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L'Arcobaleno di Nabito

Gianfranco Bombaci



 
Europan 9. Ljubljana. Quest'edizione del superconcorso europeo nella capitale slovena aveva come oggetto una vasta area urbana in prossimità del centro storico della città. Due i runner-up, tra cui il progetto Intertwined System di Nabito arquitectura, che viene qui presentato attraverso un breve scambio di opinioni con i progettisti Bebo Ferlito e Alessandra Faticanti, al fine di comprendere la metodologia di approccio a un tema così complesso e i principi che ne hanno ispirato lo sviluppo.

Ljubljana, capoluogo sloveno sin dall'indipendenza del 1991, con una popolazione di poco superiore ai 265.000 abitanti. Anzitutto: perché la scelta di concorrere a Ljubljana fra i 73 siti in concorso?

[18 agosto 2008]
  I motivi sono vari e diversi fra loro. Cercavamo un "site" con un programma che avrebbe permesso la possibilità di organizzare il processo progettuale globalmente, su tutte le dimensioni, dalla territoriale (studio "genotipico" dello sviluppo della città), all'urbana (masterplan peculiare), al progetto in dettaglio di un'area specificatamente interconnessa. Cercavamo una città che ci avrebbe permesso di innescare le relazioni fra le differenti scale per poter essere concettualmente coerenti con alcuni temi. Ljubljana lo permetteva. Eravamo alla ricerca di una giovane democrazia; la Slovenia comunista, celebra le prime elezioni libere nel 1990, si rende indipendente dalla Repubblica Federale Socialista jugoslava nel 1991, entra nell'Unione Europea nel 2004, ed introduce la moneta unica nel 2007. Eravamo alla ricerca di una giovane democrazia la cui capitale rivelasse una lettura sintetica, razionale e massimalista della sua conformazione geografico-territoriale e della sua pianificazione urbana, e che allo stesso tempo avesse maggior interesse e forza per un cambiamento in direzione contemporanea, aperto a sistematiche complesse, dinamiche, olistiche. Lubiana Lo permetteva. Infine, la sua storia recente ci affascina: Ljubljana è una città ricca di molteplici differenze e di diversità etnico-culturali ed il suo nome ci pone in relazione romantica al tema dell'amore. Si può poi affermare con certezza, che la base di partenza del nostro progetto deriva direttamente dalla configurazione schematica e diretta del disegno funzionale della città.

Il vostro progetto, infatti, sembra essere partito proprio da una interpretazione della conformazione funzionale urbana "a stella" di Ljubljana. Qual è stata la chiave di lettura che ne avete dato? E cosa è la "trasversalità centrifuga" che ne ha ispirato la riformulazione funzionale?

Esattamente. Entrando nello specifico, la pianificazione moderna di Ljubljana, dogmaticamente ordinata, ci offre lo spunto di riflessione. La città è strutturata da braccia che, a forma di stella, organizzano il territorio partendo dal nucleo storico. Attraverso questi "corridoi direttori consolidati" si struttura il territorio; inoltre nelle sezioni (spicchi) interstiziali risultanti, si ordinano altri corridoi sequenziali e funzionali: residenziale, commerciale, terziario, industriale e verde.

Il processo progettuale inizia con l'interpretazione dei moltissimi dati forniti dall'amministrazione locale. Le informazioni su proprietà pubbliche e private, percentuali di costruito e di non costruito, statistiche di strategie urbane di conservazione o intervento, usi degli edifici e del suolo, permettono di verificare le potenzialità socio-politiche e una gran diversità di agenti e fattori da poter combinare. Così facendo, s'incanalano le tensioni attraverso la sovrapposizione di un sistema impuro, meticcio, complice e relazionato; moltiplicato orizzontalmente e verticalmente.



