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My Architect. A Son's Journey

Vittoria Capresi



L'uscita del film My Architect. A son's Journey di Nathaniel Kahn ha coinvolto numerosi architetti –e non solo- nel confronto tra architettura, documentazione cinematografica e nel rendere omaggio all'architetto Louis Kahn. Approdato in Italia due anni dopo l'uscita statunitense, il lungometraggio è stato presentato nello scorso aprile a Milano ed è attualmente in distribuzione come DVD. Vittoria Capresi ha assistito alla presentazione austriaca, avvenuta a Vienna presso il Cinema Film-Casino, dove si è svolta una serie di matinée domenicali dedicate alla visione e discussione dei temi proposti dal film. Il 13 febbraio si è parlato di architettura. Al dibattito, moderato da Günter Feuerstein, hanno partecipato Roland Hagmüller, Stefan Schumer e Carl Pruscha. ARCH'IT riproduce in questa pagina alcuni passaggi dell'intervento di Pruscha insieme ad una nota della stessa Vittoria Capresi.



Alcune note (molto) personali sulla pellicola

 
Non avrei intenzione di raccontare il film. Spero comunque che qualcuno abbia anche in Italia la possibilità di andarlo a vedere. Immune a ciò che scriverò qui di seguito.

[05jun2005]
  My Architect è un viaggio, una ricerca interiore attraverso l'architettura. Rimangono chiaramente distinti i due piani, il personale, dell'uomo marito amante Kahn, e quello delle sue architetture. Così separati che dalla metà del film circa ci si domanda se sia possibile una congiunzione isterica di due attitudini e modi di vista così diametralmente opposti. Ricordo: è banale parlare in termini di polarità, più-meno, bianco-nero eccetera, ma stupisce il divario tra la monumentale stabilità di molte realizzazioni dell'architetto e la superficialità sfrontata dei rapporti personali dell'uomo.

 
Nathaniel Kahn.

La storia è quella del figlio non riconosciuto, amato forse, lasciato orfano ancora troppo giovane per poter continuare a vivere di ricordi. E prima che sia troppo tardi, prima che anche i ricordi degli altri muoiano, inizia una ricerca dei segni passati per farli propri, raccogliendo le briciole lasciate in giro dal padre.


Immagine dal film. Louis Kahn, Phillips Exeter Academy Library. Exeter, New Hampshire, USA, 1972.

Il tema è infido, oscilla tra cattivo gusto e il banale. Il regista figlio è ancora alle prime armi, e pecca di esasperante correttezza tecnica. Nonostante tutto, il film riesce ad arrivare dritto dentro. Nonostante le cadute di stile, il facile misticismo, la retorica e le lacrime sbattute in primo piano. Sarà perché pare incredibile sentire Johnson (in una delle ultime interviste) raccontare di Le Corbusier, Mies e "Lou" come di compagni di banco ("Le Corbusier non stava mai ad ascoltare, con Mies non si poteva parlare..."), sarà per i paesaggi dell'India e del Bangladesh. Alcune lacrime paiono persino vere.


Immagine dal film. Philip Johnson e Nathaniel Kahn.

  Gli edifici raccontati sono molti, le immagini purtroppo non sono sempre bastevoli a rendere la spazialità, ma forse neanche la cercano, e si intersecano con interviste e racconti, e numerosi filmati d'epoca. Alla fine ciò che emerge non sono gli edifici, ma è di nuovo l'architetto. Non saprei dire se le architetture siano state manipolate così da diventare monocromatiche proiezioni dell'idea che il regista voleva dare del padre. Mi chiuderei comunque gli orecchi, se così fosse, credendo ancora alla storia del figlio che cerca il reale padre. E che comunque il Salk Institute e la biblioteca in India effondano quasi una sacrale quiete, è indiscutibile (anche se il silenzio sarebbe stato preferibile alla colonna sonora di Neil Young).


Immagine dal film. Louis Kahn, Salk Institute. La Jolla, California, USA, 1959-1965.

Ripeto, non vorrei influenzare, i giudizi prefabbricati non servono a nessuno, ma l'amaro sentito dentro mi ha accompagnato una serie di giorni dopo la proiezione. Quando i miti crollano. Non è crollato quello del costruttore. È l'uomo che mi ha lasciato perplessa. Le tre donne presenti nella sua vita, una moglie e due amanti, i tre figli, un Kahn e due non riconosciuti. La brutalità di alcune storie. La tristezza delle donne che hanno aspettato, rimanendo abbandonate. Forse si tratta di scegliere, o regalare spazi e sensazioni con un edificio a moltissima gente, o qualche minuto di tempo a moglie amanti e figli. Non si tratta di moralismo. Mi domando solo che faremo noi architetti oggi, che già dedichiamo notti insonni a ideali architettonici vari e eventuali, trascurando di conseguenza tutto il resto, e che probabilmente mai arriveremo a costruire un museo, una biblioteca, un centro di ricerca, per regalare ad altra gente i nostri stessi ideali e sogni. A me, giovane architetto, appunto, è preso il panico.
Buon lavoro a tutti.

