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Forma e concetto: il lavoro di Giuseppe Vultaggio

Silvio Carta



 
Giuseppe Vultaggio è un architetto dall'animo inquieto. Nasce a Napoli, ma studia a Roma. Lavora a Roma ma guarda la Slovenia e la Croazia; lavora in Olanda e guarda nuovamente Roma; da Roma guarda al Sud Italia. Si trasferisce nei Paesi Bassi alla fine del periodo Superdutch, nel pieno del processo di internazionalizzazione, ma sceglie di lavorare in uno studio che funziona come una bottega. Vive nell'architettura contemporanea, partecipa alle sfide all'ingegneria, ma lo fa con un ritmo da artigiano. [SC]



 
FORMAZIONE. La formazione di Giuseppe Vultaggio architetto è un fuso che ha per capi delle figure-chiave per capire l'architettura contemporanea europea. Si laurea a Roma e lavora già dal 2003 nello studio romano IaN+. In questo periodo lavora principalmente a concorsi, curando la parte dell'implementazione del concept (dei vari concept possibili per ogni progetto) e la loro traduzione in modelli tridimensionali al computer, per poi controllare la corrispondenza delle idee iniziali nelle immagini finali di presentazione del progetto.

Nel 2005 è in Austria e nel 2006 si trasferisce a Zagabria per lavorare con Njiric+ Arhitekti, dove è impegnato ancora sul fronte dei concorsi e il rapporto tra concept e loro traduzione in forme chiare e comprensibili. La sua esperienza cambia sostanzialmente quando, dopo la Croazia, si trasferisce nei Paesi Bassi per lavorare con Maurice Nio. Qua inizia a lavorare sulle fasi successive del progetto seguendo stabilmente gli esecutivi e le fasi di promozione e negoziazione del progetto (decisioni in concertazione con politici e personaggi pubblici coinvolti nel progetto). Vultaggio segue il progetto del nuovo Museo Pecci (Prato) per intero: dalla fase di concept a quella degli aspetti maggiormente tecnici e pratici. È indicativo il fatto che, forse dovuto alle considerazioni del mercato o alle sue scelte consapevolmente professionali, non sia andato da subito, appena laureato, in quelli che allora erano considerati hotspot come la Svizzera, la Spagna o direttamente nei Paesi Bassi.

[29 gennaio 2011]
  Vultaggio non ha inseguito i trend delle esplosioni creative (ed economiche) principali dell'architettura degli anni Novanta e Duemila: ha scelto la Croazia e, come lui stesso spiega, ha sempre pensato con attenzione alla scena Slovena. Solo in seguito ha scelto di avvicinarsi agli epicentri architettonici di quegli anni. Un altro aspetto indicativo è rappresentato dal fatto che, una volta in Olanda, non abbia lavorato da figure come Rem Koolhaas o Winy Maas, ma abbia optato per realtà più discrete e controllate, studi della dimensione di una bottega come quello di Maurice Nio. Una dimensione anomala in Olanda dove anche studi più giovani e inesperti di quello di Nio Architecten hanno, senza troppe difficoltà, un organico nella media dei cinquanta dipendenti. Dall'Olanda, il rientro nel 2008 a Roma per la collaborazione con lo studio locale di Zaha Hadid nel quale lavora solo a esecutivi e alla "alla risoluzione dei problemi in fase avanzata", come lui stesso spiega. Personalità, oltre che professionalità, così particolari del panorama dell'architettura contemporanea come Maurice Nio o Zaha Hadid hanno segnato in maniera decisiva il modo di progettare, ma soprattutto di dar forma alle idee iniziali, di Giuseppe Vultaggio.



STRUTTURA DI UN DESIGN PROCESS. I progetti di Vultaggio sono il risultato di un processo logico-grafico che avviene per fasi stabilite e chiare. Dalle spiegazioni che egli fornisce, si evince che i vari elementi presi in considerazione volta per volta vengono messi a sistema.


Silvio Carta, diagramma Shape and Concept. Passaggio da una forma di base a un risultato finale dovuto all'applicazione di condizioni esterne durante il processo progettuale.

Il metodo usato può essere spiegato in tre fasi principali: la prima consiste nel ritrovare una forma base che contenga il programma richiesto e consenta di stabilire l'ambito formale del progetto, la seconda è la sintesi delle considerazioni esterne alla forma base che sono in grado di veicolare il progetto; la terza fase consiste invece nel controllo (ed eventuale adattamento finale) del risultato delle modifiche imposte nella seconda fase sulla forma originale. Le forze esterne condizionano la forma base producendo una forma conclusiva che assume caratteri di unicità. Vedremo nei quattro progetti di seguito presentati come questo rapporto forma-concept viene sviluppato in situazioni differenti.


