[Note's] CIRCOLARE DEL MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI 27 SETTEMBRE 1963, N.4555

ISTRUZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE 18 APRILE 1962 N.167, RECANTE DISPOSIZIONI PER FAVORIRE L'ACQUISIZIONE DI AREE FABBRICABILI PER L'EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE.

Con circolare n.2611 del 15-7-1962, vennero impartite istruzioni per l'applicazione della legge n.167, recante disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare.
Senonché, in sede di applicazione della legge, sono sorte difficoltà di carattere interpretativo sia per quanto riguarda la formazione dei piani che per la loro attuazione e specialmente sotto il primo profilo sono pervenuti dai comuni nonché dagli organi periferici di questa amministrazione quesiti e richieste di chiarimenti, cui appare necessario dare una risposta, integrando le istruzioni già impartite con le delucidazioni e precisazioni che seguono.
D'altra parte, le esperienze finora acquisite, consentono di fissare alcuni criteri e direttive soprattutto per quanto concerne la determinazione del fabbisogno delle aree, in rapporto al quale va dimensionato il piano di zona.

I. - L'art.3 della legge n.167 stabilisce che, ove si manifesti l'esigenza di reperire aree per la formazione dei piani di zona non destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti o si renda comunque necessario apportare modifiche a questi ultimi si può procedere con varianti agli stessi.
In tali casi il piano approvato a norma della suddetta legge costituisce variante al piano regolatore.
Qualora non esista piano regolatore, le zone riservate alla edilizia economica e popolare sono comprese in un programma di fabbricazione da compilare a norma dell'art.34 della legge urbanistica 17-8-1942, n.1150, da approvare ai sensi dell'art.8 della legge n.167.
Nell'applicazione della norma su esposta sono sorte perplessità e dubbi di carattere interpretativo circa la procedura da seguire nei vari casi e questa amministrazione ha ritenuto opportuno sentire al riguardo il Consiglio di Stato, il quale si è recentemente pronunziato con un esauriente parere, in conformità del quale vengono diramate le seguenti istruzioni in rapporto alle varie situazioni che possono ipotizzarsi e cioè:
a) inesistenza in genere del piano regolatore;
b) inesistenza del piano regolatore nei comuni obbligati alla formazione del piano regolatore generale;
c) esistenza di un piano regolatore approvato ai sensi della legge urbanistica;
d) esistenza di un piano di ricostruzione approvato ai sensi del decreto legislativo 1-3-1945, n.154, e successive modificazioni;
e) esistenza di un piano regolatore approvato prima della legge urbanistica;
f) esistenza contemporanea di un piano di ricostruzione e di un piano regolatore approvato prima della legge urbanistica.
In merito alle situazioni su esposte, che esauriscono tutte le possibili ipotesi, si precisa quanto segue.

INESISTENZA DI PIANO REGOLATORE.
Qualora non esista alcun piano regolatore è necessario che il piano di zona venga inquadrato in un programma di fabbricazione, il quale va compilato in base all'art.34 della legge urbanistica, ed approvato non a termini dell'art.36 di tale legge, ma ai sensi dell'art.8 della legge n.167. In altri termini esso viene approvato con la stessa procedura del piano di zona e cioè con decreto del Ministro dei lavori pubblici, qualora siano state presentate opposizioni ed osservazioni da parte delle amministrazioni centrali dello Stato, e con decreto del provveditore alle opere pubbliche in tutti gli altri casi.

INESISTENZA DI PIANO REGOLATORE NEI COMUNI OBBLIGATI A FORMARE IL PIANO REGOLATORE GENERALE AI SENSI DELL'ART.8 DELLA LEGGE URBANISTICA
Per i comuni inclusi negli elenchi di cui all'art.8 della legge urbanistica possono presentarsi due diverse situazioni a seconda che i comuni:
1) non abbiano ancora ottemperato all'obbligo di redigere il piano regolatore generale;
2) lo abbiano soltanto deliberato.
Nella prima ipotesi non vi è dubbio che il comune debba provvedere mediante l'adozione di un programma di fabbricazione, nel quale va inquadrato il piano di zona.
E' ovvio che l'adozione del programma di fabbricazione non esime il comune dall'obbligo di formare il piano regolatore generale e di dargli sollecito corso secondo le norme della legge urbanistica, mentre sarà opportuno ed anzi doveroso che il programma di fabbricazione sia compilato nel quadro del futuro piano regolatore generale e cioè in base ai criteri in relazione ai quali vengono condotti gli studi e le elaborazioni del progetto di piano regolatore generale.
Nella seconda ipotesi e cioè quando trattasi di comuni che hanno già adottato il piano regolatore del proprio territorio, è da rilevare che la delibera consiliare di adozione rappresenta, come è ormai pacificamente ammesso in giurisprudenza ed in dottrina, un elemento costitutivo dell'atto complesso - alla cui formazione concorrono le volontà del comune e dello Stato e che si perfeziona con il decreto di approvazione del Presidente della Repubblica - e che inoltre ad essa delibera vengono attribuiti particolari effetti giuridici come la possibilità dell'applicazione delle misure di salvaguardia; pertanto tale particolare situazione di diritto non può essere equiparata a quella di un comune del tutto privo di piano regolatore. Nella ipotesi in esame il comune non potrà deliberare il programma di fabbricazione, ma dovrà adottare il piano di zona nel quadro del piano regolatore già deliberato.
Se il piano di zona comporterà modifiche al progetto di piano regolatore già deliberato, quest'ultimo dovrà essere modificato dal comune, ma ciascun provvedimento seguirà la procedura stabilita dalla legge che lo istituisce. In particolare, il piano di zona sarà pubblicato con la procedura prevista dall'art.6 della legge n.167 ed approvato ai sensi del comma 2 dell'art.8 della legge medesima e cioè con decreto del Ministro dei lavori pubblici, sentito il consiglio superiore dei lavori pubblici.
Ovviamente, in tali casi il piano di zona deve essere inoltrato all'approvazione unitamente al progetto di piano regolatore generale già approvato.
Nel caso in cui il piano regolatore generale fosse stato già esaminato dall'autorità di controllo il comune, nel redigere il piano di zona, non potrà non tener conto delle indicazioni, dei suggerimenti e delle prescrizioni che eventualmente fossero stati stabiliti dalla predetta autorità.

ESISTENZA DI UN PIANO REGOLATORE GENERALE APPROVATO AI SENSI DELLA LEGGE URBANISTICA 17-8-1942, N.1150.
Qualora non sia possibile inquadrare il piano delle zone nel vigente piano regolatore generale senza apportare modifiche a quest'ultimo comma dell'art.3. Si procederà cioè attraverso varianti al piano generale e quindi il piano zonale sarà approvato con decreto del Ministero dei lavori pubblici.