Vittoria Capresi
vcapresi@hotmail.com
 
Ricordi su Louis Kahn

[...] 1970. Non appena l'agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale del Governo del Nepal decise l'attuazione di un programma per il controllo delle nascite e la costruzione di un edificio per Family Planning e Maternal Child Healt, il governo mise a disposizione un esteso pezzo di terreno di fronte all'edificio del governo. Gli americani comunicarono una lista di architetti che avevano già realizzato edifici in regioni in via di sviluppo.


Louis Kahn.

Il Ministro nepalese responsabile della scelta, non avendo idea di cosa fare con la lista dei nomi, mi telefonò perché in qualità di Consigliere Urbanistico delle Nazioni Unite potessi aiutarlo nella decisione. [...] Nella lista non trovai nessun architetto da poter consigliare, allora presi la mia penna e vi aggiunsi il nome di Louis I. Kahn. Alcuni giorni dopo, quando incontrai di nuovo il Ministro, gli domandai se la mia proposta fosse stata accettata. Lui rispose che il direttore della Aid Agency delle Nazioni Unite si era più che altro sorpreso del nome aggiunto, anche perché non conosceva l'architetto. [...] Con gioia vidi poi che il mio suggerimento era stato accolto. [...] Poco tempo dopo si verificò la prima visita di Kahn. Con grande piacere vidi che Kahn colpì molto i responsabili del governo grazie ai suoi excursus filosofici, che portavano comunque ben oltre gli incarichi ricevuti. Durante la visita all'enorme area, Kahn descrisse la sua idea per un progetto di sviluppo per l'intera zona, che poi si tradusse nel "Centre of Availabilities", e che oltre all'iniziale Family Planning Centre, comprendeva una piazza triangolare, un auditorium, alcuni ministeri e un grande giardino con numerosi specchi d'acqua per armonizzare e collegare gli edifici. [...] Il governo nepalese si espresse [nonostante i costi originari fossero stati abbondantemente superati. Ndr] a favore dell'architetto, e gli americani dovettero accettare.

La sera organizzai per Kahn e per i suoi due giovani collaboratori una cena nella mia casa di Katmandu. Durante la serata gli domandai se per il progetto fosse già stato tutto chiarito. Lui mi raccontò dell'incontro avuto con il direttore della Aid Agency che lo aveva convocato per fargli alcuni appunti sulle sue "sobrie modifiche". Kahn disse (mi ricordo più o meno il senso) "I got up, smiled at him and told him he should appreciate the opportunity of having personally met Americas most famous architect and left." [...]


Nathaniel e Louis Kahn.

Sul terzo incontro avuto con Kahn.
Dopo 13 anni di attività come Rettore, avevo ricominciato a insegnare architettura e ad occuparmi nuovamente di architettura contemporanea. Non riuscivo però trarre conclusioni relativamente alle forme così come ai principi teorici dell'architettura contemporanea, che fossero utili per il mio lavoro e per l'attività di insegnante.
Grazie ad un Research Grant della fondazione Getty, mi ero di nuovo messo alla ricerca di nuovi spunti, e andai ancora una volta a La Jolla, California, al Salk Institute. La meravigliosa piazza con vista sull'orizzonte del pacifico mi riportò la memoria su così semplici osservazioni del Maestro, quando diceva: "Design habits leading to the concealment of structure have no place in this implied order. I believe that in architecture –as in all art- the artist instinctively keeps the marks which reveal how a thing was done."

E mi trovavo in piena sintonia con alcuni suoi pensieri quando ad esempio diceva: "The feeling that our present day architecture needs embellishment items in part from our tendency to fair joints out of sight to conceal how parts are put together." [...] Ero di nuovo pronto ad accogliere il suo esempio e a proseguire la strada che intuitivamente avevo già iniziato seguendo le sue lezioni da giovane.

Carl Pruscha
 
L'intervento di Carl Pruscha, che ringraziamo per avere gentilmente concesso la pubblicazione, è stato tradotto da Vittoria Capresi.
    My Architect. A Son's Journey

documentario, 116 minuti, 35 mm, colore, Dolby SR, USA 2003

regia:
Nathaniel Kahn

produzione:
Susan Rose Behr e Nathaniel Kahn

editing:
Sabine Krayenbühl

direttore della fotografia:
Bob Richman

colonna sonora
Joseph Vitarelli

con, tra gli altri:
Philip Johnson, Vincent Scully, Nathaniel Kahn, I.M. Pei, Richard Katz, Anne Tyng, Richard Saul Wurman, Frank O. Gehry, Harriet Pattison, Robert A.M. Stern, Moshe Safdie, Sue Ann Kahn, Alexandra Tyng, B.V. Doshi, Shamsul Wares.
Nathaniel Kahn, 41 anni, cresciuto a Philadelphia/ USA, frequenta la Yale University dove viene premiato con il Gordon Prize per il lavoro condotto come regista teatrale. Ha scritto e diretto la regia per la piece teatrale Owl's Breath, è stato coautore del cortometraggio The Room, vincitore di un premio a Cannes. Il suo lavoro si è successivamente concentrato su documentari inerenti all'ecologia. My Architect è il primo film di Nathaniel Kahn, ed è stato nominato per l'Oscar, categoria Miglior film documentario.

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