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Lanterna Magica

Ritornare allontanandosi




Giorgione, La tempesta, (1505-1510). Chu tan, Paesaggio fluviale, periodo Wu Tsung (1506-1521).



La danza della memoria
"Il ritorno è il movimento della via"
Tao te King



L'atto del ricordare è spesso associato al movimento del ritorno: "Tornare con la memoria" o "tornare col ricordo", si dice, e si assegna così alla memoria un percorso d'avvicinamento che finirebbe sempre per ricondurci a ciò da cui c'eravamo allontanati. S'immagina che, ricordando, ci s'incammini sempre sulla strada del ritorno: "I'm going home" sembra sussurrare chi ricorda.
In realtà se è vero che, in qualche modo, ricordando, noi ritorniamo all'oggetto del nostro ricordo è ugualmente vero che, nel tempo, non cessiamo mai di allontanarcene.
Ciò che ricordo continua ad allontanarsi nel momento stesso in cui lo ricordo e rimane, di fatto, irraggiungibile. Svanisce continuamente, si perde all'orizzonte.
Tornare, ricordare, non è raggiungere qualcosa da cui un tempo ci siamo allontanati, dunque, ma continuare ad allontanarci da essa pur in questo attuale, apparente, accostarci.
È proprio questo il gioco del tempo: un gioco che in realtà non consente il ritorno se non come metafora. Un gioco la cui sola regola è un continuo allontanarsi.
Ci allontaniamo, nel tempo, da quello che noi stessi eravamo ieri e che siamo oggi.
Abbandoniamo le cose alla loro deriva, e da ogni cosa siamo continuamente abbandonati alla nostra.

Il ritorno comporta sempre una decisione, un taglio appunto (da caedo, tagliare) la volontà di imporre una soluzione di continuità ed un'inversione alla trama del tempo. Decisione continuamente giocata perché nell'attimo stesso in cui decidiamo per il ritorno noi ci stiamo già allontanando dal nostro stesso decidere.
Ogni ritorno è un allontanamento e un'avventura, ogni saluto è un addio.
Tuttavia, così come a nessun luogo noi possiamo fare semplicemente ritorno, nessun viaggio è un mero allontanarsi, ma trae senso dalla forma gravitazionale del ritorno. Senza questa forza di gravità saremmo condannati ad una sospensione priva di consistenza, ad un limbo senza alcun paesaggio. Come scrive Vladimir Jankelevitch: "In che modo la Hormé (lo slancio ascensionale) potrebbe trovare nel vuoto le prese e il sostegno di cui ha bisogno per involarsi fino al cielo?". L'allontanarsi, dunque, tiene in sé il ritorno come una perla, mentre, d'altra parte, ogni ritorno rimane (dolorosamente, segretamente...) un allontanarsi.
Ritorno e allontanamento si conferiscono, reciprocamente, senso e realtà, si muovono l'uno nell'orizzonte dell'altro. Tornare allontanandosi e allontanarsi tornando, in questo consiste la danza della memoria.

Nel corso della nostra vita questa minuscola crepa temporale rimane, per lo più, invisibile. Partiamo, torniamo... i nostri viaggi ci appaiono canonici.
Ricordiamo, dimentichiamo... la nostra vita trascura i paradossi temporali e sembra procedere in linea retta.
Però, talvolta, accade che costeggiando la crepa, senza volerlo, veniamo sfiorati dalla brezza che ne promana. L'alito della memoria, allora, ci accarezza e noi rabbrividiamo.
Non è un brivido di paura, piuttosto un piccolo smarrimento malinconico che, in mancanza d'altre parole, definiamo nostalgia.
Nella nostalgia viviamo questo piccolo paradosso, ineliminabile dal nostro viaggio esistenziale, questo desiderio struggente, perché inappagabile, di "finalmente" tornare mentre sappiamo che non si dà ritorno se non allontanandosi.
Nostalgia (da nostos, che vuol dire ritorno, ed algos, dolore) è proprio il luogo in cui il ricordo giunge alla dolorosa consapevolezza di una lontananza incolmabile.
Il ricordo, che pure, come abbiamo notato, è una delle modalità del ritorno (re-cordis!) si trova qui di fronte all'impossibilità di "tornare".
Ciò lo allontana dal suo oggetto e, impercettibilmente, lo porta a non coincidere più neppure con se stesso.