ESISTENZA DI UN PIANO DI RICOSTRUZIONE APPROVATO AI SENSI DEL DECRETO LEGISLATIVO 1-3-1945 N.154 (abrogato con L.27-10-1951, n.1402) E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI.
Un comune provvisto di un piano di ricostruzione approvato a norma delle citate disposizioni deve considerarsi dotato di piano regolatore ai sensi e per gli effetti dell'art.3 della legge 167.
Pertanto, in tal caso, il comune non deve redigere un programma di fabbricazione ma deve procedere attraverso varianti al piano di ricostruzione. Poiché i piani di ricostruzione riguardano, com'è noto, la sistemazione di zone limitate del territorio comunale, i piani di zona possono anche apportare varianti al perimetro del piano di ricostruzione attraverso la sistemazione di zone che sono ubicate al di fuori del perimetro stesso (cosiddette varianti di ampliamento o di estensione).
In tali casi, l'approvazione dei piani di zona sarà fatta con decreto del Ministro dei lavori pubblici, ai sensi del secondo comma dell'art.8 della legge n.167.

ESISTENZA DI UN PIANO REGOLATORE APPROVATO PRIMA DELLA ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE URBANISTICA
I piani approvati con provvedimenti speciali prima della legge urbanistica prevedono, com'è noto, la sistemazione di una parte soltanto del territorio comunale, per cui il problema per quanto riguarda la procedura di approvazione del piano di zona si pone in termini analoghi a quelli indicati per i piani di ricostruzione. Anche in tale caso, quindi, alla formazione dei piani di zona deve procedersi attraverso varianti al piano vigente, pur se le aree da destinare all'edilizia economica e popolare ricadano in zone esterne al perimetro del piano.
Deve precisarsi - anche se il problema riguarda casi particolari - che la inclusione nel piano zonale di aree comprese nelle cosiddette zone bianche (quelle zone, cioè, nelle quali il piano non preveda alcuna specifica disciplina e che sono sottoposte soltanto al regime del regolamento edilizio) costituiscono variante al piano regolatore vigente.

ESISTENZA CONTEMPORANEA DI UN PIANO DI RICOSTRUZIONE E DI UN PIANO REGOLATORE APPROVATO PRIMA DELLA LEGGE URBANISTICA
Se i piani di ricostruzione e regolatore sono stati a suo tempo coordinati tra loro, l'approvazione del piano di zona o si inquadra in ambedue ovvero costituirà variante ai piani stessi. Se, invece, i due piani non collimano tra di loro, lo stesso piano di zona potrà servire ad eliminare il contrasto esistente, avendo sempre efficacia di variante nei confronti dell'uno e dell'altro.

II. - La determinazione del fabbisogno delle aree deve essere condotta con criteri che, sulla base di dati analitici e di accurate indagini, giustifichino l'attendibilità delle previsioni.
Tali criteri sono rimessi al giudizio dell'autorità comunale, in rapporto alle singole e varie situazioni. Tuttavia allo scopo di fornire una direttiva di carattere generale, alla quale normalmente i comuni dovranno riferirsi, viene qui appresso illustrato un metodo generale per la predetta determinazione del fabbisogno.
Anzitutto, si dovrà partire dallo studio del prevedibile incremento della popolazione nel periodo decennale stabilito dalla legge.
A tal fine occorrerà rilevare la media degli incrementi annui dell'ultimo decennio e metterla a raffronto con la media degli incrementi annui più recenti (esempio: quelli verificatisi nell'ultimo triennio), così da riscontrare se gli incrementi siano in progresso - e cioè superiori alla media del decennio decorso - ovvero in regresso.
Sulla base di questa prima osservazione sarà possibile formulare una prima previsione in aumento medio per il prossimo decennio: questo incremento potrà tuttavia essere corretto, avuto riguardo ad alcuni fattori, in relazione ai quali saranno da applicare aumenti o diminuzioni percentuali, in ordine alle incidenze positive o negative che ciascuno di essi potrà presumibilmente portare sul primo dato ricavato (incremento medio annuo futuro).
Tali fattori sono essenzialmente i seguenti:
a) struttura della popolazione (ad esempio, nel caso di popolazione prevalentemente giovane sarà da considerare un'accentuazione degli incrementi);
b) composizione della popolazione per occupazioni (nel caso di prevalenza di attività primarie sulle secondarie, o secondarie sulle terziarie, potranno ad esempio manifestarsi esigenze crescenti di alloggi in seguito ai possibili spostamenti percentuali di attività che tendono a consolidare le residenze nell'abitato);
c) movimenti migratori, con particolare riguardo alle immigrazioni di carattere industriale, da valutarsi percentualmente rispetto agli incrementi o decrementi totali per dedurre dallo studio del fenomeno se ad esempio dette migrazioni si possano considerare transitorie, o meno, ed in quale misura.
Una volta ricavato il numero di abitanti dagli incrementi annui previsti nel decennio di efficacia del piano di zona, si potrà ragguagliare il fabbisogno in vani al numero medesimo, tenendo presente l'opportunità di porre a base dei conteggi un indice di affollamento pari ad un abitante per vano. E appena il caso di avvertire che per vano si dovrà intendere il cosiddetto "vano contabile" e non le sole camere utili o stanze.
Al numero dei vani destinato a fronteggiare gli incrementi di popolazione, si dovrà aggiungere:
a) un numero di vani ragionevolmente proporzionato alla necessità di diminuire l'indice di affollamento durante il decennio, qualora detto indice risulti superiore all'unità;
b) un ulteriore numero di vani che occorrerà costruire nel decennio in sostituzione dei vani che le necessità di rinnovo dell'edilizia dell'abitato nonché particolari piani di risanamento o di ricostruzione rendono necessario ricostituire;
c) eventualmente un ulteriore quantitativo di vani relativo alla percentuale di stanze vuote rispetto al totale del patrimonio edilizio residenziale.
In tal modo risulteranno determinati i vani che in totale nella località, dovrebbero essere costruiti nel decennio.
Allo scopo di riscontrare se la cifra così desunta corrisponda alle reali capacità tecnico-economiche dell'industria edilizia, la cifra stessa dovrà essere messa a raffronto con quella dedotta dall'osservazione dell'attività edilizia nella medesima località, e più precisamente con i dati riguardanti gli ultimi anni (ad esempio l'ultimo triennio) relativi al numero di vani di edifici residenziali effettivamente realizzati ed al numero di vani di edifici del medesimo tipo per i quali sia stata rilasciata l'autorizzazione a costruire (licenza edilizia). Non occorre sottolineare che vanno considerati solo i vani effettivamente destinati alle residenze, con esclusione cioè di tutti i vani attribuibili ad edilizia non residenziale in senso stretto, come uffici, alberghi, magazzini, ecc.
Da tale raffronto e dall'esame della particolare situazione locale nel suo complesso potrà derivare la opportunità di modificare percentualmente la previsione del numero di vani che, complessivamente, dovrebbe essere costruito nel decennio futuro.
La legge, però, non considera il piano di zona come uno strumento tale da soddisfare l'intero fabbisogno di aree per l'edilizia residenziale come sopra determinato, in quanto il piano stesso va limitato alle esigenze dell'edilizia economica e popolare.
Si dovrà, pertanto, stabilire quale detrazione percentuale occorrerà apportare al predetto complessivo numero di vani.
Al riguardo, occorre precisare che dal numero complessivo dei vani, come sopra determinato, vanno detratti quelli destinati all'edilizia considerata di lusso (D.M. 4-12-1961, successivamente sostituito dal D.M. 2-8-1969); quelli relativi a residenze di tipo speciale o di particolare qualificazione (esempio: in zone panoramiche) e relativi a zone soggette a particolari convenzioni o per le quali siano già in atto iniziative edilizie a carattere unitario con accollo delle spese di urbanizzazione da parte dei privati interessati, nonché tutti quegli altri afferenti a tipi di edilizia residenziale che - per considerazioni specifiche peraltro da precisare - si ritenga di dover escludere. Quando si tratta di convenzioni, dovrà ovviamente tenersi conto soltanto dell'aliquota di vani che, prevedibilmente, potrà essere realizzata nel decennio di attuazione del piano.
Peraltro, nel calcolare il fabbisogno per l'edilizia popolare ed economica non si potrà ovviamente fare riferimento alle percentuali di edilizia sovvenzionata realizzata negli anni più recenti, poiché è noto che nell'ultimo periodo di tempo i finanziamenti per tale tipo di edilizia hanno subito una notevole flessione, mentre è ragionevolmente da prevedere un prossimo incremento di aiuti statali per l'edilizia popolare, che non potrà non reperire le aree occorrenti nell'ambito dei piani di zona, come del resto è obbligatoriamente stabilito dalla legge sul nuovo piano per la gestione case lavoratori.
In linea generale si può ritenere che il fabbisogno per l'edilizia economica e popolare non dovrebbe discendere al di sotto del 50%.
Così stabilito il fabbisogno dei vani cui deve corrispondere il piano, la estensione delle aree da comprendere nel piano stesso sarà determinata in rapporto alle densità territoriali che si riterrà opportuno adottare ed in rapporto alla cubatura da attribuire a ciascun vano od abitante.
Per quanto riguarda le densità territoriali ci si dovrà attenere - in linea generale - agli indici previsti dai piani regolatori o dai programmi di fabbricazione, ove questi esistano. Converrà, in ogni caso che le densità stesse risultino comprese tra un massimo di 250-300 abitanti/ettaro, ed un minimo di 100-150 abitanti/ettaro, intendendosi le cifre maggiori applicabili alle città più grandi e le cifre minori agli abitati di più modesta entità.
In ordine alla cubatura normalmente nel proporzionamento dei quartieri vengono assunti indici intorno ai 100 mc/abitante, anche se poi, in pratica, detti indici risultano inferiori.
Questo dato, invece, potrebbe essere anche aumentato in quanto sia inteso a migliorare lo standard di vita delle classi meno abbienti; ma occorrerà ovviamente assicurare che, con l'attuazione dei progetti, tale incremento non comporti un aumento della densità di popolazione.
Pertanto è da raccomandare che le autorità preposte al controllo sui progetti edilizi (amministrazioni statali e comunali) accertino che in effetti non si verifichi un aumento della popolazione globale di ciascuna zona, poiché ciò metterebbe in crisi i servizi pubblici e le attrezzature sociali, calcolati per il previsto numero di abitanti.

