home

Movies Architecture

Cronache della città.
Jean Nouvel e Wim Wenders

Elisa Ferrato

 

Nel 1991 esce Fino alla fine del mondo, film di Wim Wenders ambientato nel futuro prossimo (siamo nel 1999) che vede i protagonisti rincorrersi da un lato all'altro del pianeta, interamente digitalizzato e regno della comunicazione e dell'immagine.

[20jun2002]
«Le metropoli che i protagonisti attraversano non sono che uno spazio inerme, indifferente al transito; non esistono frontiere fra Venezia, Lione, Parigi, Lisbona, Mosca, Tokyo, San Francisco. Il giro del mondo di città in città si rivela uno spostamento effimero: poiché esiste una sola, gigantesca metropoli virtuale ovunque ci siano civiltà, immagini e comunicazioni. Lo spazio è smisuratamente dilatato».

Per tutta la prima parte del film i personaggi sono in continuo movimento, ma ciò che viene mostrato degli spostamenti sono le tappe (camere d'albergo, stazioni del metro, uffici, sale di ristoro, appartamenti, hotel, il corridoio di un treno da cui non si vede neppure il paesaggio esterno) in una fluidità continua e compatta, come se tutto si svolgesse in una sola sia pur vasta metropoli.

«Ricostruire i panorami del Duemila ha voluto dire non solo filmare l'esistente, ma inventare un futuro che si muovesse tra cambiamenti possibili. Quindi non appoggiandosi alle ipotesi di città futuribili degli anni Sessanta, ma alla metropoli sovrapposta fatta di accatastamenti di immagini, di figure architettoniche, di violenti contrasti che è ormai quella del nostro presente. In questo senso non si è trattato di inventare poi molto, solo qualche aggiustamento. Simbolicamente nel mio film auspico a Berlino la Porta di Brandeburgo inglobata, ma non dispersa né mummificata in un moderno edificio; a Pechino la piazza Tien An Men con al centro il monumento alla rivolta degli studenti; a Parigi la Grande Arche con la Torre senza Fine dell'architetto Jean Nouvel, un progetto non realizzato; piccole violazioni computerizzate di luoghi reali».

Non è certo un caso che proprio quest'ultima architettura venga inserita nel film: Jean Nouvel e Wim Wenders sono amici da tempo ed entrambi sono legati dal loro duplice interesse per l'architettura e il cinema.

Alle prospettive statiche o alle viste ortogonali prevalenti in passato, Jean Nouvel preferisce una visione in evoluzione, una percezione che cambia in base a distanza, livello e angolo, nella quale lo story-board ha preso il posto del taccuino da schizzi, e la video camera quello del cavalletto. Nouvel inserisce la nozione di movimento in architettura, non considerando più lo spazio come un semplice volume, o come la combinazione di una serie di scene, ma piuttosto come una serie di sequenze. «Il cinema, ha detto, ci ha insegnato a vedere le immagini in relazione al tempo. Una città viene oggi letta attraverso il movimento, l'attraversamento. La composizione architettonica fa riferimento alle sequenze. La maggior parte degli architetti contemporanei prende in considerazione il percorso dell'essere umano attraverso lo spazio, che implica contrasti, inquadrature, cioè una successione di immagini. Il concetto di viaggio è un nuovo modo di fare architettura».

Avere la memoria visiva di un luogo che si è attraversato significa avere una successione di emozioni plastiche che sono in relazione evidente con la cultura cinematografica, perfettamente rappresentata da film come Alice nelle città o Nel corso del tempo.

Come si concretizza questo legame con la cinematografia nei progetti realizzati da Nouvel? Un esempio famoso è il suo Institut du Monde Arabe di Parigi, opera che gli valse, nel 1987, la fama mondiale. L'Istituto non è un edificio orientale costruito con materiali occidentali: è qualcosa di più sottile e complesso. È un prodotto contemporaneo che impiega materiali contemporanei, che afferma con chiarezza la propria collocazione tra la cultura orientale e quella occidentale e, a livello urbano locale, tra la Parigi moderna delle tecnocrazie simboleggiata da Jussieu e quella tradizionale, con l'Île de la Citè e i suoi edifici storici.

È anche un luogo che si sviluppa attorno all'organizzazione e ai mutamenti della luce nello spazio, letteralmente, attraverso i diaframmi attivati da fotocellule nella parete sud e del pozzo d'illuminazione al suo centro rivestito in alabastro. All'interno ciò si traduce in improvvisi cambiamenti dell'intensità di luce, dei volumi spaziali e della sensazione di apertura o chiusura. L'edificio gioca con i contrasti e le complessità che genera; ha un'energia tale che, visitandolo, si ha l'impressione di entrare nell'inquadratura di un film. «La sequenza dei passaggi –dice Nouvel– tra diversi volumi e livelli d'illuminazione, a seconda delle diverse traiettorie al suo interno, può essere vista come una serie di angolazioni e aperture di un obiettivo fotografico». «La città è un luogo in cui la storia è presente a livello fisico, in cui il presente viene inondato e appagato dal passato. Una città si delinea solo attraverso il suo latente valore memoriale». Questo è il punto di partenza di Wim Wenders, da qui sono nati film come Il cielo sopra Berlino, in cui il luogo, la città di Berlino, ha una storia, una personalità, un'identità così forti da influenzare il carattere degli uomini che vi abitano.

