ISTRUZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE 6 AGOSTO 1967, N.765, RECANTE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA LEGGE URBANISTICA 17 AGOSTO 1942, N.1150.
I. PREMESSA
La legge 6-8-1967, n.765, pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale del 31-8-1967, n.218, ed entrata in vigore
il giorno successivo a tale pubblicazione - cioè
l'1 settembre 1967 - è intesa essenzialmente
a sollecitare la formazione ed approvazione degli strumenti
urbanistici comunali, ad assicurare che tali strumenti
siano formati in modo rispondente all'interesse generale
ed a garantire il rispetto della normativa urbanistica,
che sinora è stata largamente e frequentemente
violata.
Come vedesi, la nuova legge si propone di agire, in
maniera determinante, sulle componenti causali del
disordine urbanistico, che possono così sintetizzarsi:
la carenza di regolamentazione urbanistica; la frequente
non rispondenza degli strumenti ai criteri di una sana
e corretta disciplina del territorio, soprattutto per
quanto riguarda la densità, gli indici di utilizzazione
edilizia e la dotazione di spazi e servizi pubblici;
ed infine la generale inosservanza della normativa
esistente.
Per raggiungere le finalità suindicate la legge
prevede essenzialmente:
- la fissazione di termini perentori per gli adempimenti
di competenza comunale;
- l'esercizio dei poteri sostitutivi degli organi statali
nel caso di inadempienza del comune, perdurante anche
dopo l'invito a provvedere rivolto dal prefetto al
consiglio comunale;
- la disciplina dei poteri dell'amministrazione statale
di introdurre modifiche di ufficio nei progetti comunali,
con la rigorosa determinazione dei limiti di tali poteri;
- la regolamentazione delle lottizzazioni a scopo edificatorio,
che vengono ad assumere il carattere di strumenti di
attuazione dei piani regolatori generali;
- la determinazione ope legis di essenziali norme di
salvaguardia (limiti di volume, di altezza, di densità
fondiaria, ecc.) da osservare fino all'approvazione
dei piani regolatori generali o dei programmi di fabbricazione;
- la determinazione di limiti e rapporti - da parte
del Ministero dei lavori pubblici di concerto con i
Ministeri competenti - per assicurare densità,
spazi e servizi pubblici nell'ambito di una razionale
sistemazione del territorio comunale, in misura adeguata
alle esigenze urbanistiche, igieniche e sociali degli
insediamenti umani;
- la limitazione dei poteri comunali di deroga soltanto
agli edifici ed impianti pubblici e di pubblico interesse;
- una più efficiente articolazione dei poteri
sostitutivi e repressivi dell'autorità statale
nei confronti delle costruzioni abusive ed illegittime;
- il potenziamento delle sanzioni penali ed amministrative,
nonché la previsione di sanzioni pecuniarie
e fiscali a carico dei trasgressori.
La nuova legge, nota ormai come legge urbanistica-ponte,
comporta un notevole impegno di pubblici poteri - soprattutto
a livello degli enti locali - al quale occorre far
fronte con tutti i mezzi disponibili e con la decisa
volontà di superare la situazione di "lassismo"
nella formazione degli strumenti urbanistici, che tanti
danni di carattere sociale, culturale ed economico
ha arrecato finora all'assetto ed allo sviluppo delle
nostre città.
E' importante sottolineare che la legge nelle sue finalità
è intesa non ad ostacolare ma ad agevolare lo
sviluppo dell'attività edilizia, anche in relazione
alle previsioni del programma economico nazionale ed
alla necessità di predisporre le condizioni
indispensabili per l'attuazione degli obiettivi di
sviluppo indicati dal piano, che riguardano tanto la
edilizia abitativa quanto quella di carattere sociale
e le opere infrastrutturali. Pertanto, una corretta
applicazione della legge presuppone, soprattutto da
parte delle amministrazioni comunali, una interpretazione
che, in considerazione degli aspetti sociali ed economici
dell'attività costruttiva, ne agevoli lo svolgimento
nel rigoroso ambito di una razionale impostazione urbanistica
dell'espansione dei centri abitati e, più in
generale, dell'assetto del territorio.
Allo scopo di assicurare una applicazione della legge
corretta e conforme alle finalità che essa chiaramente
persegue e di favorire, per quanto possibile, l'uniforme
interpretazione delle norme in essa contenute da parte
degli enti chiamati ad applicarla, questo Ministero
ritiene necessario - anche per corrispondere alle richieste
dei comuni e degli organi decentrati dell'amministrazione
statale - di illustrare con la presente circolare la
legge, chiarendo la ratio, il contenuto e la portata
delle varie disposizioni. Queste vengono esaminate
per gruppi, in relazione alla omogeneità dei
contenuti ed alla indennità degli scopi che
esse si propongono.
II. DISCIPLINA URBANISTICA
Sotto tale titolo vengono esaminate un complesso di
norme (artt. 1, 2, 3, 5, 9, 11, 12 e 20) intese essenzialmente
a stimolare e rendere più rapida la formazione
e la procedura di approvazione dei piani regolatori
e dei regolamenti edilizi con gli annessi programmi
di fabbricazione. Tali norme stabiliscono termini perentori
per gli adempimenti comunali, assicurano concreta operatività
agli interventi sostitutivi degli organi statali, definiscono
i limiti e le procedure relative alle modifiche di
ufficio, decentrano l'approvazione dei piani particolareggiati
e dei regolamenti edilizi e pongono termini precisi
anche per gli atti di competenza degli organi statali.
1. FORMAZIONE DEGLI STRUMENTI DI DISCIPLINA URBANISTICO-EDILIZIA
- INTERVENTI SOSTITUTIVI (ARTT. 1, 2 e 11)
A)Formazione dei piani regolatori generali (artt. 1
e 2). - Spesa per la redazione dei piani (art.1, comma
1).
L'art.1 della nuova legge modifica l'art.8 della legge
urbanistica del 1942 riguardante la formazione dei
piani regolatori generali, l'obbligo di detta formazione
per i comuni inclusi in appositi elenchi e l'eventuale
intervento sostitutivo dell'autorità statale
in caso di inadempienza da parte delle amministrazioni
comunali.
Il predetto art.1 mantiene e riafferma la facoltà
per tutti i comuni - senza distinzione di grandezza
e di importanza - di formare il piano regolatore generale
del proprio territorio ed introduce una innovazione
di carattere procedurale, stabilendo che la delibera
consiliare, con la quale il comune decide di procedere
alla formazione del piano regolatore, non è
soggetta, come è avvenuto finora, all'approvazione
della giunta provinciale amministrativa, ma diventa
esecutiva ai sensi dell'art.3 della legge 9-6-1947,
n.530.
Lo stesso articolo precisa che la spesa per la formazione
dei piani è obbligatoria.
Mentre rimangono inalterati il secondo ed il terzo comma
del citato art.8 della legge urbanistica del 1942,
relativi all'obbligo della formazione del piano per
i comuni inclusi in appositi elenchi, la nuova legge
sostituisce gli ultimi tre commi dello stesso art.8,
modificando sostanzialmente le modalità e le
forme dell'intervento sostitutivo.
Invero, la grande maggioranza dei comuni finora inclusi
negli elenchi non ha formato il piano ovvero non lo
ha adottato o, infine, non lo ha presentato ai competenti
organi per l'approvazione. Ciò è avvenuto
anche perché i poteri di intervento attribuiti
all'autorità statale si sono rivelati in pratica
privi di qualsiasi efficacia, cosicché l'inadempienza
da parte dei comuni obbligati non ha trovato il giusto
e necessario correttivo rappresentato dall'azione sostitutiva
dell'autorità statale.
Il sistema previsto dalla citata norma per i comuni
obbligati - inclusi in elenchi dopo l'entrata in vigore
della legge - può così riassumersi:
a) nomina dei progettisti ovvero conferimento dell'incarico
per la formazione del piano: la relativa delibera deve
essere adottata entro 3 mesi dalla data del decreto
di inclusione in elenco. Ovviamente, anche se la legge
parla di "nomina dei progettisti" l'espressione
non esclude che l'incarico possa essere assunto dagli
uffici tecnici comunali;
b) adozione del piano: deve essere deliberata entro
dodici mesi dalla data del provvedimento di nomina
dei progettisti;
c) presentazione del piano al Ministero dei lavori pubblici:
deve avvenire entro due anni dalla data di inclusione
in elenco;
d) inosservanza dei termini suddetti: il prefetto -
salvo proroga non superiore complessivamente ad un
anno, che il Ministero dei lavori pubblici può
concedere in caso di accertata necessità - convoca
il consiglio comunale per l'adozione dei relativi provvedimenti
entro il termine di trenta giorni, decorso il quale
inutilmente, il prefetto stesso nomina, d'intesa con
il provveditore alle opere pubbliche, un commissario
per gli adempimenti di cui alle lettere a), b), e c);
e) restituzione del piano al comune per integrazioni,
modifiche o rielaborazione:
1) il comune deve provvedere entro il termine di 180
giorni dalla data di restituzione del piano;
2) scaduto tale termine, il prefetto convoca il consiglio
comunale perché deliberi entro trenta giorni,
trascorsi inutilmente i quali, il prefetto stesso nomina
un commissario per l'adozione delle modifiche, integrazioni
e prescrizioni ministeriali.
Va chiarito che, entro il suindicato termine di 180
giorni, il comune deve provvedere sia alla redazione
delle modifiche ed integrazioni od alla rielaborazione
del piano, sia alla relativa delibera di adozione.
E' appena il caso, poi, di precisare che le modifiche
di cui sopra non sono evidentemente quelle che l'autorità
di controllo può introdurre d'ufficio nel piano:
per queste ultime, come si vedrà, la legge richiede
soltanto le controdeduzioni comunali da adottare entro
novanta giorni;
f) iscrizione in bilancio della spesa per la redazione
o la rielaborazione d'ufficio del piano: quando in
caso di inadempienza comunale il prefetto provvede
alla nomina del commissario per la redazione del piano
o per la sua rielaborazione, il prefetto stesso, d'intesa
con il provveditore alle opere pubbliche, promuove
la iscrizione della relativa spesa nel bilancio comunale;
g) approvazione del piano da parte del Ministero dei
lavori pubblici: deve intervenire entro un anno dalla
presentazione degli atti al provveditorato alle opere
pubbliche, salvo che il Ministero non restituisca prima
gli atti medesimi al comune per rielaborazioni, modifiche
od integrazioni.
Come vedesi, l'intervento sostitutivo, che in precedenza
era facoltativo e limitato alla sola fase di formazione
del piano regolatore, diventa ora obbligatorio e viene
esteso a tutti gli adempimenti di competenza comunale,
ivi compresa la presentazione degli atti al Ministero
dei lavori pubblici per l'approvazione.
E' peraltro da rilevare che, diversamente da quanto
stabiliva il ripetuto art.8 - secondo il quale, trascorso
il termine assegnato, poteva senz'altro essere disposta
la compilazione d'ufficio del piano - l'art.1 crea
un sistema inteso a sollecitare l'azione dell'autorità
comunale, a cui spetta istituzionalmente la competenza
primaria in materia di formazione della regolamentazione
urbanistica. Alla scadenza dei termini assegnati per
ogni adempimento, il prefetto non si sostituisce senz'altro
all'autorità comunale, ma convoca il consiglio
comunale per l'adozione dei necessari provvedimenti
e, solo quando l'organo deliberante rimanga inerte
senza motivo, il prefetto nomina un commissario con
competenza limitata all'atto da compiere.
Le nuove disposizioni, date le finalità cui sono
volte, non potevano non trovare applicazione anche
nei confronti dei comuni già da tempo inclusi
negli elenchi e tuttora inadempienti.
Per detti comuni la nuova legge stabilisce, all'art.2,
che essi debbono provvedere "agli adempimenti
relativi alla formazione del piano regolatore generale
entro sei mesi" dall'entrata in vigore della legge
stessa, trascorsi i quali trovano applicazione, nei
loro confronti, le disposizioni dell'art.1.
La dizione usata dalla legge lascia intendere chiaramente
che entro il termine stabilito devono essere espletati
tutti gli adempimenti necessari per la "formazione"
del piano, quale espressione della volontà comunale,
e che quindi nel periodo di tempo indicato deve intervenire
la delibera di adozione.
Trascorso tale termine si applicano le disposizioni
dell'art.1: ovviamente, in relazione allo stato delle
procedure e delle elaborazioni, le quali possono configurare
varie situazioni.
Prima, però, di esaminare queste ultime, occorre
chiarire che detto art.1 stabilisce un termine complessivo
di due anni, dalla data di inclusione in elenco, per
la presentazione del piano e, nell'ambito di tale periodo,
i termini di tre mesi per il conferimento dell'incarico
e di dodici mesi per la redazione e l'adozione del
piano. Ne consegue, anche se la legge non lo dice esplicitamente,
che dal momento dell'adozione il comune ha normalmente
nove mesi di tempo per effettuare l'istruttoria del
piano adottato e per presentarlo all'autorità
competente per l'approvazione, a meno che i precedenti
adempimenti - conferimento dell'incarico, formazione
ed adozione del piano - non vengano effettuati entro
termini inferiori a quelli stabiliti dal legislatore
rispettivamente in tre e dodici mesi.
E' necessario ora esaminare le diverse situazioni che
possono presentarsi per i comuni inclusi in elenco
prima dell'entrata in vigore della nuova legge:
- comuni che non hanno ancora redatto o completato la
redazione del piano o comunque non hanno ancora adottato
il piano: debbono provvedere alla formazione ed alla
adozione entro sei mesi dalla entrata in vigore della
legge e cioè entro l'1 marzo 1968; alla presentazione
entro i successivi nove mesi e cioè entro l'1
dicembre 1968;
- comuni che hanno già adottato il piano: debbono
presentarlo per l'approvazione entro nove mesi dall'entrata
in vigore della legge, e cioè non oltre l'1
giugno 1968.
E' appena il caso di aggiungere che nell'ipotesi in
cui il termine di sei mesi per l'adozione fosse insufficiente,
in relazione allo stato delle elaborazioni, il Ministero
dei lavori pubblici può concedere una proroga
ai sensi del terzo comma dell'art.1. Lo stesso può
dirsi nel caso che il comune intenda riadottare il
piano o per renderlo rispondente alla situazione obiettiva
o per adeguarlo ai limiti ed ai rapporti che saranno
stabiliti con decreto in base all'art.17.