Giuseppe Vultaggio, diagramma di Tower in Manhattan. Screen: un volume plastico tronco-conico su cui scorrono immagini digitali / Light house: una promenade si distacca dalla costa e s'inserisce nella teca digitale / The multi-eyed tower: il volume tronco-conico è perforato da elementi a sbalzo rivolti verso punti specifici della città.


Il progetto Multi-eyed Tower è stato realizzato per il concorso Museum Tower in Manhattan a New York nel 2007.



Nella Multi-eyed Tower (Museum-Tower in Manhattan), ad esempio, il diagramma spiega i punti di partenza del suo ragionamento. Lo "schermo", o per meglio dire il teatro di rossiana memoria, viene usato come una archetipo di base al quale viene associata la riflessione sul funzionamento di un faro marittimo. Il risultato è una torre-museo, prima orizzontale, poi verticale, che si snoda dal suolo (e dall'acqua) al cielo offrendo diversi punti di osservazione selezionati e privilegiati. I coni ottici, proprio come nel Teatro del Mondo, sono orientati in direzioni stabilite le cui immagini entrano nel museo stesso, diventando, in un certo senso, parte stessa del museo. La representative lantern, come viene definita da Vultaggio stesso, cerca di connettere le varie etnie e culture che dagli anni '60 in poi hanno contribuito a popolare New York nei vari suoi quartieri: da Chinatown a Flushing Meadows, da Bronx alle comunità afro-americane di Harlem e South Brooklyn, dagli italiani a Little Italy e New Jersey agli indiani di Jefferson Heights. La forma di questo progetto deriva dalla combinazione di una tipologia iniziale (il teatro) che viene torso e forato perché l'immagine dei vari quartieri della città di New York possano diventare parte del museo stesso.


Giuseppe Vultaggio, diagramma di The Adaptable Architecture Gallery.
Volume: forma pura di partenza non deformata da pressioni esterne (interne) / Flows outside/inside: la pelle perimetrale è soggetta ad azioni esterne e da dinamismi interni / Flexible skin: il volume continuamente soggetto all'azione dei flussi sia dall'esterno che dall'interno raggiunge un equilibrio dinamico.

Lo spazio della Adaptable Architecture Gallery è il risultato della considerazione di Vultaggio sulla città di Londra. La galleria galleggiante è pensata come "an icon of the dynamic city". La galleria, prosegue l'architetto, deve essere una "architettura dinamica e flessibile" e la sua forma "deve cambiare continuamente per aderire ai differenti scenari della città".







Preso un volume generico che può contenere il programma richiesto, una forma base viene modificata in funzione delle considerazioni sui flussi di persone che la città impone alla gallery. Due ordini di flussi sono infatti evidenziati dal progettista: quelli centripeti e quelli centrifughi. Vultaggio vede il suo progetto "between the exterior and the interior flows". La conseguenza di questa interazione è una forma indefinita, che viene posta in netto contrasto con le chiare forme del Tower Bridge e del Swiss Re (the Gherkin) posti chiaramente nello sfondo delle immagini della presentazione. La forma, ottenuta al termine del processo progettuale, presenta chiaramente i segni dell'influenza dei flussi (condizione esterna alla forma base) sul volume di partenza.


Progetto realizzato all'interno del concorso Adaptable Architecture Gallery, London, Great Britain, 2008.


Giuseppe Vultaggio, diagramma di The Soul of the Moulin Rouge. Propeller: l'elica, intesa come l'idea del movimento, è l'unico elemento del mulino che viene conservato / Circular flows: i flussi circolari propagati dall'elica generano un vortice / Deformation building: il risultato delle azioni del vortice è un'architettura dinamica, la cui superficie esterna è deformata e scomposta secondo le linee dei flussi.

La relazione tra forma finale e concetto a base del progetto The soul of the Moulin Rouge è puramente didascalica. Vultaggio considera fondamentale l'elica del mulino che compare sia nel nome ufficiale che nell'immaginario collettivo del celebre teatro parigino Le Moulin Rouge. L'elica è per l'architetto l'anima del celebre locale di Pigalle e il progetto per la sua estensione merita una riflessione sull'elica stessa, piuttosto che sull'attuale edificio che lo ospita. L'immagine e il movimento dell'elica creano una nuvola di significati contigui e connessi fra loro che Vultaggio mette in evidenza in un climax ascendente e dinamico nella sua descrizione: "his luminous vortex is its soul, and will be the generative act of the new Moulin Rouge. The new building comes out from the vortex, which moulds and twists the surfaces, to mark it out in all its elements. [...] the movement, the light, a magic sphere in an everlasting movement […]".

