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Lanterna Magica

Il ponte di Barbiana







"La colpa dei padri dunque non è solo la violenza del potere, il fascismo. Ma essa è anche: primo, la rimozione della coscienza, da parte di noi antifascisti, del vecchio fascismo, l'esserci comodamente liberati della nostra profonda intimità con esso (l'aver considerato i fascisti "i nostri fratelli cretini"...) secondo, e soprattutto, l'accettazione –tanto più colpevole quanto più inconsapevole– della violenza degradante e dei veri, immensi genocidi del nuovo fascismo".
Pier Paolo Pasolini

"Beauty is truth, truth beauty – that is all
Ye know on earth, and all ye need to know".
"Bellezza è verità, verità bellezza - questo è tutto
quello che sappiamo su questa terra, e tutto quello che ci serve sapere."
John Keats



Un fascista (ma uno di quelli à la mode, con la messa in piega, un filino di rimmel e, soprattutto, quantità industriali di gel e lucido da scarpe nei capelli, uno di quelli che ormai il saluto romano se lo fa da solo in bagno, davanti allo specchio e con la porta ben chiusa a chiave) ha manganellato giorni fa la scuola di Barbiana (elegantemente definita, nel titolo del pezzo, Il soviet dell'ignoranza) e, col mignolino alzato come usa oggi, ha somministrato l'olio di ricino a don Lorenzo Milani.

I suoi predecessori si sarebbero mossi in manipolo, agitando i ferri del mestiere, inneggiando canti patriottici sul predellino e sputazzando per aria; lui ha operato senza neppure muoversi da una di quelle emittenti di volgarità preconfezionate, di proprietà privatissima ma profumatamente finanziate dallo Stato, che qui da noi si usa definire eufemisticamente "giornali" ("Libero", 25.09.08, pagg. 16-17, a fianco, foto grande a mezza pagina di Pierino-Alvaro Vitali che alluzza le tette della professora di anatomia linguistica, o linguistica anatomica, e titolone rosso in apertura: La scuola dei somari, tra i commenti in piccolo "La maestra unica non piace al comunista ma fa impazzire il bullo Pierino"; il trionfo dell'"esprit de finesse", ma anche di quello "de géométrie", ciò che, insomma, ci si può e deve aspettare da quel country-gentleman che ne è il direttore).

È il progresso: il vecchio fascista correva, il nuovo fa correre la palla.
Questo lascerebbe il tempo che trova, visto che non avrebbe dalla sua neppure quel minimo di distanza dal luogo comune indispensabile a far diventare opinioni discutibili delle volgari stronzate.
Cose così, espresse con una prosa da piccolo balilla, in un Paese diverso dal nostro, non riuscirebbero, in altre parole, neppure a far vibrare i timpani di chi l'ascolta: dalla boccuccia del figlioletto della lupa, evaporerebbero nell'etere come l'alito cattivo lasciando solo un senso vago di disagio nell'ascoltatore. Insomma arriverebbero al cervello attraverso le narici e non attraverso le orecchie e causerebbero perciò le reazioni adeguate ai cattivi odori: pollice e indice al naso, apertura di finestra e corsa all'aria aperta.
Ma purtroppo non siamo in un altro Paese; qui ci si è a tal punto abituati a considerare l'alitosi una forma di argomentazione che oramai siamo costretti a far confusione tra il vaporizzatore del deodorante e la penna stilografica.