III. - Per quanto riguarda le aree da destinare alle strade ed agli altri spazi aperti al pubblico, agli edifici pubblici, ai giardini, ai mercati, agli impianti sportivi e ad altre attrezzature di interesse comune, esse dovranno essere giustificate dettagliatamente zona per zona e definite, in percentuali, in rapporto alla dimensione ed alle esigenze del quartiere.
In generale è indispensabile che in ogni zona siano previste scuole, chiese, mercati, verde attrezzato (giardini e parchi pubblici, campi da giuoco e per lo sport, ecc.).
Per l'edilizia scolastica si dovranno applicare i criteri di cui ai regolamenti di esecuzione della legge 26-1-1962, n.17.
Per il verde attrezzato (nel suo complesso, ove le zone siano destinate ad ospitare una popolazione inferiore a 1.000 abitanti, esso dovrà interessare un'area pari almeno a 2,50 mq/abitante; per popolazioni da 1.000 a 5.000 abitanti, dovrà interessare aree pari almeno a 3 mq/abitante e per popolazioni superiori, aree per almeno 3,50 mq/abitante.
Complessivamente, le aree per le attrezzature e servizi (escluse le strade e gli altri spazi riservati alla circolazione ed ai parcheggi), non dovranno essere inferiori a 12 mq/abitante nei quartieri di maggiori dimensioni ed a mq 15 in quelli di minori dimensioni.
Qualora esistano nelle vicinanze attrezzature che possano essere utilizzate dalle zone comprese nel piano, se ne dovrà dare precisa giustificazione agli effetti della possibile attribuzione al nuovo quartiere.

