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Si tratta
di un piccolo trattato di architettura, in versi endecasillabi, che
ho reperito per caso, qualche tempo fa, nella bancarella di un venditore
ambulante di libri.
Non so a quando lo scritto risalga, so solo che esso si presenta sotto
forma di fogli sparsi e ingialliti (di uno strano formato: quindici
per trenta centimetri).
È scritto a mano, con un inchiostro verde leggermente annacquato,
una grafia chiara, piuttosto rotonda ma inclinata verso destra.
Non saprei neppure dire quando sia stato compilato.
I fogli, non rilegati, sono raccolti dentro una carpetta nera legata
con un elastico a fettuccina, anch'esso nero, e non riportano alcuna
data.
Sul risvolto interno della carpetta (giallo ocra, con macchie di inchiostro
nero e di umidità) sono siglate, con il medesimo inchiostro
verde, le iniziali A.B. ma, a parte questo, non c'è altro che
ne identifichi l'autore.
L'ambulante non mi ha saputo dir nulla circa la sua provenienza, mi
ha solo detto di averlo trovato in mezzo ad una partita di vecchi
libri che aveva acquistato un paio di mesi prima per rivenderli al
minuto.
Ho pensato di utilizzare questo spazio che ARCH'IT mi mette, gentilmente
e con infinita pazienza, a disposizione, per pubblicarne alcuni estratti.
Io non li trovo privi di interesse e mi auguro che anche i miei pochi
lettori siano dello stesso parere.
Naturalmente, se l'autore fosse ancora tra noi e volesse farsi sentire
ne sarei lieto; sarei anzi felicissimo di conoscerlo e, qualora me
lo richiedesse, di restituirgli personalmente il manoscritto.
Accompagnerò la pubblicazione del testo ad alcuni brevi commenti.
Nient'altro che note di lettura.
***
Inizio
subito proponendovi quelli che, a mio avviso, sono i versi d'apertura
della raccolta (ma si tratta di una semplice supposizione, dal momento
che i fogli non sono numerati):
Gradus ad Parnassum
Le
porte accosteremo, e le finestre
fino a tenere solo un interstizio.
Osserveremo il dove, il come e il quando
del sole mattutino e della sera,
(riducendo la vista all'essenziale
e a nulla l'utilizzo delle scale)...
Finché, inesperto e giovane architetto
ligio al dovere della mattonella,
ti sarà chiaro, infine, ed evidente
che la tegola, ahimè, non serve a niente.
Già
il titolo di questa velocissima introduzione appare come una dichiarazione
d'intenti: "Gradus ad Parnassum".
Il richiamo didattico (è questo, com'è noto, il titolo
del più celebre corpus di esercizi per lo studio del pianoforte,
redatto da Muzio Clementi) è, insieme, esplicativo e ingannevole.
Esplicativo, perché, come ogni trattato di architettura, anche
questo, in fondo, sembra proporsi di accompagnare il lettore attraverso
un percorso che dovrebbe condurlo alla edificazione. Ingannevole perché,
in realtà, esso non si occupa in nessuna porzione del percorso
(e lo dichiara subito) né di calce, né di mattoni. Così
come non si occupa di tutto quello di cui, nel corso dei secoli, si
sono occupati gli altri trattati di architettura.
L'edificazione non lo riguarda.
Parla d'altro: chiaramente e sin dal principio.
L'intento didattico, dunque, se c'è, non appare rivolto a confermare
il lettore (l'allievo, il discepolo, il complice) in quella "disciplina"
nel cui "specifico" egli, il più delle volte, già
si voltola come un maiale.
Al contrario l'autore addita con discreta precisione quell'attimo,
forse non conclusivo ma sicuramente decisivo, in cui all'inesperto
e giovane architetto (cui l'indicazione è rivolta, essendo
gli altri, evidentemente, più incalliti nella procedura e perciò
del tutto irrecuperabili) "...sarà chiaro, infine,
ed evidente / che la tegola, ahimè, non serve a niente";
dove la tegola è, evidentemente, sineddoche per l'edificazione
nel suo complesso.
In
altre parole la propensione didattica del trattato è, insieme,
richiamata e immediatamente rigirata su se stessa attraverso la sprezzatura
di ciò che il discepolo suppone edificante e immagina di dovere,
per questo, apprendere in fretta e diligentemente.
In fondo ciò di cui si tratta è null'altro che la messa
in questione dello stesso discepolo.
Il che, tra l'altro, risulta delicatamente sottolineato dal modo,
diretto e colloquiale con cui B si rivolge appunto, nei versi settimo
e ottavo al presunto discepolo... definendolo, non senza ironia "ligio
al dovere della mattonella".
Il carattere sottilmente paradossale di questa introduzione affiora,
per altro, nel gesto di chiusura con cui il testo, paradossalmente,
si apre:
"Le porte accosteremo, e le finestre".
Non siamo ancora entrati che già ci si propone di accostare
porte e finestre e di accomodarci nella penombra!
Il
fatto è che per B (da ora in poi mi riferirò all'autore
con quella che presumo essere l'iniziale del suo cognome) accostarsi
all'architettura non implica l'apertura o, peggio ancora, il disvelamento
di quest'ultima ma, al contrario, il semplice rilevamento del suo
mistero, accolto e praticato in quanto tale. B non ha, così
sembra, alcun mistero da svelarci perché si trova, sin dal
principio, dentro quel mistero e non vuole uscirne, anzi neppure lo
può.
Il suo punto di vista è dunque tutto interno all'architettura
stessa.
B non si pone "davanti" all'architettura, non inizia il
suo trattato attraverso una esegesi o una descrizione dell'architettura,
piuttosto vi si ritira "fino a tenere solo un interstizio"
ed è da quest'unico interstizio che osserva.
Ma non contempla l'architettura (e come potrebbe, essendone parte...)
bensì percepisce, da dentro l'architettura, il vasto mondo
là fuori. L'osservare attraverso un interstizio, inoltre, pone
immediatamente fuori questione l'ansia totalizzante del contemplatore,
che tutto comprende sotto il suo sguardo e dispone invece alla pratica
sottile e parziale della vastità del poco.
È vero, dunque, che B ci propone un trattato ma è un
trattato che non appare scritto da un teoros.
Qui non c'è alcuno spettatore contemplante l'architettura,
che la analizza, la viviseziona, la interpreta, sempre arrogantemente
persuaso di doverla "comprendere" e mai di lasciarsene comprendere.
C'è un abitatore compreso dall'architettura e immerso in essa...
Ma come questo viaggio (che ad occhi superficiali sembrerebbe concluso
ancor prima di cominciare) prosegua, lo scopriremo insieme in un'altra
occasione.
Ugo Rosa
u.rosa@awn.it
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