco.
La differenziazione didattica è stata un colpo di genio per
bypassare i "numeri chiusi": mi obbligate a ridurre il numero
di studenti, e vabbe' io apro mille sedi distaccate (in località
a dir poco stravaganti) eppoi mi invento corsi di laurea di discipline
stranissime.
SM: - Per tornare a Walter: era un piano non solo normativo e tradizionalista
ma anche un po' stalinista, via.
Con la signora Rottermaier che insegna storia dell'architettura medievale
che devi dare dopo storia antica (tenuto dal prof. Pacciani) e prima
di storia moderna 1 (dove il prof. è Carlos the Jackal).
Link per documentarsi sulla carriera accademica di Carlos the Jackal:
http://en.wikipedia.org/wiki/Ilich_Ramírez_Sánchez
Insomma, un corso tradizionale, dove impari i fondamenti.
Dopodiché, su questi cinque anni tendenzialmente noiosi, non
fashionable, senza parole in inglese, ti innesti tu a tuo gusto
quello che ti piace.
Il corso di Arduino o il workshop ad Ars Electronica o all'Isola d'Elba.
Ma secondo un modello in cui qualsiasi cosa tu faccia (dal corso di
aquiloni a sei mesi di stage in una centrale nucleare), questa cosa
non ti da nessun credito, nessun voto, niente. Che lo fai perché
ti assumi tu la responsabilità di quello che fai. Non perché
c'è uno che ti dice che poi diventi xyz...
FG: - Negli USA, esisteva il cosiddetto "Great books program",
ahimè in via d'estinzione: esistono dei classici che ti devi
leggere, indipendentemente da cosa vuoi fare nella vita. Presso il
St John's College di Annapolis e Santa Fé, dove sopravvive,
l'undergraduate program dura quattro anni, nei quali ci sono circa
100 libri da leggere (simultaneamente a quattro anni di matematica,
linguaggio, musica ed esperimenti di laboratorio). Quando finisci
a 21 o 22 anni hai letto (tra gli altri) Tucidide, Aristotele, Sant'Agostino,
Dante, Shakespeare, Marx, Darwin, Tolstoy, Freud.
http://www.stjohnscollege.edu.
SM: - Boja faus... che idea... Pensa proporre una roba cosi' al designer
strategico esperto in Tomorrow's services... Che poi deve anche imparare
a leggere... Sarebbe uno shock... Che deve comprare il sussidiario,
mettersi li' con le aste e i tondi...
FG: - In effetti negli Stati Uniti il tutto ha una logica. Ti fai
una roba tipo il "Great books program", poi vai in una graduate
school e diventi avvocato, biologo, medico e magari pure designer.
Però agli altri tuoi compagni di corso li distruggi, perché
la profondità della tua cultura e di come capisci e valuti
le cose ti da dieci anni di vantaggio. È come un turbo liceo
classico (senza i professori da circo tipo Amarcord).
Non è un caso che nel mondo anglosassone in generale, i laureati
in filosofia o lettere antiche sono quelli che trovano lavoro prima,
magari facendo poi tutt'altro.
WA: - Se piace l'idea dei cento libri da leggere, c'è un libro
del critico Harold Bloom che si intitola appunto The Western Canon
dove si sostiene –detto in breve- che non leggere determinati
libri "vecchi" fa di te una capra, e non importa quanti
libri "nuovi" leggi.
SM: - Mmmmmmhhhhh... L'intelligenza ha poi questo problema che c'è
una soglia oltre la quale diventa stupidità. Questo mondo che
tu tratteggi in cui tutti passano il tempo a leggere i grandi classici
sarebbe un luogo orribile dove vivere... Cioè, tu –Walter–
ti troveresti benissimo, da cui è evidente che sarebbe una
distopia spaventosa...
WA: - A parte i classici o la contemporaneità, secondo me c'è
un problema fondamentale, che è il problema dei tempi.
FG: - In che senso?
WA: - Il sistema produttivo di queste persone "formate"
da un corso di laurea ha un tempo di ciclo (il tempo che sta tra il
nascere dell'idea del corso e il momento in cui si ha il primo laureato)
di almeno quattro anni, realisticamente sei.
Questo è il tempo di ciclo necessario per progettare e consegnare...
non so, il Tornado Panavia.
Non si può fare che un sistema con un tempo di ciclo di sei
anni cerchi di inseguire dei fenomeni di moda che durano uno o due
anni.