Si è già detto che l'art.1 della nuova
legge stabilisce che la spesa per la redazione del
piano regolatore generale è obbligatoria per
tutti i comuni, inclusi o non negli elenchi.
Non può non sottolinearsi l'importanza di tale
disposizione, che costituisce uno stimolo a formare
i piani, soprattutto per i piccoli comuni, i quali
spesso hanno giustificato la propria inerzia con le
difficoltà di bilancio.
Occorre mettere in rilievo che - come questo Ministero
ha già avuto occasione di precisare - la spesa
per la redazione dei piani, a prescindere dalla obbligatorietà
sancita dalla legge n.765, dovrebbe avere normalmente
carattere prioritario per le amministrazioni comunali,
anche per ragioni meramente economico- finanziarie,
poiché è evidente che ogni piano comporta
notevoli economie, nella misura in cui assicura una
disciplina ed una programmazione - nel tempo e sul
territorio - degli insediamenti e delle relative infrastrutture.
Se si tengono presenti gli sprechi dal punto di vista
economico e sociale, che lo sviluppo disordinato dei
centri abitati ha causato, potrebbe apparire addirittura
incomprensibile come considerazioni di carattere esclusivamente
finanziario (peraltro riferibili a bilanci che prevedevano
altre spese certamente meno importanti) abbiano impedito
a diversi comuni di dotarsi di un piano regolatore.
In merito alla nuova disposizione occorre chiarire che
nella spesa per la compilazione del piano non vanno
inclusi soltanto gli onorari da corrispondere ai progettisti
incaricati, ma anche le altre spese necessarie come
ad esempio quelle per: indagini statistiche; rilevamenti;
cartografia ed aerofotogrammetria; indagini geologiche,
idrogeologiche, ecc.
B) Formazione dei regolamenti edilizi e dei programmi
di fabbricazione (art.11).
La nuova legge, all'art.11, modificando integralmente
il secondo comma dell'art.35 della legge urbanistica
- che prevedeva, in caso di inerzia del comune, la
compilazione d'ufficio del regolamento edilizio da
parte del prefetto - pone in essere un sistema articolato
di interventi sostitutivi che hanno lo scopo di assicurare,
nel più breve tempo, una regolamentazione edilizia
in tutti i comuni che ancora ne sono privi.
Il sistema in parola ricalca quello stabilito per i
piani regolatori generali, nel senso che la legge prende
in considerazione ognuno degli atti necessari per la
formazione del regolamento e la sua presentazione al
Ministero dei lavori pubblici per l'approvazione; e
prevede, prima dell'intervento di ufficio, la sollecitazione
dell'iniziativa dell'organo deliberante comunale.
Per maggiore chiarezza si ritiene opportuno esporre
sinteticamente detto sistema, così come è
stato fatto per i piani regolatori generali:
a) adozione del regolamento: deve essere deliberata
dai comuni - che non hanno ancora adeguato i vecchi
regolamenti alle disposizioni della legge del 1942
- entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge
e cioè entro l'1 marzo 1968; tale termine può
essere prorogato per un periodo di tempo non superiore
complessivamente a sei mesi da parte del Ministero
dei lavori pubblici, in caso di comprovata necessità,
su tempestiva e motivata richiesta del comune;
b) inosservanza del termine suddetto, eventualmente
prorogato: il prefetto "convoca" il consiglio
comunale perché adotti gli adempimenti necessari
- designazione dei progettisti, adozione, presentazione
del regolamento - entro trenta giorni.
L'intervento del prefetto avrà diverso contenuto
in relazione allo stato delle elaborazioni e delle
procedure, quale risulterà allo scadere dei
sei mesi o della proroga eventualmente concessa.
Ad esempio, se a tale data il comune avrà provveduto
soltanto alla redazione del regolamento, il prefetto
inviterà il consiglio comunale a deliberarne
entro trenta giorni l'adozione; se invece il comune
avrà adottato il regolamento ma non lo avrà
presentato all'autorità competente per l'approvazione,
sarà invitato dal prefetto a farlo entro trenta
giorni;
c) nomina del commissario: deve essere fatta dal prefetto
alla scadenza dei trenta giorni, qualora il consiglio
comunale non abbia adottato alcuna deliberazione.
Il commissario dovrà limitarsi a compiere l'atto
per il quale il consiglio comunale è stato invitato
a deliberare.
Quando trattasi di designazione del progettista, questa
dovrà essere fatta dal commissario d'intesa
con il provveditore regionale alle opere pubbliche;
d) restituzione del regolamento per modifiche, integrazioni
o rielaborazioni: il comune deve provvedere entro novanta
giorni dalla restituzione degli atti; in caso di inadempienza
si applicano le disposizioni di cui alle lettere b)
e c);
e) iscrizione d'ufficio della spesa nel bilancio comunale:
viene promossa dal prefetto, d'intesa con il provveditore
regionale alle opere pubbliche, nel caso di compilazione
o di rielaborazione d'ufficio del regolamento edilizio
La norma dell'art.11 si riferisce specificamente ai
regolamenti edilizi approvati prima dell'entrata in
vigore della legge del 1942 e mai uniformati alle disposizioni
di questa.
Peraltro, appare opportuno richiamare l'attenzione delle
amministrazioni comunali, che abbiano già in
passato provveduto al prescritto adeguamento, sulla
necessità che esse curino un sollecito aggiornamento
di tutte quelle norme dei loro regolamenti edilizi
che appaiono comunque superate, o che risultino di
controversa interpretazione; come pure di quelle norme
che siano risultate di impossibile applicazione perché
in contrasto con disposizioni diverse.
La necessità di tali modifiche appare evidente
quando si consideri il complesso di nuove o di più
gravi sanzioni che la legge n.765 riconnette all'osservanza
delle norme dei regolamenti edilizi, dalla quale, in
particolare, possono derivare l'annullamento della
licenza e la sospensione o la demolizione delle opere.
2. MODIFICHE DI UFFICIO IN SEDE DI APPROVAZIONE DEI
PIANI REGOLATORI E DEI REGOLAMENTI EDILIZI (artt. 3,
5 comma 5 e 12 comma 3)
Gli artt. 3, 5 (comma 5) e 12 (comma 3) della legge
stabiliscono rispettivamente che, con il decreto di
approvazione, possono essere introdotte modifiche nei
piani regolatori generali, in quelli particolareggiati
e nei regolamenti edilizi con annessi programmi di
fabbricazione.
Al riguardo deve osservarsi che il legislatore, nel
definire i limiti procedurali e sostanziali del potere
dell'autorità di controllo d'introdurre ex officio
modifiche nei piani e nei regolamenti, ha seguito il
criterio di assicurare un giusto contemperamento tra
il rispetto della autonomia comunale e l'esigenza di
garantire la tutela degli interessi generali in ordine
sia alla regolamentazione del territorio comunale,
e quindi alla specifica tutela degli interessi della
comunità, sia all'inserimento di tale regolamentazione
in quella più vasta interessante l'intero territorio
nazionale o parte di questo, sia infine agli interessi
direttamente tutelati dallo Stato.
Il potere di modificare i piani ed i regolamenti comunali
ex officio è rigorosamente delimitato, nel senso
che la legge specifica quali sono le modifiche che
possono essere introdotte d'ufficio. E non vi è
dubbio che tale specificazione ha carattere tassativo
e non esemplificativo.
D'altra parte, qualsiasi proposta di modifica non potrà
essere approvata se non sia stato prima sentito il
comune, il quale deve far conoscere, con delibera consiliare,
le proprie controdeduzioni entro novanta giorni per
i piani regolatori generali e particolareggiati ed
entro sessanta giorni per i regolamenti edilizi con
annessi programmi di fabbricazione: termini che decorrono
dal ricevimento della comunicazione dei competenti
organi statali.
Qualora il comune accetti le modifiche, l'autorità
statale le introduce in sede di approvazione. Nel caso,
invece, in cui il comune dissenta, l'autorità
competente, qualora ritenga di dover insistere nelle
modifiche stesse, dovrà congruamente motivare
le sue determinazioni nel provvedimento di approvazione.
Per quanto concerne le modifiche ai piani particolareggiati,
va osservato che, data la natura di questi ultimi,
esse non possono non avere una diretta incidenza sui
diritti dei privati, sia che prevedano un aumento sia
che comportino un'attenuazione dei vincoli e delle
limitazioni. Pertanto, la legge opportunamente prescrive
che tali modifiche debbano essere pubblicate dal comune,
perché siano conosciute dagli interessati, in
vista di possibili opposizioni.
La delibera con la quale il comune formula le sue controdeduzioni
in ordine alle modifiche proposte è pubblicata
il primo giorno festivo ed inviata nei successivi quindici
giorni all'autorità competente per la approvazione.
La brevità del termine stabilito per la trasmissione
del provvedimento comunale, è argomento decisivo
per interpretare la norma nel senso che essa esclude
l'intervento della giunta provinciale amministrativa.
D'altra parte va rilevato che l'atto contenente le
controdeduzioni, anche se è formalmente una
delibera, non comporta alcuna determinazione in ordine
alle previsioni del piano, ma ha soltanto lo scopo
di far conoscere alla autorità statale il "punto
di vista" del consiglio comunale in merito alle
modifiche proposte dall'autorità medesima, cui
la legge attribuisce il potere di includere nel piano,
con suo atto autonomo, tali modifiche.
Nel caso in cui il comune entro il termine stabilito
non deliberi ovvero non trasmetta la delibera all'autorità
competente, questa potrà procedere legittimamente
alla introduzione delle modifiche nel progetto comunale.
Questa interpretazione deriva dal carattere chiaramente
perentorio attribuito dal legislatore al termine suddetto
ed è confortata dalla considerazione che, diversamente,
l'inerzia del comune potrebbe impedire o ritardare
per un tempo indefinito l'approvazione dei piani e
dei regolamenti: approvazione che invece deve avvenire
entro termini fissati dalla legge.
Va, inoltre, osservato che la mancata approvazione dei
piani e dei regolamenti entro il termine di un anno
dalla trasmissione degli atti da parte del comune,
comporta - come meglio si vedrà in seguito -
conseguenze di notevole rilievo. Ed infatti dopo tale
data non trova più applicazione la salvaguardia
ope legis stabilita dall'art.17 - che si concreta in
una serie di limitazioni alla attività costruttiva
riguardanti il volume, il numero dei piani e l'altezza
degli edifici - e possono essere autorizzate lottizzazioni
prima dell'approvazione del piano o del programma di
fabbricazione.
3. SEMPLIFICAZIONE ED ACCELERAMENTO DELLE PROCEDURE
(art.1, comma 1 e 7; art.3 comma 3; art.5 comma 1 e7;
art.12 comma 1, 5 e 6; art.20)
La nuova legge contiene diverse norme intese a rendere
più rapido l'iter di approvazione dei piani,
attraverso il decentramento e la semplificazione di
vari adempimenti ed atti procedurali. Tali norme prevedono:
a) l'eliminazione della speciale approvazione per le
delibere, con le quali i comuni decidono di procedere
alla formazione del piano regolatore generale (art.1,
primo comma).
Tali delibere, come si è accennato, divengono
esecutive ai sensi dell'art.3 della legge 9-6-1947,
n.530. Esse, pertanto, non debbono più essere
sottoposte alla giunta provinciale amministrativa,
ma soltanto trasmesse al prefetto entro otto giorni
dalla loro data e pubblicate per quindici giorni; in
mancanza di annullamento prefettizio, da pronunziare
nel termine di venti giorni, esse divengono esecutive
a seguito di detta pubblicazione;
b) la pubblicazione delle delibere contenenti le deduzioni
comunali alle proposte di modifiche di ufficio.
Gli artt. 3 (terzo comma), 5 (settimo comma) e 12 (quinto
comma), stabiliscono che le deduzioni comunali alle
proposte di modifica, rispettivamente, al piano generale,
a quello particolareggiato ed al regolamento edilizio,
sono adottate con deliberazione da pubblicare soltanto
nel primo giorno festivo e trasmesse all'autorità
competente per l'approvazione nei successivi quindici
giorni. Oltre a semplificare la procedura, tali disposizioni
eliminano la facoltà dei privati di presentare
osservazioni od opposizioni in tale sede. Per le modifiche
ai piani particolareggiati, come si è detto,
è prevista la pubblicazione delle modifiche
stesse ai sensi dell'art.15 della legge del 1942 -
per consentire la presentazione di opposizioni da parte
dei proprietari interessati - ma prima che venga adottata
la delibera consiliare sulle controdeduzioni, anch'essa
soggetta a pubblicazione limitatamente al primo giorno
festivo;
c) il decentramento dell'approvazione dei piani particolareggiati
e dei regolamenti edilizi.
La nuova legge dispone un largo decentramento di competenze
in materia di approvazione dei piani particolareggiati
e dei regolamenti edilizi. Fermo restando, infatti,
il primo comma dell'art.10 della legge urbanistica,
secondo il quale i piani regolatori generali sono approvati
con decreto del Presidente della Repubblica, la nuova
legge stabilisce che:
- i piani particolareggiati (art.5, primo comma) sono
approvati con decreto del provveditore regionale alle
opere pubbliche e non più con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro dei lavori
pubblici;
- i regolamenti edilizi e gli annessi programmi di fabbricazione
(art.12, primo comma) sono approvati con decreto del
provveditore regionale alle opere pubbliche e non più
con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto
con quello della sanità.
Sia per i piani particolareggiati che per i regolamenti
edilizi, il Ministro dei lavori pubblici, di concerto
con i Ministri dell'interno e della pubblica istruzione,
può avocare a sé l'approvazione dei piani
e dei regolamenti. In tal caso l'approvazione avviene
con decreto del Ministro dei lavori pubblici, sentito
il Consiglio superiore dei lavori pubblici e, per i
regolamenti edilizi, sentito anche il Ministero della
pubblica istruzione.
Il Ministero dei lavori pubblici ha già esercitato
tale potere riservando alla sua competenza l'approvazione
dei piani particolareggiati e dei regolamenti edilizi
dei comuni compresi nei decreti ministeriali nn.2577
e 5840 dell'1-9-1967, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale
n.242 del 27-9-1967 ed allegati alla presente circolare;
d) la fissazione di termini per gli adempimenti da parte
degli organi statali (artt. 1 settimo comma e 12 sesto
comma).
