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Lanterna Magica

Un professore in libera uscita



  "Io ringrazio il ministro Moratti non per avere escluso storia dell'arte dall'insegnamento scolastico, ma per averla dimenticata. Il suo è un merito inconsapevole e passivo. Mi spiego: i valori dell'arte e della bellezza devono coincidere con la più lussuosa delle libertà: la libertà del piacere. Molti di noi, che amano la pittura, la scultura, l'architettura, sono piuttosto distratti dalla fisica, dalla botanica, perfino dalla matematica; quando non assolutamente ignoranti... Ha in realtà ragione Perec quando scrive che alcuni verbi, pur non essendo grammaticamente irregolari, non consentono l'imperativo. Amare. Sognare. E anche leggere. Come dire a qualcuno: «Ama!», «Sogna!»? Nulla di peggio per la poesia che essere «materia scolastica obbligatoria», argomento di interrogazione (verifica non molto diversa dai quiz). Il risultato è che nessuno, se non per ragioni professionali, dopo la scuola dell'obbligo legge Petrarca, Ariosto Tasso, Parini, Manzoni, Alfieri; neppure Boccaccio. E vedi che fine ha fatto la «Cavallina Storna»! Sarà la difficoltà della lingua letteraria. Ma sarà, forse, soprattutto l'essere stati costretti a leggere senza una curiosità o uno stimolo individuale. Così si è ucciso Manzoni di cui nessuno credo abbia comprato i «Promessi Sposi» se non come «libro di testo»: ovvero l'opposto di libro... Ringraziamo la Moratti che, senza volerlo, ha lasciato in libertà i nostri amatissimi artisti... Cosa direbbe De Seta, sapendo che l'arte è (per un tempo che supera la nostra vita) come la bellezza (troppo più breve) di una donna, se lo volessero costringere a fare l'amore? Ecco: l'unico rapporto possibile con l'arte è un rapporto amoroso... Così va il mondo."
Vittorio Sgarbi, in "la Repubblica", 11 febbraio 2002, "Brava Moratti studiare fa male. Risposta a De Seta sulla storia dell’arte trascurata a scuola".



E così ha fatto bene la professoressa Moratti (dice il professore Sgarbi) a infischiarsene dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole.
Poiché la logica non rientra tra le cose che si richiedono oggi ad un sottosegretario alla cultura non mi sognerò neppure di sottolineare che lo stesso discorso che il professore Sgarbi fa a proposito della storia dell’arte vale, punto per punto, per ogni altro argomento.
Ogni altro.
Dall’antropologia alla statistica, dalla storia della matematica alla pratica del punto a croce, dal rock and roll alla geografia astronomica.

Perché se di "amare la storia dell’arte" non si può fare un obbligo, non si può neppure ordinare "ama la matematica" né "ama la storia e la geografia".
E potremmo, se il sottosegretario alla cultura fosse conseguente (ma come si fa a chiedere tanto...), cominciare subito con lo sbaraccare il suo ministero: infatti chi ama ama e chi non ama non ama, e se la cultura non la si insegna a scuola meno che meno la si può ministerializzare.

Ma il sottosegretario alla cultura, tende, come ogni vero professore, a mettere la sua materia d’insegnamento (o quella che lui è convintissimo essere la sua materia d’insegnamento e che, nel caso, sarebbe la storia dell’arte) sul piedistallo del Santo, del Sacro e del Monumentale (Regno iperuranio del Puro e del Bello dove le maiuscole non bastano mai e ci si aggira intronati e attoniti solo per Missione e Vocazione, mai per effrazione).

[20may2002]
Infatti della storia della letteratura la professoressa Moratti certo non s’è dimenticata, come non s’è dimenticata della matematica, della geometria, della storia e della geografia... e allora come la mettiamo con quei famosi verbi che non consentono l’imperativo? Se non lo consentono non lo consentono... com’è che "ama la storia dell’arte" non si può dire e invece si può dire "ama la storia, la geografia e la geometria"? E persino "ama la storia della letteratura".

Il professore, ahimè, s’è incartato da solo nel suo bellissimo cellophane. Perché il fatto, purtroppo, è un altro.

Anche se sempre di missione si parla, c’è chi è professore per attestazione ufficiale e chi lo è per intima e inconfessata vocazione. I primi, per ironia della sorte, sono oggi, spesso, vittime designate delle lezioni (dito alzato e occhiale sul naso) dei secondi.