IV. - E' stato chiesto se tutta l'edilizia economica e popolare debba svolgersi - nei prossimi dieci anni - entro il perimetro del piano di zona e se, in attesa dell'approvazione di tali piani, i progetti per la costruzione di alloggi a carattere economico e popolare, già presentati dagli enti di cui all'art.10 della legge, possano essere esaminati ed approvati dagli uffici del genio civile e dai provveditorati alle opere pubbliche anche nel caso in cui non ricadano nei piani zonali approvati.
Al riguardo va in primo luogo chiarito che scopo essenziale della legge n.167 è quello di assicurare, anche attraverso lo strumento dell'espropriazione, la disponibilità di aree a basso costo sia per l'edilizia privata a carattere prevalentemente economico e sia per l'edilizia pubblica a carattere popolare, e garantire che l'attività edilizia nel settore di cui trattasi non si svolga episodicamente, ma secondo programmi urbanistici ben definiti: programmi che, se pure limitati al settore dell'edilizia economica e popolare, vanno inquadrati in una visione urbanistica estesa all'intero territorio comunale.
In relazione agli intenti della legge, può pertanto affermarsi che, dopo l'approvazione del piano di zona, l'edilizia a carattere economico da parte dei privati può essere realizzata anche al di fuori del piano zonale in qualsiasi parte del territorio, sempreché, beninteso, sia conforme alle vigenti prescrizioni urbanistico-edilizie.
Per quanto riguarda invece l'edilizia popolare realizzata dagli enti di cui all'art.10 ed in particolare quella sovvenzionata dallo Stato - pur non esistendo nella legge un esplicito divieto all'utilizzazione di aree al di fuori del piano di zona - è lecito affermare che la relativa attività debba essere realizzata nell'ambito dei comprensori appositamente predisposti. E ciò non solo per un motivo di opportunità economica, consistente nella possibilità di acquistare a prezzo ragionevole aree dotate dei necessari servizi ma anche per motivi di carattere urbanistico speciale, quali quelli di agevolare lo sviluppo dell'abitato nelle direzioni indicate dal comune e di assicurare l'integrazione dell'edilizia popolare con quella a carattere privato, rendendo così possibile la creazione di quartieri in cui siano armonicamente rappresentate le diverse classi sociali.
Pertanto, la costruzione di nuclei di edilizia popolare al di fuori dei piani di zona dovrebbe essere effettuata soltanto in casi assolutamente eccezionali da parte degli enti interessati. Ne consegue che gli uffici statali chiamati ad esaminare i relativi progetti, prima di pronunciarsi su di essi dovranno accuratamente considerare se corrisponda al pubblico generale interesse consentire la realizzazione di un determinato nucleo edilizio fuori dell'ambito del piano zonale.
Per quanto riguarda i progetti di edifici già in istruttoria o in corso di esame presso gli uffici del genio civile ed i provveditorati alle opere pubbliche, sarà cura di detti uffici considerare (in rapporto all'entità e all'urgenza dell'opera, al più o meno lungo periodo da attendere prima dell'entrata in vigore del piano zonale, alla possibilità che l'opera possa o non compromettere la realizzazione del piano in parola, alla incidenza, soprattutto economica, che può avere, sull'opera progettata, la inclusione o l'esclusione dal piano "in itinere", ecc.), la opportunità di esercitare i propri discrezionali poteri nel senso di approvare o respingere i progetti presentati.
Ovviamente, il problema si pone in termini diversi in quei casi nei quali le disposizioni di legge a carattere generale (legge 14-2-1963, n.60 sulla gestione case lavoratori) od a carattere particolare (ad esempio: legge 23-12-1962, n.1814 sul risanamento igienico della città vecchia di Bari) impongono che le costruzioni di cui trattasi debbano essere realizzate nell'ambito dei piani di zona. In tali casi, nei comuni ove il piano di zona sia già approvato, non vi è dubbio che dette costruzioni debbano comunque essere realizzate nelle aree comprese nel piano; se, invece, il piano è già adottato l'obbligo, ad avviso di questo Ministero, sussiste ugualmente; se invece il piano è ancora in corso di elaborazione, i programmi costruttivi degli enti di cui trattasi dovranno essere studiati tenendo presenti le indicazioni che scaturiscono dagli studi e dalle elaborazioni in corso del piano zonale, ma è ovvio che le costruzioni non potranno essere realizzate fino a quando il piano non sarà stato adottato.

V. - L'art.1 della legge attribuisce, tra l'altro, la facoltà ai comuni che si trovano nelle condizioni indicate nello stesso articolo di costituirsi in consorzio per la formazione di un unico piano zonale.
Il consorzio, così costituito, dovrà redigere un piano che, per espressa disposizione di legge, è unico: un solo progetto, cioè, sia dal punto di vista formale e sia per quanto riguarda il contenuto.
Sotto tale ultimo profilo va precisato che, ovviamente, la estensione delle zone da includere nel piano consorziale va determinata in relazione al fabbisogno decennale dell'edilizia economica e popolare riferito a tutti i comuni facenti parte del consorzio.
Ciò non esclude, peraltro, che la ubicazione di tali zone possa essere prevista - anche se ciò non sarà il caso normale - nel territorio di alcuni di essi, per cui il contributo, per così dire, "territoriale" che ogni comune potrà dare al piano consorziale non può e non deve essere messo in stretta relazione con il fabbisogno del comune stesso. Ciò accadrà soprattutto in quei comuni, adiacenti ai grandi centri che hanno un notevole incremento demografico ed industriale ed il cui territorio è insufficiente e ha addirittura raggiunto il limite di saturazione e non dispone quindi di zone per l'edilizia residenziale.
Il consorzio, che rientra nella categoria di quelli facoltativi, sarà costituito, come è stato già precisato nella circolare n.2611 ai sensi degli artt.156 e seguenti del testo unico 3-3-1934, n.382. Il suo compito, evidentemente, non è solo quello di redigere il piano di zona, ma anche di adottarlo e di attuarlo, una volta approvato. Lo statuto, da redigere al momento della formazione del consorzio, dovrà ovviamente disciplinare i rapporti - anche di natura economica - tra questo e i comuni consorziati cui spetta adottare ed attuare il piano. Sarà opportuno che lo statuto - ed eventualmente il piano - indichino la parte che potrà essere attuata dai singoli comuni e quella che dovrà essere attuata al livello del consorzio.
Sulla base di quanto precedentemente detto dovrebbe escludersi in via di massima la possibilità che un comune partecipi al consorzio e faccia, contemporaneamente, un proprio piano di zona.
Se invece uno dei comuni consorziati abbia un piano di zona già approvato ed operante, sorge il problema se tale piano possa conservare o meno la sua autonomia. E' ovvio che tale problema si pone soltanto nei casi in cui i comuni di cui si è detto non abbiano, col proprio piano zonale, sopperito all'intero fabbisogno decennale.
La conclusione dovrebbe essere negativa sia perché in tal modo verrebbe a crearsi una frattura nel piano zonale, in quanto uno stesso comune verrebbe ad avere alcune zone incluse nel piano comunale ed altre in quello consorziale, sia perché non si vede come un comune possa partecipare ad un piano consorziale senza conferire al consorzio una parte del proprio territorio.
In pratica, peraltro, non è da escludere la possibilità che il piano approvato conservi la sua piena autonomia, anche perché sarebbe pressoché impossibile assorbire nel piano di zona consorziale un piano avente una sua particolare fisionomia e che può aver già avuto un principio di attuazione.
Come si è detto sopra, un piano consorziale deve essere dimensionato in relazione al fabbisogno decennale per l'edilizia economica e popolare riferito all'intero ambito del consorzio: il limite posto dalla legge infatti è quello che non si vincolino, tra piano consorziale e piano comunale più aree di quelle necessarie, in complesso, per soddisfare il fabbisogno decennale.

VI. - All'art.2 la legge stabilisce il termine di centottanta giorni dalla sua entrata in vigore per la deliberazione del piano di zona: termine prorogabile con provvedimento del Ministro per i lavori pubblici. Tale termine (che con disegno di legge all'esame del parlamento viene prorogato di un anno) è riferito soltanto ai comuni obbligati a redigere il piano, per cui esso non si applica nei confronti dei consorzi e dei comuni non obbligati.
Si deve, al riguardo, precisare che la sola conseguenza giuridica derivante dalla scadenza del suddetto termine non prorogato è costituita dall'intervento del prefetto che nomina un commissario per la formazione del piano.
E' evidente, però, che qualora il prefetto non intenda esercitare tale potere, il comune non decade, come alcuni vorrebbero sostenere, dal suo potere-dovere di redigere il piano. Comunque, anche in relazione al fatto che la proroga può essere considerata uno degli stadi del procedimento per l'approvazione del piano, è opportuno che la proroga stessa venga richiesta tempestivamente in modo da consentire a questo Ministero di concederla - ove lo ritenga opportuno - prima della scadenza del termine.