Se si fa così, diventa un sistema instabile e perennemente
in ritardo.
FG: - Per questo i classici! Sono atemporali. Per esempio se leggi
Alberti o Palladio sono perfetti per progettare oggi!
SM: - Vi siete trovati eh voi due... Dunque?
WA: - Allora bisogna fare come l'industria delle auto o degli aerei.
Si produce un pianale standard, con un motore che magari cambia ogni
dieci anni se va bene. Questo pianale non viene promosso, non è
tanto un oggetto di comunicazione, magari fa parte dei valori nascosti
della marca.
FG: - Ma no l'università non serve a quello! Uno scrittore
cileno, Rafael Gumucio, sostiene che il vero valore della laurea consiste
nel fatto che se sei riuscito a conseguirla. Chi ti sta di fronte
capisce che sei una persona civile, perché pur di raggiungere
l'obbiettivo della laurea stessa hai passato cinque o sei anni della
tua vita ascoltando idioti senza dare di matto, senza picchiarne qualcuno,
senza scappare. Ti sei seduto da bravo ad osservare professori che
si addormentavano facendo lezione, hai preso appunti di teorie scientifiche
inutili, hai prodotto tesine e ricerche che poi il docente ti ha rubato,
hai imparato a memoria le date di tutti i pasti e le visite mediche
dello scrittore minore di Gioia Tauro. La laurea è la prova
provata che sei una persona affidabile perché sei stata stoica,
quindi potrai essere assunto in ditta perché sarai ugualmente
docile o ti si potrà affidare un incarico perché sopporterai
le bizze del cliente. E se i due che si annusano hanno entrambi la
laurea, scatta una taciuta solidarietà tra vittime. Mica serve
per imparare l'università, ti da solo una patente sociale.
SM: - Concordo con entrambi. Quello che dice Fabrizio è giustissimo
e peraltro è cinquanta volte più vero se si parla di
dottorato. Nel contempo anche l'idea di Walter è corretta (a
mio modo di vedere). Diciamo che allora l'università (pubblica
o privata che sia) produce un pianale/laureato standard...
FG: - Il pianale deve essere di "strumenti per imparare ad imparare"
e per "evitare di farsi fottere": lingue, matematica, però
astrattissima, filosofia, economia (soprattutto economia!) e letteratura.
Pier Vittorio Aureli al Berlage Institute (http://www.berlage-institute.nl)
proibisce i rendering: prima impari a disegnare a mano e a tradurre
le tue idee in immagini, poi dopo se hai voglia ti lasci sedurre dai
gadget elettronici. Per l'architettura è un buon pianale, no?
Invece il pianale buono nell'università che abbiamo fatto noi
non esisteva, cioè anche lì uno se lo costruiva da solo,
assemblando i pezzi migliori: progettazione con Francesco Venezia
che ti faceva ridisegnare Le Corbusier e Kahn 1000 volte o con Rambaldo
Vazzini che distribuiva i trenta a pioggia con dei progetti aberranti?
Storia dell'architettura con Olmo o con la professa della scuola media
travestita da accademica? Il sistema attuale ha semplicemente esternato
queste scelte.
SM: - Un corso che dice: "studente, tu farai dei progetti aberranti
e alla fine io distribuirò dei trenta a pioggia", mi sembra
un corso molto affascinante. Sembra Duchamp. Anche si potrebbe pensare
a un corso dove si dice: "studente, tu farai dei progetti a pioggia
e alla fine io distribuirò dei voti aberranti". O magari
i due corsi assieme. Un laboratorio che metta insieme questi due docenti.
Se fossi uno studente lo farei subito.
WA: - L'università che ho fatto io, cioè Scienze dell'Informazione,
aveva il tradizionalissimo e punitivo pianale tipico delle lauree
in Scienze.
Matematica in quantità, un po' di fisica, un po' di informatica
propriamente detta. Sul fatto che le vecchie facoltà di architettura
avessero o no un analogo pianale, non so dire.
Però, ancora, se dovessi immaginarmi una facoltà attuale
che interseca il design direi che non sarebbe malvagio. Il pianale
+ l'allestimento temporaneo. Che cambia a seconda delle esigenze e
interessi puntuali.
La parte dinamica, altamente dinamica. Su questo pianale (diciamo
il pianale Ape Piaggio) si inventa ogni sei mesi l'allestimento Rolling
Stones, quello pickup, quello per i mondiali 2006. Ci mette l'aggancio
per l'iPod, il navigatore satellitare, il cazzo a molla, quel che
vuoi tu.
