[urbanistica
parallela 4] Gesualdo Verdolesi e le terrazze d'Inzia |
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Erastus Salisbury Field. Historic Monument of the American Republic, 1867-1888. |
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Quando
Verdolesi realizzò le Terrazze d'Inzia aveva settant'anni, ed
una serie impressionante di costruzioni alle spalle. Architetto mediocre, individuo insulso, umile con i potenti e prepotente con gli umili, corrotto, avaro, capace d'ogni bassezza e di qualunque crimine pur di accrescere il suo potere, riuscì, sin dai quarant'anni, ad imporre il suo incontrastato dominio professionale su Inzia. Per un trentennio non si costruì praticamente nulla, in città, senza il suo benestare. Architetti come Raimondo Terzieri, Venanzio Troghi, Giacco e Carminio Bertelli ed altri ancora furono ridotti alla fame e costretti ad emigrare o a dedicarsi, per sopravvivere, alla redazione di ponderosi e, sfortunatamente, non dimenticati trattati d'architettura. A Teofilo Guarnieri, il leggendario architetto morto a soli ventotto anni, che ebbe la sventura di nascere e morire in quel triste periodo, fu sadicamente concesso di costruire una sola opera: un orinatoio pubblico, cui tuttavia il giovane genio seppe, purtroppo, inestricabilmente legare la sua rinomanza (oggi, trasformata in monumento e soggetta a vincolo, l'opera lo ricorda ai posteri e ne preserva, impietosa, la fama nei secoli). Nel frattempo Verdolesi ed i suoi protetti si dedicavano con esasperante metodicità a modificare il volto d'Inzia, la quale, con la sua straordinaria capacità d'amalgama, non solo non fu deturpata da tali interventi (sempre discutibili, interessati, cinici e perlopiù diligentemente aborriti dai benpensanti) bensì ne accrebbe la sua bellezza, come oggi ognuno è costretto a riconoscere. Le Terrazze di Inzia, l'ultima opera di Verdolesi, furono anche il suo inconsapevole capo d'opera. Inconsapevole, diciamo, perché le Terrazze così come oggi la vediamo hanno poco a che vedere con la concezione originaria dell'autore. Quando si iniziarono i lavori, infatti, Gesualdo Verdolesi cominciò a rendersi conto che in cantiere si verificavano strani accadimenti. Appena effettuati i primi tracciamenti, per esempio, egli si accorse di evidenti incongruenze tra il suo progetto e quello che le maestranze avevano iniziato a segnare sul terreno. Fece allora ripetere i tracciamenti e ne verificò di persona l'esattezza, ma nel corso della notte vennero di nuovo apportate delle distorsioni nella perimetrazione che ne rimisero ancora in questione la rispondenza ai disegni di progetto. A questo punto Verdolesi, che aveva assunto in proprio la responsabilità della costruzione, decise cinicamente che non era il caso di perdere altro tempo e diede inizio comunque ai lavori, che proseguirono così su binari del tutto imprevisti. Ma le misteriose modifiche non cessarono, ed il progetto continuò a mutare giorno dopo giorno, nei dettagli non meno che nella concezione generale. Verdolesi accettava tutto senza battere ciglio, limitandosi soltanto a governare quella deriva. Cosa accadeva in quel cantiere? La verità si conobbe solo molti anni dopo. Le maestranze, stanche dell'arroganza e dei maltrattamenti cui l'architetto le sottoponeva, si erano ribellate ed avevano deciso di boicottare la costruzione, sbagliando deliberatamente l'esecuzione dei lavori. Ma i maestri muratori e artigiani d'Inzia non avevano fatto i conti con la loro invincibile maestria così, loro malgrado, sbagliando consapevolmente produssero inconsapevolmente quel capolavoro che mai Verdolesi sarebbe stato in grado di progettare. |
[16mar2003] | |||
Dobbiamo
tuttavia, quantomeno, dare atto alla diabolica intelligenza del Verdolesi
se le Terrazze furono costruite. Non è dunque ingiusto che il
suo nome resti per sempre legato ad esse. Ugo Rosa u.rosa@awn.it |
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