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Seoul. L'architettura come condizione culturale

Francisco Sanin



 
Si inaugura il prossimo 24 gennaio a Firenze, alla galleria SESV dell'Università, la mostra S(E)OUL SCAPE. Towards a New Urbanity in Korea, dedicata alle conseguenze della straordinaria trasformazione architettonica e urbana che ha coinvolto la Corea del Sud nel corso degli ultimi anni. L'esposizione, che focalizza l'attenzione su Chung Guyon, Joh Sung-yong, Kim Young-joon, Min Hyun-sik, Seung H-sang, Yi Jong-ho, protagonisti di questa evoluzione, è prodotta da iMage e curata da Francisco Sanin, coordinatore del corso di architettura presso la Syracuse University di Firenze. Della sua introduzione al catalogo della mostra, pubblicato da episode publishers, ARCH'IT anticipa ai lettori alcuni passaggi.



Seoul, all'interno dei suoi confini urbani, è la metropoli con la densità di popolazione più alta al mondo. La maggior parte degli edifici che compongono questa enorme metropoli e il territorio ad essa circostante sono stati costruiti, ne non negli ultimi trenta, non oltre gli ultimi cinquanta anni. Una città, una metropoli, una conurbazione, un territorio, un paesaggio urbano che inghiotte continuamente l'intera popolazione della Corea del Sud. Se la si misura in termini quantitativi, la maggior parte delle architetture materializza una sorta di venerazione verso la costruzione industrializzata e standardizzata, come dimostra l'incessante boom relativo alla realizzazione di complessi abitativi o nelle enormi nuove città che nascono come all'improvviso nel paesaggio coreano.


Seung H-sang. Lock Museum, Jongrogu, Seoul, Korea, 2003 (foto di Osamu Murai).

Città istantanee, sviluppi istantanei che si caratterizzano per la loro essenza anonima così come dalla formale ripetizione che va dal sistema costruttivo fino agli elementi segnaletici. Di fronte a questa architettura "senza qualità", per citare il celebre L'uomo senza qualità di Robert Musil, si è registrata in Corea una reazione forte e determinata alla ricerca di una dimensione intellettuale e culturale dell'architettura, di una nuova definizione di urbanità.


Seung H-sang. Welcomm City, Junggu, Seoul, Korea, 2000 (foto di Osamu Murai).

I sei architetti protagonisti di questa mostra fanno parte di quella generazione o di quelle generazioni che sono cresciute intellettualmente e politicamente sotto la dittatura seguita alla guerra coreana degli anni Cinquanta. Chiaramente essi non sono soli, ma rappresentano, se non un movimento, uno sforzo collettivo che tende a collocare l'architettura all'interno di un contesto sociale più ampio.

[22 gennaio 2008]

Seung H-sang. Club of Commune by the Great Wall, Yangping Country, Beijing, China, 2002.


Yi Jong-ho. Gwangju biennale project 4, Gwangju, Korea, 2002.


Il loro lavoro non può essere confinato alla realizzazione di architetture. Essi hanno presto compreso che l'architettura non è soltanto una pratica collettiva e politica, ma anche e principalmente una pratica culturale. E hanno anche compreso che, a un livello istituzionale, era necessario ridefinire le pratiche di insegnamento e di produzione dell'architettura. Il loro ruolo nella creazione di nuove scuole, come la Seoul School of Architecture, è stato fondativo. In seguito hanno svolto un ruolo importante nella realizzazione della Korean National University of the Arts dove molti di loro hanno insegnato a generazioni di studenti e all'interno della quale continuano a sviluppare le loro idee.

Alcuni di loro sono attualmente consulenti del Presidente della Corea, membri delle più importanti strutture culturali, protagonisti televisivi attivi nella promozione di biblioteche pubbliche, eccetera. In altri termini, hanno capito che l'architettura non è questione di singole pratiche, ma uno sforzo collettivo, una condizione culturale che ha bisogno di essere costruito e strutturato.

S(E)OUL SCAPE ha forse meno a che fare con il carattere urbano o con la scala degli interventi presentati in catalogo, e molto più con un paziente lavoro sviluppato in tanti anni da questo gruppo di architetti, con il modo attraverso il quale esso si è materializzato negli specifici lavori. Una paziente ricerca del valore della cultura architettonica tradizionale, unita a un lavoro intensivo sulla natura dell'inedita crescita urbana nella città sudcoreana. Non a caso diversi di loro sono stati commissari per il padiglione coreano alla Biennale di Venezia. Il padiglione del 2004 ha avuto per titolo The City of the Bang, un'intensa ricerca e esplorazione sulla natura di queste nuove emergenti forme di urbanità, caratteristiche di questo nuovo paesaggio. E la Biennale del 2006 ha continuato sullo stesso tema.

Il fatto che i partecipanti a questa mostra abbiano scelto di essere rappresentati solo attraverso opere realizzate dice molto sulla loro convinzione relativa alla fondamentale connessione tra la più ampia scala urbana e l'individuale professione architettonica. Esprime, inoltre, il fatto che questi architetti non sono più esterni al sistema, ma operano al suo interno con successo, continuando a credere nel valore della ricerca, della sperimentazione, delle attività culturali e del coinvolgimento politico.

Francisco Sanin
> S(E)OUL SCAPE

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