VII. - L'art.3, comma 3, della legge n.167, prevede la possibilità che vengano comprese nei piani anche le aree su cui insistono immobili da demolire per ragioni igienico-sanitarie.
Tale norma è stata variamente interpretata dai comuni, i quali hanno ritenuto di potersi avvalere della disposizione per attuare operazioni di risanamento igienico sia nelle zone centrali della città, che nelle borgate periferiche.
In realtà, il significato della norma è molto chiaro e la sua portata è ben delimitata. Deve, cioè, in primo luogo trattarsi di aree comprese in piani particolareggiati, sulle quali insistano edifici destinati alla demolizione per ragioni igienico-sanitarie. In secondo luogo, tali piani debbono essere già operanti prima dell'adozione dei piani di zona o, quanto meno, prima che questi entrino in vigore.
La formulazione usata induce, quindi, ad escludere che, con il citato comma 3 dell'art.3 si sia voluto consentire la possibilità di interventi igienico edilizi diretti a modificare la struttura di interi quartieri e, tanto meno, prevedere la soluzione di problemi di risanamento conservativo negli antichi nuclei della città. Tali interventi, infatti, possono essere realizzati sulla base di strumenti, tecnici e normativi, diversi da quelli predisposti dalla legge n.167 la quale, oltre tutto, ha lo scopo di creare nuovi quartieri e nuovi alloggi a basso costo; ciò che, evidentemente, non può mai essere il risultato di una operazione di risanamento igienico e conservativo da realizzare nelle zone centrali di una città.
E' da osservare, peraltro, che pur se il piano zonale deve, di norma, operare in zone non edificate, la presenza di costruzioni non può considerarsi un ostacolo alla espropriazione ed alla organica sistemazione urbanistica delle aree prescelte per il piano in parola; per cui, qualora la sistemazione della zona interessata lo rendesse necessario potrà essere prevista - esista o non un piano particolareggiato - la demolizione di singoli edifici esistenti.

VIII. - Alcuni comuni ed enti di cui all'art.10 - comma 3 - hanno formulato quesiti in merito alla legittimità o quanto meno alla opportunità di includere nei piani di zona aree di proprietà dei menzionati enti e sulle quali questi intendono realizzare i loro programmi costruttivi secondo i fini istituzionali.
La legge n.167 non contiene alcuna disposizione specifica in proposito, ma non sembra dubbio, tenendo presenti gli scopi della legge - tra i quali come si è detto, sono preminenti l'inquadramento urbanistico dell'edilizia popolare e la sua integrazione con quella a carattere economico - che nella formazione del piano di zona e nelle determinazioni della sua dimensione in rapporto al fabbisogno decennale i comuni debbano tener conto dei programmi degli enti e dei mezzi - anche perciò delle aree edificabili di cui questi dispongono - per attuarli. Qualora le aree degli enti suddetti venissero calcolate soltanto agli effetti della determinazione del fabbisogno e venissero poi escluse dal piano, sarebbero completamente frustrati gli scopi della legge sopraricordati, in quanto tali aree non sarebbero soggette al regime vincolistico del piano e potrebbero anche ricevere successivamente una destinazione diversa da quella originaria. D'altra parte, potrebbero anche essere vendute giustificando così il diritto da parte degli enti stessi ad ottenere l'esproprio delle aree comprese nel piano, con il risultato di consentire agli enti per l'edilizia popolare di effettuare speculazioni, attraverso la vendita dei loro terreni al prezzo di mercato e l'acquisto delle aree incluse nel piano al valore antepiano.
Deve concludersi, pertanto, che le aree di proprietà degli enti suddetti debbano essere incluse nei piani, qualora ciò sia giustificato da esigenze urbanistiche e sempre che, beninteso, esse siano suscettibili di destinazione ad edilizia popolare.
Resta, però, da considerare a quali fini ed effetti tale inclusione va fatta.
L'inclusione delle aree di proprietà degli enti di cui all'art.10 - terzo comma - va fatta al solo fine della determinazione del fabbisogno decennale di aree nonché allo scopo di precisare la destinazione urbanistica delle aree stesse e di vincolarle di conseguenza. Dovranno, quindi, essere lasciate a disposizione degli enti le aree di loro proprietà incluse nel piano, facendo ricorso alla procedura coattiva in casi del tutto eccezionali e comunque soltanto quando ciò fosse giustificato da prevalenti esigenze di carattere pubblico (come la realizzazione delle attrezzature e dei servizi di interesse generale) o dalle esigenze del coordinato utilizzo delle aree.