Il ricordo che torna al luogo o al tempo passato, in realtà, se n'allontana e, così facendo, inscrive proprio dentro il suo movimento (che sembrava di ritorno) la cifra della lontananza.
La memoria si trova perciò, nella nostalgia, posta di fronte ad uno specchio che le rivela se stessa come impossibilità e assenza.
Per questo torniamo sempre all'ombra della lontananza e, per questo, il ritorno è solo una delle forme dell'allontanamento.
Attraverso la memoria non ci accostiamo che allontanandoci continuamente.
Ogni passo che facciamo, così, ci porta più lontano dal passato e il gesto del ritorno non è nient'altro che il gesto d'addio che danziamo, allontanandoci. Ed ecco che nella nostalgia diveniamo quasi consapevoli di questo movimento paradossale con cui noi stessi ci veniamo a mancare.

***

Nel suo libro sulla vita di corte dell'antico Giappone (Il mondo di Genji, il principe splendente) Ivan Morris ci descrive il senso di un'intraducibile parola giapponese, questa parola è aware. Cita dapprima Hisamatsu Senichi: "Lo spirito dell'aware pervade la letteratura Heian. Si manifesta nei sentimenti che ci ispira una lucente mattina di primavera, ma anche nella tristezza che ci sopraffà in una sera d'autunno. Il suo significato primario, comunque, è una delicata malinconia, che può diventare una vera sofferenza." Poi aggiunge: "Nella Storia di Genji -il libro di Murasaki cui il testo di Morris è dedicato- viene usata normalmente per esprimere il pathos insito nella bellezza del mondo esterno, bellezza ineluttabilmente destinata a svanire insieme con chi la osserva... aware non perse mai, infine, il suo semplice valore interiettivo di "Ah!"... Ogni episodio della Storia di Genji raggiunge il suo culmine emotivo in questo intreccio di godimento estetico e sofferenza. E così, quando Genji va di notte a trovare in convento l'ex imperatore Reizei, e i due gentiluomini seduti nella veranda discorrono nostalgicamente dei vecchi tempi e delle persone ormai da tanto scomparse mentre un cortigiano suona il flauto accompagnato dai grilli fra i pini e la scena è illuminata dalla luna, il senso di mono no aware è quasi insopportabile".

La parola aware (che forse non è molto lontana da ciò che in portoghese si definisce saudade...) descrive perfettamente il movimento del ricordo che, tornando, si allontana.
Nel "Paesaggio fluviale" di Chu Tan questo movimento è danzato con una grazia inimitabile.
Il nostro sguardo galleggia attraverso il dipinto lungo un percorso ondulato che, dagli uomini che conversano sulla riva in primo piano a sinistra, ci conduce alla cascata a destra, agli altri due conversatori sulle barche al centro e, sulle ali di un piccolo stormo di uccelli, ai pescatori e ai monti lontani di nuovo a sinistra per riportarci infine a destra, alla casa ed al picco lontano.
E dai due conversatori in basso che il ricordo si fa strada per tornare a casa, in quella dimora che appare tra i monti e che tuttavia rimane, nello stesso tempo, irraggiungibile.
È lì che il ricordo ci vuole, lì nella pura lontananza.
È lì che siamo chiamati e che vogliamo e dobbiamo tornare, pur sapendo che il nostro viaggio non avrà mai conclusione e che la lontananza rimarrà tale.
Negli stessi anni, forse negli stessi giorni, in Italia, Giorgione dipingeva La tempesta.
Anche qui lo sguardo si allontana verso qualcosa di lontano ed inafferrabile, verso un bagliore che si fa strada tra le nuvole, ed anche qui ondeggia tra i due lati del quadro zigzagando come il fulmine verso cui si dirige.

Anche qui si fa largo la nostalgia di una dimora e questa dimora (che è stata di tutti noi) ci è vicina, a tal punto che possiamo vederla e toccarla. Ma per quanto ci sia vicina essa rimane inarrivabile. Qui nessuno conversa, se non con gli occhi: la donna ci guarda, ma questo non la rende meno irraggiungibile, e se l'uomo che la guarda scavalcasse il torrente con un passo e la toccasse ella non gli sarebbe più vicina. La sua distanza non possiamo misurarla in centimetri: rimarrà incolmabile, per quanto ci si diriga verso di lei. Tornarci non ci sarà mai concesso: c'incammineremo sempre, è vero, ma non torneremo a quel seno, così come non faremo mai ritorno alla piccola casa sulla rupe, da cui Chu tan ci sorride, vicino eppure lontanissimo.

Ugo Rosa
u.rosa@awn.it

[06feb2006]

la sezione Lanterna Magica
è curata da Ugo Rosa


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