ISTRUZIONI PER L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE 18 APRILE 1962 N.167, RECANTE DISPOSIZIONI PER FAVORIRE L'ACQUISIZIONE DI AREE FABBRICABILI PER L'EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE.
Con circolare n.2611 del 15-7-1962, vennero impartite
istruzioni per l'applicazione della legge n.167, recante
disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili
per l'edilizia economica e popolare.
Senonché, in sede di applicazione della legge,
sono sorte difficoltà di carattere interpretativo
sia per quanto riguarda la formazione dei piani che
per la loro attuazione e specialmente sotto il primo
profilo sono pervenuti dai comuni nonché dagli
organi periferici di questa amministrazione quesiti
e richieste di chiarimenti, cui appare necessario dare
una risposta, integrando le istruzioni già impartite
con le delucidazioni e precisazioni che seguono.
D'altra parte, le esperienze finora acquisite, consentono
di fissare alcuni criteri e direttive soprattutto per
quanto concerne la determinazione del fabbisogno delle
aree, in rapporto al quale va dimensionato il piano
di zona.
I. - L'art.3 della legge n.167 stabilisce che, ove si
manifesti l'esigenza di reperire aree per la formazione
dei piani di zona non destinate ad edilizia residenziale
nei piani regolatori vigenti o si renda comunque necessario
apportare modifiche a questi ultimi si può procedere
con varianti agli stessi.
In tali casi il piano approvato a norma della suddetta
legge costituisce variante al piano regolatore.
Qualora non esista piano regolatore, le zone riservate
alla edilizia economica e popolare sono comprese in
un programma di fabbricazione da compilare a norma
dell'art.34 della legge urbanistica 17-8-1942, n.1150,
da approvare ai sensi dell'art.8 della legge n.167.
Nell'applicazione della norma su esposta sono sorte
perplessità e dubbi di carattere interpretativo
circa la procedura da seguire nei vari casi e questa
amministrazione ha ritenuto opportuno sentire al riguardo
il Consiglio di Stato, il quale si è recentemente
pronunziato con un esauriente parere, in conformità
del quale vengono diramate le seguenti istruzioni in
rapporto alle varie situazioni che possono ipotizzarsi
e cioè:
a) inesistenza in genere del piano regolatore;
b) inesistenza del piano regolatore nei comuni obbligati
alla formazione del piano regolatore generale;
c) esistenza di un piano regolatore approvato ai sensi
della legge urbanistica;
d) esistenza di un piano di ricostruzione approvato
ai sensi del decreto legislativo 1-3-1945, n.154, e
successive modificazioni;
e) esistenza di un piano regolatore approvato prima
della legge urbanistica;
f) esistenza contemporanea di un piano di ricostruzione
e di un piano regolatore approvato prima della legge
urbanistica.
In merito alle situazioni su esposte, che esauriscono
tutte le possibili ipotesi, si precisa quanto segue.
INESISTENZA DI PIANO REGOLATORE.
Qualora non esista alcun piano regolatore è necessario
che il piano di zona venga inquadrato in un programma
di fabbricazione, il quale va compilato in base all'art.34
della legge urbanistica, ed approvato non a termini
dell'art.36 di tale legge, ma ai sensi dell'art.8 della
legge n.167. In altri termini esso viene approvato
con la stessa procedura del piano di zona e cioè
con decreto del Ministro dei lavori pubblici, qualora
siano state presentate opposizioni ed osservazioni
da parte delle amministrazioni centrali dello Stato,
e con decreto del provveditore alle opere pubbliche
in tutti gli altri casi.
INESISTENZA DI PIANO REGOLATORE NEI COMUNI OBBLIGATI
A FORMARE IL PIANO REGOLATORE GENERALE AI SENSI DELL'ART.8
DELLA LEGGE URBANISTICA
Per i comuni inclusi negli elenchi di cui all'art.8
della legge urbanistica possono presentarsi due diverse
situazioni a seconda che i comuni:
1) non abbiano ancora ottemperato all'obbligo di redigere
il piano regolatore generale;
2) lo abbiano soltanto deliberato.
Nella prima ipotesi non vi è dubbio che il comune
debba provvedere mediante l'adozione di un programma
di fabbricazione, nel quale va inquadrato il piano
di zona.
E' ovvio che l'adozione del programma di fabbricazione
non esime il comune dall'obbligo di formare il piano
regolatore generale e di dargli sollecito corso secondo
le norme della legge urbanistica, mentre sarà
opportuno ed anzi doveroso che il programma di fabbricazione
sia compilato nel quadro del futuro piano regolatore
generale e cioè in base ai criteri in relazione
ai quali vengono condotti gli studi e le elaborazioni
del progetto di piano regolatore generale.
Nella seconda ipotesi e cioè quando trattasi
di comuni che hanno già adottato il piano regolatore
del proprio territorio, è da rilevare che la
delibera consiliare di adozione rappresenta, come è
ormai pacificamente ammesso in giurisprudenza ed in
dottrina, un elemento costitutivo dell'atto complesso
- alla cui formazione concorrono le volontà
del comune e dello Stato e che si perfeziona con il
decreto di approvazione del Presidente della Repubblica
- e che inoltre ad essa delibera vengono attribuiti
particolari effetti giuridici come la possibilità
dell'applicazione delle misure di salvaguardia; pertanto
tale particolare situazione di diritto non può
essere equiparata a quella di un comune del tutto privo
di piano regolatore. Nella ipotesi in esame il comune
non potrà deliberare il programma di fabbricazione,
ma dovrà adottare il piano di zona nel quadro
del piano regolatore già deliberato.
Se il piano di zona comporterà modifiche al progetto
di piano regolatore già deliberato, quest'ultimo
dovrà essere modificato dal comune, ma ciascun
provvedimento seguirà la procedura stabilita
dalla legge che lo istituisce. In particolare, il piano
di zona sarà pubblicato con la procedura prevista
dall'art.6 della legge n.167 ed approvato ai sensi
del comma 2 dell'art.8 della legge medesima e cioè
con decreto del Ministro dei lavori pubblici, sentito
il consiglio superiore dei lavori pubblici.
Ovviamente, in tali casi il piano di zona deve essere
inoltrato all'approvazione unitamente al progetto di
piano regolatore generale già approvato.
Nel caso in cui il piano regolatore generale fosse stato
già esaminato dall'autorità di controllo
il comune, nel redigere il piano di zona, non potrà
non tener conto delle indicazioni, dei suggerimenti
e delle prescrizioni che eventualmente fossero stati
stabiliti dalla predetta autorità.
ESISTENZA DI UN PIANO REGOLATORE GENERALE APPROVATO
AI SENSI DELLA LEGGE URBANISTICA 17-8-1942, N.1150.
Qualora non sia possibile inquadrare il piano delle
zone nel vigente piano regolatore generale senza apportare
modifiche a quest'ultimo comma dell'art.3. Si procederà
cioè attraverso varianti al piano generale e
quindi il piano zonale sarà approvato con decreto
del Ministero dei lavori pubblici.
