INTERVENTI SUL PATRIMONIO MONUMENTALE A TIPOLOGIA SPECIALISTICA IN ZONE SISMICHE: RACCOMANDAZIONI
I numerosi interventi su edifici monumentali siti in
zone sismiche, effettuati nel corso degli ultimi anni
(e tuttora in corso), in particolare a seguito degli
eventi sismici distruttivi del Friuli e della Campania
Basilicata, nonché di altri eventi meno violenti,
ma pur sempre dannosi per le costruzioni, sono caratterizzati
da difficoltà spesso notevoli, legate a vari
ordini di fattori:
- la intrinseca delicatezza connessa alla natura e all'età
degli organismi interessati;
- la complessa esigenza di approccio interdisciplinare
che si richiede;
- la poca chiarezza normativa circa gli aspetti tecnici
degli interventi, peggiorata dalla tendenza ad applicare
in maniera impropria norme tecniche, quali il DT2 del
Friuli la norma tecnica regionale per la Val Nerina,
il decreto ministeriale 2-7-1981 per la Campania Basilicata,
norme che sono state scritte per la edilizia ordinaria
e non per gli edifici monumentali a tipologia specialistica
quali ad esempio le chiese ed i palazzi comprendenti
generalmente grandi ambienti, coperture a volta, pareti
e orizzontamenti affrescati o di materiali pregiati;
- il conflitto tra le esigenze di conservazione e restauro
da un lato e la protezione dal rischio sismico della
costruzione e delle vite umane dall'altro lato, con
le connesse assunzioni di responsabilità che
vengono attribuite ai professionisti coinvolti dagli
interventi ed ai loro colleghi operanti negli organi
di controllo;
- la poca chiarezza, tecnica, tecnologica e persino
concettuale o culturale, che vi è intorno all'impiego
dei moderni materiali nelle costruzioni antiche;
- l'assenza di modelli di calcolo e verifica riconosciuti
validi per le tipologie speciali, assenza troppo spesso
colmata in maniera del tutto impropria dall'adozione
di modelli validi soltanto entro precisi limiti (si
pensi ad esempio all'applicazione indiscriminata di
metodi tipo POR).
Cosi, gli interventi sui complessi monumentali sono
stati spesso concepiti come ristrutturazione statica
attuata con una serie di massicci interventi che riprendono
con criteri largamente estensivi la cultura dei nuovi
materiali, in particolare dell'acciaio e del calcestruzzo
armato, sviluppando così una strategia di restauro
strutturale che cerca di rimodellare le antiche fabbriche
secondo gli schemi resistenti propri dei materiali
moderni.
I risultati di tale stato di fatto si traducono molto
spesso in:
- interventi inutilmente "pesanti" (se non
talvolta controproducenti), che spesso snaturano il
monumento dal punto di vista della sua identità
e valore;
- interventi eccessivamente costosi, ai quali si contrappongono
i non interventi in altri organismi architettonici,
per esaurimento dei fondi disponibili;
- garanzie di sicurezza spesso del tutto illusorie,
essendo basate su modelli di calcolo inattendibili;
- diffusa incapacità, sostanziale e formale,
di controllare la efficacia degli interventi effettuati
(si pensi alle iniezioni armate, le iniezioni di malte
o resine,...).
Come esemplificazione dei fenomeni citati si elencano
alcune posizioni progettuali tanto diffuse quanto dannose:
- progetti elaborati senza alcun elemento oggettivo
di conoscenza circa la struttura ed i terreni di fondazione;
- uso sistematico di pali trivellati di piccolo diametro
(micropali) quasi sempre rivelatisi superflui ad un
più attento esame geotecnico;
- ancoraggi di massicce strutture con tiranti in acciaio
armonico iniettati nel terreno;
- inserimento di nuove strutture cui viene affidata
completamente la funzione statica, riservando cosi
all'antica struttura la sola funzione di elemento formale;
- inserimento di elementi strutturali che assolvono
funzioni statiche ritenute dal progettista non compatibili
con l'antico organismo; in tal caso, oltre ad originare
un ibrido comportamento meccanico, possono essere introdotte
particolari incertezze dovute all'interazione di schemi
strutturali e materiali diversi;
- tentativo di conseguire mediante interventi un comportamento
modellabile con schemi propri delle nuove costruzioni;
- uso ingiustificato, rispetto al quadro fessurativo
presente ed alla originaria concezione strutturale
del monumento, di "cuciture" ed "iniezioni";
- uso non meditato di nuovi materiali specie con riferimento
alla durabilità ed all'interazione con i materiali
originari.
