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HOLLAND-ITALY. 10 Works of Architecture

Gabriele Mastrigli



In occasione della riapertura dell'Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi a Roma, il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo ospita dal 17 maggio al 1 luglio 2007 HOLLAND-ITALY. 10 Works of Architecture. La mostra, a cura di Gabriele Mastrigli intende creare una piattaforma di confronto e di scambio tra i progettisti dei due Paesi. Promossa dall'Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi a Roma, dalla DARC - Direzione generale per l'architettura e l'arte contemporanee e dal MAXXI, la mostra è concepita sulla falsariga di un match nel quale due schieramenti, Olanda e Italia, mettono in campo 10 opere di architettura, 5 per parte. Gli autori scelti sono Atelier Kempe Thill, baukuh, Beniamino Servino, Crimson, Dogma, gruppo A12, IaN+, NL Architects, Onix, Powerhouse Company. ARCH'IT propone ai lettori un'anticipazione dal saggio di Gabriele Mastrigli presente in catalogo.



 
Durante gli ultimi quindici anni, nel campo dell'urbanistica e dell'architettura, l'Olanda ha rappresentato un modello di sviluppo espansivo e diffuso, frutto di un mix inedito tra una strategia fortemente liberista che ha affidato al mercato settori un tempo saldamente sotto il controllo dello stato (ad esempio l'edilizia residenziale), e una politica di massiccio sostegno alla formazione e alla creatività dei progettisti delle diverse discipline. È a questo modello di sviluppo "orizzontale", congegnato all'interno di uno stato sempre più intermediario dell'interesse privato, che si deve la riscoperta del paesaggio come ambiente operativo e allo stesso tempo come obiettivo ultimo dell'azione progettuale.

In questo paesaggio, notoriamente tutto "artificiale", che da sempre materializza l'approccio tipicamente olandese di costruzione e controllo del territorio -a partire dalla secolare lotta contro il mare- l'architettura ha giocato un ruolo di primo piano. Chiamati ad impersonare le nuove esigenze di rappresentazione sociale della sempre più ricca classe media, architetti e progettisti delle varie discipline hanno accompagnato il boom economico del paese offrendo prodotti sempre più sofisticati. Tuttavia, in un territorio sempre più parcellizzato, denso e iper-regolato, questo processo non ha potuto che risolversi nell'incessante accumulazione di oggetti sempre più autoreferenziali (proprio perché sempre più disegnati), riducendo l'architettura, in ultima istanza, a mera prassi di trasformazione del paesaggio stesso. È proprio questa prassi -cui si deve peraltro tanto l'efficienza quanto il successo della formula olandese- che, enfatizzando le modalità di trasformazione del territorio ha progressivamente sospeso l'indagine sui veri obiettivi del progetto, lasciando a questo il solo compito di esorcizzare l'eccesso di regole imposte dal sistema economico-amministrativo attraverso l'esaltazione delle deroghe offerte dall'architettura.

In questo paesaggio di eccezioni, di incessante consumo e ricambio dei suoi modelli, l'architettura olandese contemporanea è inesorabilmente precipitata nella trappola delle etichette. Tuttavia sarebbe ingenuo ridurre il cosiddetto Superdutch -dal titolo della fortunata raccolta di progetti che ha segnato il climax delle celebrazioni dell'architettura olandese dello scorso decennio- al maldestro tentativo di alcuni critici (con la decisiva complicità di editori interessati) di mettere insieme i campioni dell'ultimo stile nazionale. (1) Il fenomeno infatti, più che essere giudicato attraverso le categorie dell'architettura o della comunicazione, va letto come il risultato, per molti versi inevitabile, di processi radicati nelle scelte politiche ed economiche della società olandese. Per ciò che concerne l'architettura, l'esito di questi processi non è stato tanto l'impoverimento del "materiale genetico" dell'architettura olandese a causa, come sostiene Rem Koolhaas, dell'assenza del preteso ingrediente magico della dutchness, l'invenzione. (2) Si tratta piuttosto del contrario: è stato l'eccesso di invenzione, ovvero la ricerca compulsiva dell'eccezione elevata a regola -sulla base dei presupposti economici, prima che estetici- a fare dell'Olanda il "paradiso del progetto" (3), ma dell'architettura olandese una sempre più scialba caricatura di se stessa.

Ad ogni modo, a partire dal 2001, con l'inizio di un periodo di profonda recessione economica e il conseguente crollo del mercato immobiliare, si danno le premesse per una inevitabile svolta nel mondo dell'architettura olandese e, dunque, per un ripensamento del suo ruolo. Se gli studi professionali più noti e affermati hanno resistito bene all'impatto, traendone persino un vantaggio "di posizione", lo stesso non può dirsi per i gruppi più giovani che si stavano, proprio in quel momento, immettendo nel mercato del lavoro. La nuova generazione di progettisti ha infatti immediatamente registrato il repentino cambio di condizioni al punto che, a distanza di pochi anni, già si rintracciavano i primi bilanci sullo stato dell'architettura olandese "dopo la festa". (4)

Oggi, a dieci anni dalla mostra Nine+One, lanciata nel 1997 dall'NAi -evento che aveva marcato la consacrazione dei giovani architetti e con essi il successo della formula olandese- la necessità di un approccio differente verso la pratica e, più in generale, nei confronti del ruolo dell'architettura, appare esplicitamente nell'agenda degli studi emergenti. La rivalutazione del contesto, una nuova riflessione sul ruolo dei materiali e delle tecnologie costruttive, una diversa attenzione al ruolo sociale dell'architettura e, più in generale, un ripensamento degli obiettivi del progetto di fronte alle mutate condizioni al contorno, divengono fattori essenziali di una nuova visione dell'architettura. Una visione che, pur non dichiarandolo mai esplicitamente, prende i contorni di un approccio teorico giacché ambisce a collocare l'architettura in un più ampio spettro di questioni, affidandole un ruolo più generale e complessivo all'interno della società contemporanea.