ESISTENZA DI UN PIANO DI RICOSTRUZIONE APPROVATO AI
SENSI DEL DECRETO LEGISLATIVO 1-3-1945 N.154 (abrogato
con L.27-10-1951, n.1402) E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI.
Un comune provvisto di un piano di ricostruzione approvato
a norma delle citate disposizioni deve considerarsi
dotato di piano regolatore ai sensi e per gli effetti
dell'art.3 della legge 167.
Pertanto, in tal caso, il comune non deve redigere un
programma di fabbricazione ma deve procedere attraverso
varianti al piano di ricostruzione. Poiché i
piani di ricostruzione riguardano, com'è noto,
la sistemazione di zone limitate del territorio comunale,
i piani di zona possono anche apportare varianti al
perimetro del piano di ricostruzione attraverso la
sistemazione di zone che sono ubicate al di fuori del
perimetro stesso (cosiddette varianti di ampliamento
o di estensione).
In tali casi, l'approvazione dei piani di zona sarà
fatta con decreto del Ministro dei lavori pubblici,
ai sensi del secondo comma dell'art.8 della legge n.167.
ESISTENZA DI UN PIANO REGOLATORE APPROVATO PRIMA DELLA
ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE URBANISTICA
I piani approvati con provvedimenti speciali prima della
legge urbanistica prevedono, com'è noto, la
sistemazione di una parte soltanto del territorio comunale,
per cui il problema per quanto riguarda la procedura
di approvazione del piano di zona si pone in termini
analoghi a quelli indicati per i piani di ricostruzione.
Anche in tale caso, quindi, alla formazione dei piani
di zona deve procedersi attraverso varianti al piano
vigente, pur se le aree da destinare all'edilizia economica
e popolare ricadano in zone esterne al perimetro del
piano.
Deve precisarsi - anche se il problema riguarda casi
particolari - che la inclusione nel piano zonale di
aree comprese nelle cosiddette zone bianche (quelle
zone, cioè, nelle quali il piano non preveda
alcuna specifica disciplina e che sono sottoposte soltanto
al regime del regolamento edilizio) costituiscono variante
al piano regolatore vigente.
ESISTENZA CONTEMPORANEA DI UN PIANO DI RICOSTRUZIONE
E DI UN PIANO REGOLATORE APPROVATO PRIMA DELLA LEGGE
URBANISTICA
Se i piani di ricostruzione e regolatore sono stati
a suo tempo coordinati tra loro, l'approvazione del
piano di zona o si inquadra in ambedue ovvero costituirà
variante ai piani stessi. Se, invece, i due piani non
collimano tra di loro, lo stesso piano di zona potrà
servire ad eliminare il contrasto esistente, avendo
sempre efficacia di variante nei confronti dell'uno
e dell'altro.
II. - La determinazione del fabbisogno delle aree deve
essere condotta con criteri che, sulla base di dati
analitici e di accurate indagini, giustifichino l'attendibilità
delle previsioni.
Tali criteri sono rimessi al giudizio dell'autorità
comunale, in rapporto alle singole e varie situazioni.
Tuttavia allo scopo di fornire una direttiva di carattere
generale, alla quale normalmente i comuni dovranno
riferirsi, viene qui appresso illustrato un metodo
generale per la predetta determinazione del fabbisogno.
Anzitutto, si dovrà partire dallo studio del
prevedibile incremento della popolazione nel periodo
decennale stabilito dalla legge.
A tal fine occorrerà rilevare la media degli
incrementi annui dell'ultimo decennio e metterla a
raffronto con la media degli incrementi annui più
recenti (esempio: quelli verificatisi nell'ultimo triennio),
così da riscontrare se gli incrementi siano
in progresso - e cioè superiori alla media del
decennio decorso - ovvero in regresso.
Sulla base di questa prima osservazione sarà
possibile formulare una prima previsione in aumento
medio per il prossimo decennio: questo incremento potrà
tuttavia essere corretto, avuto riguardo ad alcuni
fattori, in relazione ai quali saranno da applicare
aumenti o diminuzioni percentuali, in ordine alle incidenze
positive o negative che ciascuno di essi potrà
presumibilmente portare sul primo dato ricavato (incremento
medio annuo futuro).
Tali fattori sono essenzialmente i seguenti:
a) struttura della popolazione (ad esempio, nel caso
di popolazione prevalentemente giovane sarà
da considerare un'accentuazione degli incrementi);
b) composizione della popolazione per occupazioni (nel
caso di prevalenza di attività primarie sulle
secondarie, o secondarie sulle terziarie, potranno
ad esempio manifestarsi esigenze crescenti di alloggi
in seguito ai possibili spostamenti percentuali di
attività che tendono a consolidare le residenze
nell'abitato);
c) movimenti migratori, con particolare riguardo alle
immigrazioni di carattere industriale, da valutarsi
percentualmente rispetto agli incrementi o decrementi
totali per dedurre dallo studio del fenomeno se ad
esempio dette migrazioni si possano considerare transitorie,
o meno, ed in quale misura.
Una volta ricavato il numero di abitanti dagli incrementi
annui previsti nel decennio di efficacia del piano
di zona, si potrà ragguagliare il fabbisogno
in vani al numero medesimo, tenendo presente l'opportunità
di porre a base dei conteggi un indice di affollamento
pari ad un abitante per vano. E appena il caso di avvertire
che per vano si dovrà intendere il cosiddetto
"vano contabile" e non le sole camere utili
o stanze.
Al numero dei vani destinato a fronteggiare gli incrementi
di popolazione, si dovrà aggiungere:
a) un numero di vani ragionevolmente proporzionato alla
necessità di diminuire l'indice di affollamento
durante il decennio, qualora detto indice risulti superiore
all'unità;
b) un ulteriore numero di vani che occorrerà
costruire nel decennio in sostituzione dei vani che
le necessità di rinnovo dell'edilizia dell'abitato
nonché particolari piani di risanamento o di
ricostruzione rendono necessario ricostituire;
c) eventualmente un ulteriore quantitativo di vani relativo
alla percentuale di stanze vuote rispetto al totale
del patrimonio edilizio residenziale.
In tal modo risulteranno determinati i vani che in totale
nella località, dovrebbero essere costruiti
nel decennio.
Allo scopo di riscontrare se la cifra così desunta
corrisponda alle reali capacità tecnico-economiche
dell'industria edilizia, la cifra stessa dovrà
essere messa a raffronto con quella dedotta dall'osservazione
dell'attività edilizia nella medesima località,
e più precisamente con i dati riguardanti gli
ultimi anni (ad esempio l'ultimo triennio) relativi
al numero di vani di edifici residenziali effettivamente
realizzati ed al numero di vani di edifici del medesimo
tipo per i quali sia stata rilasciata l'autorizzazione
a costruire (licenza edilizia). Non occorre sottolineare
che vanno considerati solo i vani effettivamente destinati
alle residenze, con esclusione cioè di tutti
i vani attribuibili ad edilizia non residenziale in
senso stretto, come uffici, alberghi, magazzini, ecc.
Da tale raffronto e dall'esame della particolare situazione
locale nel suo complesso potrà derivare la opportunità
di modificare percentualmente la previsione del numero
di vani che, complessivamente, dovrebbe essere costruito
nel decennio futuro.