La legge pone termini precisi non soltanto per i singoli
adempimenti comunali ma, molto opportunamente, anche
per la determinazione dell'autorità statale,
fissandoli in un anno per l'approvazione dei piani
regolatori generali e in sei mesi per quella dei piani
particolareggiati e dei regolamenti edilizi.
Tali termini decorrono dalla data di presentazione degli
atti alla amministrazione dei lavori pubblici da parte
del comune. Essi, a differenza di quelli stabiliti
per gli adempimenti comunali - il cui decorso fa scattare
gli interventi sostitutivi - non possono ritenersi
comminatori: ma, tuttavia, impegnano l'amministrazione
statale a provvedere nel tempo fissato.
Va, poi, precisato che la scadenza di tali termini,
senza che l'autorità competente abbia provveduto,
comporta alcune importanti conseguenze:
- la facoltà del comune di autorizzare lottizzazioni
- sempre previo nulla osta - in deroga al principio
che esse sono vietate prima dell'approvazione dei piani
o dei programmi di fabbricazione;
- la non applicabilità delle limitazioni previste
nel primo, secondo e terzo comma dell'art.17;
e) la fissazione di un termine per l'esercizio del controllo
della giunta provinciale amministrativa (art.20).
L'art.20 stabilisce un termine perentorio - 90 giorni
- entro il quale deve essere esercitato il controllo
della giunta provinciale amministrativa sulle delibere
comunali. Tale termine decorre dalla data di trasmissione
della deliberazione e, nel caso che questa sia stata
trasmessa prima dell'entrata in vigore della legge,
da quest'ultima data. Decorso il termine suddetto,
le deliberazioni assunte ai sensi della legge s'intendono
approvate, in mancanza di provvedimenti da parte della
giunta provinciale amministrativa. Eventuali atti interlocutori
non possono comportare alcun prolungamento del termine,
entro il quale debbono essere emessi i provvedimenti
definitivi: siano essi di approvazione o di reiezione,
totale o parziale.
Le delibere previste dalla legge sono quelle riguardanti
l'adozione dei piani regolatori, generali e particolareggiati,
dei regolamenti edilizi e delle relative varianti,
nonché le delibere riguardanti l'approvazione
delle convenzioni per le lottizzazioni a scopo edificatorio.
La disposizione non si applica alle delibere che, pur
essendo previste dalla legge n.765, non sono soggette,
in base alle norme di carattere generale, all'approvazione
della giunta provinciale amministrativa: tra queste
sono compresi, ad esempio, gli atti deliberativi riguardanti
le controdeduzioni comunali in merito alle proposte
di modifica dell'autorità statale.
La norma suindicata è di notevole importanza
ai fini dell'acceleramento della procedura di approvazione
degli strumenti urbanistici.
In proposito, anche in relazione a numerosi quesiti
formulati dai comuni, occorre precisare che il controllo
della giunta provinciale amministrativa, in quanto
si sostanzia in un atto di approvazione, investe non
solo la regolarità formale, ma anche il merito
delle delibere comunali concernenti gli strumenti urbanistici.
Senonché appare opportuno ricordare che il consiglio
di Stato (parere della sezione prima, n.1454 del 20-2-1962)
ha ritenuto "in applicazione del principio connaturato
e coessenziale dell'ordinamento amministrativo, che,
laddove sussista un concorso di controlli, essi si
coordinino tra di loro evitando duplicazione e interferenze"
e che, "in subiecta materia, si tratta appunto
di coordinare il sistema di controllo previsto dalla
legge comunale e provinciale con quello contemplato
dalla legge urbanistica: di modo che la giunta provinciale
amministrativa può esercitare il proprio sindacato
prevalentemente sulla regolarità formale e sul
merito finanziario dei piani e solo sommariamente sul
merito urbanistico, mentre gli organi dell'amministrazione
dei lavori pubblici possono riguardare specificamente
l'aspetto tecnico-urbanistico".
Tale parere, riguardante i limiti del potere di controllo
spettante alle giunte provinciali amministrative sulle
deliberazioni comunali concernenti i piani regolatori,
ha formato oggetto della circolare del Ministero degli
interni 10-5-1962, n.16500.2.16/13/4161, diretta alle
prefetture: circolare sulla cui applicazione si richiama
l'attenzione dei signori prefetti.
4. MISURE DI SALVAGUARDIA IN PENDENZA DELL'APPROVAZIONE
DEI PIANI REGOLATORI GENERALI (art.3, ultimo comma).
La legge 3-11-1952, n.1902, successivamente modificata
dalle leggi 21-12-1955, n.1357; 30-7-1959, n.615 e
5-7-1966, n.517, ha introdotto nel nostro ordinamento
le misure di salvaguardia, in base alle quali i sindaci
hanno la facoltà di sospendere le proprie determinazioni
sulle domande di licenza edilizia, quando riconoscano
che tali domande siano in contrasto con il piano adottato;
ed i prefetti possono, su richiesta del sindaco, ordinare
la sospensione delle opere che siano tali da compromettere
o rendere più onerosa l'attuazione dei piani.
Tali misure hanno ambedue carattere facoltativo. L'art.3
della nuova legge stabilisce, invece, che le "normali
misure di salvaguardia" sono obbligatorie.
La norma è chiaramente intesa ad eliminare i
gravi inconvenienti che il carattere facoltativo delle
misure di salvaguardia ha finora comportato: esse,
infatti, hanno avuto generalmente una applicazione
molto limitata e casuale, con conseguente pregiudizio
per l'attuazione dei piani, e, d'altra parte, si sono
rivelate, proprio per la discrezionalità attribuita
ai sindaci, uno strumento discriminatorio e una fonte
di ricorsi giurisdizionali.
Va precisato che la norma:
a) riguarda soltanto le misure di competenza del sindaco,
che nella prassi costante sono state sempre considerate
normali rispetto a quelle demandate ai prefetti, ritenute
eccezionali;
b) si applica ai piani regolatori generali dei comuni
- obbligati o non - e non ai piani particolareggiati
e ai programmi di fabbricazione, in quanto la "sedes
materiae" esclude ogni possibilità di estensione
della norma a strumenti diversi del piano regolatore
generale;
c) trova applicazione, ovviamente anche nei riguardi
dei piani regolatori generali adottati prima della
entrata in vigore della legge, poiché il potere-dovere
del sindaco viene esercitato nel momento in cui egli
adotta le sue determinazioni in merito alla sospensione
del rilascio della licenza edilizia. Ed in tale momento
va osservata la nuova norma, la quale prescrive che
non possono essere autorizzate opere in contrasto con
le previsioni adottate.
D'altra parte non sarebbe neanche ipotizzabile la facoltà
del sindaco di concedere la licenza per opere difformi
dal piano adottato, poiché esso non dispone
più di alcun potere discrezionale;
d) esclude che le determinazioni del sindaco debbano
essere assunte, come prevedono le precedenti norme,
su conforme parere della commissione edilizia comunale.
Il parere di detta commissione, in ordine alla esistenza
del contrasto con il piano regolatore adottato, resta
obbligatorio, ma non può considerarsi vincolante.
Va precisato, per corrispondere a richieste di chiarimenti
di alcuni comuni, che le misure di salvaguardia, di
competenza del sindaco, non possono, evidentemente,
applicarsi alle licenze già concesse e che quindi
la nuova norma non riguarda le licenze rilasciate prima
dell'entrata in vigore della legge n.765, né
le volture, proroghe e varianti relative a tali autorizzazioni:
sempre che le varianti rientrino nei limiti già
autorizzati.
5. RELAZIONE SULLA SPESA PREVENTIVATA (art.9).
L'art.30 della legge urbanistica prescriveva che i piani
regolatori generali, agli effetti del primo comma dell'art.18,
ed i piani particolareggiati fossero corredati da un
piano finanziario, sottoposto a speciale approvazione.
Tale disposizione ha comportato notevoli difficoltà
per i comuni, i quali all'atto della formazione del
piano avrebbero dovuto provvedere ed impegnare, sia
pure in forme diverse, i mezzi finanziari occorrenti
per la formazione dei demani comunali di aree e per
l'attuazione dei piani particolareggiati: oltre tutto,
con un notevole anticipo rispetto al periodo di tempo
previsto per le espropriazioni e per l'esecuzione delle
opere. La norma è stata una delle cause principali
della limitata formazione degli strumenti attuativi
dei piani regolatori generali ed ha comportato, inoltre,
non lievi ritardi nell'approvazione dei piani a causa
della complessa istruttoria prevista per il piano finanziario.
Per questo ultimo motivo la nuova disposizione viene
presa in esame nella parte di questa circolare che
riguarda la semplificazione delle procedure.
L'art.9 della nuova legge, riproducendo una norma della
legge 18-4-1962, n.167, dispone la sostituzione del
piano finanziario con una "relazione di previsione
di massima delle spese occorrenti per la acquisizione
delle aree e per le sistemazioni generali necessarie
per la attuazione del piano".
Tale relazione deve accompagnare i piani regolatori
generali soltanto nel caso in cui il comune intenda
avvalersi della facoltà di cui all'art.18 della
legge urbanistica del 1942, mentre è sempre
richiesta a corredo dei piani particolareggiati.
In base alle nuove norme, quindi, il comune, in sede
di formazione dei piani regolatori generali e dei piani
particolareggiati, deve limitarsi a formulare previsioni
di massima circa la spesa occorrente per l'attuazione
dei piani; e non è pertanto più tenuto
ad indicare i mezzi finanziari necessari per far fronte
alla spesa stessa.
La previsione di spesa ha carattere programmatico e
come tale è soggetta a revisioni ed aggiornamenti.
III. CONTROLLO URBANISTICO DELL'ATTIVITA' COSTRUTTIVA.
Allo scopo di evitare che l'utilizzazione del suolo
avvenga in forma urbanisticamente incontrollata ovvero
sulla base di strumenti irrazionali, gli artt. 8, 17,
18 e 19 contengono una serie di norme che hanno, specificamente,
per oggetto:
a) le lottizzazioni di terreni a scopo edificatorio;
b) le limitazioni dell'attività costruttiva da
osservare:
- in assenza dei piani regolatori generali o dei programmi
di fabbricazione e fino alla loro approvazione;
- in assenza di strumenti attuativi: piani particolareggiati
e piani di lottizzazione;
- indipendentemente dagli strumenti urbanistici per
la tutela dell'interesse pubblico connesso alla circolazione
ed al traffico.
c) disposizioni regolatrici dell'attività pianificatoria
dei comuni.
Prima di illustrare le norme riguardanti i singoli argomenti
sopraspecificati, appare opportuno precisare in via
generale che:
- si intendono "sprovvisti" di piano regolatore
generale e di programma di fabbricazione i comuni che
non abbiano ancora ottenuto l'approvazione dei predetti
strumenti;
- per "piano regolatore generale" deve intendersi
quello previsto dall'art.7 della legge urbanistica
del 1942;
- nei comuni dotati di piani regolatori approvati prima
della legge del 1942, di piani di ricostruzione, ecc.,
la mancanza del piano regolatore generale o del programma
di fabbricazione comporterà, soltanto nelle
zone esterne al perimetro di detti piani, l'applicazione
della salvaguardia ope legis di cui all'art.17 ed il
divieto di procedere a lottizzazioni.
6. LOTTIZZAZIONI (artt. 8 e 10, comma 5).
A) PREMESSA.
L'art.28 della legge urbanistica stabiliva il divieto
di procedere, prima della approvazione del piano particolareggiato,
a lottizzazioni di terreni a scopo edilizio senza la
preventiva autorizzazione comunale.
La mancanza di un esplicito divieto di lottizzazione
in assenza del piano regolatore generale e la diffusa
carenza di tale strumento, hanno fatto sì che
le lottizzazioni divenissero lo strumento normale di
espansione delle città e, in generale, di realizzazione
degli insediamenti residenziali.
Il fenomeno - caratterizzato essenzialmente dalla casualità
ed irrazionalità delle scelte ubicazionali,
proprio a causa dell'assenza di qualsiasi inquadramento
urbanistico ha assunto, soprattutto negli ultimi anni,
proporzioni notevoli pregiudicando, spesso irrimediabilmente,
le zone di espansione urbana, le coste e le più
suggestive località alpine ed appenniniche.
Ed ha comportato anche notevoli oneri finanziari per
i comuni, sia per le ragioni suindicate e sia perché
nella maggior parte dei casi i proprietari hanno assunto
a loro carico soltanto le opere di urbanizzazione primaria
e, talora, neanche queste.
Tale situazione richiedeva una soluzione legislativa,
che disciplinasse in maniera rigorosa l'attività
lottizzatrice fornendo ai comuni i mezzi per controllarla
e chiamando i privati a concorrere agli oneri di urbanizzazione.
B) LOTTIZZAZIONI POSTE IN ESSERE DOPO L'ENTRATA IN VIGORE
DELLA LEGGE n.765.
La legge stabilisce, all'art.8, un nuovo regime per
le lottizzazioni che può essere riassunto come
appresso.
a) E' stabilito il tassativo divieto di qualsiasi lottizzazione
a scopo edilizio, prima della formale approvazione
del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione.
La ratio di tale disposizione è evidentemente
quella di impedire utilizzazioni edificatorie del territorio
comunale non inquadrate in un disegno urbanistico,
dotato di una sua logica e di una sua organicità.
b) Approvato il piano regolatore generale o il programma
di fabbricazione il comune può autorizzare lottizzazioni
con il preventivo nulla-osta della competente autorità
statale: e cioè del provveditore alle opere
pubbliche, ovvero del Ministro dei lavori pubblici
nei comuni per i quali sia stata avocata la competenza
al rilascio del nulla-osta medesimo.
Con decreto interministeriale n.5839 in data 1-9-1967,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27-9-1967,
n.242, è stato approvato l'elenco dei comuni
per i quali viene disposta detta avocazione.