SM: - Ok. Per rimanere nella tua metafora del pianale dell'Ape, questi
allestimenti che cambiano ogni sei mesi, chi li stabilisce?
Il professor Zumpapponi di anni 863? Il consiglio di laurea del sottodipartimento
aggiunto della sede distaccata?
Nel mondo che sta cambiando, come puoi affidare la tua formazione
a un consiglio di corso di laurea, composto di professori di età
media di 752 anni, che nel corso di una riunione nel marzo 1996 hanno
stabilito che per i susseguenti vent'anni agli studenti sarebbe tornato
proprio comodo di avere un insegnamento di "exhibition design
2" nel primo semestre del terzo anno? Gli studenti attuali lavorano
su sistemi pianificati in un mondo che non aveva ancora internet (scritti
da gente che già di fronte a un fax non capisce esattamente
di che cosa si tratta...)
FG: Mah. Se lo studente attuale italiano medio, che vive con la mamma,
il papa ed i nonni, si fida dell'offerta educativa di Zumpapponi e
non se ne difende, beh, peggio per lui, andrà a lavorare alle
poste o da Castorama.
La forza, all'epoca, di Stalker, Cliostraat, gruppo A12, ma anche
più recentemente di Baukuh, 2A+P e mille altri era stata di
capire che i professori universitari erano (e sono) nel 80% dei cialtroni
e che l'unica strada era di formarsi da soli. Di lì viaggi,
letture alternative ed anche i workshop quindi. Sicuramente i ventenni
di adesso più intelligenti l'hanno capito e stanno facendo
lo stesso.
Come ha funzionato l'università in Italia negli ultimi sessant'anni?
80% di deficienti: "figli di", amanti, portaborse, "semperchisti",
come dicono a Milano, produttori di dispense in fotocopia o libri
pubblicati dalle varie CLEAN, CLUP; etc., messi d'obbligo in bibliografia
per generare ricavucci dai diritti d'autore. (http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/scuola_e_universita/...).
SM: - Minchia Walter, Gallantix ha preso l'abbrivio e mo' non lo fermiamo
più...
WA: - E il 20% restante? Erano peggio o meglio del sopradescritto
80%?
FG: Era un 20% di eccellenti docenti: gli studenti intelligenti spremono
i professori bravi ed imparano da soli quello che i deficienti non
gli insegnano. I professori bravi imparano dagli studenti intelligenti.
Poi di questa casta di studenti brillanti, una parte emigra, da neo-laureato
o da docente (http://cepa.newschool.edu/het/profiles/sraffa.htm
o http://www.stanford.edu/dept/complit/faculty/moretti.html)
perché è eccellente (magari non solo perché ha
avuto buoni docenti, ma anche perché cresciuta in ambienti
stimolanti) e trova facilmente contratti all'estero, un'altra parte,
per senso civico, si impegna nuovamente all'università in Italia,
creando isole d'eccellenza, riserve indiane della ricerca e del pensiero.
SM: - Ok. Che fanno i bravi, l'abbiamo capito. E i cattivi? Che mi
sembra molto più interessante?
FG: I subnormali della maggioranza diventano funzionari di partito,
entrano nelle aziende pubbliche e private, si installano come piccoli
cancri nelle università ed istituzioni e determinano quindi
la lenta ed inesorabile estinzione (o meglio emigrazione) dei "giusti".
Per cui il 20% è destinato ad assottigliarsi, con grande gioia
di altri paesi.
SM: - Questo mondo dei "giusti" che sono bravi e sono costretti
a emigrare a me spaventa un po'. Ho capito perche' quando poi uno
arriva all'università americana xyz, l'ambiente è allucinante
e spaventoso.
Ramazzando "giusti" (o gente che si crede tale) da tutto
il mondo, poi di nuovo, c'hai un bell'ambientino...
Un mondo di carlorattoidi che poi passano la vita a spiegarci di quanto
sono bravi e quanto sono intelligenti e qui al MIT, e mo ti spiego
io, e tu non hai capito, e voi in italia, e qui a Stanford etc.etc.etc.
Dai... È una farsa peggio del tuo professore che lavorava sui
voti a pioggia...
Walter?
WA: - L'Italia è un sistema bizzarro, la cui grande passione
è l'omeostasi. Forse riflette perfettamente il paese dove si
trova...