La legge, però, non considera il piano di zona
come uno strumento tale da soddisfare l'intero fabbisogno
di aree per l'edilizia residenziale come sopra determinato,
in quanto il piano stesso va limitato alle esigenze
dell'edilizia economica e popolare.
Si dovrà, pertanto, stabilire quale detrazione
percentuale occorrerà apportare al predetto
complessivo numero di vani.
Al riguardo, occorre precisare che dal numero complessivo
dei vani, come sopra determinato, vanno detratti quelli
destinati all'edilizia considerata di lusso (D.M. 4-12-1961,
successivamente sostituito dal D.M. 2-8-1969); quelli
relativi a residenze di tipo speciale o di particolare
qualificazione (esempio: in zone panoramiche) e relativi
a zone soggette a particolari convenzioni o per le
quali siano già in atto iniziative edilizie
a carattere unitario con accollo delle spese di urbanizzazione
da parte dei privati interessati, nonché tutti
quegli altri afferenti a tipi di edilizia residenziale
che - per considerazioni specifiche peraltro da precisare
- si ritenga di dover escludere. Quando si tratta di
convenzioni, dovrà ovviamente tenersi conto
soltanto dell'aliquota di vani che, prevedibilmente,
potrà essere realizzata nel decennio di attuazione
del piano.
Peraltro, nel calcolare il fabbisogno per l'edilizia
popolare ed economica non si potrà ovviamente
fare riferimento alle percentuali di edilizia sovvenzionata
realizzata negli anni più recenti, poiché
è noto che nell'ultimo periodo di tempo i finanziamenti
per tale tipo di edilizia hanno subito una notevole
flessione, mentre è ragionevolmente da prevedere
un prossimo incremento di aiuti statali per l'edilizia
popolare, che non potrà non reperire le aree
occorrenti nell'ambito dei piani di zona, come del
resto è obbligatoriamente stabilito dalla legge
sul nuovo piano per la gestione case lavoratori.
In linea generale si può ritenere che il fabbisogno
per l'edilizia economica e popolare non dovrebbe discendere
al di sotto del 50%.
Così stabilito il fabbisogno dei vani cui deve
corrispondere il piano, la estensione delle aree da
comprendere nel piano stesso sarà determinata
in rapporto alle densità territoriali che si
riterrà opportuno adottare ed in rapporto alla
cubatura da attribuire a ciascun vano od abitante.
Per quanto riguarda le densità territoriali ci
si dovrà attenere - in linea generale - agli
indici previsti dai piani regolatori o dai programmi
di fabbricazione, ove questi esistano. Converrà,
in ogni caso che le densità stesse risultino
comprese tra un massimo di 250-300 abitanti/ettaro,
ed un minimo di 100-150 abitanti/ettaro, intendendosi
le cifre maggiori applicabili alle città più
grandi e le cifre minori agli abitati di più
modesta entità.
In ordine alla cubatura normalmente nel proporzionamento
dei quartieri vengono assunti indici intorno ai 100
mc/abitante, anche se poi, in pratica, detti indici
risultano inferiori.
Questo dato, invece, potrebbe essere anche aumentato
in quanto sia inteso a migliorare lo standard di vita
delle classi meno abbienti; ma occorrerà ovviamente
assicurare che, con l'attuazione dei progetti, tale
incremento non comporti un aumento della densità
di popolazione.
Pertanto è da raccomandare che le autorità
preposte al controllo sui progetti edilizi (amministrazioni
statali e comunali) accertino che in effetti non si
verifichi un aumento della popolazione globale di ciascuna
zona, poiché ciò metterebbe in crisi
i servizi pubblici e le attrezzature sociali, calcolati
per il previsto numero di abitanti.
III. - Per quanto riguarda le aree da destinare alle
strade ed agli altri spazi aperti al pubblico, agli
edifici pubblici, ai giardini, ai mercati, agli impianti
sportivi e ad altre attrezzature di interesse comune,
esse dovranno essere giustificate dettagliatamente
zona per zona e definite, in percentuali, in rapporto
alla dimensione ed alle esigenze del quartiere.
In generale è indispensabile che in ogni zona
siano previste scuole, chiese, mercati, verde attrezzato
(giardini e parchi pubblici, campi da giuoco e per
lo sport, ecc.).
Per l'edilizia scolastica si dovranno applicare i criteri
di cui ai regolamenti di esecuzione della legge 26-1-1962,
n.17.
Per il verde attrezzato (nel suo complesso, ove le zone
siano destinate ad ospitare una popolazione inferiore
a 1.000 abitanti, esso dovrà interessare un'area
pari almeno a 2,50 mq/abitante; per popolazioni da
1.000 a 5.000 abitanti, dovrà interessare aree
pari almeno a 3 mq/abitante e per popolazioni superiori,
aree per almeno 3,50 mq/abitante.
Complessivamente, le aree per le attrezzature e servizi
(escluse le strade e gli altri spazi riservati alla
circolazione ed ai parcheggi), non dovranno essere
inferiori a 12 mq/abitante nei quartieri di maggiori
dimensioni ed a mq 15 in quelli di minori dimensioni.
Qualora esistano nelle vicinanze attrezzature che possano
essere utilizzate dalle zone comprese nel piano, se
ne dovrà dare precisa giustificazione agli effetti
della possibile attribuzione al nuovo quartiere.
IV. - E' stato chiesto se tutta l'edilizia economica
e popolare debba svolgersi - nei prossimi dieci anni
- entro il perimetro del piano di zona e se, in attesa
dell'approvazione di tali piani, i progetti per la
costruzione di alloggi a carattere economico e popolare,
già presentati dagli enti di cui all'art.10
della legge, possano essere esaminati ed approvati
dagli uffici del genio civile e dai provveditorati
alle opere pubbliche anche nel caso in cui non ricadano
nei piani zonali approvati.
Al riguardo va in primo luogo chiarito che scopo essenziale
della legge n.167 è quello di assicurare, anche
attraverso lo strumento dell'espropriazione, la disponibilità
di aree a basso costo sia per l'edilizia privata a
carattere prevalentemente economico e sia per l'edilizia
pubblica a carattere popolare, e garantire che l'attività
edilizia nel settore di cui trattasi non si svolga
episodicamente, ma secondo programmi urbanistici ben
definiti: programmi che, se pure limitati al settore
dell'edilizia economica e popolare, vanno inquadrati
in una visione urbanistica estesa all'intero territorio
comunale.
In relazione agli intenti della legge, può pertanto
affermarsi che, dopo l'approvazione del piano di zona,
l'edilizia a carattere economico da parte dei privati
può essere realizzata anche al di fuori del
piano zonale in qualsiasi parte del territorio, sempreché,
beninteso, sia conforme alle vigenti prescrizioni urbanistico-edilizie.
Per quanto riguarda invece l'edilizia popolare realizzata
dagli enti di cui all'art.10 ed in particolare quella
sovvenzionata dallo Stato - pur non esistendo nella
legge un esplicito divieto all'utilizzazione di aree
al di fuori del piano di zona - è lecito affermare
che la relativa attività debba essere realizzata
nell'ambito dei comprensori appositamente predisposti.