In sede di rilascio del nulla osta l'autorità
statale deve accertare la conformità e la rispondenza
del progetto di lottizzazione ai criteri, alle previsioni
ed alle norme di esecuzione del piano regolatore generale
o del programma di fabbricazione: si tratta, quindi,
di un controllo tecnico- urbanistico, mentre il controllo
sulle convenzioni per quanto riguarda l'osservanza
delle norme di legge, sia il merito patrimoniale-finanziario
spetta alla giunta provinciale amministrativa.
c) Le lottizzazioni possono essere autorizzate anche
dopo l'adozione del piano regolatore o del programma
di fabbricazione, soltanto nel caso in cui gli organi
competenti ad approvare questi strumenti non adottino
alcuna determinazione entro il termine di 12 mesi dalla
presentazione del piano regolatore o del programma
di fabbricazione: termine che, per i piani e programmi
presentati prima della data di entrata in vigore della
legge, decorre da quest'ultima data.
E' da precisare che, anche in tal caso, occorre il nulla
osta della autorità statale di cui alla lettera
b).
d) L'autorizzazione a lottizzare, entro i limiti suddetti,
è subordinata alla stipula di una convenzione,
da trascrivere nei registri immobiliari a cura dei
proprietari. Tale convenzione è approvata dal
consiglio comunale, il quale in questa sede esamina
ed approva anche il progetto di lottizzazione, alle
cui previsioni tecnico-urbanistiche sono legati e connessi
gli oneri, i vincoli, i termini e le varie clausole
della convenzione.
La delibera consiliare è soggetta all'approvazione
della giunta provinciale amministrativa. Vanno qui
richiamate le osservazioni formulate, a proposito dei
piani regolatori, in merito ai limiti del controllo
della giunta provinciale amministrativa sugli strumenti
urbanistici, tra i quali rientrano ovviamente le lottizzazioni.
Quindi, anche in relazione a quanto è stato
detto sopra alla lettera b), il necessario coordinamento
dei controlli comporta che quello tecnico-urbanistico
sia riservato all'amministrazione dei lavori pubblici
e quello patrimoniale- finanziario alle giunte provinciali
amministrative.
L'art.8 definisce il contenuto della convenzione, stabilendo
gli oneri che deve assumere il proprietario per le
opere di urbanizzazione, i relativi termini e le garanzie.
Le opere di urbanizzazione primaria sono le strade residenziali,
gli spazi di sosta e di parcheggio, le fognature, la
rete idrica, la rete di distribuzione di energia elettrica
e la pubblica illuminazione. Per quanto riguarda il
verde, a parere di questo Ministero, rientrano fra
le opere di urbanizzazione primaria solo gli spazi
verdi in prossimità ed al servizio delle abitazioni,
mentre vanno considerate come opere di urbanizzazione
secondaria i parchi di quartiere, il verde per attrezzature
sportive e le altre aree verdi riservate a particolari
impianti.
Possono definirsi opere di urbanizzazione secondaria
quelle che sono indispensabili alla vita del quartiere
e sono poste al suo diretto servizio: scuole, chiese,
centri sociali, ambulatori, mercati, ecc. In concreto,
tali opere risulteranno dalle previsioni dei piani
e dei programmi.
Le opere per gli allacciamenti ai pubblici servizi sono
le condotte fognanti e di adduzione idrica, le linee
elettriche, le attrezzature viarie e di collegamento
con la città, ecc.
Per quanto riguarda le opere di urbanizzazione primaria,
va precisato che in ogni caso i relativi oneri, ivi
compresa la cessione gratuita delle aree, debbono essere
assunti integralmente a carico del proprietario o dei
proprietari interessati. L'obbligo dei proprietari
va riferito, ovviamente, soltanto alle opere di urbanizzazione
al diretto servizio degli insediamenti che formano
oggetto della lottizzazione.
Per quanto concerne le altre opere di urbanizzazione,
la legge attribuisce al comune la facoltà di
scegliere, a seconda dei casi, fra due soluzioni: addossare
ai proprietari una quota per la urbanizzazione secondaria,
ovvero porre a loro carico una quota delle opere necessarie
per l'allacciamento ai pubblici servizi. Evidentemente,
si è voluto in tal modo evitare che l'accollo
ai proprietari di oneri eccessivi comporti un notevole
aumento del costo delle aree con diretta incidenza
sul costo delle abitazioni.
Circa l'entità degli oneri relativi alle opere
di urbanizzazione secondaria o agli allacciamenti,
mentre non si esclude - soprattutto quando si tratti
di lottizzazioni di tono elevato - la possibilità
che tali oneri siano assunti integralmente dai proprietari
attraverso la convenzione, di norma deve essere posta
a carico dei proprietari stessi soltanto una quota
parte di detti oneri, che il comune determinerà
in relazione alla entità dell'insediamento ed
alle sue caratteristiche - indici di utilizzazione,
tipologie, distribuzione dei volumi, localizzazione
dell'insediamento in rapporto alla distanza dai centri
abitati, ecc. - nonché alla stessa entità
delle opere previste.
E' questa una scelta che spetta al comune ma che è,
evidentemente, sindacabile in sede di controllo dell'autorità
tutoria, anche in relazione agli oneri finanziari che
potranno gravare sui comuni.
In ogni modo, ad evitare disparità di trattamento,
si ritiene indispensabile che i comuni predeterminino
criteri di carattere generale, così che i privati
possano conoscere in anticipo quali sono gli oneri
cui essi vanno incontro e soprattutto le varie iniziative
siano poste tutte su un piano di parità, tenuto
conto, beninteso, dell'obiettiva diversità di
situazioni.
Nel fissare i criteri per la determinazione delle quote,
i comuni dovranno evitare che per le convenzioni nell'ambito
dei piani della 167 ricorrano condizioni più
gravose rispetto alle convenzioni della legge n.765,
in considerazione anche degli ulteriori vincoli che
la 167 pone ai proprietari che intendono utilizzare
direttamente le loro aree.
Per quanto riguarda la cessione delle aree per le opere
di urbanizzazione secondaria, si ritiene che il comune,
in luogo di essa, possa convenire con il privato il
pagamento di una somma corrispondente al valore della
quota delle aree stesse, almeno in tutti i casi in
cui la cessione dia luogo ad inconvenienti, come ad
esempio nella ipotesi in cui il privato sia tenuto
a realizzare una parte soltanto delle opere. Come pure
potrà convenirsi che, in luogo della cessione
parziale di aree per singole opere, vengano cedute
integralmente - sempre per la quota corrispondente
- le aree occorrenti per una o alcune soltanto di tali
opere.
Alla esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia primaria
che secondaria, possono provvedere direttamente i proprietari
per la parte a loro carico prevista nella convenzione:
soluzione questa che, in diversi casi, può apparire
anche preferibile rispetto alla esecuzione a cura del
comune.
Nei casi di realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione
secondaria, la parte che il proprietario si impegna
ad eseguire in relazione alla quota di sua spettanza,
dovrà ovviamente essere determinata in rapporto
non alle singole opere, ma al complesso di esse, poiché
non può pensarsi che il privato curi solo per
parti l'esecuzione di uno stesso lavoro.
e) L'autorizzazione comunale conclude un'attività
amministrativa che si sviluppa attraverso una serie
di atti stabiliti dalla legge.
Secondo una interpretazione dell'art.8 che appare corretta,
questo Ministero ritiene che il procedimento possa
così svolgersi:
- domanda di autorizzazione da parte del proprietario
o dei proprietari interessati, accompagnata dal progetto
e dallo schema di convenzione;
- approvazione del progetto e dello schema di convenzione
con delibera del consiglio comunale;
- approvazione della delibera comunale da parte della
giunta provinciale amministrativa;
- nulla osta del Ministero dei lavori pubblici o del
provveditorato alle opere pubbliche. Gli atti possono
essere inoltrati all'amministrazione dei lavori pubblici
anche in pendenza dell'approvazione della autorità
tutoria;
- stipula della convenzione e trascrizione della stessa
nei registri immobiliari a cura del proprietario;
- rilascio dell'autorizzazione comunale. Questa, quando
ricorrano tutti i presupposti indicati, può
considerarsi come un atto dovuto e potrà normalmente
essere concessa, ad avviso di questo Ministero, anche
prima della stipula della convenzione, subordinandosi
in tal caso la sua efficacia alla stipula stessa ed
alla successiva trascrizione.
In merito all'iter procedurale suindicato, alcune amministrazioni
comunali hanno espresso l'avviso che sarebbe preferibile,
allo scopo di conseguire un notevole acceleramento
della procedura, che gli organi statali rilascino il
nulla osta prima della delibera comunale.
Questo Ministero ha esaminato il problema attentamente
e sotto molteplici aspetti; e pur non escludendo -
sul piano meramente giuridico - che possa sostenersi
l'interpretazione suggerita da tali comuni, ritiene
che il controllo statale debba, correttamente, essere
esercitato dopo la delibera del consiglio comunale.
E ciò, in primo luogo, per evitare che l'autorità
statale prenda in esame un progetto di lottizzazione
che, proposto dal sindaco, potrebbe non avere l'approvazione
del consiglio comunale, organo competente a decidere
della convenienza a ricorrere, nei casi concreti, allo
strumento della lottizzazione; e soprattutto perché
è sembrato indispensabile che l'autorità
statale si pronunci quando sono già intervenute
le determinazioni consiliari sul progetto di lottizzazione,
cosicché essa possa tenerne conto ai fini del
rilascio del nulla osta.
f) Il comune può, sulla base del piano regolatore
generale o del programma di fabbricazione - e senza
che occorra un piano particolareggiato approvato, così
come previsto dall'art.28 della legge del 1942 - invitare
i proprietari delle aree di una determinata zona a
presentare un piano di lottizzazione, e può
redigerlo d'ufficio ove i proprietari non aderiscano.
In tal caso si applicano le disposizioni dell'ultimo
comma dell'art.28 della legge del 1942, fatte salve
dalla nuova legge.
Il potere così riconosciuto all'autorità
comunale assume notevole importanza, soprattutto nei
casi di inerzia degli interessati o quando l'eccessivo
frazionamento della proprietà possa ostacolare
la spontanea assunzione di iniziative di lottizzazione.
Si tratta di una norma essenzialmente intesa a sollecitare
il ricorso dei proprietari a forme associative e consorziali
per l'attuazione dei piani regolatori e dei programmi
di fabbricazione.
g) Allo scopo di combattere le lottizzazioni abusive,
la nuova legge (art.10, comma 4) stabilisce la nullità
degli atti di compravendita dei terreni in esse ricadenti,
qualora non risulti dagli atti stessi che l'acquirente
era a conoscenza della mancanza di autorizzazione.
E' evidente che, in tal modo, viene meno ogni interesse
a lottizzare terreni a scopo edificatorio senza la
prescritta autorizzazione.
C) CONSIDERAZIONI SULLE LOTTIZZAZIONI, SECONDO LA NUOVA
DISCIPLINA LEGISLATIVA.
Dal complesso delle disposizioni illustrate si evince
che il legislatore ha considerato le lottizzazioni
a scopo edificatorio, come uno strumento alternativo
- oltre che attuativo - dei piani particolareggiati,
recependo un criterio ormai affermatosi nella dottrina
urbanistica ed oggi accolto dalla normativa di diversi
piani regolatori generali; questi, cioè, possono
attuarsi a mezzo di piani esecutivi di iniziativa pubblica
(piani particolareggiati) o di iniziativa privata (piani
di lottizzazione).
In proposito sembra opportuno sottolineare che le lottizzazioni
- proprio per la loro natura di strumento alternativo
del piano particolareggiato, fornito di altrettante
valide garanzie per l'interesse pubblico, e per la
partecipazione dei proprietari agli oneri di urbanizzazione
- dovrebbero essere favorite da parte delle amministrazioni
comunali, anche per promuovere una più positiva
ed ampia collaborazione dei privati sia per l'espansione
dei centri abitati, sia per il regolare sviluppo dell'attività
edilizia, che dall'assenza di tali strumenti potrebbe
restare negativamente condizionata.
Tale considerazione potrà valere ad orientare
i comuni nella determinazione di quegli oneri - la
cui entità è da definire in sede di convenzione
- in maniera tale che non sia scoraggiato, ma anzi
sollecitato, il ricorso dei privati alle lottizzazioni:
tutto ciò, ovviamente, sempre nel rispetto delle
norme di legge la cui osservanza non potrà,
peraltro, non essere assicurata dai competenti organi
statali in sede di controllo (giunta provinciale amministrativa
ed amministrazione dei lavori pubblici).
La lottizzazione - che, come si è visto, tipicamente
fa capo ad una iniziativa spontanea dei privati - può
in casi determinati ricollegarsi ad una iniziativa
del comune (art.8, ultimo comma), il quale ha quindi
la possibilità, proprio in applicazione di quest'ultima
norma e dell'ultimo comma dell'art.28 della legge unica
di "imporre" un piano di lottizzazione ai
proprietari di aree esistenti in singole zone: possibilità
che era prevista già dalla legge del 1942, ma
che presupponeva l'esistenza di un piano particolareggiato
approvato.
Va, però, osservato che anche se esigenze connesse
ad una ordinata e corretta realizzazione degli insediamenti
e considerazioni di ordine finanziario potrebbero consigliare
generalmente, ove manchi l'iniziativa dei privati,
il ricorso ai piani di lottizzazione cosiddetti obbligatori
(così sono stati definiti dalla giurisprundenza),
non può ritenersi possibile - sia in relazione
al carattere delle varie zone e sia alle remore che
tale sistema potrebbe comportare per l'attività
edilizia - subordinare in ogni caso l'attività
costruttiva alla esistenza di tali strumenti esecutivi.
Del resto, va osservato che anche nel sistema della
nuova legge l'autorità comunale non può
legittimamente negare - se non si sia avvalsa preventivamente
e tempestivamente della facoltà suindicata -
il rilascio di singole licenze edilizie quando, in
mancanza di opere di urbanizzazione primaria eseguite
o da eseguirsi dal comune, il privato assuma l'impegno
di realizzare tali opere a proprie spese.
In generale va detto - come utile criterio di orientamento
per i comuni - che essi potranno avvalersi della facoltà
di cui al citato ultimo comma dell'art.8, quando, da
una parte, manchi iniziativa dei proprietari ovvero
questi, per l'eccessivo frazionamento della proprietà
o per altri motivi, non riescano a raggiungere un accordo
per l'edificazione convenzionata di una determinata
zona e, dall'altra, si tratti di zone per le quali
è prevista una sistemazione unitaria ovvero
appaia necessario, per motivi soprattutto urbanistici,
una attuazione di carattere unitario che può
essere assicurata, in mancanza dei piani particolareggiati,
soltanto da un piano di lottizzazione.
