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Lanterna Magica

La scoperta di un trattato inedito d'autore ignoto – 6

Materiali dell'architettura: l'acqua




Frank Lloyd Wright, Fallingwater, 1935-1937. Luis Barragán, Gilardi house, 1975-1977.


L'acqua

Colma, l'acqua, l'anfratto ed il bicchiere,
fredda e stellata, in esaustivo amplesso.
Confine di seta, abita il bere
e, trasparente, esiste solo in esso.

Non l'ho mai vista, non la posso avere,
mi sfugge sempre: balenio convesso
nel cui sussurro s'addensa un tacere
vecchio e nodoso, ostinato e spesso.

Su lei rifletto e me, riflesso, vedo
ma se mi cerco trovo terra e cielo
l'uno all'altra tessuti in tenue velo.

Ipotesi improbabile a cui credo
come si crede al vento; questo dio
che passa tra le foglie in un brusio.



Una delle prime manifestazioni dell'intelligenza speculativa fu la meravigliosa affermazione che ogni cosa è fatta d'acqua. La dobbiamo a Talete, il quale affermò pure che la terra intera galleggia sull'acqua.
Se la terra galleggia sull'acqua (ed essa stessa è fatta d'acqua...) se persino l'aria non è che acqua, noi ci troviamo a trascorrere (il termine acquista in precisione) la nostra esistenza in una sorta di liquida e azzurra placenta attraverso la quale osserviamo, parliamo, deambuliamo (in realtà nuotando): noi stessi null'altro che acqua. Ciò a cui ci riferiamo oggi con la parola "spazio" sarebbe dunque, in questo primo pensiero, solo acqua, ed acqua tutto quanto in esso trova luogo.

Così scrive Aristotele: "Talete... dice che quel principio -il principio, cioè, di tutte le cose- è l'acqua (per questo afferma anche che la Terra galleggia sull'acqua), desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è umido, e che perfino il caldo si genera dall'umido e vive nell'umido. Ora, ciò da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse dunque questa convinzione da questo fatto e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l'acqua è il principio della natura delle cose umide".

Si tratta di un pensiero, insieme, selvatico e raffinato che tiene quasi la storia a distanza. Esso sembra scaturire dalla roccia più antica dell'umanità, quella nei cui anfratti si annidano i muschi più segreti e odorosi. Gli strumenti che lo stesso Aristotele utilizza per esaminarlo appaiono troppo ricercati e, insieme, eccessivamente rudimentali. Io non credo che Talete abbia "desunto" questo pensiero, perché esso non è un pensiero "secondo". Occorre pensarlo d'un colpo o non pensarlo per nulla. È un tuffo nel mare, mentre da Socrate in poi, si preferisce, prima d'entrare a mollo, bagnarsi poco a poco. Acclimatarsi, per così dire. Gaston Bachelard, più di duemila anni dopo, ha affermato che "Le antiche cosmogonie non organizzano pensieri, sono audacie della rêverie e per dar loro vita bisogna imparare nuovamente a sognare" e, dopo, ha scritto anche, citando Franz Von Baader, "La sola prova possibile dell'esistenza dell'acqua, la più convincente e la più intimamente vera è la sete".

Il primo sogno dell'uomo riflettente è stato proprio un sogno d'acqua. Una riflessione, naturalmente, che fu anche un riflesso: il sogno che l'universo intero fosse fatto di una materia la cui esistenza non può essere afferrata e posseduta da nessuno dei nostri sensi. Da qui il riflesso, appunto, che l'universo fosse della stessa sostanza dei sogni. Ora, nella sezione del nostro trattato anonimo dedicata ai materiali dell'architettura l'acqua segue alla luce, materiale primo, e le si accosta.

È in un riflesso di luce e d'acqua, sembra dirci il trattatista, che nasce l'architettura.
Ma se, per quanto riguarda la luce, il pensiero è immediatamente accessibile ad ognuno, per l'acqua occorre rifarsi a quel sogno sognato a Mileto, sei secoli prima che nascesse Cristo. D'essere intrisi d'umidità e addirittura fatti d'acqua, per quanto la biologia l'abbia confermato, l'avevamo, infatti, dimenticato quasi del tutto. Da noi che abitiamo luoghi caldi, assetati e sottosviluppati (ciascuno ha le sue disgrazie...) di quel sogno d'acqua, in verità, qualcosa è rimasto (...e ciascuno i suoi colpi di fortuna).
Dopo tutto potrebbe non essere un caso se l'architettura che ha avuto con l'acqua il rapporto più intelligente e più poetico è stata, probabilmente, quella islamica. Un materiale fatto della sostanza dei sogni che, distillato ulteriormente nell'alambicco dell'immaginazione, diviene, grazie alla sua rarità, splendida icona della dimora e ricordo dolcissimo dei fiumi che attraversano il paradiso.

