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Il design va al MAXXI

Domitilla Dardi



Si è recentemente inaugurata al MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, la mostra Design A-Z. Un ciclo di microesposizioni volto a iniziare al design contemporaneo il pubblico del museo. Domitilla Dardi, curatrice dell'iniziativa, presenta alcuni dei temi introdotti ai lettori di ARCH'IT.



 
"La gente oggi non legge più libri, almeno è costretta a leggere gli oggetti; chi li produce è il primo responsabile se questa lettura è o non è parte dell'uomo": con queste parole Dino Gavina concentrava sulla figura del produttore gran parte delle responsabilità di una fruizione degli oggetti che non può essere esclusivamente pratica, soprattutto se si tratta di design. Ciò che da sempre contraddistingue un oggetto progettato è, infatti, proprio l'idea, il pensiero che esso incarna, la visione del mondo del proprio autore in alcuni felici casi. Eppure la lettura di ciò che sta alle spalle di un oggetto di design non può essere esclusiva responsabilità di chi lo produce. La comunicazione del pensiero che ne guida il progetto è stato da sempre diritto, se non dovere, esercitato dai progettisti: i testi di Munari sono un precedente esemplare in tal senso che non ci si stanca mai di citare. La sua era una capacità comunicativa rara che ha reso il design materia di facile accesso a intere generazioni di designer. Ma -dato ancora più straordinario– l'opera munariana è stata capace di suscitare in molti lettori non esperti quella che è la materia prima del design di qualsivoglia scuola o tendenza: la curiosità. Attraverso quest'ultima, grazie alla capacità di rendere accessibili gli oggetti e di farne comprendere il processo creativo e produttivo, le opere di quell'età dell'oro sono state veri e propri libri aperti: invitanti ed accessibili.

[31may2007]

Paolo Ulian, Mat-walk, Droog Design 2002.

Il design contemporaneo rispecchia la forma tipica della postmodernità, quella del labirinto. Rispetto a pochi decenni fa, trovare nella congerie di espressioni temi e tendenze portanti non è diventato solo un rompicapo per filologi testardi, ma un inutile tentativo di incasellare la complessità in una metodologia improduttiva. Al contrario, però, rinunciare ad ogni riflessione ordinatrice ha prodotto un fenomeno preoccupante, quello dell'identificazione del design con la moda, con la sua obsolescenza esasperata, la variazione continua, la proposta indiscriminata. E soprattutto con la difficoltà estrema a comunicare il pensiero e l'idea che stanno alla base del suo progetto, argomento per il quale è necessario un tempo di riflessione più dilatato di quanto non conceda il mordi e fuggi dei saloni e delle kermesse mondane. Il design non è moda, ha tempi di fruizione che vanno oltre il cambio stagionale e la sua necessaria commercializzazione non può condizionarne lo statuto di disciplina delle arti contemporanee. Il pubblico del design non è esclusivamente quello delle "fashion victims" o dei "design addicted", ma quello di persone spesso inconsapevoli delle straordinarie storie che gli oggetti possono raccontare se solo venisse loro offerta una voce. Sopperire alla mancanza attuale di lettura degli oggetti da parte del pubblico può quindi trovare risposta in una proposta di comunicazione dell'idea del prodotto che vada oltre il suo patinato e seducente aspetto formale. Ridare la parola agli oggetti e ai loro autori -troppo spesso autorelegatisi in performance artistiche che aumentano la distanza e l'incomprensibilità da parte del pubblico del loro lavoro- è una via per colmare una frattura comunicativa che non giova a nessuna delle parti.


Peter van der Jagt, Bottom's up, campanello per porta d'ingresso. Droog Design 1994.

Con questo spirito è stata affrontata la sfida di esporre oggetti di design nell'atrio del museo MAXXI, cercando di avvicinare alle questioni del design il suo ampio pubblico, formato anche ovviamente da non addetti ai lavori. Dal 18 maggio scorso si è infatti aperto un nuovo spazio interamente dedicato al design: Design A-Z non è una mostra temporanea, bensì un ciclo che ha l'intento di iniziare il pubblico del museo delle arti del XXI secolo ad una materia oramai fondamentale per la cultura. "Dedicare uno spazio permanente al design significa –precisa il direttore della DARC Pio Baldi– ampliare l'esplorazione della creatività all'interno della missione del Museo". Il primo obiettivo di questa attività curatoriale è stato dunque quello di rendere estremamente accessibili i temi e gli argomenti, evidenziando il percorso creativo che sta alla base di un iter complesso e ramificato di produzione del quale gli oggetti sono solo l'effetto finale.