Quindi lo strumento della lottizzazione, proprio per
le sue due componenti essenziali di carattere urbanistico
e finanziario, non può essere utilizzato in
tutte le zone della città: indipendentemente
cioè dalla ubicazione, dalle caratteristiche
e dal grado di urbanizzazione di queste.
Il ricorso alla lottizzazione non è possibile
ad esempio nelle zone agricole, né appare utile
nelle zone pressoché saturate e già urbanizzate
ed in quelle centrali delle città, mentre sarà
preferibile o quanto meno auspicabile che, nelle zone
di nuova espansione, l'edificazione avvenga, in mancanza
di piano particolareggiato, a mezzo di piano di lottizzazione
facoltativo o obbligatorio.
In proposito va ricordato che in alcuni piani regolatori
generali in vigore - come ad esempio quello di Roma
- viene esplicitamente esclusa per determinate zone
la possibilità di singole iniziative costruttive
ed è stabilito che la formazione di quartieri
o di nuclei insediativi avvenga soltanto attraverso
piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate.
Vi sono però dei casi in cui per legge (art.17,
comma 6) l'attività edificatoria è necessariamente
subordinata alla esistenza di un piano esecutivo -
piano particolareggiato o piano di lottizzazione -
ma ciò avviene soltanto quando gli indici e
le altezze previste dal piano o dal programma superano
certi limiti e quindi per ragioni esclusivamente urbanistiche:
in ogni modo la relativa norma, come si vedrà,
trova applicazione dopo un anno dall'entrata in vigore
della nuova legge.
Diverse amministrazioni comunali hanno chiesto al Ministero
di indicare criteri precisi dai quali possa desumersi
in quali casi le iniziative private di utilizzazione
del suolo a scopo edificatorio possano configurarsi
come lottizzazioni e siano quindi soggette al divieto
previsto dal primo comma dell'art.8 in assenza di piani
regolatori generali e di programmi di fabbricazione,
ovvero alla procedura di autorizzazione stabilita nello
stesso articolo in presenza di tali strumenti. D'altra
parte - è stato rilevato - i privati potrebbero
presentare le loro iniziative costruttive in modo da
eludere le disposizioni suindicate: sia per sfuggire
al divieto di cui si è detto e sia - in presenza
di un piano o programma di fabbricazione - per sottrarsi
agli oneri previsti dall'art.8, come può avvenire
nel caso di presentazione di singole licenze successive
che, nel loro complesso, configurino una lottizzazione
a scopo edificatorio, ovvero di predisposizione di
un minimo di opere di urbanizzazione per conseguire
l'autorizzazione a costruire attraverso singole iniziative.
Invero, non sembra possibile dare una definizione applicabile
in tutti i casi, in considerazione della molteplicità
e variabilità degli elementi che concorrono
a configurare la lottizzazione: e cioè la dimensione
della zona interessata e dell'insediamento, il numero
degli edifici previsti, le caratteristiche della edificazione,
l'entità delle opere di urbanizzazione, ecc.
Come utile criterio orientativo può dirsi che
costituisce lottizzazione non il mero frazionamento
dei terreni, ma qualsiasi utilizzazione del suolo che,
indipendentemente dal frazionamento fondiario e dal
numero dei proprietari, preveda la realizzazione contemporanea
o successiva di una pluralità di edifici a scopo
residenziale, turistico o industriale e conseguentemente
comporti la predisposizione delle opere di urbanizzazione
occorrenti per le necessità primarie e "secondarie"
dell'insediamento.
L'entità e il numero delle costruzioni previste
e delle connesse opere di urbanizzazione sono elementi
importanti per discriminare una lottizzazione da singole
iniziative costruttive. Non può, ad esempio,
sorgere alcun dubbio che l'utilizzazione di una ampia
zona di terreno per numerose costruzioni ovvero per
costruzioni anche limitate numericamente ma che comportino
insediamenti di molti abitanti sia una lottizzazione
e ricada quindi sotto il regime della nuova legge.
D'altra parte iniziative costruttive che, considerate
singolarmente, non presentano certo i caratteri della
lottizzazione, possono, nel loro complesso, costituire
un intervento lottizzatorio: tali iniziative, anzi,
possono essere artatamente presentate - lo si è
già accennato - come singole, proprio per sfuggire
alla nuova normativa.
Comunque, nei casi in cui, per la particolarità
delle situazioni, permangano dubbi in ordine alla qualificazione
come lottizzazione di determinati interventi edificatori
- dubbi che non possano essere risolti caso per caso,
neppure con l'ausilio degli accennati criteri - i comuni
ove lo ritengano potranno rivolgere specifici quesiti
ai provveditorati alle opere pubbliche ovvero a questo
Ministero.
D) LOTTIZZAZIONI POSTE IN ESSERE PRIMA DELL'ENTRATA
IN VIGORE DELLA LEGGE.
1. - Lottizzazioni anteriori al 2 dicembre 1966.
Per le lottizzazioni poste in essere prima della entrata
in vigore della nuova legge, questa dispone che sono
fatte salve, soltanto ai fini del quinto comma dell'art.8,
le autorizzazioni rilasciate sulla base di deliberazioni
del consiglio comunale aventi data anteriore al 2 dicembre
1966.
Va quindi chiarito che:
- le lottizzazioni anteriori alla data suindicata -
anche se i proprietari abbiano assunto a loro carico
una parte di oneri di urbanizzazione inferiore a quella
stabilita dalla nuova norma ovvero non abbiano assunto
alcun onere - conservano validità ed efficacia;
- tale disposizione si applica soltanto alle lottizzazioni
sulle quali sia intervenuta, prima o dopo l'autorizzazione,
la delibera del consiglio comunale approvata dalla
giunta provinciale amministrativa, restando quindi
escluse le autorizzazioni concesse sulla base di delibere
di giunta non adottate con i poteri del consiglio comunale
(art.140 del testo unico della legge comunale e provinciale)
o adottate ai sensi della citata norma ma per le quali
il consiglio abbia rifiutato la ratifica;
- la disposizione stessa non può trovare ovviamente
applicazione nei riguardi delle autorizzazioni illegittime,
perché rilasciate in contrasto con la normativa
allora vigente, essendo evidente sia per la lettera
(sono fatte salve soltanto ai fini...) e sia per la
ratio legis, che il legislatore non ha inteso sanare
eventuali illegittimità. In proposito appare
però opportuno precisare che il Consiglio di
Stato ha ritenuto legittime le lottizzazioni autorizzate
in assenza di piani regolatori generali o al di fuori
dei piani di massima approvati ai sensi delle norme
vigenti prima della legge urbanistica del 1942;
- la norma de qua non può essere interpretata
nel senso che le lottizzazioni fatte salve diventino
"invulnerabili" rispetto alla regolamentazione
urbanistica. Pertanto tali lottizzazioni, come tutte
le altre - in base ad un principio di carattere generale
affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
- possono essere modificate dai piani regolatori e
dai programmi di fabbricazione o dalle varianti agli
stessi, successivamente posti in essere.
2. - Lottizzazioni posteriori al 2 dicembre 1966 ed
anteriori all'entrata in vigore della legge.
Per le lottizzazioni autorizzate dopo il 2 dicembre
1966 e prima dell'entrata in vigore della legge, l'art.8
prevede la sospensione degli effetti fino alla stipula
di una convenzione che contenga tutti gli oneri ed
i vincoli stabiliti dalla nuova legge.
Tali lottizzazioni sono soggette allo stesso regime
- così come sopra descritto - di quelle anteriori
al 2 dicembre 1966, tranne per quanto concerne gli
oneri di urbanizzazione. Se, pertanto, le lottizzazioni
non sono accompagnate da convenzioni o se, comunque,
queste ultime non prevedono tutti gli oneri ed i vincoli
richiesti dalla nuova legge, la loro efficacia è
sospesa dal momento dell'entrata in vigore della legge
stessa, e fino a quando non sia stata stipulata e trascritta
la nuova convenzione, che dovrà essere approvata
con delibera del consiglio comunale - soggetta al controllo
di merito dell'autorità tutoria - senza che
occorra seguire il procedimento di cui al comma 2 dell'art.8.
L'espressione "autorizzazione" di cui al penultimo
comma dell'art.8, non può non essere riferita
ad avviso di questo Ministero, ad un provvedimento
assunto sulla base di un atto deliberativo del consiglio
comunale, poiché diversamente le lottizzazioni
contemplate dal suddetto comma sarebbero sottoposte
ad un regime privilegiato rispetto a quelle anteriori
al 2 dicembre 1966, mentre invece il legislatore ha
chiaramente stabilito per esse un regime di minor favore.
Se infatti il termine autorizzazione venisse interpretato
letteralmente, una lottizzazione antecedente al 2 dicembre
1966 e priva di delibera, non sarebbe fatta salva anche
se i proprietari avessero assunto a loro carico gli
oneri di urbanizzazione, mentre una lottizzazione autorizzata
senza delibera dopo il 2 dicembre 1966 rimarrebbe valida,
sia pure restandone eventualmente sospesi gli effetti
fino alla stipula della convenzione.
3. - Casistica.
Sembra opportuno, anche per meglio chiarire la portata
e gli effetti delle disposizioni sopra illustrate,
indicare, per quanto concerne le lottizzazioni poste
in essere prima dell'entrata in vigore della legge,
l'interpretazione di questo Ministero in ordine alle
situazioni che possono ipotizzarsi:
a) lottizzazioni autorizzate nonché deliberate
dal consiglio comunale prima del 2 dicembre 1966: sono
fatte salve, anche se non prevedono oneri di urbanizzazione
a carico dei proprietari;
b) lottizzazioni deliberate dal consiglio comunale prima
di tale data ed autorizzate successivamente, ma prima
dell'entrata in vigore della legge: sono fatte salve,
anche se non prevedono oneri di urbanizzazione a carico
dei proprietari;
c) lottizzazioni autorizzate nonché deliberate
dal consiglio comunale dopo il 2 dicembre 1966 e prima
dell'entrata in vigore della legge: debbono essere
integrate con una convenzione, ai sensi del quinto
e sesto comma dell'art.8;
d) lottizzazioni autorizzate prima dell'entrata in vigore
della legge, ma non deliberate: debbono seguire la
procedura della nuova legge per la parte non ancora
attuata;
e) lottizzazioni autorizzate o deliberate in contrasto
con la normativa allora vigente: non possono essere
rilasciate nuove licenze se non rispettino tale normativa,
in quanto tuttora in vigore;
f) per le lottizzazioni di cui ai precedenti punti a),
b) e c) resta fermo quanto sopra detto per ciascuno
di essi anche se l'approvazione delle delibere comunali
da parte della giunta provinciale amministrativa sia
intervenuta successivamente alle date indicate: e ciò
in quanto la legge si riferisce chiaramente alla data
in cui l'atto amministrativo si è perfezionato,
mentre, com'è noto, l'approvazione della giunta
provinciale amministrativa non riguarda la perfezione
dell'atto bensì la sua efficacia.
7. NORME RIGUARDANTI L'ATTIVITA' COSTRUTTIVA DA OSSERVARE,
IN ASSENZA DEI PIANI REGOLATORI GENERALI O DEI PROGRAMMI
DI FABBRICAZIONE FINO ALLA LORO APPROVAZIONE (art.17:
commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7).
L'art.17 contiene disposizioni regolatrici dell'attività
costruttiva, da osservare in assenza di strumenti urbanistici
e fino alla loro approvazione. La ratio di tale disposizione
è evidentemente quella di impedire che, in mancanza
di una qualsiasi regolamentazione urbanistica, l'attività
costruttiva continui a svolgersi - come è, spesso,
avvenuto finora - di fatto senza alcuna disciplina,
ad eccezione dei limiti, del tutto insufficienti, stabiliti
dai regolamenti edilizi con norme nella maggior parte
dei casi superate.
Le disposizioni dell'art.17 hanno applicazione dopo
un anno dall'entrata in vigore della legge, fatta eccezione
per quella riguardante i centri di carattere storico,
artistico o di particolare pregio ambientale (comma
5), che si applica immediatamente. Queste norme stabiliscono
limiti inderogabili relativi al volume, al numero dei
piani, all'altezza degli edifici residenziali ed alle
superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi.
Per quanto riguarda il volume sono stabiliti indici
diversi, a seconda che gli edifici ricadano nel centro
abitato o al di fuori di questo. La delimitazione del
centro abitato deve essere effettuata entro 90 giorni
dalla data di entrata in vigore della legge con delibera
del consiglio comunale sentiti il provveditorato alle
opere pubbliche e la competente soprintendenza ai monumenti.
La legge non precisa la nozione di centro abitato e
neppure il modo di determinare il perimetro.
Nel vigente ordinamento, tale nozione è contenuta
sia nel codice della strada (decreto del Presidente
della Repubblica 15-6-1959, n.393), che lo definisce
all'art.2 "insieme continuo di edifici, strade
ed aree", sia nel relativo regolamento di esecuzione,
(decreto del Presidente della Repubblica 30-6-1959,
n.420), che all'art.1 precisa: "per insieme continuo
di edifici è da intendere un raggruppamento
di fabbricati, in numero superiore a 25, che non presenti
soluzione di continuità, tranne per le strade
ed aree ad esso circostanti." L'istituto centrale
di statistica definisce il centro abitato come un "aggregato
di case continue o vicine con interposte strade, piazze
e simili, o comunque brevi soluzioni di continuità,
caratterizzato dall'esistenza di servizi o esercizi
pubblici determinanti un luogo di raccolta, ove sogliono
concorrere gli abitanti dei luoghi vicini per ragioni
di culto, istruzione, affari, approvvigionamenti e
simili".
L'Istat, pertanto, ha fornito le seguenti istruzioni
sia per la delimitazione del piano topografico, sia
per la individuazione dei requisiti che debbono coesistere
perché una località possa essere riconosciuta
come centro abitato:
a) deve sempre trattarsi di un gruppo di case più
o meno numeroso;
b) in tale gruppo di case vi debbono essere servizi
ed esercizi pubblici;
c) i servizi o gli esercizi pubblici devono determinare
un luogo di raccolta ove sogliono concorrere anche
gli abitanti delle zone circostanti.
Conseguentemente, un gruppo di case, senza servizi o
esercizi pubblici non può costituire un centro
abitato, né tale carattere può essere
riconosciuto ai servizi o esercizi pubblici (quali
una stazione ferroviaria, uno spaccio, una chiesa,
ecc.) isolati dalla campagna, anche se situati lungo
strade.