IX. - L'art.4 della legge precisa gli elementi che formano il contenuto del piano di zona. Essi corrispondono sostanzialmente a quelli indicati nell'art.13 della legge urbanistica per i piani particolareggiati.
Una previsione dettagliata è certamente opportuna in relazione al carattere esecutivo del piano di zona. Peraltro, la disposizione ha fatto sorgere alcune perplessità nelle amministrazioni comunali che, nell'applicazione, si sono trovate di fronte a difficoltà di ordine pratico.
Invero, soprattutto per i grandi comuni, i cui piani di zona investono vaste porzioni di territorio, la precisazione particolareggiata della sistemazione urbanistica richiede elaborazioni lunghe e complesse rese più difficoltose dalla brevità dei termini previsti.
Il problema, d'altra parte, si pone non solo in rapporto alla estensione del territorio da sistemare, ma anche in relazione alla durata del piano in quanto non sempre appare consigliabile prestabilire in via definitiva tutti gli elementi dell'edilizia di un quartiere, alcuni dei quali più propriamente attengono alla fase della progettazione architettonica. Del resto va tenuta presente in via generale l'opportunità di non cristallizzare, attraverso previsioni estremamente rigide, la fisionomia dei nuovi complessi residenziali impedendo che essi partecipino all'evoluzione tecnico-architettonica che in un decennio non può mancare di manifestarsi.
Al riguardo è pertanto da precisare, in relazione al disposto dell'art.4, che il piano deve definire in ogni caso i seguenti elementi che si ritengono indispensabili in rapporto alle finalità che la legge persegue e cioè: aree da destinare alle residenze; rete delle strade necessarie per dare accesso alle aree stesse; spazi destinati alle opere ed impianti di interesse pubblico e sociale.
Per quanto riguarda la residenza, evidentemente non può ritenersi sufficiente la sola individuazione delle aree, sia pure integrata con l'indicazione degli indici di utilizzazione edilizia (ad esempio: densità abitanti/ha ovvero cubatura edilizia per unità di superficie o per isolati); ma d'altra parte non sembra neppure indispensabile pervenire in ogni caso ad una rigida e dettagliata definizione dei singoli lotti graficamente delimitati.
Del resto la stessa legge urbanistica, prevedendo come obbligatoria per i piani particolareggiati la lottizzazione (art.13), ammette specificamente (art.28), che vi siano entro il perimetro del piano particolareggiato delle zone non lottizzate: per cui può fondatamente sostenersi che il piano di zona, che ha un contenuto tecnico-giuridico uguale a quello del piano particolareggiato ex legge urbanistica, possa pervenire alla definizione di tale elemento (lottizzazione) attraverso la equivalente determinazione di precisi criteri che consentano in pratica di giungere, anche indirettamente, all'individuazione dei singoli lotti.
Analogo discorso va fatto per quanto concerne la tipologia che del resto è interdipendente con la lottizzazione.
D'altro canto la legge n.167 prevede che i piani di zona, una volta formati ed approvati, trovino attuazione non direttamente, ma tramite una fase intermedia (compilazione degli elenchi annuali), nella quale si potrà e si dovrà determinare l'estensione e la forma delle singole aree oggetto di utilizzazione in rapporto alle prescrizioni del piano.
In conclusione, pur tenendo presente che i comuni possono fin dal momento della formazione del piano precisare tutti gli elementi, anche di minimo dettaglio, che costituiscono il contenuto del piano particolareggiato, è da ritenere ammissibile (e in certi casi addirittura consigliabile) che il piano di zona precisi:
a) le aree per residenze con relativo indice di densità fondiaria;
b) i criteri e la normativa per la formazione dei singoli lotti e relative tipologie;
c) gli spazi destinati alle attrezzature e agli impianti di interesse pubblico e sociale;
d) le aree da riservare alle strade essenziali per lo sviluppo del quartiere.

X. - Una questione di non lieve importanza è quella riguardante i rapporti tra piano di zona e piano regolatore generale ai fini della determinazione dei limiti tecnico-giuridici al di là dei quali il piano di zona deve essere considerato come variante al piano regolatore vigente.
Al riguardo è da far presente la difficoltà di stabilire dei criteri di carattere generale poiché, data la varietà delle situazioni che possono presentarsi, soltanto un esame fatto caso per caso potrà consentire di stabilire se, nel complesso delle previsioni e degli elementi costituenti il piano di zona, possono riscontrarsi gli estremi di una variante al piano regolatore generale.
In ogni modo, un indirizzo sufficientemente valido può essere tratto dall'orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato manifestato in alcune decisioni (Sezione V, 7-4-1962, n.284 e 7-4-1962, n.289) nelle quali si afferma che "il piano particolareggiato non può concernere punti già disciplinati e previsti dal piano regolatore generale, ma solo specificarne il contenuto, integrandolo con le prescrizioni che non hanno formato oggetto di specifiche previsioni nel piano di massima" e che "spetta normalmente al piano particolareggiato precisare gli elementi del piano regolatore generale i quali non hanno carattere essenziale e preminente e quindi non caratterizzano lo sviluppo urbanistico complessivo di una città, ma concernono piuttosto dettagli esecutivi, che vanno riferiti a ciascuna particolare zona cittadina". In applicazione di tale principio il Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile, ad esempio, in sede di piano particolareggiato, l'ampliamento di una strada da m.20 a m.30, per il motivo che la larghezza esatta di una strada non è elemento che debba necessariamente essere precisato dal piano regolatore generale anche se non è escluso che tale precisazione sia contenuta nel piano stesso.
Ad ogni modo sarà opportuno che i provveditorati, nel dubbio, trasmettano a questo Ministero i progetti di piani di zona non sicuramente conformi ai piani generali.
Per quanto riguarda in particolare il punto 4 dell'art.5 (compendio delle norme urbanistico-edilizie) va precisato che tali norme predisposte per l'attuazione del piano di zona possono e debbono contenere - come del resto accade per qualsiasi piano particolareggiato - più dettagliate prescrizioni e specificazioni rispetto alle norme-base del piano regolatore generale. Ciò ovviamente non costituisce variante al piano generale per cui sarà da seguire la procedura di cui all'art.8, secondo comma, soltanto quando le norme del piano di zona contrastino con quelle del medesimo piano regolatore generale.

XI. - L'art.6 stabilisce, tra l'altro, che del deposito del progetto del piano di zona deve essere data notizia al pubblico mediante avviso da affiggere all'albo pretorio e da inserire nel F.A.L. nonché mediante manifesti.
Al riguardo è da osservare che il termine di venti giorni per la presentazione delle opposizioni dei privati decorre dalla data di inserzione nel F.A.L. qualora tale inserzione sia contemporanea o successiva alle altre forme di pubblicazione; altrimenti il termine suddetto decorrerà dalla data iniziale dell'ultima di dette forme di pubblicazione.

XII. - Nella circolare del 14-7-1962, n.2611, si esprimeva l'avviso che le delibere di adozione dei piani di zona, stante il breve termine entro il quale i progetti devono essere depositati a libera visione, dovessero essere semplicemente trasmesse al prefetto ai sensi dell'art.98 del testo unico della legge comunale e provinciale.
Riesaminata attentamente la questione, dopo aver sentito in proposito il Ministero dell'interno deve riconoscersi che l'avviso precedentemente espresso non corrisponde ad una corretta interpretazione della disposizione in parola poiché, pur se alcune conseguenze debbono essere tratte dalla brevità del termine stabilito per il deposito del piano, non sembra che l'art.6 abbia inteso derogare, in modo esplicito o implicito, alle generali disposizioni in materia di controllo dell'organo tutorio. E, pertanto, le delibere di adozione dei piani di zona debbono essere sottoposte al controllo della G.P.A. ai sensi degli artt.5 e seguenti della legge 9-6-1947, n.530, come ogni altra deliberazione riguardante la materia urbanistica.
In relazione, però, alla brevità del termine stabilito dall'art.6 ed alle diverse scadenze tassativamente disposte dalla legge per le varie fasi dell'istruttoria, appare fondato ritenere che le varie fasi dell'iter procedurale del piano possano svolgersi senza attendere l'approvazione della G.P.A., che può intervenire anche dopo la pubblicazione ma in ogni caso prima dell'approvazione del piano. Tale interpretazione presenta il solo inconveniente che, qualora l'approvazione della G.P.A. venisse negata o condizionata a modifiche - il che, peraltro, non si verifica frequentemente - il procedimento seguito dovrebbe essere rinnovato.
Il disposto dell'art.6, ad ogni modo, rende indispensabile che gli organi di controllo, svolgano i loro compiti nello spirito della legge, rendendo, cioè, per quanto possibile sollecito l'esame delle delibere di adozione dei piani. Detti organi, inoltre, dovranno tener cono della necessità di coordinare il concorso di controlli - di merito e di legittimità - che le varie disposizioni prevedono in materia al fine di evitare duplicazioni e interferenze. Ovviamente la G.P.A. eserciterà - come è stato del resto affermato dal Consiglio di Stato (parere n.1454 del 20-2-1962) - il proprio sindacato prevalentemente sulla regolarità formale e sul merito finanziario del provvedimento, dal momento che gli organi di questa amministrazione esamineranno specificamente l'aspetto tecnico-urbanistico del piano.