E ciò non solo per un motivo di opportunità
economica, consistente nella possibilità di
acquistare a prezzo ragionevole aree dotate dei necessari
servizi ma anche per motivi di carattere urbanistico
speciale, quali quelli di agevolare lo sviluppo dell'abitato
nelle direzioni indicate dal comune e di assicurare
l'integrazione dell'edilizia popolare con quella a
carattere privato, rendendo così possibile la
creazione di quartieri in cui siano armonicamente rappresentate
le diverse classi sociali.
Pertanto, la costruzione di nuclei di edilizia popolare
al di fuori dei piani di zona dovrebbe essere effettuata
soltanto in casi assolutamente eccezionali da parte
degli enti interessati. Ne consegue che gli uffici
statali chiamati ad esaminare i relativi progetti,
prima di pronunciarsi su di essi dovranno accuratamente
considerare se corrisponda al pubblico generale interesse
consentire la realizzazione di un determinato nucleo
edilizio fuori dell'ambito del piano zonale.
Per quanto riguarda i progetti di edifici già
in istruttoria o in corso di esame presso gli uffici
del genio civile ed i provveditorati alle opere pubbliche,
sarà cura di detti uffici considerare (in rapporto
all'entità e all'urgenza dell'opera, al più
o meno lungo periodo da attendere prima dell'entrata
in vigore del piano zonale, alla possibilità
che l'opera possa o non compromettere la realizzazione
del piano in parola, alla incidenza, soprattutto economica,
che può avere, sull'opera progettata, la inclusione
o l'esclusione dal piano "in itinere", ecc.),
la opportunità di esercitare i propri discrezionali
poteri nel senso di approvare o respingere i progetti
presentati.
Ovviamente, il problema si pone in termini diversi in
quei casi nei quali le disposizioni di legge a carattere
generale (legge 14-2-1963, n.60 sulla gestione case
lavoratori) od a carattere particolare (ad esempio:
legge 23-12-1962, n.1814 sul risanamento igienico della
città vecchia di Bari) impongono che le costruzioni
di cui trattasi debbano essere realizzate nell'ambito
dei piani di zona. In tali casi, nei comuni ove il
piano di zona sia già approvato, non vi è
dubbio che dette costruzioni debbano comunque essere
realizzate nelle aree comprese nel piano; se, invece,
il piano è già adottato l'obbligo, ad
avviso di questo Ministero, sussiste ugualmente; se
invece il piano è ancora in corso di elaborazione,
i programmi costruttivi degli enti di cui trattasi
dovranno essere studiati tenendo presenti le indicazioni
che scaturiscono dagli studi e dalle elaborazioni in
corso del piano zonale, ma è ovvio che le costruzioni
non potranno essere realizzate fino a quando il piano
non sarà stato adottato.
V. - L'art.1 della legge attribuisce, tra l'altro, la
facoltà ai comuni che si trovano nelle condizioni
indicate nello stesso articolo di costituirsi in consorzio
per la formazione di un unico piano zonale.
Il consorzio, così costituito, dovrà redigere
un piano che, per espressa disposizione di legge, è
unico: un solo progetto, cioè, sia dal punto
di vista formale e sia per quanto riguarda il contenuto.
Sotto tale ultimo profilo va precisato che, ovviamente,
la estensione delle zone da includere nel piano consorziale
va determinata in relazione al fabbisogno decennale
dell'edilizia economica e popolare riferito a tutti
i comuni facenti parte del consorzio.
Ciò non esclude, peraltro, che la ubicazione
di tali zone possa essere prevista - anche se ciò
non sarà il caso normale - nel territorio di
alcuni di essi, per cui il contributo, per così
dire, "territoriale" che ogni comune potrà
dare al piano consorziale non può e non deve
essere messo in stretta relazione con il fabbisogno
del comune stesso. Ciò accadrà soprattutto
in quei comuni, adiacenti ai grandi centri che hanno
un notevole incremento demografico ed industriale ed
il cui territorio è insufficiente e ha addirittura
raggiunto il limite di saturazione e non dispone quindi
di zone per l'edilizia residenziale.
Il consorzio, che rientra nella categoria di quelli
facoltativi, sarà costituito, come è
stato già precisato nella circolare n.2611 ai
sensi degli artt.156 e seguenti del testo unico 3-3-1934,
n.382. Il suo compito, evidentemente, non è
solo quello di redigere il piano di zona, ma anche
di adottarlo e di attuarlo, una volta approvato. Lo
statuto, da redigere al momento della formazione del
consorzio, dovrà ovviamente disciplinare i rapporti
- anche di natura economica - tra questo e i comuni
consorziati cui spetta adottare ed attuare il piano.
Sarà opportuno che lo statuto - ed eventualmente
il piano - indichino la parte che potrà essere
attuata dai singoli comuni e quella che dovrà
essere attuata al livello del consorzio.
Sulla base di quanto precedentemente detto dovrebbe
escludersi in via di massima la possibilità
che un comune partecipi al consorzio e faccia, contemporaneamente,
un proprio piano di zona.
Se invece uno dei comuni consorziati abbia un piano
di zona già approvato ed operante, sorge il
problema se tale piano possa conservare o meno la sua
autonomia. E' ovvio che tale problema si pone soltanto
nei casi in cui i comuni di cui si è detto non
abbiano, col proprio piano zonale, sopperito all'intero
fabbisogno decennale.
La conclusione dovrebbe essere negativa sia perché
in tal modo verrebbe a crearsi una frattura nel piano
zonale, in quanto uno stesso comune verrebbe ad avere
alcune zone incluse nel piano comunale ed altre in
quello consorziale, sia perché non si vede come
un comune possa partecipare ad un piano consorziale
senza conferire al consorzio una parte del proprio
territorio.
In pratica, peraltro, non è da escludere la possibilità
che il piano approvato conservi la sua piena autonomia,
anche perché sarebbe pressoché impossibile
assorbire nel piano di zona consorziale un piano avente
una sua particolare fisionomia e che può aver
già avuto un principio di attuazione.
Come si è detto sopra, un piano consorziale deve
essere dimensionato in relazione al fabbisogno decennale
per l'edilizia economica e popolare riferito all'intero
ambito del consorzio: il limite posto dalla legge infatti
è quello che non si vincolino, tra piano consorziale
e piano comunale più aree di quelle necessarie,
in complesso, per soddisfare il fabbisogno decennale.
VI. - All'art.2 la legge stabilisce il termine di centottanta
giorni dalla sua entrata in vigore per la deliberazione
del piano di zona: termine prorogabile con provvedimento
del Ministro per i lavori pubblici. Tale termine (che
con disegno di legge all'esame del parlamento viene
prorogato di un anno) è riferito soltanto ai
comuni obbligati a redigere il piano, per cui esso
non si applica nei confronti dei consorzi e dei comuni
non obbligati.
Si deve, al riguardo, precisare che la sola conseguenza
giuridica derivante dalla scadenza del suddetto termine
non prorogato è costituita dall'intervento del
prefetto che nomina un commissario per la formazione
del piano.
