Balthasar
Gonsalvo, colorista-alchemico |
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Autoritratto di Balthasar Gonsalvo (rielaborazione da uno schizzo precedente di Louis-Leopold Boilly). |
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Sarebbe
un azzardo definire Gonsalvo un alchimista puro. Tra i libri della sua scarna biblioteca non figurava, infatti, alcun'edizione della Tabula Smaragdina di Ermete Trismegisto, né de Le nozze chimiche di Christian RosenKreutz, e dubito che egli avesse mai sentito nominare Nicolas Flamel. Canseliet non mostra, per altro, di conoscerlo, a dispetto di qualche voce che ne vorrebbe collegare la figura a quella dell'ultimo leggendario alchimista di cui può vantarsi il novecento: Fulcanelli. Chi davvero lo ha conosciuto, invece, lo descrive come un pacioso tipetto dotato di tratti di salubrità non troppo mistica e di una facondia tutt'altro che esoterica. Possiamo esser certi di alcuni rapporti (che non ci azzarderemo certamente a definire di amicizia) intercorsi tra il nostro ed Aleister Crowley, l'inglese diabolico, che pare lo abbia ospitato anche nella sua villa di Cefalù nel corso di una di quelle particolarissime riunioni a sfondo magico-sessuale che gli valsero all'epoca l'espulsione dall'Italia per diretto e preoccupato interessamento del Duce in persona. Louis Pauwels, in uno scambio epistolare inedito con Jacques Bergier, racconta di una "Strana" stretta di mano che Gonsalvo scambiò con Georges Ivanovic Gurdjieff in un ristorante parigino allorché i due furono presentati dalla scrittrice Katherine Mansfield che da quel giorno, e per i sette mesi che seguirono, ebbe un (forse) imbarazzante, ma del tutto soddisfacente orgasmo quotidiano, verificantesi automaticamente, sempre a quella medesima ora e dovunque ella si trovasse. Di ciò, tuttavia, si mostrò, inspiegabilmente, più grata a Gurdjieff che al nostro, il quale, infatti, non trova posto nelle sue biografie ufficiali. Ma, onde non menare ulteriormente il can per l'aia, diciamo in brevi parole in che cosa consistette il particolare talento di Balthasar Gonsalvo. Qualcuno dei gentili lettori avrà forse avuto tra le mani un libretto edito più di sessant'anni or sono, proprio in Italia, dall'editore Ulrico Hoepli ed intitolato "L'imbianchino, decoratore e stuccatore". Ebbene, desidero rivelare oggi che tale libro si avvale di una prefazione scritta (naturalmente sotto pseudonimo) dal nostro Gonsalvo. Essa comincia con queste sbalorditive parole: "Bianco è il latte; nero è il carbone; azzurro è il cielo sereno; verde è la vegetazione; rosso è il sangue; giallo è l'oro.". Questo era Balthasar Gonsalvo: un colorista. Le sue esplorazioni e le sue conquiste riguardarono quasi esclusivamente l'ambito della teoria e della pratica dei colori, (anzi, in verità, più della pratica che della teoria). Con questa particolarità: che tale soggetto, ritenuto di solito territorio esclusivo di uno solo dei nostri cinque sensi venne dilatato dal Nostro a tal punto da riguardarli tutti. Ad ogni particolare colore Balthasar volle associare, infatti, non solo quella precisa impressione visiva, ma anche un certo suono, un determinato odore, una precisa sensazione tattile e, dulcis in fundo (per così dire), persino un gusto inequivocabile. I suoi contatti con Aleksandr Skrjabin la dicono lunga in proposito, e così la sua relazione erotico-finanziaria con Coco Chanel. Fu dopo averlo incontrato che il musicista russo compose la sua sinfonia "Prometeo", nella quale è associato un colore ad ogni nota: Do, rosso; Re, giallo; Mi, bianco-azzurro; Fa diesis, blu e così via. E qualcuno ha