Anche in questo progetto emerge la dinamica produttiva di Vultaggio: una forma base viene modificata e resa unica da considerazioni sul tema di progetto: "The building is thought as a regular shaped box which is moulded by the movement, the main façade tangles up around the vortex, to be broken down in four concentric membranes, which free themselves from the centre in all directions". Il movimento rotatorio dell'elica "soul of the Moulin Rouge" ha agito sulla forma di base determinandone la configurazione finale. In questo caso, il risultato conclusivo di questo processo formattivo è una forma finale che rimanda ad immagini conosciute: "the new Moulin Rouge will present itself as a red rose".


Giuseppe Vultaggio. Diagramma di The Holy Hills in Arles. Program: il pallottoliere delle funzioni / Ring connection: il cerchio è il percorso connettivo su cui dispongono le attività / Densification: le funzioni si addensano lungo il percorso circolare generando una struttura molecolare.

Il cerchio è stato preso come forma di partenza nel progetto di The Holy Hills in Arles. Il tema, in questo caso, richiedeva di scegliere una forma di partenza che potesse contenere la pluralità di culti di varie culture. "Nell'epoca contemporanea", spiega Vultaggio, "la contaminazione di etnie e religioni e la coesistenza nella stessa città di luoghi di culto di diverse religioni, hanno fatto sì che la ricerca linguistica diventasse un processo di identificazione in cui ogni religione ha cercato di autodeterminarsi per essere riconoscibile nella città stessa".



Il programma richiedeva di pensare ad un centro di culto che potesse ospitare, allo stesso tempo, una moschea, una sinagoga, una chiesa cattolica e una protestante; ognuna con i suoi diversi spazi annessi e di servizio. La forma di base, spiega Vultaggio, doveva esser tale da non suggerire una predominanza né simbolica né spaziale di un luogo di culto su un altro. Fallire in questo senso, spiega l'architetto, "sarebbe come ammettere l'impossibilità di coesistenza e rassegnarsi all'idea di vivere divisi, schiavi della nostra stessa identità culturale".




Progetto selezionato nel concorso a due fasi Le Nouvel Etablissement Humain - Application sur la ville d'Arles, organizzato dall'Accademia delle Belle Arti a Parigi nel 2009.

La forma di base, in questo caso, è costretta ad assumere tratti retorici: un anello che "idealmente unisce tutte le religioni nel respingere, allo stesso tempo, ogni diversità". Il cerchio, eletto a forma di base per una possibile connessione equa fra le religioni, diventa il luogo della densificazione del programma e degli spazi annessi a ciascun luogo di culto. In oltre, la sua struttura di punti equidistanti dal centro, consente la formazione di uno spazio centrale comune a tutte le religioni a disposizione per un dialogo comune. Il cerchio quindi, forma di partenza del processo progettuale, pare essere l'unica soluzione capace di consentire l'aggregazione di funzioni diversamente incompatibili.

In The Holy Hills in Arles, la forma iniziale guida quasi in toto il processo formattivo del progetto e non viene modificato sostanzialmente dalle condizioni esterne ad esso. Questo aspetto è probabilmente da attribuire al fatto che le condizioni esterne alla forma base, come le forze rotanti suggerite dal movimento elicoidale del Moulin Rouge o le direzioni dei flussi di una città dinamica come Londra sulla Adaptable Gallery, sono in questo caso, tenute in considerazione con maggiore controllo e minor libertà d'azione all'interno dell'interazione concept-forma che contraddistingue i lavori di Vultaggio.

Questo aspetto risulta ancora più immediato se si considera la necessità di stabilire un rapporto paritario tra le parti del progetto e le diverse zone di culto. In sostanza, essendo le condizioni esterne alla forma originaria equivalenti tra loro, nessuna di esse è stata in grado di dirigere il progetto verso una modifica sostanziale e particolare della forma. Il risultato è che la forma originaria di progetto è rimasta pressoché invariata nella sua sostanza.