Louise Hamilton, raffinata gentildonna anglosassone (poetessa, fotografa, traduttrice dall'italiano, dal francese, dall'inglese) che si trovò per ironia del destino ad abitare proprio dalle mie parti tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento (aveva sposato a ventuno anni un signorotto locale pieno di soldi e nel 1900, infatti, tradusse in italiano un libro inglese intitolato, naturalmente, "Come essere felici pur essendo maritate"...) scrive dei miei conterranei: "Acqua: i siciliani ne bevono in grande quantità, in enormi bicchieri dal fondo piatto, capaci di contenerne mezzo litro".
Il caldo, è naturale, fa venir sete, ma direi che non è questo il punto.
Il bicchiere in cui si beve deve essere un capiente bacino non tanto per dissetarci, ma per lasciarci intrattenere un rapporto quanto più intenso e diretto possibile con la fuggevole materia che contiene: se all'interno di quel bacino ci è data la possibilità di ficcare letteralmente il naso va benissimo, non ne sentiremo, per questo, l'odore, ma ne percepiremo la sacra umidità fino al cervello e, socchiudendo appena gli occhi, magari dimenticheremo per un attimo questo sole che spacca le pietre.

C'è di più.
Succede ancora spesso, a chi abita dalle mie parti, di svegliarsi al suono di una voce di donna che, dal balcone, dice ad un'altra "...c'è l'acqua!". E subito dopo, ancora in dormiveglia, sentire che la casa comincia respirare, mentre le sue arterie si riempiono e il tufo delle sue pareti s'imbeve d'umido dopo giorni e giorni d'astinenza (perché qui non è come in Svizzera, sapete, e l'acqua arriva una volta tanto). È così che fanno i cammelli dell'Africa quando, prima di attraversare il deserto (e dopo) ne sorsano immense quantità. Ma nel nostro caso la sete c'entra di striscio. Quello che conta è, scusate le parole grosse, il rapporto rituale con il mistero dell'umidità prenatale. È forse la stessa cosa quella che il nostro trattatista ha descritto, riferendosi alla luce, come "nostalgia del nostro nulla". Riflesso d'acqua e di luce che ci precede e, forse, ci attende alla fine. Nella tradizione giudaico-cristiana acqua e luce sono in effetti i materiali primari della costruzione universale. È vero anzi che, nel libro della Genesi, Dio, all'atto di pronunciare le fatidiche parole "Sia la luce", già opera in una sorta di fangoso pastone acquatico e che da questo si potrebbe dedurre addirittura che l'acqua preesista in qualche modo alla luce (Genesi 1,2: "La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque"). È poi in un paesaggio d'acqua e di luce che si conclude il libro dell'Apocalisse: "...un fiume d'acqua viva, limpido come cristallo" (Apocalisse 22,1) presso il quale, per i beati "Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole perché il Signore li illuminerà" (Apocalisse 22,5). Sembrerebbe insomma che, anche alla fine, ci attenda una sorta di opalescenza subacquea, un azzurro lucore prenatale. Nel frattempo, sembra dirci il nostro trattatista, è bene che l'architetto pratichi con umiltà sacerdotale l'acqua e la luce e, per quello che può, ne accudisca il mistero... perché sfuggono da ogni parte, acqua e luce, proprio come il vento, e provarsi ad afferrarle è vano.

***

Nella stessa pagina del manoscritto sulla quale trovano posto i versi sull'acqua che abbiamo riportato sono scarabocchiate queste parole che, ad una prima lettura, potrebbero apparire sibilline:
"f.w. acqua a cascate ma la casa è impermeabile e muore di sete... questo yankee non sa niente dell'acqua... l'americano di sotto invece ha capito tutto... g.h. è intrisa d'acqua".
Riflettendoci, però, interpretazione della prima sigla e il senso delle prima parte della frase mi sembra abbastanza chiaro. F.w. dovrebbero essere le iniziali del nome con cui è comunemente designata la più celebre tra le architetture di questo secolo, cioè Fallingwater, e lo yankee che non ha capito nulla, ahinoi, sarebbe in tal caso proprio lui: il leggendario architetto americano il cui capolavoro più grande consistette nel riuscire a progettare se stesso come un cocktail perfettamente calibrato tra Gary Cooper e il bardo Taliesin, e cioè Frank Lloyd Wright. Un pochino più difficile, forse, l'interpretazione delle parole successive. Credo, tuttavia, di aver trovato una soluzione convincente: "l'americano di sotto" non è uno statunitense ma un architetto messicano, Luis Barragan, perciò le iniziali g.h. dovrebbero riferirsi alla sua "Gilardi House".

Il fatto è che, dopo aver letto questa fulminea noterella ed aver messo accanto le foto delle due famose architetture, con tutto l'affetto per quel caro, vecchio , mi è difficile dare torto al nostro trattatista. Voi che ne dite? Pensateci... io, intanto, per finire, vi propongo questi versi di Borges che chiudono una poesia intitolata El Sur (Il Sud):

"...haber sentido el circulo del agua en el secreto aljibe,
el olor de jazmìn y la madreselva,
el silencio del pàjaro dormido
el arco del zaguàn, la humedad
- esas cosas, acaso, son el poema."

("...aver sentito il cerchio dell'acqua
nella segreta cisterna,
l'odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzio dell'uccello addormentato,
l'arco dell'androne, l'umidità
-tali cose, forse, sono la poesia."
)

Ugo Rosa
u.rosa@awn.it

[25oct2004]

la sezione Lanterna Magica
č curata da Ugo Rosa


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