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Raccontare il design. Il caso delle Design Interviews

Domitilla Dardi



La comunicazione di una disciplina artistica si confronta sempre con i due estremi della divulgazione e della ricerca. Saggio di approfondimento o informazione sintetica, percorso didattico/informativo o selezione critica per esperti: questi alcuni dei bivi di fronte ai quali ci si trova ogni qualvolta si progetti una pubblicazione o una mostra e purtroppo, si sa, solo raramente si riesce a trovare la formula vincente che segna un compromesso efficace tra le parti, che metta d'accordo grande pubblico ed eruditi del settore.

Il design, in questo senso, presenta una serie di problemi disciplinari di non facile soluzione. Innanzitutto perché la sua storia, così come le occasioni di una sua comunicazione, è più recente e i casi del passato ai quali guardare sono più limitati rispetto ad altri campi della produzione artistica, ad esempio. In secondo luogo, la natura spiccatamente funzionale e commerciale degli oggetti di design ha creato spesso un imbarazzo metodologico e storiografico, che denuncia retaggi culturali di ben radicata natura soprattutto nel nostro Paese (la memoria delle posizioni crociane sull'arte è dura a morire). Ne deriva che, se per le esibizioni di oggetti di design (temporanee o museali/permanenti) il pericolo da evitare con ogni mezzo è quello della somiglianza con la fiera merceologica, per le pubblicazioni di design il tabù dovrebbe essere quello del catalogo aziendale con tanto di belle foto patinate e indicazioni di prezzo. Ma c'è dell'altro: l'oggetto di design trova la sua ragione d'essere nella sua usabilità: privarlo della connaturata vocazione tattile significa spesso trattarne la fruibilità da parte del pubblico in maniera innaturale, trasformando gli oggetti in reliquie o in elementi di un set cristallizzato e morto.

Per quanto riguarda l'allestimento museografico, negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di musei di design e visto mostre che tutto hanno tentato per non presentarsi come esposizioni in senso tradizionale, anche a costo di compromettere, a volte, una leggibilità chiara per un pubblico ampio. Questo nella speranza di mantenere viva l'aura degli oggetti. L'avvicinamento all'installazione d'arte visiva ha abbattuto frontiere disciplinari, ma forse ha anche complicato le cose, prendendo in prestito un linguaggio al vicino più che creandone uno proprio.

Destino per certi versi opposto è spettato alle pubblicazioni di design. Sul settore divulgativo molto è stato fatto per far andare la materia incontro al grande pubblico: sprezzanti dei timori merceologici e mercenari, le riviste non specializzate, i rotocalchi "femminili" in particolare, hanno accolto la rubrica sul design tra i propri appuntamenti fissi. Non esiste periodico che si rispetti che non includa la rubrica su "Arredamento e Design" tra le colonne della propria scaletta editoriale, ben incastrata tra l'oroscopo e la cucina etnica, o tra il servizio di moda e la parola all'opinionista di grido. Per maggiori approfondimenti ci si può sempre poi rivolgere ai periodici di settore. Anch'essi, però, sono spesso vittime di un'omologazione che fa rimpiangere quantomeno la freschezza delle "notizie dal mondo" dei femminili di cui sopra, forse un po' meno orientati al servilismo architettonico delle star e all'esclusività del "Made in Milan".

L'ampliamento dell'offerta, comunque, non è mai stato un danno all'informazione. Al di là di facili ironie, è innegabile che la divulgazione della disciplina e l'allargamento del suo campo d'interesse ad un pubblico non più di soli addetti ai lavori riporta anche al rispetto di una natura dell'oggetto di design più "popolare", che tendenzialmente ci vorrebbe tutti possibili utenti e che non disdegnerebbe l'ipotesi di vederci utenti più informati e consapevoli. Ma l'interesse per l'approfondimento e per la conoscenza della storia degli oggetti deve essere raccolta dalla ricerca e da una editoria di qualità. Il mare magnum che costituisce questa editoria, "giovane" rispetto a quella che segue altri settori nel campo dell'arte, mostra un panorama diviso: animato, a un estremo, da allegati divulgativi ai periodici di grande tiratura; all'altro, da pubblicazioni "scientifiche" destinate all'accademia e ai pochi esperti. Ovvero da libri quasi totalmente fotografici, per "tutti" (quasi come se chi si interessa di design non sapesse leggere), e saggi di pertinenza esclusiva dei pochi addetti al settore.

In tale situazione non si può non notare un'operazione editoriale che riesce a combinare divulgazione e ricerca, libero mercato e libero pensiero. È quanto avviene con le Design Interviews curate da Museo Alessi e pubblicate dall'editore Corraini di Mantova. Si tratta di una serie di pubblicazioni basate su cinque filmati che ripercorrono il pensiero e l'esperienza progettuale di grandi maestri del Design (Branzi, Castiglioni, Mendini, Sapper e Sottsass), presentati insieme ad altrettanti piccoli libri che ne sintetizzano in versione cartacea l'essenza e ne divengono in qualche modo "custodia" parlante. L'idea è nata all'interno dell'Alessi, azienda che ci ha abituati da tempo a operazioni di comunicazione della propria cultura mai banali o tristemente marketing-oriented (per dirla come va di moda in certi ambienti). Francesca Appiani, direttrice del Museo Alessi, ne parla infatti come di un "desiderio di approfondire la conoscenza della nostra storia e arricchire il patrimonio documentale conservato negli archivi".