XIII. - Il penultimo comma dell'art.6 stabilisce che il piano di zona deve essere comunicato alle "amministrazioni centrali dello Stato" non solo quando sulle aree comprese nel piano esistano vincoli nell'interesse pubblico, ma anche quando le aree stesse siano "in uso di dette amministrazioni". Il riferimento fatto dalla legge alle amministrazioni centrali non è senza rilevanza, dato che la presentazione di osservazioni da parte di queste ultime determina, ai sensi dell'art.8, la competenza all'approvazione dei piani da parte del Ministero dei lavori pubblici.
E' da rilevare, al riguardo, che l'espressione "amministrazioni centrali", usata dalla legge non può indicare gli uffici ubicati al centro (e cioè i Ministeri) in contrapposto a quelli ubicati in periferia: e ciò in quanto il carattere centrale o periferico di un ufficio non deriva dalla sua ubicazione, ma dipende dai compiti svolti e, soprattutto, dalla organizzazione interna delle varie amministrazioni. D'altra parte, è noto che i beni immobili sono di pertinenza delle amministrazioni centrali, ma sono, di norma, in uso degli uffici o organi periferici. Né, soprattutto, può dimenticarsi che i beni e gli interessi che la disposizione dell'art.6 vuole tutelare non appartengono propriamente all'amministrazione centrale o a quella periferica, bensì allo Stato.
Ciò stante, appare conforme alla legge interpretare l'espressione surriportata nel senso di "amministrazioni dello Stato", per cui debbono ritenersi sottoposti all'approvazione di questo Ministero tutti i piani di zona attraverso i quali siano state presentate osservazioni da parte di uffici - siano essi centrali, decentrati o periferici - dello Stato.
Sarà, però, opportuno che i comuni indirizzino in ogni caso contemporaneamente le comunicazioni di cui all'art.6, penultimo comma, sia alle amministrazioni centrali dello Stato che ai corrispondenti organi periferici.
Per quanto riguarda, poi, l'espressione "terreni... "che siano in uso alle amministrazioni dello Stato" deve precisarsi che in tale categoria vanno compresi non solo i beni demaniali ma anche quelli patrimoniali - disponibili o indisponibili - dello Stato, e pertanto l'esistenza di tali beni in un piano di zona renderà necessaria la notifica del progetto all'amministrazione interessata. Non vi è dubbio, inoltre, che nei terreni di cui sopra debbano rientrare anche i beni demaniali, allorquando questi siano dati in concessione ad enti e privati.

XIV. - La legge n.167 stabilisce che all'atto di approvazione del piano di zona - decreto ministeriale o provveditoriale - venga data la più ampia pubblicità: e pertanto ne prescrive, all'art.8, l'inserzione per estratto nella Gazzetta Ufficiale, il deposito nella segreteria comunale e la notifica, nelle forme delle citazioni, a ciascun proprietario.
Si richiama, al riguardo, l'attenzione dei signori provveditori alle opere pubbliche, cui è demandato il compito di promuovere la pubblicazione del proprio decreto sulla Gazzetta Ufficiale, sulla necessità di provvedervi puntualmente ed entro il più breve termine, in considerazione del fatto che dalla data di detta pubblicazione cominciano a decorrere gli effetti connessi con la conoscenza del piano di zona da parte degli interessati.
Si pregano, inoltre, i signori prefetti ed i signori provveditori di voler vigilare affinché i comuni facciano fronte, entro i termini stabiliti, agli adempimenti loro ascritti, informando questo Ministero dei casi di inadempienza.

XV. - L'art.9 stabilisce, tra l'altro, che il piano di zona ha durata decennale, salvo proroghe da concedere con decreto del Ministro dei lavori pubblici per un periodo non eccedente i due anni.
La disposizione merita un chiarimento, poiché qualche comune ha considerato detto decennio come il periodo massimo oltre il quale non sia possibile andare nella determinazione delle previsioni, ed ha ritenuto, pertanto, di poter studiare il proprio piano con riferimento ad un periodo più breve.
Tale interpretazione, invero, non appare fondata, poiché il legislatore ha evidentemente ritenuto che un decennio rappresenti il periodo necessario per consentire una pianificazione idonea a disciplinare, con visione adeguatamente ampia e proiettata nel futuro, lo sviluppo dell'edilizia residenziale a carattere economico e popolare. E pertanto da ribadire il concetto che i piani in parola debbono essere studiati con riferimento ad un intero decennio e non per un periodo di tempo maggiore o minore.
La possibilità di proroga del piano per altri 2 anni, di cui all'art.9 della legge, non si riferisce evidentemente al periodo di tempo in rapporto al quale deve essere dimensionato il piano ma riguarda solo la prorogabilità dell'attuazione del piano stesso.
Naturalmente non deve escludersi che, dopo l'approvazione del piano, sorga la necessità di apportare varianti al piano di zona; tali varianti possono ovviamente riguardare anche il dimensionamento-base del piano stesso, qualora nel frattempo si siano dimostrate eccessive e insufficienti le previsioni originarie.
E' evidente che le sopravvenute necessità debbono essere chiaramente documentate in relazione a precisi dati di fatto.

XVI. - La norma di cui all'art.10 della legge che consente ai comuni di acquisire, per la costruzione del proprio patrimonio di aree, "fino ad un massimo del 50% delle aree comprese nel piano" è stata fonte di alcuni dubbi interpretativi.
Invero, un attento esame della norma, delle varie situazioni, quali possono verificarsi in pratica e dello spirito della legge, chiarisce ogni dubbio in proposito. Il 50% da attribuire al patrimonio comunale deve essere riferito all'intero piano e deve comprendere anche le aree occorrenti per l'urbanizzazione di detto patrimonio: così che per gli usi degli enti indicati all'art.10 resta l'altro 50% dell'intero comprensorio, composto in parte di aree edificabili ed in parte di aree da destinare ai relativi servizi.
In pratica, stabilito in ipotesi che, nel complesso, il piano preveda la destinazione a residenza del 60% delle aree ed a servizi del restante 40%, il comune potrà acquisire, nell'intero comprensorio, un 30% di aree edificabili ed un 20% di aree per i servizi; e gli enti potranno espropriare l'altro 50% dell'intero comprensorio, da ripartire, egualmente, tra aree edificabili (30%) ed aree per servizi (20%).
In definitiva, sia che si consideri l'intera superficie del piano, sia che si prenda in esame tale superficie al netto delle opere di urbanizzazione, comuni ed enti potranno utilizzare, per i propri fini, ciascuno il 50% delle aree edificabili.
E' superfluo aggiungere che gli enti sono quelli elencati al penultimo comma dell'art.10. Tra questi sono comprese le società cooperative per la costruzione di case per i propri soci, le quali - è opportuno chiarirlo in relazione a quesiti formulati - possono fruire delle disposizioni della legge n.167, anche se non sovvenzionate.