sostenuto che il celebre profumo di Madame Chanel altro non fosse che uno dei risultati delle sperimentazioni di Gonsalvo. Ebbe contatti con Alma Mahler che convinse il suo nuovo compagno, Walter Gropius, ad invitarlo al Bauhaus per tenere un laboratorio. Qui egli fu subito attaccato da Johannes Itten che lo accusò pubblicamente di non essere in grado di formalizzare teoricamente nessuna delle sue elaborazioni. Gonsalvo non rispose ma, la mattina dopo, Johannes Itten si svegliò integralmente colorato di azzurro e fortemente profumato al mirtillo. Dovette recarsi a lezione in quelle condizioni. Durante il suo soggiorno parigino incontrò Le Corbusier e neppure questo fu un incontro cordiale. Poiché l'architetto svizzero s'era, a suo dire, mostrato insufficientemente rispettoso nei suoi confronti, dovette avere a che fare da quel giorno, e per parecchi mesi, con un'imbarazzante ed intensissima combinazione di fucsia, verde pisello e giallo canarino. La cosa, per la parte interessata dalla coloritura, rimase fortunatamente invisibile ai più (e i biografi, difatti, non ne fanno cenno...) ma non fu priva di conseguenze. Pare, infatti, che le donne, appena il maestro si toglieva le mutande, fossero colte da selvaggi parossismi d'ilarità; anche perché all'effetto visivo si associava un allegro ed assai poco dignitoso tintinnio di campanelli. La sua Pietra filosofale, la Meta Finale del suo percorso fu quel che egli stesso definì "Colore Assoluto". Un colore che li contenesse tutti (ma, a differenza del nero, senza annullarli anzi lasciandoli affiorare in ogni loro sfumatura) e che nel contempo sintetizzasse ogni suono, ogni odore, ogni sapore, ogni sensazione tattile. Nessuno è in grado di affermare con certezza che egli non riuscisse nell'impresa, per quanto ognuno abbia il diritto di opinarlo. Tanto più che Gonsalvo sparì misteriosamente proprio come, prima di lui, il mitico Fulcanelli. Sparizione provvidenziale, dicono i maligni, giacché il colorista era oberato dai debiti. Mi piace però, per concludere, ricordare un osservatore pacato come Pierre Bonnard che visita il laboratorio di Gonsalvo ed annota il giorno dopo sul suo diario: "Ho potuto vedere, e contare, quattrocentottantuno varietà di azzurri e trecentoventisette verdi. Tra alcuni di essi ho effettivamente riscontrato differenze notevoli di profumo. Diverse tavolette, tutte di forma uguale e di materiale apparentemente identico ma intrise di differenti colori, presentavano sicuramente notevole diversità al tatto. Alcuni colori, allo stato liquido, erano contenuti in coppette ovali: accostandole all'orecchio si udiva una specie di lievissimo gorgoglio, simile a quello delle bollicine in una coppa di champagne ma assai più armonico e con strane inflessioni che potrebbero esser definite melodiche. |
[24jul2006] | |||
Quanto
al gusto: nonostante le insistenze di Balthasar non ho voluto assaggiar
nulla. Gli ho chiesto la composizione di qualcuno di quei colori ma mi ha risposto che non se ne ricordava! Lì per lì mi è sembrato che si trattasse di reticenza, ma a ripensarci non ne sono certo: credo, infatti, che a quest'uomo importino più gli effetti che le cause. Difatti, nonostante il numero vertiginoso di varietà e di sfumature di colore che ha ottenuto in tutti questi anni, non sarebbe in grado, per sua stessa ammissione, di riprodurne uno tale e quale! Si ritiene del tutto soddisfatto nel tenerli ben catalogati ed allineati in graziose provette di trasparentissimo cristallo, ad unico ed esclusivo beneficio dei suoi piccoli occhi volpini.". Ugo Rosa u.rosa@awn.it |
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