Rispetto alla sopra prospettata situazione la recente
emanazione del decreto ministeriale 24-1-1986 del Ministero
dei Lavori Pubblici, con il punto C9, introduce nella
normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica
una nuova attenzione al problema degli interventi sulle
costruzioni esistenti, consentendo di operare in sede
di prevenzione, anziché soltanto di riparazione,
nonché su tutto il territorio nazionale; l'innovazione
principale è rappresentata dall'introduzione
di un duplice livello di obiettivi perseguibili mediante
gli interventi strutturali rivolti ad aumentare la
resistenza degli edifici alle azioni sismiche; si individuano
infatti:
- <<gli interventi di adeguamento, definiti come
un insieme di opere necessarie per rendere l'edificio
atto a resistere ad azioni di progetto equivalenti
a quelle previste per le nuove costruzioni>>;
- <<gli interventi di miglioramento definiti come
insieme di opere atte a conseguire un maggior grado
di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche senza
peraltro modificare sostanzialmente il comportamento
globale dell'edificio>>.
La distinzione concettuale fra i due tipi di intervento
citati, pur non essendo direttamente riferita agli
edifici monumentali ai sensi dell'art. 16 della legge
64 del 1974, ha rilevante importanza nei confronti
degli obiettivi che si devono porre a base di un intervento
sul patrimonio monumentale.
Ragionando per analogia, infatti, si può osservare
che, al punto C.9.1.1., il decreto ministeriale 24-1-1986
precisa i casi nei quali è fatto obbligo di
adeguamento per gli edifici ordinari; d'altra parte
gli interventi sul patrimonio monumentale non rientrano,
per loro natura, in nessuno di tali casi: l'obbligo
di adeguamento infatti scatta in presenza di interventi
configurabili come sopraelevazioni, ampliamenti, ristrutturazioni
edilizie e comunque tali da modificare sostanzialmente
il comportamento statico e dinamico dell'organismo
edilizio.
Si può pertanto affermare che, alla luce di quanto
previsto per l'edilizia ordinaria, l'obiettivo degli
interventi sul patrimonio monumentale per quanto attiene
alla sicurezza alle azioni sismiche, è assimilabile
al miglioramento.
In questa ottica si può concludere che gli interventi
sul patrimonio monumentale devono essere caratterizzati
da un aumento di sicurezza nei confronti delle azioni
sismiche senza però che si ponga in modo rigido
il problema del rispetto delle verifiche formali nei
confronti delle azioni sismiche di progetto previste
per le nuove costruzioni.
Si individua quindi, in attesa della definizione di
norme tecniche specifiche per il patrimonio monumentale,
alla quale il Comitato Nazionale per la Prevenzione
del Patrimonio Culturale dal Rischio Sismico è
chiamato a dare un contributo propositivo, una linea
di comportamento impostata sul ricorso sistematico
agli interventi di miglioramento cosi come previsto
dal citato decreto ministeriale 24-1-1986 e su una
conduzione delle operazioni progettuali che abbia diretto
riguardo al valore culturale della costruzione considerata
e che quindi, anche nello spirito dei punti C.9.2.3.
e 4 dello stesso Decreto implichi:
- una particolare attenzione ai materiali e magisteri
originali, nonché alle trasformazioni successive;
- una attenta ricostruzione della storia sismica del
manufatto, con particolare riguardo per le eventuali
riparazioni seguite ad eventi sismici passati;
- un rigoroso e sistematico approccio interdisciplinare
in tutte le fasi progettuali, con particolare riferimento
agli apporti architettonici, storici, geotecnici, strutturali,
impiantistici (se del caso);
- il ricorso a tecniche e materiali il più possibile
vicini agli originali, con severo esame critico interdisciplinare
di eventuali interventi difformi dai suddetti.
In definitiva: in presenza di una "patologia ordinaria"
del momento ed in mancanza dei vincoli di cui ai commi
da a) a e) del punto C.5.1.1. del citato Decreto, si
deve effettuare la scelta della conservazione diffusa
che, abbinata al sopra illustrato concetto normativo
di miglioramento, consente di conseguire l'obiettivo
della prevenzione dal rischio sismico.