XVII. - La legge n.167 prevede, come si e già ripetutamente detto, che il comune può acquisire, per urbanizzarle e rivenderle fino al 50% delle aree edificabili comprese nel piano, mentre il restante 50% è destinato all'attività degli enti di cui all'art.10, comma 3.
Per quanto riguarda l'urbanizzazione del cosiddetto patrimonio comunale occorre precisare, ad integrazione di quanto già detto nella precedente circolare, quali sono le opere riguardanti tale urbanizzazione.
Non vi è dubbio che tra tali opere rientrino in ogni caso quelle cosiddette di urbanizzazione primaria e cioè: strade residenziali, passaggi pedonali, spazi di sosta e parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica, pubblica illuminazione e spazi verdi di quartiere, ecc.
Sono da ritenere altresì comprese tra le opere di urbanizzazione anche altre opere in quanto tale possibilità è espressamente prevista dal primo comma dell'art.1 della legge, ed in particolare quelle di carattere sociale (come gli edifici di culto, le scuole, i centri sociali, ecc.) nonché gli impianti occorrenti per la vita del quartiere, come i mercati rionali, i centri sanitari e le attrezzature ricreative e sportive. Per quanto riguarda in particolare queste ultime, occorrerà tener presente che esse non debbono essere intese come installazioni per manifestazioni sportive a carattere spettacolare, ma più semplicemente quali aree ed impianti destinati agli sports più correnti che consentano la ricreazione e lo svago con la partecipazione attiva degli abitanti - tanto adulti, che ragazzi e bambini - come ad esempio, aie per l'infanzia, spazi liberi per le corse e per i giochi dei ragazzi, campi per la pallavolo, tennis, bocce, ecc., ed eventualmente anche installazioni per palestre e piscine.
In generale può dirsi che sono da comprendere nelle opere di urbanizzazione tutte quelle che sono indispensabili per la vita del quartiere ed al suo diretto servizio e sono quindi da escludere quelle opere che, per le caratteristiche e per le dimensioni, vanno considerate al servizio dell'intera città o di ampi settori dell'abitato (come ad esempio ospedali, grandi parchi pubblici, cimiteri, ampi centri sussidiari, impianti turistici ed alberghieri, grandi impianti sportivi, ecc.).
Tale criterio trova del resto la sua giustificazione nella considerazione che le opere di urbanizzazione debbono essere poste a carico dei cessionari delle aree di un determinato comprensorio urbanizzato, i quali indubbiamente possono e debbono sopportare, proporzionalmente, soltanto l'onere delle opere che interessano il comprensorio di cui trattasi e non di quelle che servono anche altre zone o addirittura l'intera città.
Per quanto riguarda le opere di urbanizzazione da effettuare in zone riservate all'attività degli enti di cui al terzo comma dell'art.10 non possono che applicarsi i medesimi criteri sopra specificati. E' vero che l'art.19 indica soltanto alcune opere da effettuare a cura dei comuni in dette zone (rete viabile, servizi igienici e allacciamenti alla rete dei pubblici servizi), ma - anche a volere attribuire a tale elencazione un carattere tassativo - è evidente che tale riferimento concerne soltanto il grado di priorità che la legge ha inteso attribuire all'esecuzione di tali opere, ma non esclude che debbano essere previste anche le altre opere di urbanizzazione necessarie per la vita del quartiere e che tali opere siano anch'esse a carico dei comuni.
L'unica differenza, ad avviso di questo Ministero, fra i due settori di intervento, consiste nel fatto che nell'ambito del patrimonio comunale le spese incontrate per l'esecuzione delle opere vanno riversate sul prezzo di cessione, mentre nelle zone in cui operano gli enti di cui al comma 3 dell'art.10, le spese suddette sono a carico del comune.
Infine, per quanto riguarda le altre opere sulle aree da destinare alla esecuzione dei piani pluriennali della gestione case per lavoratori, si fa riferimento alle norme di cui all'art.14 della legge 14-2-1963, n.60, ed al relativo regolamento di esecuzione.
A conferma di quanto sopra deve mettersi in rilievo che in relazione alla prevista integrazione tra edilizia privata ed edilizia popolare, non sarà sempre possibile distinguere gli impianti e le attrezzature al servizio del patrimonio comunale da quelli al servizio delle zone in cui operano gli enti suddetti.
Sono stati formulati quesiti circa l'ammissibilità della realizzazione sulle aree espropriate ai fini della legge n.167, di servizi interni di quartiere non destinati alla generalità della popolazione del quartiere stesso quali potrebbero essere un ambulatorio, un circolo ricreativo aziendale, una cooperativa di consumo, ecc., ma riservati ai dipendenti di un determinato ente, che, ovviamente, abbia realizzato nel piano di zona il proprio programma costruttivo.
La legittimità della realizzazione di siffatti servizi da parte degli enti costruttori non sembra possa essere messa in dubbio. Tali servizi rispondono ad una finalità della legge che è quella di dare una abitazione modernamente concepita a tutti i cittadini ed in particolare ai lavoratori dipendenti: e certamente - come si è detto in relazione all'art.1 - risponde a moderni criteri una dotazione di servizi pubblici prevista con l'ampiezza necessaria ad assicurare lo svolgimento della vita associata in tutte le sue forme.
Il fatto che determinati locali o impianti siano destinati a servizi riservati ad una parte determinata della popolazione, mentre non esclude la legittimità della utilizzazione delle aree espropriate per la loro realizzazione, costituisce però un limite all'obbligo di intervento del comune ai sensi dell'art.19, poiché la esecuzione degli impianti in parola dovrà avvenire a cura e spese dell'ente interessato.

XVIII. - Al paragrafo 16 della circolare 15-7-1962, n.2611 veniva chiarito che le norme della legge n.167 trovano applicazione anche nelle regioni a statuto autonomo fino a quando le stesse non avranno legiferato in materia.
Al riguardo deve ulteriormente precisarsi che in tali regioni le norme statali sono applicate dall'ente regione nei modi previsti dai singoli statuti e con i competenti organi da questi istituiti.




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