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Lanterna Magica

Anagrammi



Un lettore, in una email non firmata che ho ricevuto qualche giorno fa, lamentava (a proposito del pezzo su Koolhaas) che il mio volgarissimo scritto, forse, sarebbe andato bene per "La settimana enigmistica" ma che mai al mondo avrei dovuto permettermi di pubblicarlo in una rivista d'architettura.

[27jul2002]
Ci ho pensato molto, anche perché la cosa mi lusingava (e si capisce: candidato alle pagine che furono del mitico Piero Bartezzaghi...) però, evidentemente, non sono un buon risolutore di rebus e ancora non mi è chiaro che cosa quella pudicissima, deliziosa e classica palestra per enigmisti abbia da spartire con la volgarità in generale, e con quella della mia povera scrittura in particolare. Tuttavia, si sarà capito, adoro trovarmi dalla parte del torto e vorrei dare all'affermazione di questo detrattore del cruciverba (e, simmetricamente, della mia prosa) una giustificazione postuma, perciò vi propongo un anagramma.

Si tratta di un anagramma così semplice da risultare banale. Stefano Bartezzaghi (il figlio del Piero di cui sopra e anche lui, lo sapete, enigmista sopraffino) ne sarebbe, presumo, assai deluso, ma qui si fa quel che si può.

Perciò prendiamo la parola "conversare". Tutti noi sappiamo quello che vuole dire: parlare con una o più persone in modo piacevole e in tono cordiale, dal latino conversari, trovarsi insieme. Ogni parola, sapete, ha le sue gambe e se ne va dove le pare ed è meraviglioso che da questa venga fuori l'eteronimo "Oscar Verne" in cui, appunto, "si trovano insieme", offerti al mio grato stupore, il nome ed il cognome dei due scrittori che, nella mia adolescenza ho amato di più e che ancora oggi adoro: Oscar (Wilde) e (Jules) Verne... ma non è questo l'anagramma cui volevo invitarvi. Ve ne offro un altro, più tenue: per ottenerlo basta che lasciate scorrere sui binari della parola stessa la quarta e la settima lettera, di modo che si dispongano l'una nella casella dell'altra. Dalla parola "conversare" otterrete così la parola "conservare".

Attraverso una minuscola scossa che provoca lo slittamento reciproco di due lettere, si verifica insomma una mutazione semantica profonda e imprevedibile, tale da restituirci una parola che appare per molti versi irriducibile alla prima. Una indica il trattenere, l'altra il confrontarsi. Sv-Vs; servus e versus. Le due parole sembrano rimandarci, con un gioco di specchi, da un'identità apparente ad una differenza radicale. Conservare-vs-conversare. Conservare impone un movimento speculare a quello che conversare richiede. Se, infatti, non si dà conversazione se non fra differenti è ugualmente vero che si tratta di differenti che si mettono in gioco e che, conversando, non devono conservare nulla in quanto "dato" una volta per tutte.

Non è, certo, improbabile che, conversando, ciascuno conservi la sua opinione ma deve restare possibile che la cambi. Oppure non si dà conversazione. Già questo frantuma il "dato" che, viceversa, sembrerebbe costituire proprio l'oggetto del conservare. Naturalmente anche chi conversa deve conservare qualcosa ma è un tratto, questo, che assume in tal caso i caratteri del paradosso. Chi conversa infatti non conosce in anticipo cosa potrà conservare e perciò, intanto, non trattiene nulla, si pone tutto in gioco. Certo: conserverà, il conversatore, la sua identità ma solo in quanto questa appare fuori discussione.

Ciò che in ogni caso si conserva è, appunto, ciò che non si discute.
Quel punto su cui, cioè, non esiste possibilità di conversazione.
Ecco, conversare sembra ribaltare ogni "dato" in possibilità. Conservare, viceversa, ogni possibilità in "dato".

Per questo ritengo che chi conserva non conversa, in realtà non può farlo. E d'altro canto mi pare ugualmente vero il contrario, a chi conversa (e in quanto effettivamente conversa) non è dato contrarsi nel gesto di trattenere. Non conserva, perché in realtà non può farlo. Conversare è offrire una dimora al possibile, ospitare la differenza e, prima ancora, costruirla. È, esattamente, un procedimento costruttivo.

Non è a questo che, conversando, richiamiamo chi si abbandona alla pura invettiva o alla chiacchiera? Ad essere, appunto, "costruttivo". È solo conversando che le differenze divengono possibili e che sono edificate nel frattempo le modalità della loro convivenza. Ma, in senso inverso, potremmo affermare che ogni procedimento costruttivo, e l'architettura in primo luogo, si esplica attraverso modalità conversative, perché ogni costruzione dà vita al possibile.

Si costruisce infatti non solo "nel" mondo ma, soprattutto si costruisce "il" mondo. O uno dei mondi possibili. E, chi costruisce, si mette in gioco e conversa: non conserva (se non quel poco d'identità che gli serve da lanterna, per non perdersi) perché in realtà non può farlo. Così, conversando con la polvere e con le stelle, con se stessa e con l'altro (o con se stessa come altro) l'architettura ha sempre costruito mondi altri e possibili.

Dovrà continuare a farlo conservando l'unica cosa che è fuori discussione, la sua identità? Continuerà cioè ad essere costruzione?
Oppure cesserà di conversare e conserverà ogni "dato" fuorché quell'identità che la rimette a se stessa?

Per quanto sia confortevole figurarsi scenari d'amore e di pace in cui l'architetto, benefico citrullo new age, si metta a disegnare architetture che non mettano in discussione ciò che l'epoca pensa di se stessa e del suo "ambiente", saltelli acchiappando farfalle in una natura, magari vetrificata o cristallizzata, ma mai (per carità!) cementificata (e comunque sempre e assolutamente "conservata"). Per quanto si possano immaginare bolle di sapone giganti e forme fluide che, in maniera sognante, si adagino tra i colli e i prati e non rompano i coglioni (bip, censura, il benpensante si tappi le orecchie se no gli cadono) al fotografo di paesaggi (forme, va da sé, dotate di quella meravigliosa complessità un tanto il chilo che oramai il computer consente a qualsiasi imbecille in vena di genialità). Per quanto (prendendo posizione, alla partita, nell'altra curva della tifoseria architettonica) si possa cospargere il centro antico di scalette e di muretti che stiano lì "come fossero sempre esistiti" e di cui nessuno, fuorché un altro ineffabile citrullo, s'accorge. Per quanto, insomma, gli architetti urlino slogan fino a sgolarsi da una parte all'altra dello stadio globale e proclamino di possedere "un cuore e una fede" (bianconera, nerazzurra, rossonera, giallorosa) resta la durezza di quest'ineluttabile scelta che non riguarda, come si crede, solo le soprintendenze o qualche nostalgico scimunito che preconizza il ritorno del lume a gas e della fontanella, ma chiunque pratichi architettura, ad ogni livello: conversazione o conservazione?
E dunque: architettura o conservazione?

  Ugo Rosa
u.rosa@awn.it
 


P.S.
Se a qualcuno interessa, la soluzione del rebus illustrato è: P arti; cella A; tomi CA = particella atomica.
> LANTERNA MAGICA

la sezione Lanterna Magica
è curata da Ugo Rosa


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