Una delle cose più bizzarre dei prodotti dell'università
italiana sono i laureati lamentosi. Quelli che scrivono lettere ai
giornali dove dicono che loro vivono a Calimera (LE), si sono laureati
in Ingegneria Aerospaziale, ma non c'è spazio per loro a Calimera
(LE)! E devono emigrare, magari fino a Brindisi o a Bari!
Oh, sorpresa e stupore!
Ma tornerei da dove siamo partiti. In un modello ragù, gli
allestimenti vengono stabiliti con estrema aggressività e velocità
delle entità commerciali o anche non profit, che stanno col
naso all'aria, leggono regolarmente Wired http://www.wired.com,
o anche robe più artigianali tipo HotKitchen http://www.interactiondesign-lab.com/cgi-bin/moin.cgi/HotKitchen,
e capiscono cosa è desiderato.
SM: - Pausa link. Così i lettori curiosi possono girellare
un po' per il web... (che tra un secondo Fabrizio riparte e noi non
siamo più in grado di tenerlo...)
Partiamo da due sistemi (Processing & Arduino) che vivono e si
nutrono di workshop in giro per il mondo, comunità on-line,
scambi, sapere che corre lungo la rete...
Processing: http://www.processing.org
Arduino: http://www.arduino.cc
- http://www.arduino.ws
WA: - Rimettiamo anche il link a Wired: http://www.wired.com
che ai designer fa sempre bene uscire dalla trimurti (Domus/Casabella/Abitare).
SM: - Posso anche trascrivere il commento che mi ha dato Ailadi sui
workshop di Arduino:
..questi vengono realizzati in diversi luoghi sparsi nel mondo,
dai festival di arti digitali e multimediali come Ars Electronica
di Linz (http://www.aec.at/en/index.asp)e Sonar Festival a Barcellona
(www.sonar.es) alle università di design e arte multimediale
che lo richiedono. Arduino, come PD e Processing, sono progetti open
source che mettono sofisticati strumenti a disposizione di chiunque
sia interessato a confrontarsi con le tecnologie digitali interattive.
WA: - Peraltro, ci sono altri cento sistemi che vivono e si nutrono
di workshop...
SM: - Infatti, la gentilissima Ailadi mi manda una seconda mail dove
ne abbiamo almeno altri sette di qualità assoluta:
Sulla tipografia abbiamo: http://www.typeworkshop.com
Sulle tecnologie interattive: http://www.mediamatic.net/set-9832-en.html
Per la grafica c'era poi http://www.teachme.it
(al momento chiuso per lavori in corso).
Tornando al Ars Electronica abbiamo poi i workshop di tecnologie interattive
che vengono inseriti nei festival http://www.aec.at/en/index.asp
Ci sono poi i workshop legati al software per manipolare audio e video
in tempo reale con Pure Data http://www.umatic.nl/workshops.html
Oppure, se preferite, il software Open Frameworks: http://muonics.net/blog/?postid=4
Un po' meno pratico, riferito nuovi strumenti digitali per fare musica
al NIME: http://recherche.ircam.fr/equipes/temps-reel/nime/after.htm
WA: - La lista è lunga...
SM: - Come scrive Ailadi: ... in realtà la lista è
infinita basta prendere qualsiasi tecnologia "in voga" in
questo momento (Eyesweb, Processing, Isadora, Max Smp, Arduino, Flash,
Director, OpenFrameworks, ...) e in Google trovi i workshop sparsi
nel mondo.
WA: - Chiaro. A ognuno il suo workshop, un workshop per ciascuno.
A ognuno secondo le sue necessita e da ognuno secondo le sue tasche.
SM: - Torniamo però al nostro discorso di prima. Ma quanto
è velleitario immaginare un sistema in cui alla fine l'istituzione,
l'accademia, l'ateneo, ti da il pianale base eppoi il resto ce lo
metti tu?
WA: - Secondo me è corretto. Perché del contrario si
vedono le storture ad ogni passo. Aspetta, secondo me è corretto
per noi, per l'Italia. In altri luoghi le università si muovono
e si debbono muovere con maggiore aggressività. Ma qui l'Università
fa bene altre cose, lo dico senza intenzione di offendere nessuno:
l'Università è la grande conservatrice. Usiamola quindi
come tale.
SM: - Quindi un pianale uguale per tutti + optional extrauniversitari
che vengono decisi in maniera autonoma?
WA: - Sì, e insisto sull'extrauniversitari. Perché,
se questi optional vengono insegnati sulla base di persone disponibili
in università, ovviamente saranno idiosincratici e casuali.