E' evidente, però, che qualora il prefetto non
intenda esercitare tale potere, il comune non decade,
come alcuni vorrebbero sostenere, dal suo potere-dovere
di redigere il piano. Comunque, anche in relazione
al fatto che la proroga può essere considerata
uno degli stadi del procedimento per l'approvazione
del piano, è opportuno che la proroga stessa
venga richiesta tempestivamente in modo da consentire
a questo Ministero di concederla - ove lo ritenga opportuno
- prima della scadenza del termine.
VII. - L'art.3, comma 3, della legge n.167, prevede
la possibilità che vengano comprese nei piani
anche le aree su cui insistono immobili da demolire
per ragioni igienico-sanitarie.
Tale norma è stata variamente interpretata dai
comuni, i quali hanno ritenuto di potersi avvalere
della disposizione per attuare operazioni di risanamento
igienico sia nelle zone centrali della città,
che nelle borgate periferiche.
In realtà, il significato della norma è
molto chiaro e la sua portata è ben delimitata.
Deve, cioè, in primo luogo trattarsi di aree
comprese in piani particolareggiati, sulle quali insistano
edifici destinati alla demolizione per ragioni igienico-sanitarie.
In secondo luogo, tali piani debbono essere già
operanti prima dell'adozione dei piani di zona o, quanto
meno, prima che questi entrino in vigore.
La formulazione usata induce, quindi, ad escludere che,
con il citato comma 3 dell'art.3 si sia voluto consentire
la possibilità di interventi igienico edilizi
diretti a modificare la struttura di interi quartieri
e, tanto meno, prevedere la soluzione di problemi di
risanamento conservativo negli antichi nuclei della
città. Tali interventi, infatti, possono essere
realizzati sulla base di strumenti, tecnici e normativi,
diversi da quelli predisposti dalla legge n.167 la
quale, oltre tutto, ha lo scopo di creare nuovi quartieri
e nuovi alloggi a basso costo; ciò che, evidentemente,
non può mai essere il risultato di una operazione
di risanamento igienico e conservativo da realizzare
nelle zone centrali di una città.
E' da osservare, peraltro, che pur se il piano zonale
deve, di norma, operare in zone non edificate, la presenza
di costruzioni non può considerarsi un ostacolo
alla espropriazione ed alla organica sistemazione urbanistica
delle aree prescelte per il piano in parola; per cui,
qualora la sistemazione della zona interessata lo rendesse
necessario potrà essere prevista - esista o
non un piano particolareggiato - la demolizione di
singoli edifici esistenti.
VIII. - Alcuni comuni ed enti di cui all'art.10 - comma
3 - hanno formulato quesiti in merito alla legittimità
o quanto meno alla opportunità di includere
nei piani di zona aree di proprietà dei menzionati
enti e sulle quali questi intendono realizzare i loro
programmi costruttivi secondo i fini istituzionali.
La legge n.167 non contiene alcuna disposizione specifica
in proposito, ma non sembra dubbio, tenendo presenti
gli scopi della legge - tra i quali come si è
detto, sono preminenti l'inquadramento urbanistico
dell'edilizia popolare e la sua integrazione con quella
a carattere economico - che nella formazione del piano
di zona e nelle determinazioni della sua dimensione
in rapporto al fabbisogno decennale i comuni debbano
tener conto dei programmi degli enti e dei mezzi -
anche perciò delle aree edificabili di cui questi
dispongono - per attuarli. Qualora le aree degli enti
suddetti venissero calcolate soltanto agli effetti
della determinazione del fabbisogno e venissero poi
escluse dal piano, sarebbero completamente frustrati
gli scopi della legge sopraricordati, in quanto tali
aree non sarebbero soggette al regime vincolistico
del piano e potrebbero anche ricevere successivamente
una destinazione diversa da quella originaria. D'altra
parte, potrebbero anche essere vendute giustificando
così il diritto da parte degli enti stessi ad
ottenere l'esproprio delle aree comprese nel piano,
con il risultato di consentire agli enti per l'edilizia
popolare di effettuare speculazioni, attraverso la
vendita dei loro terreni al prezzo di mercato e l'acquisto
delle aree incluse nel piano al valore antepiano.
Deve concludersi, pertanto, che le aree di proprietà
degli enti suddetti debbano essere incluse nei piani,
qualora ciò sia giustificato da esigenze urbanistiche
e sempre che, beninteso, esse siano suscettibili di
destinazione ad edilizia popolare.
Resta, però, da considerare a quali fini ed effetti
tale inclusione va fatta.
L'inclusione delle aree di proprietà degli enti
di cui all'art.10 - terzo comma - va fatta al solo
fine della determinazione del fabbisogno decennale
di aree nonché allo scopo di precisare la destinazione
urbanistica delle aree stesse e di vincolarle di conseguenza.
Dovranno, quindi, essere lasciate a disposizione degli
enti le aree di loro proprietà incluse nel piano,
facendo ricorso alla procedura coattiva in casi del
tutto eccezionali e comunque soltanto quando ciò
fosse giustificato da prevalenti esigenze di carattere
pubblico (come la realizzazione delle attrezzature
e dei servizi di interesse generale) o dalle esigenze
del coordinato utilizzo delle aree.
IX. - L'art.4 della legge precisa gli elementi che formano
il contenuto del piano di zona. Essi corrispondono
sostanzialmente a quelli indicati nell'art.13 della
legge urbanistica per i piani particolareggiati.
Una previsione dettagliata è certamente opportuna
in relazione al carattere esecutivo del piano di zona.
Peraltro, la disposizione ha fatto sorgere alcune perplessità
nelle amministrazioni comunali che, nell'applicazione,
si sono trovate di fronte a difficoltà di ordine
pratico.
Invero, soprattutto per i grandi comuni, i cui piani
di zona investono vaste porzioni di territorio, la
precisazione particolareggiata della sistemazione urbanistica
richiede elaborazioni lunghe e complesse rese più
difficoltose dalla brevità dei termini previsti.
Il problema, d'altra parte, si pone non solo in rapporto
alla estensione del territorio da sistemare, ma anche
in relazione alla durata del piano in quanto non sempre
appare consigliabile prestabilire in via definitiva
tutti gli elementi dell'edilizia di un quartiere, alcuni
dei quali più propriamente attengono alla fase
della progettazione architettonica. Del resto va tenuta
presente in via generale l'opportunità di non
cristallizzare, attraverso previsioni estremamente
rigide, la fisionomia dei nuovi complessi residenziali
impedendo che essi partecipino all'evoluzione tecnico-architettonica
che in un decennio non può mancare di manifestarsi.
Al riguardo è pertanto da precisare, in relazione
al disposto dell'art.4, che il piano deve definire
in ogni caso i seguenti elementi che si ritengono indispensabili
in rapporto alle finalità che la legge persegue
e cioè: aree da destinare alle residenze; rete
delle strade necessarie per dare accesso alle aree
stesse; spazi destinati alle opere ed impianti di interesse
pubblico e sociale.