Gli assi, spicchi o corridoi funzionali, tendono, come in tutti i sistemi ordinati, a "disordinarsi", per così dire a sconfinare o a dialogare con un'altra funzione per loro naturale tensione; tendono a sovrapporre e a far interagire le proprie caratteristiche. Si passa da un sistema ordinato "chiuso", verso uno "omogeneamente disordinato", debole, nel senso di flessibile e aperto a nuove interpretazioni. Un sistema capace di ricalibrare la rotta automaticamente, correggendola successivamente nel tempo. La forza trasversale centrifuga, è lo strumento utilizzato per porre in interazione il territorio, collegarlo e moltiplicarlo di relazioni e per formalizzare un sistema "intergemellato" (Intertwined System), partecipativo. Una grande singolarità, formata da differenti individualità.

Intertwined System è appunto il titolo del progetto. Cosa intendete esattamente? Ljubljana inoltre sembra una città con una strutturazione del verde molto articolata ed estesa: questa ricodifica degli spicchi funzionali della città coinvolge anche il sistema ambientale?

Intertwined: "twined or twisted together"; "To join or become joined by twining together". Le dinamiche contemporanee sono oggetto di complessi sistemi di successive trasformazioni dinamiche. Potremmo fare un paragone con un puzzle tridimensionale i cui pezzi cambiano conformazione e logica d'incastro quasi continuamente, ma anche quasi continuamente ristabiliscono una posizione corretta.


Scala territoriale.


Scala urbana. Cosa fare?


Scala urbana. Dove?


Assi flessibili.


Nodi.


Rainbow Building.


Scala urbana. Come?


Sito del progetto.

Si esce dalla logica "forte" delle ragioni contro i torti, in favore di una logica "debole" ed "orizzontale", che tiene conto dei cambi di posizione per analizzare uno stesso dettaglio. I sistemi sono "open source" (terminologia usata per le licenze dei software, ma che rende l'idea); aperti alla modificazione degli utenti che a loro volta diventano programmatori. Intertwined System nel nostro caso, vuole rappresentare quest'idea della città aperta, non pianificabile attraverso le ragioni convenzionali della progettazione urbanistica, ma verificando le possibilità presenti, cercando complicità a 360 gradi. Un urbanismo di "intercambio programmatico" e non "d'usi strettamente differenziati."

Ljubljana è circondata e penetrata fino al cuore dal verde. Il sistema ambientale è prepotente e sembra tagliare in due la città da est ad ovest. Si compone poi, ordinato e ramificato, all'interno dei corridoi, in zone sportive giardini e parchi. Noi stabiliamo con il verde un rapporto integrante, a tal punto da interpretare una "geourbanità"; un'infrastruttura geografica. La città cessa di essere uno scenario fisso, individuato, circoscritto. Il cambio della mobilità, e delle nuove e nuovissime tecnologie, ha prodotto nel tempo, non solo un'esplosione della città nel territorio, ma a sua volta un ritorno alla città, un'implosione; diremmo un flusso costante di input e di output tra città e territorio. Questo continuo processo lascia intendere che il futuro delle città in via di sviluppo è complesso, estensivo e intensivo allo stesso tempo. Le città si reinventano al loro interno e allo stesso tempo si espandono verso l'esterno. L'incontro con la geografia non è più possibile dominarlo solo attraverso il disegno paesaggista, ma diviene esuberante fusione, idea della già tanto dibattuta formalizzazione topografica. Andando oltre, "l'architettura" non ha più limiti chiari, ma diffusi.



La nostra "geourbanità", le piattaforme infrastrutturali di verde, sono "ecourbanità" e ridefiniscono il senso del limite tra città e paesaggio, tra uomo e natura. Sono input fertilizzanti, generatori di nuovi output. Definiscono un paesaggio ambiguo, diverso, in tensione tra diversi contrasti in cui nulla è netto, nulla è definito e per questo straniante e accogliente allo stesso tempo.

Questa concezione di "geourbanità" mi richiama alla mente ciò che Arno Peters afferma nel suo Atlante del mondo: "Le mappe vanno tutte considerate in relazione tra di loro. L'intrecciarsi e la mutua interazione di tutte le sfere di vita, i complessi legami tra natura, cultura, economia, Stati e società significano che si può comprendere pienamente il suolo e i suoi aspetti solo quando è inserito nel contesto". Questo paesaggio ibrido, a vostro avviso, è determinato esclusivamente da agenti locali, propri del contesto di intervento, o anche da influenze di carattere globale? E come può, un progettista che opera in terra straniera, intercettare e interpretare le motivazioni site specific?