E' stata data, infine (cassazione penale, sezione III,
2-7-1962) una interpretazione giurisprudenziale del
"centro abitato" - di cui all'art.31 della
legge del 1942 - che lo definisce "quel complesso
di edifici abitati che sia sufficientemente organizzato,
mediante l'impianto di servizi pubblici essenziali".
Tali definizioni ed interpretazioni sono state date
a fini diversi da quelli della legge n.765. Tuttavia,
poiché esse configurano il "centro abitato"
in modo sostanzialmente analogo e possono adattarsi
alla definizione usata nella nuova legge, appare opportuno
tenerne conto per l'applicazione del disposto dell'art.17.
Avvalendosi dei criteri suesposti circa la definizione
di centro abitato i comuni, pertanto, dovranno formulare
la proposta di perimetrazione da sottoporre al provveditorato
alle opere pubbliche, il quale, sentita, la soprintendenza
ai monumenti, esprimerà il proprio avviso, suggerendo
eventualmente modifiche. Dopodiché il comune
adotterà la relativa delibera consiliare, motivando
il proprio dissenso dai pareri dei predetti organi
statali, nel caso in cui ritenga di non aderire alle
modifiche richieste dagli organi stessi.
Si fa presente che, poiché, come si è
detto, la legge fissa il termine di 90 giorni, per
la deliberazione consiliare, gli adempimenti degli
organi comunali e statali dovranno essere espletati
nel più breve tempo, al fine di rispettare il
termine di legge.
A tal riguardo i provveditori - riferendo in proposito
a questo Ministero - prenderanno tutte le iniziative
ritenute necessarie per far sì che i comuni,
tenuti a definire il perimetro del centro abitato -
e cioè tutti quelli che non hanno piano o programma
approvati - provvedano entro il termine stabilito.
Nel caso di inadempienza comunale entro il termine di
legge, trattandosi di un atto obbligatorio, non sembra
dubbio che il prefetto possa intervenire nominando
un commissario ad acta. Va richiamata in proposito
l'attenzione dei prefetti sulla necessità di
intervenire tempestivamente, al fine di evitare che
alla scadenza dell'anno dall'entrata in vigore della
legge, sorgano incertezze circa l'applicabilità
delle diverse limitazioni di cui al primo comma dell'art.17.
Le limitazioni sopraindicate trovano applicazione fino
al momento dell'approvazione dei piani regolatori e
dei programmi di fabbricazione. Se però i piani
ed i programmi non vengono approvati entro un anno
dalla presentazione, e in caso di restituzione per
rielaborazione, entro un anno dalla nuova presentazione,
le limitazioni suddette cessano di aver vigore alla
scadenza dei suddetti periodi di tempo. Per i piani
ed i programmi presentati prima della data di entrata
in vigore della legge n.765, il termine di un anno
decorrerà da tale data.
Per quanto riguarda il terzo comma dell'art.17 è
appena il caso di precisare che per "edifici e
complessi produttivi" nei comuni sprovvisti di
piano regolatore e di programma di fabbricazione, debbono
intendersi quelli destinati ad attività industriali
ed agricole; e quindi la norma non si applica agli
edifici ed ai complessi residenziali, disciplinati
dal primo comma dello stesso articolo.
La disposizione del quinto comma è, come si è
detto, immediatamente applicabile. Essa prevede che,
fino all'approvazione del piano regolatore generale,
negli agglomerati urbani - per la parte o le parti
che rivestono carattere storico, artistico o di particolare
pregio ambientale - sono consentite opere di consolidamento
o di restauro, senza alterazioni di volume, ed è
vietata l'edificazione delle aree libere.
L'applicazione della norma è agevole tutte le
volte che il carattere storico, artistico o di particolare
pregio ambientale dell'agglomerato urbano o di parti
di esso risulti evidente ed accertato ovvero derivi
da vincoli e provvedimenti del Ministero della pubblica
istruzione, ai sensi delle disposizioni vigenti in
materia di tutela del paesaggio e delle cose artistiche.
Non possono sorgere, d'altra parte, incertezze interpretative
nei casi in cui i piani regolatori od i programmi di
fabbricazione adottati, ma non approvati, contengano
una individuazione del nucleo storico. E' infatti,
evidente che in tal caso il controllo sull'attività
costruttiva nell'ambito del centro medesimo non può
farsi prescindendo da un criterio che il comune ha
eseguito in sede di adozione: e ciò soprattutto
in quanto la norma persegue essenzialmente finalità
di carattere urbanistico.
In diversi casi possono sorgere dubbi sulla valutazione
del carattere storico, artistico o di pregio ambientale
di un agglomerato; e, comunque, sui limiti topografici
delle parti di un agglomerato aventi tale carattere.
Sembra, quindi, necessario raccomandare ai comuni che,
nei casi dubbi, essi chiedano il parere della sezione
urbanistica e della competente soprintendenza ai monumenti.
Per fornire ai comuni alcuni tra i possibili criteri
di orientamento, vengono indicate delle situazioni
che, a parere di questo Ministero, rientrano nella
definizione di agglomerato di carattere storico, artistico
e di particolare pregio ambientale:
a) strutture urbane in cui la maggioranza degli isolati
contengano edifici costruiti in epoca anteriore al
1860, anche in assenza di monumenti od edifici di particolare
valore artistico;
b) strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto
o in parte conservate, ivi comprese le eventuali propaggini
esterne che rientrino nella definizione del punto a);
c) strutture urbane realizzate anche dopo il 1860, che
nel loro complesso costituiscano documenti di un costume
edilizio altamente qualificato.
Poiché da parte di alcuni comuni è stato
chiesto specificamente se la norma di cui trattasi
debba applicarsi alle zone dichiarate di notevole interesse
pubblico ai sensi dell'art.6 della legge 29-6-1939,
n.1497, occorre precisare in primo luogo che le limitazioni
previste dalla norma stessa possono trovare applicazione
limitatamente alle parti di tali zone comprese negli
agglomerati urbani e inoltre che, anche in tale ambito,
deve sempre sussistere il "carattere" stabilito
dalla norma, e che non può farsi derivare automaticamente
dal vincolo suindicato.
L'esistenza di tale carattere potrà essere valutato
dalla soprintendenza ai monumenti in sede di rilascio
del prescritto nulla osta.
Ad evitare, comunque, difficoltà ed incertezze
interpretative o disparità di trattamento nell'applicazione
della nuova norma sarebbe opportuno che i comuni procedessero,
in occasione della delimitazione dei centri abitati,
anche alla perimetrazione degli agglomerati urbani
aventi i caratteri indicati dalla legge.
Per quanto concerne le attività consentite nell'ambito
degli agglomerati in questione deve farsi presente
che:
- per opere di consolidamento devono intendersi solo
quelle necessarie ad assicurare la stabilità
dell'edificio e riguardanti fondazioni, strutture portanti
e coperture, e che non comportino modifiche od alterazioni
sostanziali alle strutture murarie originarie dell'edificio;
- per opere di restauro devono considerarsi quelle tendenti
non solo alla conservazione dell'edificio nella sua
inscindibile unità formale-strutturale ma anche
alla valorizzazione dei suoi caratteri architettonico-decorativi,
al ripristino di parti alterate ed all'eliminazione
di superfetazioni degradanti.
Il restauro deve rispettare tanto l'aspetto esterno
quanto l'impianto strutturale tipologico-architettonico
dell'interno e le parti decorative, pur provvedendo
in ordine alle esigenze igieniche e di abitabilità.
Potranno, inoltre, essere consentiti eventuali adattamenti
a nuove destinazioni d'uso, qualora queste siano compatibili
con il carattere urbanistico, oltre che storico ed
artistico, del complesso e, soprattutto, non contrastino
con la concezione unitaria propria dei singoli organismi
edilizi.
8. NORME RIGUARDANTI L'ATTIVITA' COSTRUTTIVA DA OSSERVARE
IN MANCANZA DI STRUMENTI ATTUATIVI (art.17, comma 6).
Accade, talvolta, che i piani regolatori ed i programmi
di fabbricazione prevedano densità e altezze
che, in quanto eccedono determinati limiti, possono
comportare soluzioni tali da provocare conseguenze
dannose per la struttura urbana. Più precisamente,
una notevole densità od una altezza piuttosto
elevata possono produrre inconvenienti igienici, di
traffico, estetici e - più in generale - urbanistici,
quando non siano preventivamente predisposti strumenti
esecutivi che assicurino una distribuzione dei volumi
capace di garantire risultati soddisfacenti. Ciò
non può essere, in generale, ottenuto mediante
la semplice applicazione delle norme di attuazione
del piano regolatore generale, ma solo sulla base di
precise previsioni planivolumetriche.
Pertanto l'art.17 - sesto comma - stabilisce il divieto
della realizzazione di nuovi edifici con volumi superiori
a mc.3 per mq di superficie edificabile e con altezza
superiore a m.25, prima dell'approvazione del piano
particolareggiato o dei piani di lottizzazione estesi
all'intera zona e contenenti le disposizioni planovolumetriche
degli edifici.
Si tratta di una norma che trova applicazione dopo un
anno dall'entrata in vigore della legge e che, data
la sua notevole importanza, questo Ministero si riserva
di illustrare entro il più breve tempo con una
successiva circolare, previ ulteriori contatti con
le amministrazioni comunali.
9. NORME RELATIVE ALL'ATTIVITA' COSTRUTTIVA, STABILITE
PER LE ESIGENZE DEL TRAFFICO E DELLA CIRCOLAZIONE (artt.18
e 19).
L'art.18 stabilisce che ogni edificio deve essere provvisto
di spazi per il parcheggio in misura non inferiore
a mq.1 per ogni mc.20 di costruzione, mentre l'art.19
dispone che, a protezione delle strade al di fuori
del perimetro dei centri urbani, l'edificazione non
può avvenire a distanza inferiore a quella che
sarà stabilita con decreto del Ministro dei
lavori pubblici, di concerto con quelli dei trasporti
e dell'interno.
La disposizione dell'art.18 trova immediata applicazione
e pertanto dal momento dell'entrata in vigore della
legge non possono essere rilasciate nuove licenze edilizie
per edifici sprovvisti di spazi per parcheggio nella
misura stabilita da detto articolo.
In merito a tale disposizione sembrano necessarie le
seguenti precisazioni, anche in relazione a specifici
quesiti formulati dalle amministrazioni comunali:
- la norma ha portata generale e si applica a tutti
gli edifici, in presenza od in assenza di qualsiasi
strumento urbanistico, e perciò anche nell'ambito
dei piani di zona;
- la norma stessa non si applica, ovviamente, alle licenze
concesse prima dell'entrata in vigore della legge n.765,
come pure alle volture, alle proroghe ed alle varianti
riguardanti dette licenze;
- nella dizione "nuove costruzioni" sono comprese
le ricostruzioni, ma non gli ampliamenti, le sopraelevazioni
e le modifiche: ciò in riferimento anche alla
espressione usata nel primo comma dell'art.10, ai fini
del rilascio della licenza edilizia;
- "spazi per parcheggi" debbono intendersi
gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra
ed all'accesso dei veicoli;
- i parcheggi possono essere ricavati nella stessa costruzione
ovvero in aree esterne oppure promiscuamente; ed anche
in aree che non formino parte del lotto, purché
siano asservite all'edificio con vincolo permanente
di destinazione a parcheggio, a mezzo di atto da trascriversi
a cura del proprietario;
- la cubatura, in rapporto alla quale va determinata
la superficie da destinare a parcheggi, è costituita
dalla sola cubatura destinata ad abitazione, uffici
o negozi, con esclusione perciò delle altre
parti dell'edificio: scantinati, servizi e cosiddetti
"volumi tecnici".
Per quanto riguarda le costruzioni lungo le strade,
in attesa della emanazione del menzionato decreto ministeriale,
l'art.19 dispone che si applicano a tutte le autostrade
le norme di cui all'art.9 della legge 24-7-1961, n.729;
mentre per tutte le altre strade la distanza a cui
può essere costruito o ricostruito qualsiasi
manufatto non deve risultare inferiore alla metà
della larghezza stradale e, comunque, a m.5. Ciò
non esclude l'applicazione di altre norme vigenti che
prescrivano una maggiore distanza.
Alle disposizioni suddette (artt.18 e 19) non è
possibile, ovviamente, derogare neanche in sede di
formazione degli strumenti urbanistici, nel senso che
tali strumenti possono stabilire misure maggiori, ma
non inferiori a quelle definite con il suddetto decreto
interministeriale.
10. DISPOSIZIONI REGOLATRICI DELL'ATTIVITA' PIANIFICATORIA
DEI COMUNI (art.17, commi 8 e 9).
L'esperienza ha largamente dimostrato che i piani regolatori
ed i programmi di fabbricazione sottoposti all'approvazione
degli organi statali sono stati frequentemente caratterizzati
da densità elevate, limiti di altezza eccessivi,
distacchi insufficienti e da una dotazione non adeguata
di spazi pubblici, soprattutto per quanto riguarda
il verde.
Il Ministero dei lavori pubblici non ha potuto ovviare
a tali inconvenienti, poiché non aveva il potere
di modificare di ufficio gli strumenti urbanistici,
senza il consenso delle amministrazioni comunali.
Ora l'art.17 - ottavo e nono comma - attribuisce al
Ministero dei lavori pubblici il potere di stabilire
con appositi decreti interministeriali - il primo dei
quali dovrà essere emesso entro sei mesi dall'entrata
in vigore della legge stessa - limiti e rapporti inderogabili
da osservare nella redazione di nuovi strumenti urbanistici
o nella revisione di quelli esistenti.
Allo scopo di assicurare il rispetto di tali limiti
e rapporti, l'autorità di controllo ha - come
si è già accennato - il potere di introdurre
ex officio, con l'osservanza della procedura prescritta,
le modifiche riconosciute indispensabili.
In relazione a quesiti formulati da diverse amministrazioni
comunali si precisa che la disposizione dell'art.17
non impone una revisione obbligatoria degli strumenti
urbanistici in vigore - anche se tale revisione è
auspicabile - ma è destinata ad agire solo su
quelli di nuova formazione o al momento in cui, per
qualsiasi ragione, vengano modificati o rielaborati
gli strumenti esistenti.