Finiamo così per rispondere a queste zaffate con i punti e le virgole e, alla fine, siamo sempre noi a pagarla cara: il fascista in questione sarà invitato nei talk show e scriverà articolesse per scendere nei dettagli di questa insulsaggine.
Come risultato, il cattivo odore aumenterà ancora e tra non molto ci toccherà andare in giro con le mascherine.
L'unico modo per confrontarsi davvero con queste cose, allora, rimane quello, impietoso ma onesto, della misurazione: mettete una sulle spallucce dell'altra, Marcello Veneziani (la testa lucida che ha messo nero su bianco quelle sbavature di gel) l'onorevole Gelmini (la testa bronzea che porterà la scuola italiana ai fasti del Ventennio) e l'onorevole Carfagna (per fare buon peso: coi tacchi a spillo di quando, per affermare le sue "pari opportunità", sculettava sotto l'occhio clinico dei giurati di miss Italia) e poi tirate fuori il righello. Se, tra tutte e tre, cotonature comprese, arrivano anche solo a sfiorare i peli dei coglioni di Lorenzo Milani io m'impegno a finanziare a vita i bigodini della testa di gel (non è impegno da poco) e, crepi l'avarizia, la prossima estate compro pure i fantasmini al suo cameratuccio del cuore, il fasci-fashion Gianni Alemanno.
Giuro.

Quel che m'interessa davvero, invece, è di mettermi al passo coi tempi e tentare un'operazione ecologica di riciclaggio. Oramai sommersi dalla spazzatura montante, potrebbe non essere sbagliato provare a usarla come occasione per recuperare testardamente e con acribia filologica tutto quello che ne è insozzato.
Perciò sono andato prendere dallo scaffale i due volumi che raccolgono le lettere di don Lorenzo Milani. Sono due tra i libri più importanti e commoventi del dopoguerra, libri che, se a scuola non si mandassero ancora a memoria i versi di un minus habens psicopatico come D'Annunzio (vate calvo ma precursore di tutti i boccoluti della patria) dovrebbero costituire materia d'esame per studenti e professori.

Ho riletto questa lettera di Lorenzo, già priore di Barbiana, a sua madre.

"Barbiana 14.10.1960

Cara mamma,
[...] Oggi è arrivato il materiale per il ponte e in mezza giornata s'è fatto, con tutti i ragazzi, un par d'uomini e il muratore del Comune. Non ricordo se t'avevo raccontato che avevo chiesto al sindaco di fare un ponte sul torrente per un piccolissimo bambino che viene ogni giorno a scuola da un'ora e mezza di distanza. Il sindaco ha detto subito di sì e non ha messo tempo in mezzo. Il primo giorno che è cessata la pioggia ha mantenuto la promessa. Ha fatto un vero ponte con un'apertura di 6 metri con longarine di ferro tavelloni e cemento e con una spalletta di ferro. Il bambino è felice, ci ha scritto il suo nome nel cemento perché il ponte è nel bosco
isolatissimo e non ci passa mai nessun altro che lui...".

Quel bambino si chiamava Luciano e don Lorenzo lo descrive in questo modo:

"Ho un bambino se voi lo vedeste, piangereste tutti, perché è piccino, uno scricciolo di 11 anni.
Fa un'ora e mezza di strada, solo, per venire a scuola. Viene da lontanissimo, col suo lanternino a petrolio per la notte. Avreste tutti paura a fare la strada che fa lui di notte con la neve".

Leggetela bene questa lettera, perché ci chiama in causa.
Noi, architetti. Noi, insegnanti. Noi, genitori. Noi figli.
Ci chiama in causa tutti, insomma (escluse, ovviamente, le paperette coi boccoli perché quelle passano sotto i ponti, non sopra, sono impermeabili per via del gel e del lucido da scarpe e, se non bastasse, ci hanno il cervellino foderato d'orbace che, accuratamente, lo protegge dall'intelligenza).
A noi architetti mostra e spiega che cosa è un'opera d'architettura. Ai genitori e ai figli mostra e spiega che cos'è e come agisce una comunità cosciente di se stessa e una famiglia. Agli insegnanti mostra e spiega cosa vuol dire essere maestri.
E lo fa senza sprecare un gesto e neppure una parola.
Per questo, a più di quarant'anni dalla morte, i fascisti ancora lo odiano e pensano di poterne mettere al rogo il ricordo cospargendolo di gel.

Ugo Rosa
u.rosa@awn.it
[2 ottobre 2008]

la sezione Lanterna Magica
è curata da Ugo Rosa


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