Generalmente non amiamo fare citazioni. Non entrerò nel merito rispetto alle visioni geopolitiche di Arno Peters, ci perderemmo in un territorio fitto. Certo è chiaro che "la Carta di Peters" porta con sé visioni alternative al sistema capitalistico e una visione geografica più equa e fedele del mondo. Però è anche vero che la sua celebre affermazione, che non bisognasse più "guardare il mondo con gli occhi del nostro paese, ma guardare il nostro paese con gli occhi del mondo" è una delle basi su cui si fondano le contemporanee dottrine sociali, economiche e politiche: l'uscita dai nazionalismi e l'ingresso, attraverso il processo della secolarizzazione, in un complesso sistema globale. Io sono ottimista e adoro essere considerato europeo.



Il nostro nome, Nabito, è un neologismo, deriva da una crasi fra la negazione "non" e il sostantivo "abito"; è la necessità di affermare la volontà di conoscere diverse culture (abiti) e soprattutto formulare un ibrido. Allontanarsi, per conoscere meglio, interpretare e arricchire le proprie radici, riscoprirle. È la nostra "globalizzazione localizzata"; un sistema complesso di scambi, una riorganizzazione di dati continua e fluida. Non si tratta di perdere caratteri peculiari d'identità, ma di fortificarli e moltiplicarli attraverso l'introduzione d'innovazione. La domanda credo abbia avuto una risposta; però è necessario forse dire che sovrapporre identità è un processo che se nella teoria può essere sopravvalutato, nella pratica è impossibile descrivere finché non si opera. La maggioranza dei cittadini non approvava i progetti per la Barcellona del 1992; oggi ne godono i frutti. Pochissimi scommettono sul 22@ e sul processo messo in atto con il Forum delle culture 2004. È un Frankenstein, senza energia. È un processo di gentrification necessario ma aggressivo. Vedremo. I metodi poi sono discutibili, sempre, ma ce ne sono infiniti. Roma, al contrario, è un esempio incredibile, d'inattività e debolezza politico amministrativa; ed è un peccato. Un esempio interessante di gentrification nell'ottica di un equilibrio di welfare, portata avanti con metodi corretti, è quella degli anni '90 nel South Brooklyn a New York con l'aiuto del FAC –Fifth Avenue Committee– organizzazione community based.



Nell'area Poljane a Ljubljana (oggetto del concorso Europan 9) è in atto la volontà di attuare una politica di riconversione funzionale e sociale del quartiere. L'intercettazione delle motivazioni site specific dipenderà dagli innumerevoli fattori che spero ci vedranno coinvolti nel prossimo futuro, ma che dovremo essere in grado di filtrare e di interpretare flessibilmente attraverso le nostre culture. Una delle differenze tra la nostra generazione e quelle che ci hanno preceduto, risiede nell'impossibilità di teorizzare da parte nostra l'uso ed il cambio che hanno apportato le nuove tecnologie in termini di competitività. È come se ci mettessimo a fare teoria sul telefono. Sono gli strumenti di tutti i giorni, che ci appartengono, come beni di prima necessità, sono gli strumenti che ci permetteranno, forse, di uscire da una sola logica possibile, sono gli strumenti che ci permettono di usufruire delle idee altrui come patrimonio dell'umanità, che permettono agli Herzog & De Meuron d'essere altro da come sono; ma soprattutto sono gli strumenti di una diversa dimensione, continuamente da esplorare. Noi non solo li utilizziamo; li accettiamo. Il nostro "Arc de triomphe" romano, la Rainbow Tower, sarà un'icona, un simbolo reinterpretato, impastato con mille riferimenti immaginari e concettuali, che viene dal passato dal presente e dal futuro nello stesso tempo, materializza finalmente la quarta dimensione e sarà oggetto a sua volta di successive e molteplici reinterpretazioni. Sarà oggetto di una "convergenza".