Per quanto riguarda la residenza, evidentemente non
può ritenersi sufficiente la sola individuazione
delle aree, sia pure integrata con l'indicazione degli
indici di utilizzazione edilizia (ad esempio: densità
abitanti/ha ovvero cubatura edilizia per unità
di superficie o per isolati); ma d'altra parte non
sembra neppure indispensabile pervenire in ogni caso
ad una rigida e dettagliata definizione dei singoli
lotti graficamente delimitati.
Del resto la stessa legge urbanistica, prevedendo come
obbligatoria per i piani particolareggiati la lottizzazione
(art.13), ammette specificamente (art.28), che vi siano
entro il perimetro del piano particolareggiato delle
zone non lottizzate: per cui può fondatamente
sostenersi che il piano di zona, che ha un contenuto
tecnico-giuridico uguale a quello del piano particolareggiato
ex legge urbanistica, possa pervenire alla definizione
di tale elemento (lottizzazione) attraverso la equivalente
determinazione di precisi criteri che consentano in
pratica di giungere, anche indirettamente, all'individuazione
dei singoli lotti.
Analogo discorso va fatto per quanto concerne la tipologia
che del resto è interdipendente con la lottizzazione.
D'altro canto la legge n.167 prevede che i piani di
zona, una volta formati ed approvati, trovino attuazione
non direttamente, ma tramite una fase intermedia (compilazione
degli elenchi annuali), nella quale si potrà
e si dovrà determinare l'estensione e la forma
delle singole aree oggetto di utilizzazione in rapporto
alle prescrizioni del piano.
In conclusione, pur tenendo presente che i comuni possono
fin dal momento della formazione del piano precisare
tutti gli elementi, anche di minimo dettaglio, che
costituiscono il contenuto del piano particolareggiato,
è da ritenere ammissibile (e in certi casi addirittura
consigliabile) che il piano di zona precisi:
a) le aree per residenze con relativo indice di densità
fondiaria;
b) i criteri e la normativa per la formazione dei singoli
lotti e relative tipologie;
c) gli spazi destinati alle attrezzature e agli impianti
di interesse pubblico e sociale;
d) le aree da riservare alle strade essenziali per lo
sviluppo del quartiere.
X. - Una questione di non lieve importanza è
quella riguardante i rapporti tra piano di zona e piano
regolatore generale ai fini della determinazione dei
limiti tecnico-giuridici al di là dei quali
il piano di zona deve essere considerato come variante
al piano regolatore vigente.
Al riguardo è da far presente la difficoltà
di stabilire dei criteri di carattere generale poiché,
data la varietà delle situazioni che possono
presentarsi, soltanto un esame fatto caso per caso
potrà consentire di stabilire se, nel complesso
delle previsioni e degli elementi costituenti il piano
di zona, possono riscontrarsi gli estremi di una variante
al piano regolatore generale.
In ogni modo, un indirizzo sufficientemente valido può
essere tratto dall'orientamento giurisprudenziale del
Consiglio di Stato manifestato in alcune decisioni
(Sezione V, 7-4-1962, n.284 e 7-4-1962, n.289) nelle
quali si afferma che "il piano particolareggiato
non può concernere punti già disciplinati
e previsti dal piano regolatore generale, ma solo specificarne
il contenuto, integrandolo con le prescrizioni che
non hanno formato oggetto di specifiche previsioni
nel piano di massima" e che "spetta normalmente
al piano particolareggiato precisare gli elementi del
piano regolatore generale i quali non hanno carattere
essenziale e preminente e quindi non caratterizzano
lo sviluppo urbanistico complessivo di una città,
ma concernono piuttosto dettagli esecutivi, che vanno
riferiti a ciascuna particolare zona cittadina".
In applicazione di tale principio il Consiglio di Stato
ha ritenuto ammissibile, ad esempio, in sede di piano
particolareggiato, l'ampliamento di una strada da m.20
a m.30, per il motivo che la larghezza esatta di una
strada non è elemento che debba necessariamente
essere precisato dal piano regolatore generale anche
se non è escluso che tale precisazione sia contenuta
nel piano stesso.
Ad ogni modo sarà opportuno che i provveditorati,
nel dubbio, trasmettano a questo Ministero i progetti
di piani di zona non sicuramente conformi ai piani
generali.
Per quanto riguarda in particolare il punto 4 dell'art.5
(compendio delle norme urbanistico-edilizie) va precisato
che tali norme predisposte per l'attuazione del piano
di zona possono e debbono contenere - come del resto
accade per qualsiasi piano particolareggiato - più
dettagliate prescrizioni e specificazioni rispetto
alle norme-base del piano regolatore generale. Ciò
ovviamente non costituisce variante al piano generale
per cui sarà da seguire la procedura di cui
all'art.8, secondo comma, soltanto quando le norme
del piano di zona contrastino con quelle del medesimo
piano regolatore generale.
XI. - L'art.6 stabilisce, tra l'altro, che del deposito
del progetto del piano di zona deve essere data notizia
al pubblico mediante avviso da affiggere all'albo pretorio
e da inserire nel F.A.L. nonché mediante manifesti.
Al riguardo è da osservare che il termine di
venti giorni per la presentazione delle opposizioni
dei privati decorre dalla data di inserzione nel F.A.L.
qualora tale inserzione sia contemporanea o successiva
alle altre forme di pubblicazione; altrimenti il termine
suddetto decorrerà dalla data iniziale dell'ultima
di dette forme di pubblicazione.
XII. - Nella circolare del 14-7-1962, n.2611, si esprimeva
l'avviso che le delibere di adozione dei piani di zona,
stante il breve termine entro il quale i progetti devono
essere depositati a libera visione, dovessero essere
semplicemente trasmesse al prefetto ai sensi dell'art.98
del testo unico della legge comunale e provinciale.
Riesaminata attentamente la questione, dopo aver sentito
in proposito il Ministero dell'interno deve riconoscersi
che l'avviso precedentemente espresso non corrisponde
ad una corretta interpretazione della disposizione
in parola poiché, pur se alcune conseguenze
debbono essere tratte dalla brevità del termine
stabilito per il deposito del piano, non sembra che
l'art.6 abbia inteso derogare, in modo esplicito o
implicito, alle generali disposizioni in materia di
controllo dell'organo tutorio. E, pertanto, le delibere
di adozione dei piani di zona debbono essere sottoposte
al controllo della G.P.A. ai sensi degli artt.5 e seguenti
della legge 9-6-1947, n.530, come ogni altra deliberazione
riguardante la materia urbanistica.
In relazione, però, alla brevità del termine
stabilito dall'art.6 ed alle diverse scadenze tassativamente
disposte dalla legge per le varie fasi dell'istruttoria,
appare fondato ritenere che le varie fasi dell'iter
procedurale del piano possano svolgersi senza attendere
l'approvazione della G.P.A., che può intervenire
anche dopo la pubblicazione ma in ogni caso prima dell'approvazione
del piano. Tale interpretazione presenta il solo inconveniente
che, qualora l'approvazione della G.P.A. venisse negata
o condizionata a modifiche - il che, peraltro, non
si verifica frequentemente - il procedimento seguito
dovrebbe essere rinnovato.