Se ci sei tu al Politecnico, si fa il corso di porno-collage 1, se
non ci sei tu, no. Poi magari diventi ricercatore e associato, e il
corso sui collage porno diventa mainstream e diventa eterno.
Se invece gli optional vengono insegnati da persone esterne a contratto,
sorgono altri problemi. Chi sceglie i docenti? Boh. Chi ne verifica
la qualità? Boh. Chi garantisce che se non sono bravi l'anno
prossimo non riappaiono? Nessuno.
SM: - Quindi, viva il summer school e orrore del corso di design bioecologico
& interiordesign di cinque anni? Viva il workshop all'Isola d'Elba,
viva il laboratorio nomade al Corviale?
WA: - A grandi linee mi sembra di si'. Diamo però una seconda
tornata di link, che a un tot di lettori piace molto.
SM: - Di nuovo sulle canzoni degli Squallor?
FG: - Io suggerirei di trovare "Muscolo rosso" di Cicciolina...
Eccovi il link: http://www.kakkiate.com/download.htm.
SM: - Dal punto di vista letterario gli Squallor sono meglio. Anche
musicalmente. Ci siamo già dimenticati di Pierpaolo e della
sua celeberrima saga? Vogliamo sentire un attimo "Acqua Marcia"?
Antonio Coggiu e "Pane & Barbagia"?
WA: - Dopo ascolto Cicciolina e vi dico.
Ma magari torniamo ai workshop & laboratori divertenti, interessanti...
Robe che se poi ci vai sopra non ti innervosisci che stai buttando
via il tuo tempo... Magari questa volta più legati al design
e all'architettura...
SM: - http://www.stalkerlab.it
(direi che loro sono abbastanza dei maestri al riguardo).
Storicamente c'è l'Ilaud (http://www.architettura.it/files/20040517),
mmmhhh... Beh... Ci sono poi le Summer School. Giusto perché
l'abbiamo vista dal di dentro, si può menzionare quella dell'AA:
http://www.aaschool.ac.uk/summerschool
- http://projects.interaction-ivrea.it/e1cms/workshops/wordpress/?page_id=10
Inoltre a Londra sono dei veri maestri nell'offerta di corsi estivi
superspecializzati: per esempio a Central Saint Martin, http://www.csm.arts.ac.uk.
Oltre al corso viene venduta in qualche modo la città.
C'è poi questo sistema delle Isole del Tesoro, motivo per cui
stiamo andando all'Elba: http://www.leisoledeltesoro.it.
WA: - E per gli studenti di architettura questi corsi/laboratori/workshop
funzionano?
SM: - Mah... Credo che sia come per le riviste di architettura. Quello
che è importante non è leggerle, è molto più
interessante e utile farle e/o lavorarci dentro. Fosse anche che te
la fai tu in fotocopia e colla Pritt.
Ovviamente, se poi nella vita hai partecipato a xyz workshop/laboratori
da studente, l'esercizio di organizzarli o tenerli tu, ti viene molto
più facile e semplice.
Da studente io mi ero sparato un Ilaud con De Carlo e Peter Smithson
che era una sorta di Apocalypse Now in cui il colonnello Kurtz l'avevano
portato dalla giungla cambogiana ai colli dietro Urbino. Ed in più
non avevamo Martin Sheen nel nostro gruppo per cui venivamo sempre
disintegrati da Kurtz/De Carlo. Molto utile però. Più
per il sapere implicito (inteso come sopravvivere alle continue mazzate
di De Carlo) che quello esplicito...
FG: C'ero anch'io a quell'ILA&UD a Urbino (questo è lo
spelling corretto dear): mi ricordo di Smithson e De Carlo giocando
a freesbee.
In ogni caso un workshop vale pure la pena farlo, per queste sorprese
appunto.
WA: - Sembra divertente...
SM: - Mah... Sì, direi di sì In genere ci sono sempre
questi workshop bellissimi e discretamente allucinanti.
Me ne ricordo uno che si chiamava "Trappeto Nord" con Lorenzo
Romito. In una periferia catanese che al confronto il Gallaretese
sembra Gardaland.
Con Lorenzo che voleva fare la fontana più lunga del mondo
convincendo dodicimila condomini di questo Corviale etneo ad aprire
il rubinetto collegandolo con una canna al balcone. A un cenno della
mano, sarebbe partita una ola idrica con acqua tracimante da tutti
i dodicimila balconcini di cemento.