Per quanto riguarda poi i piani regolatori ed i programmi
di fabbricazione già adottati prima dell'emanazione
del decreto interministeriale, si precisa che, pur
non sussistendo per il comune l'obbligo di rielaborare
o riadottare detti strumenti per adeguarli ai limiti
e rapporti fissati con il decreto, l'adeguamento potrà
risultare opportuno specie nei casi di rilevante discordanza,
ad evitare che, in sede di approvazione, la competente
autorità statale introduca d'ufficio (art.3)
le modifiche occorrenti. Tuttavia in alcuni casi potrebbe
non apparire conveniente un rinnovo o un prolungamento
delle procedure, soprattutto quando il comune abbia
già provveduto alla pubblicazione; tanto più
che l'adeguamento potrà, comunque, essere assicurato
in sede di approvazione.
IV. CONTROLLO PREVENTIVO E REPRESSIVO DELL'ATTIVITA'
COSTRUTTIVA
Sotto tale titolo vengono esaminate le norme della nuova
legge che disciplinano la licenza edilizia, l'esercizio
dei poteri di deroga, la sospensione e demolizione
delle opere abusive e l'annullamento dei provvedimenti
comunali illegittimi (artt. 6, 7, 10 e 16).
11. LICENZA DI COSTRUZIONE (art.10).
L'art.31 della legge del 1942, come è noto, assoggettava
l'attività edilizia al rilascio della licenza
soltanto nei centri abitati e nelle zone di espansione
previsti dai piani regolatori. La disposizione ha dato
luogo a vari inconvenienti, soprattutto perché
sottraeva al preventivo controllo comunale una parte
dell'attività costruttiva; ed inoltre risultava
in contrasto con lo spirito informatore della legge
del 1942 chiaramente inteso ad assicurare una regolamentazione
urbanistico-edilizia estesa all'intero territorio comunale.
La nuova legge, con l'art.10, sostituisce la predetta
norma introducendo innovazioni di notevole portata.
Viene, intanto, precisata l'estensione del potere comunale
di autorizzazione, che è esercitato dal sindaco
sull'intero territorio comunale. Per quanto riguarda
l'oggetto dell'autorizzazione, è stabilito che
la licenza edilizia è necessaria non solo per
le nuove costruzioni e per l'ampliamento o la modifica
di quelle esistenti, ma anche per le demolizioni e
le opere di urbanizzazione del terreno.
Le modifiche per le quali occorre la licenza sono, a
parere di questo Ministero, soltanto quelle che interessano
la struttura o l'aspetto delle costruzioni.
Poiché le opere di urbanizzazione rappresentano
la premessa per l'edificazione e, una volta eseguite,
costituiscono obiettivamente una spinta all'utilizzazione
edilizia delle aree interessate, anche se in contrasto
con le indicazioni urbanistiche, la nuova legge non
poteva non assoggettare tali opere ad un controllo
preventivo. Nelle opere di urbanizzazione cui si riferisce
il primo comma dell'art.10 sono, pertanto, comprese
tutte quelle chiaramente preordinate all'edificazione.
Un'ulteriore estensione del potere di autorizzazione
riguarda le opere da realizzare su terreni del demanio
- compreso quello marittimo - sui quali i privati non
possono costruire senza la licenza comunale.
Non è, quindi, più sufficiente la sola
concessione dell'autorità demaniale per edificare
sui terreni in questione.
Per quanto riguarda invece le opere di competenza dello
Stato o di altri enti pubblici - ad eccezione di quelle
destinate alla difesa - da realizzare sulle aree demaniali,
spetta al Ministero dei lavori pubblici, d'intesa con
le amministrazioni interessate e sentito, in ogni caso,
il comune accertare che le opere stesse non siano in
contrasto con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie.
Pur non essendo stato espressamente modificato l'art.29
della legge del '42, questo Ministero ritiene che in
base alla coordinata interpretazione delle disposizioni
suindicate, debba essere sentito il comune per le opere
realizzate da amministrazioni statali su aree non demaniali.
Il quinto comma dell'art.10 condiziona il rilascio della
licenza edilizia all'esistenza delle opere di urbanizzazione
primaria, o alla previsione comunale di realizzare
dette opere nel successivo triennio o, infine, all'impegno
del privato costruttore di eseguire a proprie spese
le opere stesse.
Tale disposizione è intesa ad impedire che siano
edificate aree prive di quelle opere che sono indispensabili
per assicurare le necessarie condizioni di vita.
La suddetta disposizione va applicata nei centri abitati
e nelle zone di completamento e di espansione; la licenza,
invece, non può essere legata alle opere di
urbanizzazione nelle zone rurali, per costruzioni al
servizio dell'agricoltura, ovvero destinate alla conduzione
di fondi rustici.
Quando si versi nella prima ipotesi - esistenza di opere
di urbanizzazione - si ritiene che la legge non richieda
l'esistenza di tutte le opere definite di urbanizzazione
primaria dalla legge n.847. Il comune dovrà
quindi, valutare caso per caso se sussistano le opere
essenziali soprattutto sotto il profilo igienico e
viario.
La previsione della esecuzione delle opere di urbanizzazione
nel successivo triennio - seconda ipotesi - va riferita
ai programmi di attuazione dei piani, ove questi esistano,
ai programmi di opere già deliberati dal comune
ovvero a ragionevoli previsioni di realizzazione delle
stesse nel periodo indicato dalla legge.
Per quanto concerne infine l'impegno dei privati di
procedere alla realizzazione delle opere, ritiene questo
Ministero che la disposizione vada interpretata nel
senso che tale impegno possa essere sostituito dal
pagamento al comune di una somma commisurata al costo
presumibile delle opere e che sarà vincolata
alla realizzazione di queste ultime.
A tal fine, l'importo stabilito - da contabilizzare
in bilancio fra le partite di giro, al titolo sesto
dell'entrata e quarto della spesa - dovrà essere
versato in apposito libretto fruttifero.
E' appena il caso di far presente che il quinto comma
dell'art.10 trova applicazione anche nei riguardi delle
costruzioni da eseguire nell'ambito delle lottizzazioni
poste in essere prima del 2 dicembre 1966 e fatte salve
quando, ovviamente, tali lottizzazioni non siano accompagnate
da convenzioni che già prevedano quegli oneri
a carico dei proprietari.
Il termine di 60 giorni fissato dall'art.31 della legge
urbanistica del 1942 per il rilascio della licenza
era ordinatorio. Il decorso di tale termine senza che
il sindaco provvedesse non aveva il significato di
reiezione, ma dava al richiedente la facoltà,
con la notifica dell'atto di diffida e con l'assegnazione
dell'ulteriore termine di 60 giorni, di esperire la
procedura di formazione del silenzio-rifiuto prevista
in via generale per i provvedimenti amministrativi
dall'art.5 della legge comunale e provinciale 3-3-1934,
n.383.
In base alla nuova legge il decorso del termine di 60
giorni, senza che il comune provveda, ha l'effetto
di far sorgere un provvedimento implicito, di contenuto
negativo e di carattere definitivo, e quindi impugnabile
direttamente con ricorso giurisdizionale ovvero al
capo dello Stato: ciò senza che occorra alcun
atto di diffida del richiedente.
E' evidente che il silenzio formatosi ope legis, in
quanto non motivato, è illegittimo.
Sembra opportuno precisare che, dopo la scadenza del
termine fissato dalla legge, anche quando sia pendente
un giudizio o sia intervenuta sul ricorso la decisione
del consiglio di Stato o del Presidente della Repubblica,
il sindaco conserva integro il potere di provvedere
in merito alle istanze presentate e quindi concederà
la licenza se ricorrano i presupposti per l'autorizzazione
o, altrimenti, la rifiuterà, con provvedimento
esplicito e motivato.
La nuova norma ha semplificato il procedimento di formazione
del silenzio-rifiuto, con vantaggio del richiedente.
I comuni, si troveranno nella necessità di darsi
una migliore organizzazione in modo da istruire e definire
sollecitamente le domande di licenza edilizia.
La nuova legge prevede che sia data pubblicità
alle licenze edilizie, stabilendo l'affissione delle
stesse, per estratto, all'albo pretorio e consentendo
a chiunque di prendere visione presso gli uffici comunali
dell'autorizzazione e dei relativi atti di progetto.
Dall'estratto dovrà risultare la data della
licenza edilizia, il titolare della stessa, nonché
la località nella quale la costruzione deve
essere eseguita.
In mancanza di una specifica disposizione di legge,
questo Ministero ritiene che, in analogia a quanto
disposto in materia di pubblicazione di atti comunali
dal testo unico della legge comunale e provinciale
del 1934 e successive modificazioni, l'estratto in
parola debba essere pubblicato nell'albo pretorio per
15 giorni consecutivi a decorrere dal primo giorno
festivo successivo alla data di rilascio della licenza
da parte del sindaco.
La pubblicità prevista dalla legge per le licenze
edilizie è diretta a consentire una immediata
e più diffusa conoscenza delle licenze stesse,
al fine di eventuali ricorsi e di un più efficace
controllo sulle licenze illegittime.
E' stabilito, inoltre, un termine di efficacia della
licenza che non può essere superiore ad un anno,
nel senso che i lavori previsti debbono avere inizio
entro tale termine. Diversamente la licenza deve considerarsi
caducata, senza alcuna possibilità di proroga;
qualora l'interessato intenda ancora realizzare l'opera
deve chiedere il rinnovo della licenza. In tale ultimo
caso, l'interessato può ovviamente far riferimento,
nella istanza di rinnovo, alla documentazione presentata
a suo tempo.
E' prevista, poi, la decadenza della licenza per sopravvenuto
contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici
entrati in vigore successivamente: la licenza conserva,
però, la sua piena validità ed efficacia
qualora i lavori siano stati iniziati - entro un anno
dalla data di rilascio della licenza - al momento dell'entrata
in vigore di dette previsioni e vengano ultimati entro
tre anni dalla data di inizio.
Per "previsioni urbanistiche" debbono intendersi
quelle contenute nei piani regolatori e nei programmi
di fabbricazione, nonché nei regolamenti edilizi
per le parti di quest'ultimi aventi contenuto urbanistico.
La disposizione relativa alla decadenza non trova applicazione
nei riguardi delle limitazioni dell'attività
costruttiva stabilite dalle norme della legge n.765;
così, ad esempio, resta pienamente valida ed
efficace una licenza edilizia rilasciata prima dell'entrata
in vigore della legge, anche se risulti in contrasto
con la norma sui parcheggi (art.18) ovvero con quella
sulle distanze dalle strade (art.19).
12. POTERI DI DEROGA (art.16).
L'art.3 della legge 21-12-1955, n.1357 ha subordinato
le autorizzazioni comunali, in deroga alle norme di
regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori,
al preventivo nulla osta dell'autorità statale.
Nell'applicazione di tale disposizione si è constatato
che per la genericità dei criteri previsti dalle
relative norme comunali, per la tendenza a dare una
interpretazione troppo lata alle norme stesse e per
il frequente ricorso alla loro applicazione, l'esercizio
dei poteri di deroga è stato causa di gravi
danni soprattutto di carattere urbanistico.
L'art.16 della nuova legge limita l'esercizio di tali
poteri di deroga ai soli casi di edifici ed impianti
pubblici o di pubblico interesse, sempre comunque con
la osservanza della procedura prevista dall'art.3 della
citata legge n.1357; e stabilisce, inoltre, che l'autorizzazione
del sindaco sia preceduta dalla deliberazione del consiglio
comunale.
Ad avviso di questo Ministero, anche in relazione agli
scopi perseguiti dalla legge, le accezioni "edifici
od impianti di pubblico interesse" vanno interpretate
secondo i criteri appresso indicati.
Sono edifici ed impianti pubblici quelli appartenenti
ad enti pubblici e destinati a finalità di carattere
pubblico: ad esempio le sedi dei Ministeri, le caserme,
le scuole, gli ospedali, i musei, le chiese, i mercati,
le università, ecc.
Per edifici ed impianti di interesse pubblico debbono
intendersi quelli che, indipendentemente dalla qualità
dei soggetti che li realizzano - enti pubblici o privati
- siano destinati a finalità di carattere generale,
sotto l'aspetto economico, culturale, industriale,
igienico, religioso, ecc.: esempio conventi, poliambulatori,
alberghi, impianti turistici, biblioteche, teatri,
silos portuali, ecc.
Va precisato che tali edifici ed impianti possono ottenere
eventuali deroghe sempre che ricorrano le altre condizioni
richieste dalle specifiche norme che costituiscono
la fonte dei poteri di deroga.
Restano salve le norme speciali che prevedono la concessione
di deroghe, come ad esempio quelle in materia di altezza
degli alberghi e di edilizia antisismica.
13. SOSPENSIONE E DEMOLIZIONE DI OPERE DIFFORMI DALLE
PRESCRIZIONI URBANISTICO-EDILIZIE. INTERVENTO SOSTITUTIVO
(art.6).
L'art.26 della legge del 1942 attribuiva al Ministro
dei lavori pubblici il potere di disporre, in caso
di inerzia comunale, la sospensione e la demolizione
delle opere eseguite abusivamente, in contrasto con
le previsioni dei piani regolatori, escludendo qualsiasi
possibilità di intervento ministeriale per tutte
le altre violazioni.
L'art.6 della legge n.765 pone una nuova disciplina,
in base alla quale l'intervento sostitutivo dell'autorità
statale viene esteso alle violazioni di qualsiasi strumento
urbanistico-edilizio (piano regolatore, programma di
fabbricazione, regolamento edilizio) e vengono fissati
termini e modalità cui la predetta autorità
deve attenersi nell'esercizio dei poteri ad essa attribuiti.
Perché i competenti organi dell'amministrazione
dei lavori pubblici possano sostituirsi ai comuni nel
disporre la sospensione o la demolizione delle opere,
è necessario che ricorrano, congiuntamente,
le seguenti condizioni:
- che le opere siano eseguite senza licenza o in contrasto
con questa: a tale ipotesi è assimilata quella
della licenza annullata ai sensi dell'art.7 della legge;
- che tali opere siano non rispondenti alle prescrizioni
dei piani regolatori (in tale dizione sono compresi
tutti i piani urbanistici - generali, particolareggiati
e di lottizzazione - i piani di ricostruzione e di
risanamento ed i piani di fabbricazione e dei regolamenti
edilizi, ovvero siano realizzate in violazione delle
limitazioni stabilite dalla nuova legge;
- che il comune non provveda direttamente entro il termine
all'uopo intimatogli dagli organi statali.