Ettore Sottsass. Frame dal video di Anna Pitscheider (Museo Alessi e Corraini Editore).

Non si può, in effetti, non considerare che per anni la cultura documentaria sul design è stata appannaggio esclusivo delle aziende e in particolare di quelle più sensibili alla conservazione del proprio patrimonio; quelle, ad esempio, che hanno investito in musei aziendali negli anni in cui le amministrazioni della cultura statale dimostravano miopia al riguardo (sempre per quel retaggio di cui sopra) o si trovavano in balìa di esperti impegnati in disquisizioni infinite su come dovesse essere un museo del design proprio in uno dei suoi Paesi d'eccellenza (mentre all'estero questo veniva risolto da decenni e continuavano a fiorire esempi più che rappresentativi e funzionanti).


Alessandro Mendini. Frame dal video di Anna Pitscheider (Museo Alessi e Corraini Editore).

Comunque, anche oggi che questo problema pare essere stato affrontato e per certi versi risolto, i tesori dei musei aziendali restano di valore eccezionale. E raramente vengono aperti e divulgati in una formula così felice quale quella delle Design Interviews. Una grande mole di materiale girato è stato tagliato, montato, curato e amato da Anna Pitscheider, autrice italiana di documentari su arte, design ed etnografia, per essere presentato al grande pubblico. "Nel libero fluire delle nostre conversazioni -prosegue la Appiani nel descrivere questo lavoro- il racconto dei progetti si mescolava a quello del metodo, delle personali concezioni che gli autori avevano del lavoro del design.


Richard Sapper. Frame dal video di Anna Pitscheider (Museo Alessi e Corraini Editore).

Così è nata l'idea di realizzare un montaggio che, in non più di trenta minuti, concentrasse la descrizione del loro metodo: pochi minuti per conoscere cosa sia il design per Castiglioni, Sottsass, Mendini... La nostra è stata quindi una scelta volutamente sintetica e in ciò pensiamo ci sia l'originalità di quanto presentiamo al pubblico: di questi autori esiste una sconfinata bibliografia, con monografie esaustive, saggi critici sull'opera completa... Ebbene noi abbiamo scelto un approccio opposto, sintetico, concentrandoci esclusivamente sul metodo". Anche la scelta del partner editoriale in questa avventura è stata mirata: Corraini è un editore che da anni colpisce il pubblico degli amanti del design con "la qualità del catalogo dal punto di vista dei contenuti, ma anche la cura dedicata alla "fisicità dei loro oggetti".


Achille Castiglioni. Frame dal video di Anna Pitscheider (Museo Alessi e Corraini Editore).

Il risultato è davvero straordinario: ogni autore emerge con le proprie caratteristiche, chi più votato a un approccio teorico (Mendini), storico (Branzi), poetico e spirituale (Sottsass), chi insiste di più sull'oggetto (Castiglioni e Sapper). Di tutti però si palesa la forza del logos, della potenza di un pensiero progettuale temprato sull'esperienza e sul fare che va prima e oltre l'oggetto stesso. Se, infatti, l'oggetto di design è qui presente, è ben chiaro che non si tratta che dell'ultimo anello, risultante finale di una catena complessa in cui l'artista e la sua visione del mondo la fanno da protagonisti.


Andrea Branzi. Frame dal video di Anna Pitscheider (Museo Alessi e Corraini Editore).

Non ultimo è da sottolineare come la forma dell'intervista regala a un pubblico esteso la possibilità di vedere direttamente le caratteristiche di questi maestri, la fisicità dei loro movimenti e delle loro parole che, lungi dall'essere una mera operazione nostalgica -anche se la commozione per quanti di loro non ci sono più è forte- sprigionano come dall'emozione di un incontro personale. Un modo di raccontare il design oggi che concilia ricerca e informazione, grande pubblico ed esperti; ma che soprattutto fa riflettere sulla qualità del modo di raccontare una storia di pensatori, uomini e oggetti quale è quella del design. Questo ci fa ripensare a Sottsass quando diceva, proprio in una delle interviste, che bere acqua da un bicchiere di cristallo o da uno di carta non è la stessa cosa: la consapevolezza e la qualità di qualunque nostra azione non è indifferente al mezzo per compierla. E raccontare il design non può essere sempre e solo affidato ad una bella immagine patinata, tanto attraente quanto passeggera.

Domitilla Dardi
d.dardi@fastwebnet.it
[17 aprile 2008]
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