Se, dunque, negli anni '90 il tradizionale pragmatismo olandese, una sapiente miscela di freschezza, efficienza e realismo, era stato l'alibi per un'architettura spesso trasformata in ironica esibizione degli stereotipi della dutchness, oggi quel pragmatismo assume l'aspetto di una riflessione teorica che si pone non come generica formulazione di principi astratti ma, al contrario, come modo per ripensare l'architettura in maniera più diretta e immediata, da un lato attraverso la messa a punto di strategie chiare e strutturate -e non semplici tattiche di seduzione-, dall'altro con la dichiarazione di un metodo operativo che rimette in gioco tutti gli aspetti del processo progettuale. Nelle pieghe delle inevitabili differenze che caratterizzano un gruppo eterogeneo di progettisti, ciò che emerge dalle opere in mostra è che la ricerca architettonica, da surrettizio armamentario di diagrammi che interpretano le complessità e le contraddizioni del mondo, torna a misurare la capacità dell'architettura di confrontarsi con la realtà anticipandone e orientandone il futuro.

Al di là della specifica occasione istituzionale che ha promosso questo incontro tra giovani progettisti dei due paesi e della comune condizione oramai europea -ma in realtà sempre più cosmopolita, come sostiene Roemer Van Toorn nel saggio incluso in catalogo- in cui questi studi si trovano oggi ad operare, rimane da chiedersi perché parlare dell'Olanda attraverso una mostra dal titolo Holland-Italy. Rispetto all'Olanda la situazione italiana è, per certi versi, agli antipodi, caratterizzata da una vitalità impensabile sino a pochi anni fa, al cui trend positivo, però, non sembra corrispondere un adeguato contributo della critica e dei media. Le numerose occasioni di presentazione della "nuova architettura italiana" -una formula abusata sino all'inverosimile- iniziati proprio durante gli anni '90 all'indomani della "rivoluzione" di Tangentopoli, non sono andate oltre il tentativo di registrare le forze in campo. Un tentativo che si è scontrato sistematicamente con l'impossibilità di restituire una geografia coerente dell'architettura italiana che non si riducesse alla lista dei suoi protagonisti. Questo ha impedito non tanto di costruire un'idea omogenea di architettura italiana -che non esiste- quanto piuttosto di mettere a confronto i singoli progettisti, mostrando l'aspetto più interessante della cultura architettonica in Italia, cioè la capacità di offrire una visione generalizzante dei temi affrontati a partire da occasioni progettuali singolari, specifiche, spesso radicalmente differenti e quasi sempre irriducibilmente problematiche.

Da qui l'idea di utilizzare, in questa mostra, il contributo italiano -privilegiando chi ha operato nel contesto olandese- come controparte critica, come "reagente" attraverso cui testare alcune tra le posizioni e le strategie dell'architettura olandese recente, mettendo in atto un confronto tra coppie di progetti. La scelta di puntare su un numero ristretto di progettisti, non ultimo evitando un taglio esplicitamente generazionale, selezionando un numero volutamente esiguo di opere (5 olandesi e 5 italiane) non mira a restituire alcuna mappa della situazione olandese attuale, e men che meno di quella italiana. Piuttosto vuole offrire una selezione specifica di posizioni, spesso dissimili tra loro, ma tutte accomunate da una riflessione sull'architettura più decisiva ed essenziale, meno ansiosa di impersonare il nuovo a tutti i costi e più concentrata sulla verifica dei propri presupposti. Architetture scelte, in sostanza, per quello che potremmo definire il loro carattere esemplare, ovvero per la loro capacità di riflettere su temi e questioni particolari attraverso strategie progettuali generalizzabili. In questo senso la mostra propone, attraverso il raffronto tra le architetture presentate dagli studi olandesi e italiani, ma anche, all'interno dei singoli progetti, un confronto dialettico tra pragmatismo e teoria: essendo il primo il tradizionale cuore concettuale dell'approccio olandese, ma inevitabile 'contesto' del lavoro di molti giovani gruppi italiani; mentre la seconda è un'attitudine presente nel DNA dell'architettura italiana che riemerge nel contesto olandese per ripensare l'architettura nella direzione di una rinnovata riflessione sul suo ruolo, ben oltre i confini dell'Olanda e dell'Italia.

Gabriele Mastrigli
[19may2007]
NOTE:

1. Bart Lootsma, SuperDutch. New Architecture in the Netherlands, Thames&Hudson, Londra, 2000.
2. Cfr. Rem Koolhaas, Rem, do you know what it is?, in "Hunch", n. 3, 2001.
3. Cfr. Roemer van Toorn, "Benvenuti in paradiso", in "Abitare", speciale Olanda, 487, maggio 2002, p. 142-147.
4. Cfr. After the Party. Dutch Architecture 2005, "Oase", n. 67, 2005.
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