Potenzialmente un'idea da Guinness dei primati. Poi però, non
è che tutti e dodicimila si fossero convinti proprio al 100%.
Ancora, è l'idea che conta, il processo. Suonare a dodicimila
campanelli, spiegare, non farsi cacciare a calci, prendere un'aranciata
in soggiorno, etc.etc.etc.
Meraviglioso.
WA: - Anche questo sembra divertente...
SM: - Si, si... Direi che una roba come Trappeto Nord aveva svariati
difettucci ma per certo non ci si annoiava. Grande qualità
& grande consenso...
FG: - Io ho avuto la fase di "workshop delirium": ILA&UD
1991, Berlage Master Class 1991 con Siza (e Descombes e Hertzberger
e van Eyck), 1992 Erasmus in Portogallo, 1993 Architektur Zentrum
a Vienna (http://www.azw.at)
con Pep Llinás, quest'ultimo era in un deposito di tram così
grande, che dentro ci si muoveva in bici, bellissimo (http://www.elcroquis.es/MagazineDetail.aspx?magazinesId=145&lang=es).
Per sfuggire all'accademia italiana erano eccellenti occasioni.
WA: - Perché?
FG: - Per tre motivi: rapporto ravvicinato con i "maestri"
(Aldo van Eyck o Alvaro Siza che ti correggono – per davvero
- non è niente male), intensità cinese del lavoro (in
due settimane un progetto, quando in Italia ci si mettevano nove mesi)
e contatti con coetanei mediamente bravi ed interessati. Più
il quarto: stare per un tempo lungo in una nuova città.
Purtroppo nella proliferazione di corsi attuali, quel modello lì
si è estinto: te li pagavi (o li pagavano i tuoi genitori,
invece di passarti i soldi per il mare), non ti davano crediti, non
erano associati a nessuna università e duravano circa un mese,
ad agosto di solito. Adesso i workshop durano anche solo un giorno.
SM: - In effetti...
Però adesso guardiamo al tutto dall'altro lato della barricata.
Dalla parte di chi insegna. Cosa mi da (a me che insegno) fare il
workshop al Corviale o all'isola d'Elba? Detto diverso, perché
dovrei sostituire un corso a contratto in exhibition design per un
anno con xyz workshop strampalati e stravaganti? Insomma, perché
lo facciamo?
WA: - Dalla parte di chi insegna, fare workshop ha tutta la piacevolezza
di fare un pezzettino di corso monografico. Oltre a fare gala della
tua conoscenza e ramazzare due euro, vieni a contatto con studenti
o persone interessate che hanno SCELTO il tuo workshop tra mille.
SM: - Basta questo?
WA: - Le persone con cui vieni a contatto magari poi lavoreranno con
te...
SM: - Eddai... Dammi dei motivi pratici per spiegare ad Alberto Iacovoni
perché per lui è meglio mettere su un workshop di prototipazione
di dirigibili di carta velina rispetto ad andare un anno a lavorare
a un'università taldeitali.
WA: - Direi che non ce n'è bisogno perché Alberto Iacovoni
lo fa già da anni...
SM: - Ah già... (cogliamo l'occasione per un saluto ad Alberto
Iacovoni che chissà cosa starà congegnando in questo
preciso istante...)
WA: - Piuttosto, potrebbe essere interessante fare l'esempio di Ideo
(http://www.ideo.com).
Che una volta ti vendevano la soluzione al problema, mentre adesso
vendono alle aziende la consulenza per insegnare loro a risolvere
il problema?
FG: I workshop sono importanti perché sono intensi e compressi,
il che è un vantaggio innegabile per tutti i soggetti coinvolti.
SM: - Mmmmhhhhh... Andate avanti...
WA: - ...Che gente come voi , come Alberto Iacovoni, che ha passato
la vita a imparare a disegnare prospetti, e forse adesso sta passando
in un mondo dove le committenze gli chiedono workshop, idee, capacità
di comunicare con il loro personale?
Ovviamente, si tratta di committenze molto avanzate...
SM: - Ok. Ti seguo. Del resto Marco Brizzi & iMage, dopo xyz anni
di lavoro indefesso e un curriculum spesso un palmo, non trovano mica
una Regione Toscana che gli commissiona dei video. Quello che capita
è che trovano una Regione Toscana che gli commissiona dei workshop...