SPECULAZIONI. Nel lavoro di ogni architetto esiste necessariamente un equilibrio tra concept e forma. I casi possibili e gli approcci dei singoli sono molteplici e non verranno trattati in questa sede. Ad ogni modo questo equilibrio può manifestarsi a volte in due direzioni diverse. Esistono forme a priori da cui viene determinato un concept ex-post. Molta della produzione olandese supermoderna degli ultimi anni potrebbe rientrare in tale ambito. La fase finale del progetto è definita sin dall'inizio del processo progettuale per controllarne gli effetti sul mercato. In questo caso la forma finale coincide con quella iniziale. Il render di presentazione prodotto è molto simile al progetto realizzato. In altri termini, il progetto costruito si fonda su un'immagine decisa sin dall'inizio. A questa forma, assieme finale ed iniziale, manca la profondità di un concept, il quale viene determinato ex-post. Un esempio che ho utilizzato più volte è la questione della struttura formale ad albero. Esistono poi situazioni in cui la forma segue il concept. È questo il caso di quei progetti che, nelle mani di progettisti esperti e dotati di eleganza, danno luogo ad architetture eleganti. Nei casi peggiori a un buon concept segue una forma che non è alla sua stessa altezza. Ad ogni modo, questo approccio alla progettazione implicherebbe una maniera classica di procedere. Il momento della scoperta della forma è succedaneo al momento del pensiero. L'architettura in questa sua accezione fornisce un set di strumenti che aiutano l'uomo a dar forma un fatto culturale.

Il lavoro di Vultaggio sembra proporre invece una mediazione consapevole tra le due tendenze. Le forme attraverso le quali i suoi progetti si esprimono sono studiate con il processo logico-grafico descritto in precedenza, ma vengono modificate in base al gusto del pubblico in fase finale (quella "dell'adattamento"). Le forme sono accattivanti ed intriganti, caotiche, indefinite o, per meglio dire, non terminate al punto giusto perché generino interesse. Vultaggio conosce quanto e quale sia l'effetto del coup de théâtre nella architettura contemporanea e pare dimostrarsi assolutamente cosciente in merito usandole nelle sue architetture. Rifiuta a ogni modo le forme per sé (analogamente al primo atteggiamento progettuale descritto); le produce seguendo il suo "protocollo progettuale" ma ne media gli effetti finali. Ad ogni modo, proprio perché consapevole dei meccanismi mediatici che governano la società, sceglie di non celare le sue scelte formali dietro a sipari dipinti con tinte intellettuali o artistiche in senso popolare. Non camuffa il blob spiegando che le sue architetture diventano liquide perché è la società ad essere nello stesso stato citando, un po' inconsciamente, la serie di pubblicazioni di Bauman.

Vultaggio accetta le regole del gioco ma si riserva di non costruire delle forme fini a se stesse. Il suo impegno sta nel cercare di impregnare di significati quelle forme vuote. Il citato progetto per il Moulin Rouge sarà presentato alla fine del suo processo come una grande rosa capace di attirare per la sua forma e dimensione: "Its movement connected with the glare of the lights transforms itself in a scorching vortex, a magic sphere which continues to charm". Vultaggio dimostra di essere attento all'importanza dell'immagine nell'architettura contemporanea e ne fa largo uso nelle sue architetture pur rifiutando di accettare una forma aprioristica. La forma è generata secondo un processo di indagine interna dell'architetto e viene quindi caricata di significato nella sua fase finale. Le immagini scelte sono tuttavia usate per veicolare in modo esteso (al pubblico fruitore) un processo formattivo ben preciso che, come spiegato in precedenza, è il risultato di una forma di base resa complessa dalle condizioni al contorno. L'uso dell'immagine finale è in questi progetti onesta e semplicemente utilizzata per la sua funzione principale: quella di rimandare ad una serie di significati in accordo con il tipo di architettura. Nel Moulin Rouge, per seguire l'esempio, l'immagine finale forte e provocatoria di una grande rosa rossa, svolge una funzione chiara e lineare come quella di attirare gli avventori in un famoso locale di intrattenimento, così come il mulino faceva alla fine del diciannovesimo secolo.

Il lavoro di Vultaggio è quindi una ricerca non fra le forme possibili attraverso le quali un concept può essere espresso, ma piuttosto un'indagine sul come conferire senso ad una forma-risultato. Di fatto, le architetture che scaturiscono dai suoi lavori sembrano fuggire la forma intesa meramente come simbolo o dogma. Essa non è il perno attorno al quale il progetto viene sviluppato, è piuttosto una consapevole conseguenza. Il suo è un tentativo di mostrare quali significati una forma può ancora avere per l'architettura al di là del suo effetto, del suo uso superficiale e meramente (estetico-) gastronomico, come definirebbe Eco. La forma ha ancora un senso più ampio di quello bidimensionale che l'immagine gli affida. Negli ultimi anni, in cui molte delle architetture prodotte propongono delle forme concepite come immagini e delle architetture pensate per essere degli effetti, il lavoro di Giuseppe Vultaggio può rappresentare un consapevole punto di vista sul rapporto tra concept e forma.

Silvio Carta
sc@scarta.eu
Architecture, diagrammi e disegni pubblicati in questa pagina sono di Giuseppe Vultaggio; i modelli di Modelab; le foto di Florindo Ricciuti.
> GIUSEPPE VULTAGGIO

 

 

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