In effetti a Watergate and the Corner, uno dei tre siti proposti dal bando, avete applicato a scala più architettonica i concetti espressi a livello territoriale. L'abaco di edifici dal forte impatto visuale, quasi iconico, e dalla spiccata flessibilità programmatica, previsti nei punti chiave della vostra geografia urbana, qui assumono la forma di un arcobaleno multifunzionale. Se le funzioni si moltiplicano in nome della flessibilità, possiamo dire che oggi "la forma segue la comunicazione"? E in tal senso quale tipo di "convergenze" può innescare l'architettura?

Antoni Plàcid Guillem Gaudí i Cornet, o semplicemente Gaudì, in vita, era più o meno considerato un folle e le sue architetture banalità formalistiche; un genio misconosciuto, nascosto dal pregiudizio ideologico. Nel 1889 durante l'esposizione Universale di Parigi conobbe il conte Eusebi Guell, l'industriale, il mecenate grazie al quale il giovane architetto catalano ebbe la possibilità di realizzare i suoi capolavori. Nello stesso anno, alla fine del secolo XIX, alle porte di un cambio epocale, veniva inaugurata la Tour Eiffel. Stessa musica, bollata come mostro ignobile di ferro; l'indegno monumento al progresso tecnologico-industriale diviene, e tuttora lo è, il simbolo di Parigi e della Francia nel mondo. Vedi, per rispondere alla tua domanda, a mio avviso, la forma segue l'animo e lo spirito degli ideatori e può essere "indisciplinata", mentre la comunicazione è una scienza con sue regole ben precise.

L'arte rispetto all'architettura è sempre stata molto più rapida nell'interpretare i cambiamenti della società; emancipandosi più di un secolo fa, conquistò sempre maggior autonomia fino a penetrare totalmente nella realtà e oggi ancor di più sotto forma di immagine. La forma, appunto, deve poter essere pura libertà espressiva, tanto astratta quanto iperrealista. Non credo che per la Torre Agbar il discorso sia differente. Ora davanti alla Sagrada Famiglia, vicino alle cartoline di Gaudì appaiono quelle notturne della torre accesa nei colori blaugrana. Torre Agbar (ma gli esempi potrebbero essere numerosi) può essere criticata dal punto di vista intellettuale e filosofico, non rappresenta i concetti contemporanei, può introdurre un dibattito "interno al partito" si direbbe, ed abbiamo tutto il diritto di esercitare la nostra conoscenza per criticare. Il punto non è questo. Esiste un mondo nuovo a cui far fronte, un mondo in cui i limiti ed i confini sono diffusi, il mondo delle multidimensionalità, dell'eterogeneità, dell'interconnessione degli stili e delle culture, il mondo "debole" nel senso di non netto, non definito e per questo infinitamente più ricco, aperto e flessibile; tutto questo continuerà a generare la nuova architettura, e se poi un edificio diviene un simbolo comunicativo, tanto meglio, ma non dipenderà solo dall'architetto né solo dall'architettura. Il simbolo di Bruxelles è una statua di un bambino che fa pipì. Esistono realtà differenti che su piani multipli, ma non paralleli, possono interagire. Ma attenzione, perché la comunicazione, la moda, la pubblicità, il fumetto, i videogiochi, ecc. (la cultura popolare) sono frutto di studi profondi, sono scienze e tecniche e arti applicate, lo ripeto, ed hanno tutta la possibilità di essere interpretate e riutilizzate in complicità con altre scienze. Si dice che nasca prima la fantascienza della scienza. Senza La visione e la fantasia immaginifica, non avremmo nulla di reale.