Le operazioni da compiere saranno, a titolo esemplificativo,
del tipo seguente:
- interventi coordinati sui collegamenti, specie se
compromessi dai sismi precedenti o da mancata manutenzione;
- verifica e riparazione degli orizzontamenti (tetti,
solai, archi, volte, piattabande) con procedimenti
prevalentemente tradizionali (sostituzione parziale
dei soli elementi lignei degradati, ripristino della
tensione di catene e capichiave, irrigidimenti dei
tavolati con un secondo tavolato chiodato, collocazione
di nuove tirantature ai piani a bassa tensione di esercizio,
reintegrazioni parziali di archi o piattabande, ecc.);
- verifica e riparazione delle lesioni verticali o subverticali
con procedimenti tradizionali ai fini di ricostituire,
pur senza eccessivi irrigidimenti, la continuità
della compagine muraria;
- scarnitura dei giunti, rabboccatura e ripristino con
malta tradizionale degli intonaci laddove esistevano
e sono caduti, a reintegrazione delle capacità
portanti della compagine muraria, con attenzione ad
eventuali intonaci decorati.
Si può osservare che le esemplificazioni ora
prospettate si configurano in gran parte quali interventi
di manutenzione, atti a mitigare il degrado e riportare
la costruzione alle sue capacità originarie
di resistenza, ovvero di miglioramenti, atti ad incrementare
le suddette capacità senza stravolgimenti degli
schemi resistenti propri; soltanto in presenza di una
"patologia straordinaria" dovuta a difetti
di origine nella concezione strutturale, o ad uno stato
di degrado molto accentuato, o a danni considerevoli,
si pone l'esigenza di una più complessa valutazione;
tale esigenza si pone anche quando si configurano interventi
di grande scala quali ad esempio quelli previsti all'interno
dei progetti finalizzati.
Al fine di perseguire gli obiettivi sopra indicati assume
fondamentale importanza la completezza degli elaborati
di analisi e di progetto, quale risultato di una metodologia
organizzata in fasi operative strettamente connesse
tra di loro attraverso il coordinamento dell'esperto
in restauro architettonico, sicché la mancanza
di una o più fasi non può che portare
alla non accettabilità della proposta finale
rappresentata dal progetto.
Pertanto gli elaborati progettuali dovranno di regola
essere almeno i seguenti:
- uno studio storico critico sul complesso da restaurare
che individui tutte le trasformazioni intervenute nel
tempo e le illustri in apposito grafico;
- uno studio della storia sismica del sito;
- un accurato rilievo plano-altimetrico del complesso,
comprendente le strutture di fondazione;
- un dettagliato rilievo critico che riporti i dati
acquisiti incrociandoli con dati ricavabili attraverso
l'utilizzo di strumentazioni diagnostiche;
- una dettagliata analisi dei carichi con l'individuazione
da parte del progettista di tutti gli elementi portanti,
incluse le fondazioni, attraverso i quali si individua
un razionale schema strutturale;
- un rilievo metrico e fotografico dei dissesti riscontrati;
- una descrizione della costituzione del sottosuolo
e delle condizioni di stabilità dell'area circostante;
- una relazione che individui cause ed entità
dei dissesti; è opportuno che tale relazione
indichi, se ed in quale misura, i dissesti hanno danneggiato
gli elementi portanti della struttura;
- una relazione sui materiali strutturali presenti con
una valutazione del loro stato di conservazione, ove
possibile suffragata da indagini sperimentali;
- il progetto sia qualitativo sia quantitativo degli
interventi previsti, indicando le motivazioni che li
suggeriscono e gli incrementi di resistenza che si
presume ad essi si accompagnino;
- nella base grafica del progetto vanno altresì
evidenziati tutti gli interventi (consolidamenti, impianti,
ecc.) che per loro natura comportino sostituzioni o
alterazioni di materia e superficie originale del manufatto,
in maniera tale da rendere complessivamente valutabile
l'entità di trasformazioni conseguenti all'intervento.
Per quanto riguarda il collaudo, espressamente previsto
dal punto C.9.4 del decreto ministeriale 24-1-1986,
assume particolare importanza la preferenza indicata
nello stesso decreto, per il collaudo in corso d'opera,
in quanto consente la sospensione tempestiva di eventuali
interventi irreversibili ritenuti errati; inoltre risulta
essenziale che il collaudo stesso non si limiti ad
esaminare gli aspetti cosidetti tecnici, bensì
si rivolga all'intervento nel suo complesso.
(c) 1996 Note's