Pudore |
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Honoré Daumier. Sulla riva (1849-53). "Ambiguità è l'apparizione figurata della dialettica, la legge della dialettica nell'immobilità. Questo arresto, o immobilità, è utopia, e l'immagine dialettica un'immagine di sogno. Un'immagine del genere è la merce stessa: come feticcio. Un'immagine del genere sono i passages, che sono casa come sono strade. Un'immagine del genere è la puttana, che è insieme venditrice e merce." Walter Benjamin |
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Alcune parole giacciono nel vocabolario come pazienti tenute in vita dal polmone artificiale In coma profondo da anni ci supplicano per via telepatica di staccare la spina e lasciarle svanire in un dignitoso oblio. Il filologo però si ostina a tener duro, atteggiandosi a difensore della vita "senza se e senza ma", così quelle povere paroline, oramai ridotte a un ammasso di fonemi nei quali solo il macchinario grammaticale pompa ossigeno, continuano a sussistere. Leggerle e ascoltarle ci ricorda ogni volta che sono peggio che morte. Una pena. La parola "pudore" è una di queste. Difficile per un ragazzo, nato quando già le bretelle di Giuliano Ferrara impazzavano sui teleschermi, il ciuffo di Vittorio Sgarbi sventolava come il tricolore, la dentiera di Berlusconi scintillava di allegria a tutte le ore del giorno e della notte e Bossi, a ore fisse, incitava a prendere le armi per la liberare il Piave dagli Italiani, capire che cosa mai possa significare questa parola. Per questo io, che sono nato prima, proverò, nel mio piccolo, a spiegarglielo. Non mi aspetto gratitudine né comprensione ma lo faccio lo stesso. Così. Per sfizio. Il pudore è ciò che delimita e trattiene, impedendo la tracimazione emotiva. Esso traccia un confine e alza una palizzata, certo, ma non (come spesso si ama credere e puntualmente si crede) attorno a ciò di cui si ha vergogna, bensì attorno a tutto quello che ancora, per noi, conserva qualcosa di sacro. Vecchi e vecchie, spesso restaurati ma comunque inequivocabilmente cadenti, che si mostrano in costume da bagno, talvolta in bikini e addirittura in topless (le donne... le mie povere donne... sesso martoriato da una stupidità indotta dall'altro, certo, ma non per questo, ahimè, meno solenne e irriducibile) non lo fanno, direi, perché liberi finalmente da atavici corsetti le cui stecche di balena impedivano il debordare di quelle carni praticamente morte. Lo fanno, invece, perché hanno perduto, in modo definitivo, il senso della più umile, derelitta, e per questo più preziosa, di tutte le sacralità; quella che i bambini e i vecchi custodivano per noi al principio e alla fine della vita come primo e ultimo anello della catena che ci lega all'esistenza: la sacralità del proprio corpo. Così non esitano, queste mummie ripugnanti perché sorridenti, sorridenti perché vanitose, vanitose perché incapaci di invecchiare con dignità, e incapaci di esser vecchi non per orrore della morte (che ancora sarebbe umano) ma per orrore della vita, non esitano, dicevo, a mostrare senza veli quella nauseante decomposizione che, pur inevitabile, dovrebbe rimanere di frequentazione segreta, intima, e così interrogata, rispondere con una specie di ninna nanna ultimativa che agevoli il commiato sereno del morente. Sono certo senza vergogna, questi bacucchi, ma non hanno acquistato in cambio nulla. Da belli che avrebbero potuto essere, anzi, si mutano, sempre e con precisione matematica, in equazioni dimostrative dell'orrore. A nulla, naturalmente, serve il silicone (nei casi in cui è stato dispendiosamente applicato in costose camere di tortura da sadici carnefici prezzolati dalle vittime medesime) se non a rendere quell'orrore due volte più abissale. Al punto che quando vedete quelle poppe miserabili, quei culi cadenti eppure sfrontati nel loro civettare coi calcagni, quelle facce devastate la vostra pietà per il genere umano andrebbe a farsi fottere. Non lo fa per l'ottimismo, come si dice, della volontà che l'afferra per la manica in extremis e la riporta all'ovile (quando ci riesce). Il pudore, trivializzato e convertito nel suo opposto attraverso il budello fetente del "comune senso del pudore" trova se stesso, si riconosce e si afferma solo nella consapevolezza di un confine e di un limite. È dentro questo recinto che si unisce, talvolta, alla bellezza fino a farsi una sola cosa con essa. Non credo possa darsi bellezza che non sia pudica, né pudore che non sia bello. Deve, insomma, sempre esserci nel nucleo luminoso della bellezza qualcosa di pudicamente nascosto, inattingibile e che rimanga al riparo dietro una cortina che solo tu puoi scostare. Mai del tutto. Un modo di parlare tra te e l'opera che non è lontano dal parlare con te stesso. Solo così si vuole bene. E l'arte, tra tutte le cose la più fragile, ha bisogno di quest'amore. In architettura, dove il colloquio è, insieme, più intenso e meno percepibile, più disturbato dal rumore del mondo e, nello stesso tempo, più bisognoso proprio di quel mormorio indistinto che ne rende incomparabile la pratica, il pudore è il cardine su cui ruotano le porte regali. Azzurro e oro, come i colori della Vergine nelle icone. L'assenza di pudore, perciò, prostituisce soprattutto l'architettura. Ma, per la verità, non è facile stabilire se è perché l'architettura si prostituisce, che appare spudorata o, viceversa, è per questa suo esibizionismo da puttana di strada che essa finisce, fatalmente, per prostituirsi davvero, trasformando i passanti, quasi automaticamente, in clienti. Non saprei, devo ammetterlo, se, per esempio, quella smisurata tenia sotto il cui viscido e spertugiato corpaccione si dipana, a Milano, il rosario della vendita al minuto e all'ingrosso (quella cosa che chiamano "Fiera", ma che è tragica nella sua stupidità festiva) è oscena perché si prostituisce, oppure si prostituisce perché è oscena. Non saprei decidere: quando, nascendo, si dà spettacolo e solo per questo si nasce come si fa a stabilirlo? La differenza tra un'opera che si prostituisce e una donna, o un uomo, che ugualmente lo fa, resta perciò abissale. Il travestito, la piccola nigeriana che incontri sul bordo della strada o la tossicodipendente che per qualche euro ti offre le sue improbabili effusioni possiedono sempre, in qualche minuscolo punto del loro essere, una presenza luminosa che chiama la tua pietas e la esige, un bagliore che solo gli imbecilli e i baciapile non scorgono. Non sono nati per questo e in loro brilla una piccola stella e continua a brillare sempre, anche quando finiscono la loro esistenza su un bordo di marciapiede, sgozzati o sfigurati. Un'architettura, invece, che nasce per vendersi nasce morta. Una puttana morta. Ugo Rosa u.rosa@awn.it |
[9 aprile 2008] | |||