|
|
In una
città come Palermo la neve sarebbe un evento insensato. Non
solo per fortuite questioni climatiche. Il mangiatore di "stigghiole"
e il degustatore di "pani c'a meuza", qualora l'evento si
verificasse, scioglierebbero il manto nevoso con l'imposizione di
una sola occhiata. Per quanti sforzi faccia, nella mia mente gli strati
superficiali della nevosità, a Palermo, assumono immediatamente
coloriture giallastre, come d'orina, mentre la fantasia provvede subito
a trasformarli in rivoli nauseabondi che spontaneamente convogliano
verso quel che rimane del fiume Oreto, che di Palermo è il
pisciatoio.
Ma è inutile indugiare in questo pensiero abominevole. Non
può nevicare a Palermo (e non vi fate prendere in giro, le
due o tre volte che è successo la neve era finta, fornita in
bidoni da trecento litri dal laboratorio scenografico del Teatro Massimo
e finanziata dal Comune come evento culturale). Palermo è una
città troppo untuosa perché la neve vi possa attecchire.
Si scivola attraverso le sue strade come su longarine bene ingrassate
mentre la neve ha bisogno, per far presa, di città secche,
asciutte. Se invece si radesse al suolo il capoluogo siculo e poi
si scavasse, si troverebbero strati geologici intrisi d'unto fino
a profondità inimmaginabili. Insediamenti paleolitici nei quali
veneri di Willendorf dalla natiche debordanti friggevano panelle senza
requie, grotte con le pareti affumicate dalle esalazioni dell'olio
rifritto.
Nell'era glaciale, tra Bagheria e Punta Raisi, dovevano essersi stabilite
condizioni microclimatiche tropicali. Perché l'aplomb
dell'odierno indigeno panormita che (canottierino Dolce e Gabbana
arrotolato sopra l'ombelico per abbronzarsi la panza sporgente, occhiale
da sole marchiato Armani, sandalo con calzino alla caviglia e pantaloncino
cachi Calvin Klein) attraversa, tutto firmato, il delirio barocco
di via Maqueda per spostarsi da un mandamento all'altro a fare una
colazione leggera a base d'insalata di lumache, aglio e prezzemolo
è un raggio di sole in grado di liquefare i ghiacciai. E, siccome
il sangue non è acqua, mostra ascendenze aristocratiche ed
un albero genealogico che non può certo risalire all'altro
ieri.
Il clima, dunque, non fa che attestare rassegnatamente quello che
la città è e "l'ambiente naturale" che la
circonda risulta, infine, ciò che la cultura della città
ha prodotto, produce e produrrà. Lo so che il solito intelligentone
mi dirà che non è vero, che le cose stanno proprio all'opposto
e che io racconto balle. Ma il fatto è, pensatela un po' come
vi pare, che la natura in fondo conosce una sua misteriosa giustizia.
Per esempio, è profondamente giusto che uno come il tizio che
vedo in televisione e che ha la spudoratezza di affermare che "la
canzone napoletana si ascolta col cuore" abbia poi la faccia
da culo che ha. Eppure io, che sono un uomo di scarsa fede, per anni
mi sono chiesto, vedendolo sul teleschermo o fotografato sopra le
riviste (infatti si tratta, l'avrete capito, di una celebrità)
perché mai avesse proprio quella faccia.
Non avevo capito nulla.
Bisogna avere più fiducia nella natura perché lei, da
magnifica puttana qual è, si adegua al cliente con perfetta
imparzialità. Gli si disegna sopra, a immagine e somiglianza.
Esiste, insomma, perché esiste l'avventore.
Sarà per questo che alla fine della consumazione si paga?
Ugo Rosa
u.rosa@awn.it
|
|
|