Lo stesso discorso ha portato Jean Nouvel a decidere il progetto per la Fondation Cartier, «un edificio che è parigino perché interagisce con tutti gli elementi che lo circondano e li valorizza: il cedro, il piccolo immobile vicino, gli alberi, la strada ecc.».

Nouvel si ricollega al discorso di Wenders spiegando la sua visione del sito progettuale: «Ho analizzato il viale e il quartiere come una serie di riferimenti lasciati dalla storia, accumulati come delle stratificazioni. Tra essi ho voluto creare un riferimento degli anni Novanta che sia una vera testimonianza culturale».

Da questo approccio è nato un edificio che si dissolve nell'ambiente circostante, le cui facciate trasparenti si presentano come schermi del tutto indipendenti, come una sequenza di strati al cui interno trovano posto ora degli spazi abitati, ora degli spazi naturali. Interno ed esterno si sovrappongono in un gioco di reciproci riflessi. Il visitatore passa sotto al grande cedro che si erge solitario all'entrata e ammira lo spettacolo degli alberi che circondano la sala vetrata per le esposizioni, in una lettura profonda del luogo.

Un edificio giocato sulla profondità di campo, elemento che viene direttamente dalla pratica cinematografica, con un utilizzo del vetro in funzione della misura in cui la sua trasparenza può rivelare o filtrare qualcosa situato in lontananza. L'utilizzo delle aperture per inquadrare viste particolari è un'altra nozione che Nouvel ammette di aver preso dal cinema, anche se fa notare che Le Corbusier è stato il primo a indicare la strada.

La natura dell'intervento architettonico è oggi mutata radicalmente e ogni architetto ha in sé un nuovo approccio; per Jean Nouvel è una situazione che impone all'architetto i doveri di sensibilità e onestà. Sensibilità nel senso della specificità del progetto (un edificio va creato per un dato luogo, determinate necessità, in un contesto specifico) e in uno più ampio, culturale. Perché se le regole dell'architettura non bastano più da sole a legittimare l'atto della progettazione, bisogna guardare altrove. Secondo Nouvel è alla cultura contemporanea, con la sua ricchezza e varietà, che ci si deve rivolgere. Fare architettura significa per lui testimoniare la cultura viva. L'attenzione al contesto, nel senso più ampio possibile, è chiaramente leggibile nei suoi progetti. Come afferma Wim Wenders: «Credo che si debba in ogni caso sforzarsi di fare delle buone immagini filmiche , di costruire dei buoni edifici, che trovino il loro contesto».

Integrare tutti gli elementi che fanno parte della cultura del proprio tempo: la tecnologia, l'immagine, l'informazione e farli partecipare all'architettura. Le tecniche che sono dietro alla produzione delle immagini sono fonti fondamentali d'ispirazione per Jean Nouvel, ad esempio per quanto riguarda il suo concetto di materialità, o meglio di immaterialità.

«I problemi architettonici nascono dal comprendere e assaporare il mondo che ci circonda, piuttosto che dal barricarsi dietro allo steccato di una disciplina. Essere autentici (intendendo per autentico ciò che deriva dalla natura profonda di una persona) vuol dire essere pronti a stare sempre all'erta, ad ascoltare la lezione della storia, a lavorare per riportare in equilibrio una cultura perennemente minacciata sia nei dettagli che negli aspetti fondamentali. Essere autentici significa, infine, rifiutare di piegarsi al flusso degli stereotipi culturali, rifiutare di copiare (invece di creare), rifiutare di seguire (se non la propria strada)».

I punti di riferimento dell'urbanista sono mutati, sono diventati le autostrade, i viali, gli aeroporti, tutti luoghi che si attraversano a una certa velocità e che permettono di dare una certa lettura della città. Nonostante il grande caos nell'ordine geografico che li caratterizza (Wim Wenders li definisce «nuove zone di giungla») questi luoghi presentano sempre anomalie, punti di riferimento che l'urbanista deve evidenziare, gerarchizzare, che deve decidere di mostrare o nascondere…«Siamo perennemente impegnati a cercare di migliorare edifici sbagliati, costruiti troppo in fretta. Sono falsi luoghi, senz'anima, senza fascino, senza calore, senza consapevolezza.» Il lavoro essenziale dell'urbanista contemporaneo diventa per Jean Nouvel fare un'analisi, comprendere ciò che esiste, indicare che cosa conservare e che cosa distruggere. La città di domani si farà in rapporto a ieri. L'essenziale per l'architetto è di saper aggiungere la parola giusta, la frase giusta ad un testo che esiste e che avrà così un'altra sonorità. Un atteggiamento di partecipazione che sembra l'unico possibile; l'architettura come un evento durevole inserito in un continuum mutevole di contesti.

«Con tutte queste parole ripeto sempre lo stesso concetto: che in una città esiste una qualità degna di essere vissuta, che si può percepire nei termini del bello, che non dovremmo lasciarci sottrarre dalla pianificazione urbanistica. Ogni sorta di pianificazione urbana deve per definizione mirare all'omogeneità. Mentre la Città è qualcos'altro. La Città si definisce per contrasti, vuole scoppiare, non sopporta le regole. Ciò che chiedo ad una città è di essere scosso da un luogo all'altro da una sensazione all'altra». Parole di un regista famoso. O di un architetto di successo?

Elisa Ferrato

elisa.ferrato@tiscali.it

> MOVIES

 

 

laboratorio
informa
scaffale
servizi
in rete


 







Contents provided by Image