Ricorrendo tali presupposti, gli organi statali competenti
sono legittimati ad esercitare il potere sostitutivo
di cui sopra: potere che ha carattere discrezionale.
Mentre per la sospensione la legge non prescrive alcun
parere, per la demolizione è espressamente richiesto
il preventivo parere del consiglio superiore dei lavori
pubblici o del comitato tecnico amministrativo, a seconda
dell'autorità competente ad emettere il relativo
provvedimento.
Sembra, però, opportuno che anche i provvedimenti
di sospensione siano preceduti dal parere del competente
organo consultivo, a meno che ragioni di urgenza consiglino
di intervenire senza alcun indugio ovvero le violazioni
accertate siano di particolare gravità e tali
da escludere qualsiasi dubbio sulla loro sussistenza.
Diversamente da quanto disponeva l'art.26 della legge
del 1942, l'art.6 stabilisce un termine perentorio
di cinque anni entro il quale può essere esercitato
il potere sostitutivo dell'amministrazione dei lavori
pubblici in ordine alla demolizione: tale termine decorre,
per le opere iniziate dopo l'entrata in vigore della
nuova legge, dalla dichiarazione di abitabilità
o di agibilità, e, per le opere eseguite prima
della data di entrata in vigore, da quest'ultima data.
Va chiarito che nel primo caso i cinque anni decorrono
o dal rilascio della dichiarazione o dal momento in
cui detta dichiarazione viene negata, ovvero, infine
- nel caso in cui il privato diffidi il comune, ai
sensi dell'art.5 della legge comunale e provinciale,
a pronunciarsi sulla sua domanda di licenza di abitabilità
- dal momento in cui si concreta il silenzio-rifiuto.
A proposito della notifica dei provvedimenti di sospensione
o di demolizione di cui al comma 2 dell'art.5, va precisato
che per "proprietario della costruzione"
deve intendersi non soltanto il proprietario attuale,
ma anche il suo dante causa, in quanto committente,
in relazione al disposto dell'ultimo comma, che considera
solidalmente responsabile il committente dell'opera.
Per le opere eseguite prima dell'entrata in vigore della
legge, non si può, ad avviso di questo Ministero,
ipotizzare una responsabilità del direttore
dei lavori, anche perché egli non ha più
la possibilità, ammessa dalla legge, di esonerarsi
dalle responsabilità ivi previste, contestando
al committente ed al titolare dell'impresa le violazioni
e comunicandole al comune.
Si è detto sopra che il potere di disporre la
demolizione ha carattere discrezionale. Non essendo,
pertanto, un atto dovuto, sarà necessario che
l'autorità competente effettui caso per caso
una valutazione circa l'opportunità di intervenire
in relazione, soprattutto, all'entità della
violazione commessa ed all'idoneità del mezzo
- demolizione - ad assicurare la reintegrazione dell'ordinamento
giuridico violato.
14. ANNULLAMENTO DI AUTORIZZAZIONI COMUNALI (art.7).
L'art.7 della nuova legge, che sostituisce l'art.27
della legge del 1942, riguarda l'annullamento delle
licenze edilizie e dei provvedimenti comunali, in genere,
che autorizzano opere in contrasto con le previsioni
del piano regolatore o del programma di fabbricazione
e con le norme del regolamento edilizio.
Mentre l'annullamento era prima previsto soltanto per
la violazione dei piani regolatori, la nuova legge
estende l'intervento dell'autorità statale anche
alle violazioni del regolamento edilizio e del programma
di fabbricazione. Appare superfluo precisare che sono
passibili di annullamento anche le licenze edilizie,
in contrasto con le norme limitatrici dell'attività
costruttiva di cui agli artt. 17, 18 e 19 della nuova
legge rilasciate dopo la data di entrata in vigore
o di applicazione di tali norme.
Peraltro, all'estendersi della sfera di applicazione
della norma corrisponde una limitazione temporale per
l'esercizio del potere di annullamento. Ed infatti,
mentre in base alla legge del 1942, in conformità
del principio di carattere generale sancito dall'art.6
della legge comunale e provinciale, i provvedimenti
illegittimi potevano essere annullati in ogni tempo,
la disposizione ora entrata in vigore stabilisce per
l'esercizio di tale potere il termine perentorio di
10 anni dalla data del provvedimento comunale. Tale
termine decorre dalla data di entrata in vigore della
nuova legge per i provvedimenti comunali anteriori
a quest'ultima.
Il procedimento previsto per l'annullamento può
essere così riassunto:
- accertamento della violazione, che può essere
fatto di ufficio o su denuncia;
- contestazione della violazione da parte del Ministero
al titolare della licenza, al proprietario ed al progettista,
nonché all'amministrazione comunale;
- presentazione delle controdeduzioni, entro il termine
prefissato dall'amministrazione, da parte dei destinatari
delle contestazioni;
- parere del consiglio di Stato ed eventuali altri pareri
che l'amministrazione ritenga opportuno promuovere;
- emissione del decreto di annullamento entro 18 mesi
dal predetto accertamento e cioè dal momento
in cui l'amministrazione ha avuto cognizione della
violazione: trattasi, ovviamente, di un termine perentorio;
- eventuale provvedimento di demolizione da emettere
entro il termine, anch'esso perentorio, di sei mesi
dalla data del decreto di annullamento.
Nel suddetto procedimento può inserirsi la sospensione
dei lavori con provvedimento da notificare al titolare
della licenza, al proprietario, al progettista ed all'amministrazione
comunale. L'efficacia di tale provvedimento è
limitata a sei mesi, ove nel frattempo non sia intervenuto
il decreto di annullamento.
La legge assicura pubblicità sia al provvedimento
di sospensione che a quello di annullamento, a mezzo
di affissione all'albo pretorio del comune.
V. SANZIONI E DIVIETI
Gli artt. 13, 14 e 15 della nuova legge stabiliscono
particolari sanzioni e divieti.
15. SANZIONI PENALI (art.13, comma 1).
Vengono aumentate sensibilmente le pene - ammenda ed
arresto - per la violazione delle norme, prescrizioni
e modalità esecutive di cui all'art.32, primo
comma, legge urbanistica, nonché quelle per
l'inizio dei lavori senza licenza, per la prosecuzione
di questi dopo l'ordine di sospensione e per l'inosservanza
delle disposizioni sulle lottizzazioni ed in particolare
del divieto di lottizzare in assenza di piano regolatore
o di programma di fabbricazione.
E' appena il caso di precisare che le nuove sanzioni
si applicano soltanto alle opere ed alle lottizzazioni
autorizzate od iniziate dopo l'entrata in vigore della
legge.
Non è stata ripetuta la norma dell'ultimo comma
dell'art.41 della legge urbanistica del 1942, relativa
all'oblazione delle contravvenzioni. L'oblazione deve,
comunque, ritenersi ancora oggi ammessa, ai sensi della
norma generale dell'art.162 del codice penale e - in
quanto applicabili - degli artt.107 e seguenti del
testo unico della legge comunale e provinciale del
1934, limitatamente alle contravvenzioni previste alla
lettera a) del primo comma dell'art.13 per le quali
è stabilita la sola pena dell'ammenda.
16. SANZIONE PECUNIARIA (art.13, comma 2).
E' prevista l'applicazione, in via amministrativa -
nei casi in cui non si proceda alla restituzione in
pristino od alla demolizione delle opere abusive -
di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle
opere o delle parti di opere eseguite abusivamente
ovvero in base ad una licenza edilizia annullata per
i motivi suindicati.
Tale sanzione è considerata dalla legge come
alternativa rispetto alla demolizione e quindi va applicata
soltanto quando l'autorità competente non ritenga
di esercitare il potere di demolizione in base alla
valutazione di cui si è detto alla fine del
paragrafo 13, ovvero di dare esecuzione all'ordine
già emesso per motivi gravi che configurano
una "impossibilità" di procedere alla
demolizione. E' evidente che tale impossibilità
non è stata intesa dal legislatore in senso
tecnico, ma in relazione ad una valutazione di merito,
sia pure particolarmente rigorosa.
La suddetta sanzione si applica, ovviamente, soltanto
alle costruzioni autorizzate od iniziate dopo l'entrata
in vigore della nuova legge.
Nel caso di annullamento della licenza, la sanzione
verrà applicata alle sole parti di opera per
le quali sia stata riconosciuta, in sede di annullamento,
la violazione di norme urbanistico-edilizie - anche
se l'annullamento stesso investa l'intera licenza -
sempre che per le restanti parti possa essere rilasciata
una nuova autorizzazione.
La norma suindicata, impedendo al contravventore di
conseguire qualsiasi vantaggio economico eliminerà,
è prevedibile, ogni tentativo di violazione
delle norme urbanistico-edilizie; ed essendo applicabile
anche nel caso di annullamento della licenza, renderà
più accorti i costruttori nel chiedere ed i
comuni nel rilasciare le autorizzazioni.
17. SANZIONI FISCALI (art.15).
Non infrequentemente costruzioni abusive ed illegittime
sono state realizzate in passato con il contributo
o il finanziamento pubblico, mentre sono state concesse
normalmente a tali costruzioni le agevolazioni fiscali
contemplate dalle norme vigenti, non essendo previsto
né richiesto in tale sede l'accertamento della
conformità delle costruzioni alla normativa
urbanistica in vigore.
L'art.15 della nuova legge stabilisce che le opere iniziate
- dopo l'entrata in vigore della legge stessa - senza
licenza di costruzione o in contrasto con questa o
in base a licenza successivamente annullata, non beneficiano
di contributi o provvidenze dello Stato o di altri
enti pubblici, né di alcuna agevolazione fiscale.
Si applicano tali sanzioni quando le costruzioni non
rispettino le destinazioni e gli allineamenti previsti
dagli strumenti urbanistici vigenti, ovvero comportino
violazioni di altezza, distacchi, cubatura, o superficie
coperta, eccedenti per singola unità immobiliare
il due per cento delle misure regolamentari. Si tratta
di una elencazione tassativa per cui violazioni diverse
da quelle indicate nel primo comma dell'art.15 non
comportano la perdita delle agevolazioni e delle provvidenze
di cui sopra.
Per unità immobiliare deve intendersi, ad avviso
di questo Ministero, l'edifico nella sua interezza.
Ad evitare che le sanzioni previste ricadano sugli acquirenti,
la legge stabilisce che, in caso di revoca o decadenza
dai benefici e dalle agevolazioni in parola, il committente
è tenuto a risarcire i danni subiti dal suo
avente causa.
18. DIVIETI PER I PROGETTISTI DEGLI STRUMENTI URBANISTICI
(art.14).
L'art.14 della nuova legge fa divieto ai professionisti,
ai quali sia stata affidata la redazione dei piani
urbanistici, di progettare opere per conto di privati:
è loro consentita soltanto l'assunzione di incarichi
per la progettazione di opere od impianti pubblici.
L'obbligo di astenersi da attività non compatibili
con quella di progettista di uno strumento urbanistico
è un principio di etica professionale: e l'applicazione
delle eventuali sanzioni, pertanto, è dalla
legge affidata ai consigli degli ordini.
VI. DISPOSIZIONI VARIE
Un ultimo gruppo di articoli (artt.4, 21 e 22) contiene
disposizioni diverse.
19 SOPPRESSIONE DELL'ART.11, ULTIMO COMMA, DELLA LEGGE
URBANISTICA (art.4).
L'art.11 della legge urbanistica consentiva al Ministero
delle corporazioni (ora dell'industria) di autorizzare
la realizzazione di nuovi impianti industriali fuori
delle zone previste dai piani per detti impianti.
Tale norma - che, peraltro, non risulterebbe aver avuto
alcuna applicazione - era in evidente contrasto con
il criterio di una ordinata attuazione dei piani regolatori
e costituiva, inoltre, una violazione dell'autonomia
comunale.
L'art.4, pertanto, ne dispone la soppressione.
20. APPLICABILITA' DELLE NUOVE DISPOSIZIONI ALLE REGIONI
A STATUTO SPECIALE (art.21).
L'art.21 prevede che le disposizioni della legge in
esame si estendano, in quanto applicabili, alle regioni
a statuto speciale ed alle province di Trento e Bolzano,
salve le competenze legislative ed amministrative ad
esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle
norme di attuazione.
Dall'esame dei detti statuti si rileva che le regioni
della Sicilia, della Sardegna, della Valle d'Aosta,
del Friuli-Venezia Giulia e le province di Trento e
Bolzano hanno tutte competenza esclusiva in materia
urbanistica. Pertanto, esse possono legiferare in detta
materia autonomamente, nei limiti indicati dai rispettivi
statuti.
Tuttavia l'esclusività della predetta potestà
legislativa non determina di per se stessa l'inapplicabilità
della legge per il territorio regionale in mancanza
di specifica normativa regionale.
In proposito la corte costituzionale ha affermato il
principio secondo il quale, fino a quando la funzione
legislativa esclusiva regionale o provinciale non sia
stata in concreto esercitata, si applicano - beninteso
da parte degli organi locali - le leggi dello Stato
in materia.
Detto principio trova riscontro nelle disposizioni costituzionali
di cui agli statuti del Trentino-Alto Adige (art.92)
Sardegna (art.57) e Valle d'Aosta (art.51). Peraltro,
la mancanza di identiche disposizioni negli statuti
delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Sicilia non esclude
l'applicabilità del surriferito principio, di
carattere generale, anche a queste ultime, secondo
il richiamato insegnamento della corte costituzionale.
Pertanto, la legge in esame è entrata in vigore
ed ha efficacia nelle regioni a statuto speciale, che
non abbiano ancora legiferato in materia urbanistica,
senza che occorra una legge regionale di recezione.
Inoltre, a parere di questo Ministero, tale vigore ed
efficacia vengono dispiegati dalla legge stessa anche
nelle regioni e province che abbiano legiferato in
materia urbanistica, limitatamente a quelle disposizioni
concernenti i punti che non sono disciplinati con norme
legislative della provincia o della regione.
21. ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE (art.22).
L'art.22 stabilisce che la nuova legge entra in vigore
il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale: essa, pertanto, è
entrata in vigore il 1 settembre 1967.
(c) 1996 Note's