Di professori in incognito la cultura italiana è sempre stata vivaio straordinario perché, enfatica, idealista e narcisista fino allo spasimo, accudisce amorevolmente ogni forma di retorica: compresa quella (che oggi è di gran lunga la più praticata) della feluca messa di sghimbescio, della manata sopra il tavolino, del toscano fianchino e della sputazzata parabolica (Sgarbi, Ferrara, Tremonti, Bossi etc.). La lezioncina del professore Sgarbi è un esempio, modesto ma significativo, di come si possa benissimo montare in cattedra con la convinzione di stare sopra un’agile giumenta e scorrazzare felici e sbarazzini col vento che libera i capelli dalla forfora. Le più trite banalità accademiche, quelle che il magister con la panza e il registro declamava alle signorine dell’istituto magistrale quando si trovava disperatamente a corto di argomenti ("i valori dell’arte e della bellezza devono coincidere con la più lussuosa delle libertà: la libertà del piacere" ere, ere, ereee, l’aula faceva eco, oppure "l’arte è...come la bellezza...di una donna" onna, onna, onnaaa , e l’aula rifaceva eco, alate parole che neppure la bidella delle medie avrebbe potuto ascoltare senza abbassare, sognante, le palpebre e convenire che anch’ella, fanciulla, ne aveva avuto sentore leggendo le poesie di Ada Negri) sono perciò spacciate come il prodotto più esaltante del libero pensiero e di una cultura coi fiocchi.

Certo, resta la consolazione di pensare, con Gerard de Nerval, che il primo che paragonò la donna a una rosa era un poeta e il secondo un imbecille (perciò Perec è salvo), tuttavia permane l’arroganza insolente di chi sbologna impunemente il rosolio di mammà al prezzo dello champagne di marca. Espediente di gran moda, del resto.

E così (sarà per via della "difficoltà della lingua letteraria"?) precipitiamo dal dirupo assieme a "i nostri amatissimi artisti" (isti, isti, istiiii... fa l’aula) che la professoressa Moratti avrebbe "lasciato in libertà" (ibertà, ibertà, ibertààà...) e ci spiaccichiamo sul mercato sottostante, sepolti da caterve di video cassette dove un tarallo senz’arte né parte compita i poeti e taralleggia sui pittori e di libretti da comodino farciti di citazioni note.

È, come dice il nostro professore, un "volgare espediente", dunque, che con lo studente si discuta degli angeli del Guariento o di Piero della Francesca, non è volgare, invece, che i cervelli delle commesse vengano imbottiti di billets doux riciclati dalle confezioni dei cioccolatini (dietro compenso perché col libero mercato smettiamo di colpo di essere sentimentali, qui non si scherza, altro che "ama e non ama, la Donna, l’Arte, i Valori della Bellezza, il Cavalierato, la Rava, la Fava" e bischerate simili: dare soldi, vedere cammello come dice il professor de’ professori).

Questa, insomma, è la dura temperie del piazzista. Ciò che solo la famosa vita vissuta e il libero mercato possono insegnare! Come dicevano "i nostri amatissimi artisti" (isti, isti, istiii...): oggi qui domani là, senza limiti e confini, l’oro l’argento e le sale da tè, splendido e splendente.
Capito l’antifona?

Il tutto patinato a dovere da quel ribellismo bohemien-bourgeois all’acqua velva che ogni piccolo snob col conto in banca acquista la mattina in edicola assieme alla sua copia quotidiana de "Il Foglio" ("eh si cavissimi! Io in vealtà sono anavchico, anavchico e futuvista, mica cazzi! Anche se voto pev il cav. poi faccio la fvonda...siamo tutti spiviti libevi noi...Stovace, Gaspavvi, ev pecova...è tutto un tuffo nella vealtà veale... o nooo?").
La tvagedia, pardon, la tragedia dell’Italia di oggi non è che i professori di liceo facciano i professori di liceo, ma che quelli che avrebbero dovuto fare i professori di liceo, per uno scherzo del destino, si ritrovino a fare i sottosegretari alla cultura.

Perché una cosa è sicura, un professore che sa di essere un professore e cerca, in primis, di imparare a farlo e, poi, di farlo meglio che può, non fa male a nessuno: che provi a mostrare a un ragazzo un quadro di Klee o gli spieghi il teorema di Pitagora. Perché anche ad amare si può apprendere, cosa che i sentimentaloni da rotocalco non capiranno mai.
Ma un professore che si crede un vate e che ha dell’arte una concezione così zuccherosa e obesa è un pericolo pubblico, perché, convinto di essere un cavallerizzo sopraffino, lungi dal tenersi ai tratturi come dovrebbe, scorrazza all’impazzata, schianta fienili e spiana i raccolti di intere stagioni.

Lo vedete, ora, che fine ha fatto la Cavallina Storna?
Così, proprio così, va il mondo.

  Ugo Rosa
u.rosa@awn.it
 
> LANTERNA MAGICA

la sezione Lanterna Magica
è curata da Ugo Rosa


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