Gabriele Pezzini, Moving, sgabello portatile. Maxdesign 2004.

L'altro requisito indispensabile era quello dell'estrema flessibilità del ciclo, che si affianca alle mostre ospitate nelle sale principali del museo seguendone il calendario. La soluzione è stata trovata in un andamento alfabetico, che permette di creare una mostra continuata in un arco temporale ampio, alla fine del quale lo spettatore disporrà di un lessico e della capacità di lettura delle opere di design. Le lettere dell'alfabeto diventano così un artificio storiografico per puntare l'attenzione su un singolo tema, che può essere sia collegato alle esposizioni in corso nelle sale principali del museo che completamente autonomo. Ogni voce indica di volta in volta il nome di un oggetto, autore, tipologia, o azienda scelti con lo scopo di informare il pubblico sulle possibilità di leggere gli oggetti che ci circondano, secondo un'operazione di riduzione culturale volto all'accessibilità degli argomenti della labirintica offerta del design contemporaneo. L'esposizione mette in risalto il processo che va dall'idea al prodotto, privilegiando l'eccellenza del made in Italy nel rendersi interprete di questo percorso di realizzazione del progetto in oggetto compiuto. Materiali tra i più disparati -foto, schizzi, brani di interviste in forma di citazioni a mezzo video, prototipi e modelli di studio, immagini di cantiere– testimoniano i passaggi costruttivi di un percorso creativo circolare e ramificato. Da questo punto di vista risulta preziosa la collaborazione con l'ADI, Associazione Disegno Industriale, che guida dal 1956 lo sviluppo e il successo internazionale del design italiano e che con la Fondazione ADI promuove ogni tre anni il Compasso d'Oro.

  Degli oggetti in mostra viene fornito un catalogo in fieri, costruito direttamente dagli spettatori: si tratta di schede di lettura dedicate ad ogni singola lettera, che potranno essere raccolte alla fine in una vera e propria rubrica del design, dalla A alla Z. Esse sono un dichiarato omaggio alle schede di Bruno Munari per il "Compasso d'oro a ignoti", anche se in questo caso la conoscenza degli autori è evidente. Temi complessi del design contemporaneo tentano in questo ciclo di appuntamenti di dispiegarsi al pubblico dei suoi utenti in un'analisi essenziale e sintetica che non ha alcuna pretesa di esaustività, ma la –forse ben più ambiziosa– speranza di incuriosire.

Nel primo di questi appuntamenti le prime tre lettere dell'alfabeto sono state l'occasione per introdurre altrettanti temi del design contemporaneo tra i più pregnanti, sui quali non mancherà di certo l'occasione di tornare. Alla A di Alessi, per esempio, trovano esposizione tre servizi da thè e caffè di alcuni tra i più grandi progettisti internazionali: Wiel Arets, MVRDV e UN studio. I servizi diventano lo spunto per riflettere sul rapporto che intercorre tra architettura e design, legati da una filiazione diretta storicamente accreditata, ma con sensibilità affatto differenti sull'interpretazione dello spazio nella grande e piccola scala. Un'operazione, che Alessi aveva già pionieristicamente condotto vent'anni fa coinvolgendo autori quali Rossi e Graves con l'ormai storico progetto "Tea and Coffe Piazza", sotto la regia di Alessandro Mendini, nel quale lo slogan del modernismo "dal cucchiaio alla città" trovava un suo ripensamento ideale.

Proseguendo, la lettera B sta per bellezza e la riflessione arriva nel cuore della nozione del bello nel design. Se il design è, infatti, per definizione il prodotto industriale pensato sin dall'origine per comprendere una nozione estetica, quello di Gaetano Pesce rompe ogni schema sul concetto del bello nella serie del prodotto: il difetto, che genera il malfatto e lo scarto nella serie industrializzata, viene qui ribaltato nell'idea di elemento differenziatore. Il risultato è quello di una serie differenziata, che produce multipli infiniti come nella prassi operativa del design, ognuno dei quali è però pezzo unico come opera d'arte, grazie proprio al difetto diversificatore. Questo primo appuntamento si conclude con la lettera C che sta per Concettuale, dove le opere di Paolo Ulian e Gabriele Pezzini mostrano una via al progetto che tiene conto dell'idea e del rapporto che abbiamo con le cose che ci circondano, su come esse modificano i nostri comportamenti e gesti e di come questi possano essere stimolo alla riflessione progettuale.

Domitilla Dardi
d.dardi@fastwebnet.it
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