WA: - Esatto. Mettiamola così: fare i workshop è eccellente
per un progettista che non basa il suo lavoro sulla "secret sauce",
e così torniamo al mondo del ragù.
Dal nostro punto di vista, come Id-lab, Arduino o Processing sono
due robe ottime per il rigiro di conoscenza che mettono in pista:
workshop, community, forum, etc.etc.etc.
SM: - Aspetta, tradizionalmente il design, l'architetto trasmette
il suo sapere a bottega. Tu vai da Renzo Piano cinque anni e impari
tutto l'imparabile. Però quel sistema non mi sembra più
al passo con i tempi.
Le conoscenze specifiche che mi sono richieste nella particolare bottega
dove sono non sono necessariamente trasportabili altrove. Per dire,
io vado cinque anni dai fratelli della Robbia e so tutto di ceramica...
WA: - Sì, quella è la tipica secret sauce, come l'ingrediente
segreto di Celentano in Mani di Velluto.
SM: - Adriano Celentano?
WA: - 1979, la nostra infanzia. L'ingegner Quiller produce l'infrangibile
vetro antirapina Blindo Glass: l'ingrediente segreto ed inimitabile
è che Quiller aggiunge un suo sputo ad ogni calderone di vetro...
SM: - Vorrei solo dire che a parte il Blindoglass, quel film si segnala
per un'Eleonora Giorgi da pelle d'oca.
Forse l'unico film in cui la Giorgi è tre spanne sopra a Gloria
Guida (che ancora oggi è ben salda nella top five di tutti
i tempi e tutti paesi...)
Ciò detto, a parte Eleonora Giorgi, a parte Celentano; se io
sono della Robbia (o Piano) che motivo ho di fare una bottega tradizionale
con gente che poi sta con me 52 anni? Tanto tra sei mesi dovrò
fare dei progetti tutti diversi, senza ceramica, senza rendering...
Non è meglio sostituire al modello della bottega il sistema
dei workshop? Ogni 3/6 mesi cambiano, etc.etc... Si conosce gente
nuova, si mettono in pista nuovi contatti, si estende il network...
WA: - L'investimento di un workshop è ragionevole, perché
non ti richiede di passare anni in bottega...
SM: - Si, da una parte e dall'altra. A me che sono un datore di lavoro,
mi viene male a pensare che assumo Gino Pino due anni in prova. In
questo momento a me serve uno che sa Flash e Gino Pino sa usare Flash.
Ma magari tra sei mesi Flash non esiste più...
WA: - Ma quello è un problema di Gino Pino. Dato come evolvono
la tecnologia eccetera, se un progettista (e non un tecnologo) si
dedica con tutto il suo animo ad imparare una cosa specifica rischia
di finire molto male.
Oppure, se uno si sente davvero affascinato -mettiamo- dai rendering,
allora smette di fare il progettista o l'architetto, e passa decisamente
al settore della computer graphics - ma allora tutto cambia, cambiano
i congressi a cui andare, le riviste da leggere, i parametri di successo...
SM: - Il meccanismo dei workshop è molto più lieve leggero
ed appropriato.
Io vado all'isola d'Elba per due settimane e conosco 15 progettisti...
(http://www.interactiondesign-lab.com/Isoledeltesoro)
WA: - Mmmmhhhhh
SM: - ...tema: Isola d'Elba... dopodiché ci sarà quello
che sa Flash e quello che sa fare i modelli in creta... quello che
ha un talento strepitoso e quello allucinante che gli verseresti una
tanica di benzina addosso per dargli fuoco (il celebre format ianpalach,
ma non che ti dai fuoco tu, che dai fuoco allo studente più
fastidioso).
WA: - Ma ci stiamo forse facendo dei pompini a vicenda?
Advocatus diaboli: ma il workshop, nel suo instant satisfaction,
magari fatto in un luogo moderatamente piacevole tipo Elba, non è
una forma di conoscere superficiale, rapidamente dimenticabile, essenzialmente
light (qui se amassimo Baricco, diremmo da barbari, ma noi
detestiamo Baricco...)?
SM: - Non so che dire (su Baricco).
Cioè no. Giusto per rimanere in tema (i testi degli Squallor
vs la storia della letteratura italiana del ventesimo secolo): "Berta",
"Gennarino Primo" e "Il Vangelo secondo Chinaglia"
valgono tutta l'opera omnia di Baricco.
Sui pompini a vicenda, spero di no, che non ce li stiamo facendo.