Il disposto dell'art.6, ad ogni modo, rende indispensabile
che gli organi di controllo, svolgano i loro compiti
nello spirito della legge, rendendo, cioè, per
quanto possibile sollecito l'esame delle delibere di
adozione dei piani. Detti organi, inoltre, dovranno
tener cono della necessità di coordinare il
concorso di controlli - di merito e di legittimità
- che le varie disposizioni prevedono in materia al
fine di evitare duplicazioni e interferenze. Ovviamente
la G.P.A. eserciterà - come è stato del
resto affermato dal Consiglio di Stato (parere n.1454
del 20-2-1962) - il proprio sindacato prevalentemente
sulla regolarità formale e sul merito finanziario
del provvedimento, dal momento che gli organi di questa
amministrazione esamineranno specificamente l'aspetto
tecnico-urbanistico del piano.
XIII. - Il penultimo comma dell'art.6 stabilisce che
il piano di zona deve essere comunicato alle "amministrazioni
centrali dello Stato" non solo quando sulle aree
comprese nel piano esistano vincoli nell'interesse
pubblico, ma anche quando le aree stesse siano "in
uso di dette amministrazioni". Il riferimento
fatto dalla legge alle amministrazioni centrali non
è senza rilevanza, dato che la presentazione
di osservazioni da parte di queste ultime determina,
ai sensi dell'art.8, la competenza all'approvazione
dei piani da parte del Ministero dei lavori pubblici.
E' da rilevare, al riguardo, che l'espressione "amministrazioni
centrali", usata dalla legge non può indicare
gli uffici ubicati al centro (e cioè i Ministeri)
in contrapposto a quelli ubicati in periferia: e ciò
in quanto il carattere centrale o periferico di un
ufficio non deriva dalla sua ubicazione, ma dipende
dai compiti svolti e, soprattutto, dalla organizzazione
interna delle varie amministrazioni. D'altra parte,
è noto che i beni immobili sono di pertinenza
delle amministrazioni centrali, ma sono, di norma,
in uso degli uffici o organi periferici. Né,
soprattutto, può dimenticarsi che i beni e gli
interessi che la disposizione dell'art.6 vuole tutelare
non appartengono propriamente all'amministrazione centrale
o a quella periferica, bensì allo Stato.
Ciò stante, appare conforme alla legge interpretare
l'espressione surriportata nel senso di "amministrazioni
dello Stato", per cui debbono ritenersi sottoposti
all'approvazione di questo Ministero tutti i piani
di zona attraverso i quali siano state presentate osservazioni
da parte di uffici - siano essi centrali, decentrati
o periferici - dello Stato.
Sarà, però, opportuno che i comuni indirizzino
in ogni caso contemporaneamente le comunicazioni di
cui all'art.6, penultimo comma, sia alle amministrazioni
centrali dello Stato che ai corrispondenti organi periferici.
Per quanto riguarda, poi, l'espressione "terreni...
"che siano in uso alle amministrazioni dello Stato"
deve precisarsi che in tale categoria vanno compresi
non solo i beni demaniali ma anche quelli patrimoniali
- disponibili o indisponibili - dello Stato, e pertanto
l'esistenza di tali beni in un piano di zona renderà
necessaria la notifica del progetto all'amministrazione
interessata. Non vi è dubbio, inoltre, che nei
terreni di cui sopra debbano rientrare anche i beni
demaniali, allorquando questi siano dati in concessione
ad enti e privati.
XIV. - La legge n.167 stabilisce che all'atto di approvazione
del piano di zona - decreto ministeriale o provveditoriale
- venga data la più ampia pubblicità:
e pertanto ne prescrive, all'art.8, l'inserzione per
estratto nella Gazzetta Ufficiale, il deposito nella
segreteria comunale e la notifica, nelle forme delle
citazioni, a ciascun proprietario.
Si richiama, al riguardo, l'attenzione dei signori provveditori
alle opere pubbliche, cui è demandato il compito
di promuovere la pubblicazione del proprio decreto
sulla Gazzetta Ufficiale, sulla necessità di
provvedervi puntualmente ed entro il più breve
termine, in considerazione del fatto che dalla data
di detta pubblicazione cominciano a decorrere gli effetti
connessi con la conoscenza del piano di zona da parte
degli interessati.
Si pregano, inoltre, i signori prefetti ed i signori
provveditori di voler vigilare affinché i comuni
facciano fronte, entro i termini stabiliti, agli adempimenti
loro ascritti, informando questo Ministero dei casi
di inadempienza.
XV. - L'art.9 stabilisce, tra l'altro, che il piano
di zona ha durata decennale, salvo proroghe da concedere
con decreto del Ministro dei lavori pubblici per un
periodo non eccedente i due anni.
La disposizione merita un chiarimento, poiché
qualche comune ha considerato detto decennio come il
periodo massimo oltre il quale non sia possibile andare
nella determinazione delle previsioni, ed ha ritenuto,
pertanto, di poter studiare il proprio piano con riferimento
ad un periodo più breve.
Tale interpretazione, invero, non appare fondata, poiché
il legislatore ha evidentemente ritenuto che un decennio
rappresenti il periodo necessario per consentire una
pianificazione idonea a disciplinare, con visione adeguatamente
ampia e proiettata nel futuro, lo sviluppo dell'edilizia
residenziale a carattere economico e popolare. E pertanto
da ribadire il concetto che i piani in parola debbono
essere studiati con riferimento ad un intero decennio
e non per un periodo di tempo maggiore o minore.
La possibilità di proroga del piano per altri
2 anni, di cui all'art.9 della legge, non si riferisce
evidentemente al periodo di tempo in rapporto al quale
deve essere dimensionato il piano ma riguarda solo
la prorogabilità dell'attuazione del piano stesso.
Naturalmente non deve escludersi che, dopo l'approvazione
del piano, sorga la necessità di apportare varianti
al piano di zona; tali varianti possono ovviamente
riguardare anche il dimensionamento-base del piano
stesso, qualora nel frattempo si siano dimostrate eccessive
e insufficienti le previsioni originarie.
E' evidente che le sopravvenute necessità debbono
essere chiaramente documentate in relazione a precisi
dati di fatto.
XVI. - La norma di cui all'art.10 della legge che consente
ai comuni di acquisire, per la costruzione del proprio
patrimonio di aree, "fino ad un massimo del 50%
delle aree comprese nel piano" è stata
fonte di alcuni dubbi interpretativi.
Invero, un attento esame della norma, delle varie situazioni,
quali possono verificarsi in pratica e dello spirito
della legge, chiarisce ogni dubbio in proposito. Il
50% da attribuire al patrimonio comunale deve essere
riferito all'intero piano e deve comprendere anche
le aree occorrenti per l'urbanizzazione di detto patrimonio:
così che per gli usi degli enti indicati all'art.10
resta l'altro 50% dell'intero comprensorio, composto
in parte di aree edificabili ed in parte di aree da
destinare ai relativi servizi.
In pratica, stabilito in ipotesi che, nel complesso,
il piano preveda la destinazione a residenza del 60%
delle aree ed a servizi del restante 40%, il comune
potrà acquisire, nell'intero comprensorio, un
30% di aree edificabili ed un 20% di aree per i servizi;
e gli enti potranno espropriare l'altro 50% dell'intero
comprensorio, da ripartire, egualmente, tra aree edificabili
(30%) ed aree per servizi (20%).