A Ljubljana, nell'area Poljane, noi critichiamo lo schema fornito nel bando di concorso che offre un classico zoning, con differenti funzioni in distinte zone. Introduciamo il concetto di flessibilità, mettendo in relazione le differenti parti e pianificando il nostro sistema aperto senza limiti netti; esso si condensa in elementi iconici tra cui spicca la nostra apprezzata Rainbow Tower. Un accumulatore verticale di densità di funzioni. Il nostro scopo è liberare in questo modo spazio a terra per pubblico uso. La nostra idea di sostenibilità è pensare a Poljane come un quartiere avanzato di servizi e nuovi spazi multifunzionali per vivere in una vasta area verde e in armonia con l'ambiente sloveno; un reale quartiere modello eco-friendly. La Rainbow Tower è un nuovo landmark, simbolo delle leggi della natura; edificio vivo al suo interno e percepito dalla città come segno di speranza nella skyline di Ljubljana.

Arcobaleno per vari motivi. Primo: il ricordo dell'evento legato alle leggi della natura a cui noi dovremmo tornare ad attingere, effimero, cangiante, leggero, ci ricorda il senso dell'energia del sole, il suo possibile uso. Secondo: l'arco, come stereotipo architettonico legato a un simbolismo che nel tempo è cambiato. Da rappresentativo, celebrativo, contemplativo, anti funzionalista (l'arco romano di trionfo), a funzionalista strutturale, e ripreso qui come un nuovo concetto di "condensatore sociale, politico, funzionale ed energetico". Un accumulatore e immagazzinatore ancorché prima captatore. Elemento unico, verticale ed orizzontale allo stesso tempo, esce dallo schema di torre contenitore ed entra in quello di "elemento vivente" e vissuto nonché nuova icona ecologica per la giovane democrazia Slovena in cui con più "freschezza" si potranno innescare meccanismi olistici propri della complessa e diversificata era contemporanea.

L'architettura quindi come uno dei possibili mezzi di "convergenza" culturale. Usiamo l'architettura come un'interfaccia. Gli edifici si sono trasformati in programmi di usi misti e di interferenze funzionali. La scienza urbana è completamente stravolta da un nuovo concetto multidimensionale e aperto alle volontà individuali, ossia al rispetto dell'individuo e delle sue peculiarità.
Alla città "diretta", pianificata, si contrappone la città "indiretta" "eterogenea", la città esplosa nel territorio e che anela a questo incontro. Un esempio: la geourbanità: un movimento in continua tensione. La città diviene una combinazione di spazi, intertwined, per tornare al nostro progetto; questo concetto si estende (meta-locus) ovviamente stravolgendo la classica divisione del tempo giornaliero, mensile ed annuale. Il territorio cambia le relazioni con le città combinando input e output, è la stessa geografia che cambia. Dovremmo veramente cominciare a ripensare i nostri sistemi "forti" di "misurare" e le relazioni semplicistiche della nostra cultura.

Finirà (sta già finendo) l'era dei due mesi al mare d'estate o l'inverno a sciare, le canzoni, i film e la letteratura delle vacanze comandate. Finirà anche, in un certo senso, la standardizzazione del lavoro e finiranno i tempi moderni di Charlie Chaplin e di Jacques Tati. Potrà l'uomo accettare, quando le economie saranno pronte, che l'idea di precarietà possa essere sostituita con quella di libertà e flessibilità? Potranno le nazioni liberarsi dei nazionalismi e far parte di grandi sistemi territoriali eterogenei? Essere uguali nelle differenze? Potrà essere l'Europa una grande patria? Elia Zenghelis dice, in sostanza: concentrazione, contrasto e opposizione, città e territorio, anonimato. A noi piacerebbe di più: concentrazione e dilatazione, fusione, moltiplicazione dei contenuti e differenziazione formale. Pluralità.

Gianfranco Bombaci
gianfranco.bombaci@dueapiup.it
Nabito (Alessandra Faticanti, Roberto Ferlito) è uno studio interdisciplinare basato a Barcellona e attivo sul territorio mediterraneo che include Italia, Spagna e Francia alla ricerca di similarità e differenze. Il suo intento è ridefinire un mutevole processo di elaborazione per una nuova cultura contemporanea, dal punto di vista sociale ed economico. Come architetti, i membri di Nabito si sono dati l'obiettivo di sviluppare questo mix culturale e di comunicare con altri mondi per generare nuove realtà.
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