Sarebbe discretamente orripilante. Nel salotto in similpelle del traghetto
Toremar Piombino/Porto Azzurro... Dai... Con Gallanti che fa le foto...
Brrrrrrrrrrrrhhhhh...
Sul trasferimento della conoscenza, il modello standard è dato.
Io sono il professor Zumpappà, insegno al Politecnico
da 63 anni la stessa materia: "laboratorio tecnologico 3".
Poi, ogni tanto assumo persone nel mio studio, che si presuppone che
stiano con me tempi lunghi. Conveniamo che questo modello non funziona
più, non va da nessuna parte.
FG: - Eh no! O di Baricco parlate male, stroncandolo, però
non potete liquidarlo on due battutine che sennò vi credete
di essere degli snob supponenti come Ferroni e Citati (http://www.repubblica.it/2006/c/sezioni/spettacoli_e_cultura/...).
Chissà se lui entrerà mai nella lista dei "great
books".
SM: - Su Baricco non so cosa dire, non ho nulla da dire e a grandi
linee non mi sembra interessante. Poporrei di andare avanti...
WA: - Ma Gallanti, io sono uno snob supponente! Forse non come Citati,
magari ci metterò qualche anno ancora.
SM: - Mmmmmhhhhhh.... Dai...
Quello che vorrei capire se le cose che facciamo noi (tipo il libro,
i workshop, rf-id mon amour) sono idee carine e simpatiche o se hanno
anche un livello ulteriore. Convengo che il workshop tipo Elba, è
light, leggero, conoscenza superficiale, etc.etc.etc.
Che è peraltro, esattamente, quel tipo di cosa che dicevamo
prima dell'Ape Piaggio "rollingstones".
WA: - I workshop mettono in circolazione idee. Ma mi sembra che, perché
quello facciamo noi funzioni, ci vuole anche il professor Zumpappà
che anno dopo anno ti spiega i fondamenti. Robe come i workshop milanesi
sulle nuove tecnologie (http://www.interactiondesign-lab.com/workshop)
o il kit per l'rf-id (http://www.interactiondesign-lab.com/idshop/product_rfidmonamour.html)
non solo in genere non coprono mai neppure le spese, ma se rimangono
da soli (nel senso che uno non ha una solida formazione tradizionale),
a grandi linee non servono a granché. Il libro (http://www.postmediabooks.it/29idprimer/idprimer.htm)
è un po' diverso ma non troppo. Di nuovo. Se frequenti una
facoltà ben congegnata allora innestare le sedici strampalate
esperienze raccontate nel libro può generare scintille interessanti.
Così da solo, ho qualche dubbio...
SM: - Quindi. Lode al professor Zumpappà. Viva i workshop di
tutti i tipi (più incredibili sono, meglio è). Alla
fine della fiera, possiamo dire che l'errore sta nell'illusione dei
master che in sei mesi, otto settimane, 33 ore e 52 minuti ti illudono
di aver imparato un mestiere.
Che non solo non impari nessun mestiere. Ma quand'anche l'avessi imparato,
è un mestiere di cui al mondo nessuno ha bisogno...
FG: - Magari ce n'era bisogno, però la settimana scorsa. Adesso
no, purtroppo: adesso "ci serve un coach ontologico" E la
settimana prossima un "generatore d contenuti". http://www.newfieldaus.com.au/Institute/diploma_coaching.html.
WA: - Sì, nota però che nel mondo contemporaneo, se
fai il pianle ma non fai il fiorino rollingstones hai combinato
un bel casino, e non vendi.
SM: - E noi siamo lì, solidamente sul fronte dell'Ape rollingstones,
l'iPod con gli interni in tartan e il GPS.
WA: - Sempre sul pezzo.
Pronto casa Ambrosetti? C'è la sua figlia Rosanna? Berta
ti amavo, ma scendi giù che...
SM: - Vabbe', prima che ci racconti tutta la storia di Berta e del
toro nelle mutande che scalpita (per lei) direi che per questa volta
basta...
WA: - Magari ci si aggiorna al dopo Elba...
SM: - Boh. Aspetterei di capire come viene... :-)
WA: - Ottima idea... Nel frattempo magari io batto il colpo e per
questo workshop sui vulcani dell'Isola d'Elba (o forse era Stromboli),
magari ti lascio solo...
Walter Aprile, Ailadi Cortelletti, Fabrizio Gallanti & Stefano
Mirti, Id-lab
www.interactiondesign-lab.com |
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[20oct2006]
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