In definitiva, sia che si consideri l'intera superficie
del piano, sia che si prenda in esame tale superficie
al netto delle opere di urbanizzazione, comuni ed enti
potranno utilizzare, per i propri fini, ciascuno il
50% delle aree edificabili.
E' superfluo aggiungere che gli enti sono quelli elencati
al penultimo comma dell'art.10. Tra questi sono comprese
le società cooperative per la costruzione di
case per i propri soci, le quali - è opportuno
chiarirlo in relazione a quesiti formulati - possono
fruire delle disposizioni della legge n.167, anche
se non sovvenzionate.
XVII. - La legge n.167 prevede, come si e già
ripetutamente detto, che il comune può acquisire,
per urbanizzarle e rivenderle fino al 50% delle aree
edificabili comprese nel piano, mentre il restante
50% è destinato all'attività degli enti
di cui all'art.10, comma 3.
Per quanto riguarda l'urbanizzazione del cosiddetto
patrimonio comunale occorre precisare, ad integrazione
di quanto già detto nella precedente circolare,
quali sono le opere riguardanti tale urbanizzazione.
Non vi è dubbio che tra tali opere rientrino
in ogni caso quelle cosiddette di urbanizzazione primaria
e cioè: strade residenziali, passaggi pedonali,
spazi di sosta e parcheggio, fognature, rete idrica,
rete di distribuzione dell'energia elettrica, pubblica
illuminazione e spazi verdi di quartiere, ecc.
Sono da ritenere altresì comprese tra le opere
di urbanizzazione anche altre opere in quanto tale
possibilità è espressamente prevista
dal primo comma dell'art.1 della legge, ed in particolare
quelle di carattere sociale (come gli edifici di culto,
le scuole, i centri sociali, ecc.) nonché gli
impianti occorrenti per la vita del quartiere, come
i mercati rionali, i centri sanitari e le attrezzature
ricreative e sportive. Per quanto riguarda in particolare
queste ultime, occorrerà tener presente che
esse non debbono essere intese come installazioni per
manifestazioni sportive a carattere spettacolare, ma
più semplicemente quali aree ed impianti destinati
agli sports più correnti che consentano la ricreazione
e lo svago con la partecipazione attiva degli abitanti
- tanto adulti, che ragazzi e bambini - come ad esempio,
aie per l'infanzia, spazi liberi per le corse e per
i giochi dei ragazzi, campi per la pallavolo, tennis,
bocce, ecc., ed eventualmente anche installazioni per
palestre e piscine.
In generale può dirsi che sono da comprendere
nelle opere di urbanizzazione tutte quelle che sono
indispensabili per la vita del quartiere ed al suo
diretto servizio e sono quindi da escludere quelle
opere che, per le caratteristiche e per le dimensioni,
vanno considerate al servizio dell'intera città
o di ampi settori dell'abitato (come ad esempio ospedali,
grandi parchi pubblici, cimiteri, ampi centri sussidiari,
impianti turistici ed alberghieri, grandi impianti
sportivi, ecc.).
Tale criterio trova del resto la sua giustificazione
nella considerazione che le opere di urbanizzazione
debbono essere poste a carico dei cessionari delle
aree di un determinato comprensorio urbanizzato, i
quali indubbiamente possono e debbono sopportare, proporzionalmente,
soltanto l'onere delle opere che interessano il comprensorio
di cui trattasi e non di quelle che servono anche altre
zone o addirittura l'intera città.
Per quanto riguarda le opere di urbanizzazione da effettuare
in zone riservate all'attività degli enti di
cui al terzo comma dell'art.10 non possono che applicarsi
i medesimi criteri sopra specificati. E' vero che l'art.19
indica soltanto alcune opere da effettuare a cura dei
comuni in dette zone (rete viabile, servizi igienici
e allacciamenti alla rete dei pubblici servizi), ma
- anche a volere attribuire a tale elencazione un carattere
tassativo - è evidente che tale riferimento
concerne soltanto il grado di priorità che la
legge ha inteso attribuire all'esecuzione di tali opere,
ma non esclude che debbano essere previste anche le
altre opere di urbanizzazione necessarie per la vita
del quartiere e che tali opere siano anch'esse a carico
dei comuni.
L'unica differenza, ad avviso di questo Ministero, fra
i due settori di intervento, consiste nel fatto che
nell'ambito del patrimonio comunale le spese incontrate
per l'esecuzione delle opere vanno riversate sul prezzo
di cessione, mentre nelle zone in cui operano gli enti
di cui al comma 3 dell'art.10, le spese suddette sono
a carico del comune.
Infine, per quanto riguarda le altre opere sulle aree
da destinare alla esecuzione dei piani pluriennali
della gestione case per lavoratori, si fa riferimento
alle norme di cui all'art.14 della legge 14-2-1963,
n.60, ed al relativo regolamento di esecuzione.
A conferma di quanto sopra deve mettersi in rilievo
che in relazione alla prevista integrazione tra edilizia
privata ed edilizia popolare, non sarà sempre
possibile distinguere gli impianti e le attrezzature
al servizio del patrimonio comunale da quelli al servizio
delle zone in cui operano gli enti suddetti.
Sono stati formulati quesiti circa l'ammissibilità
della realizzazione sulle aree espropriate ai fini
della legge n.167, di servizi interni di quartiere
non destinati alla generalità della popolazione
del quartiere stesso quali potrebbero essere un ambulatorio,
un circolo ricreativo aziendale, una cooperativa di
consumo, ecc., ma riservati ai dipendenti di un determinato
ente, che, ovviamente, abbia realizzato nel piano di
zona il proprio programma costruttivo.
La legittimità della realizzazione di siffatti
servizi da parte degli enti costruttori non sembra
possa essere messa in dubbio. Tali servizi rispondono
ad una finalità della legge che è quella
di dare una abitazione modernamente concepita a tutti
i cittadini ed in particolare ai lavoratori dipendenti:
e certamente - come si è detto in relazione
all'art.1 - risponde a moderni criteri una dotazione
di servizi pubblici prevista con l'ampiezza necessaria
ad assicurare lo svolgimento della vita associata in
tutte le sue forme.
Il fatto che determinati locali o impianti siano destinati
a servizi riservati ad una parte determinata della
popolazione, mentre non esclude la legittimità
della utilizzazione delle aree espropriate per la loro
realizzazione, costituisce però un limite all'obbligo
di intervento del comune ai sensi dell'art.19, poiché
la esecuzione degli impianti in parola dovrà
avvenire a cura e spese dell'ente interessato.
XVIII. - Al paragrafo 16 della circolare 15-7-1962,
n.2611 veniva chiarito che le norme della legge n.167
trovano applicazione anche nelle regioni a statuto
autonomo fino a quando le stesse non avranno legiferato
in materia.
Al riguardo deve ulteriormente precisarsi che in tali
regioni le norme statali sono applicate dall'ente regione
nei modi previsti dai singoli statuti e con i competenti
organi da questi istituiti.
(c) 1996 Note's