(G.U. 8-8-1985, N.186)
LEGGE 28 FEBBRAIO 1985, N.47; DECRETO LEGGE 23 APRILE 1985, N.146, CONVERTITO NELLA LEGGE 21 GIUGNO 1985, N.298; DECRETO LEGGE 22 LUGLIO 1985, N.356: NORME IN MATERIA DI RECUPERO E SANATORIA DELLE OPERE ABUSIVE. OPERE INTERNE
La legge 28-2-1985, n.47, è entrata in vigore
il 17 marzo 1985. Successivamente, il decreto legge
23-4-1985, n.146, convertito nella legge 21-6-1985,
n.298 ha apportato al testo originario numerose, importanti
modifiche. Da ultimo, il decreto legge 22-7-1985, n.356
presentato al Parlamento per la conversione, ha introdotto
una ulteriore modifica a detto testo.
La legge affronta, essenzialmente, due temi: il controllo
dell'attività urbanistico-edilizia e la sanatoria
delle opere abusivamente realizzate entro il 1o ottobre
1983. Pur nella distinzione dei temi, i due gruppi
di norme ad essi relativi concorrono a combattere l'abusivismo
edilizio: il primo attraverso una maggiore articolazione
e un inasprimento del sistema sanzionatorio; il secondo
mediante una regolamentazione delle situazioni derivanti
dall'abusivismo pregresso.
Con la presente circolare questo Ministero intende far
conoscere il proprio avviso sulle disposizioni della
legge riguardanti il recupero e la sanatoria delle
opere abusive, contenute nei capi terzo e quarto; su
quelle del capo V connesse con la stessa materia, nonché
sulla normativa riguardante le "opere interne"
di cui agli artt. 26 e 48 che, per il loro carattere
innovativo e per il vasto interesse suscitato necessitano
di qualche chiarimento. E ciò al fine di fornire
un indirizzo per una interpretazione omogenea ed uniforme
della legge e per una sua corretta applicazione.
1. RECUPERO E SANATORIA DELLE OPERE ABUSIVE - VARIANTI AGLI STRUMENTI URBANISTICI (art.29)
La normativa in materia di recupero degli insediamenti
abusivi è intesa a dare un contenuto urbanistico
alla sanatoria, quando si manifesti non in singoli
episodi costruttivi, ma nella forma di agglomerati
edilizi più o meno estesi.
L'art.29 costituisce una norma cornice per l'attività
legislativa delle regioni che vorrano disciplinare
la formazione delle varianti di recupero; ma, è
insieme, dispositiva per i comuni che riterranno di
provvedere in assenza di normativa regionale.
La legge non stabilisce quali agglomerati debbano intendersi
"insediamenti" ai fini del recupero: e pertanto,
spetterà alle regioni o ai comuni individuare
quali raggruppamenti di edifici debbano essere considerati
"insediamenti" e sottoposti alla disciplina
dettata dall'art.29.
E' possibile che nell'ambito degli agglomerati edilizi
da sottoporre a variante di recupero esistano edifici
realizzati dopo la data del 1o ottobre 1983 stabilita
dalla legge, in via generale, quale termine entro il
quale le opere debbono essere ultimate per poter ottenere
la sanatoria.
Ma questa circostanza non comporta l'inammissibilità
della formazione della variante di recupero che, per
il suo carattere urbanistico, deve essere riferita
ad una zona tale per estensione, da consentire una
idonea progettazione dello strumento di pianificazione;
fermo restando che le opere realizzate abusivamente
dopo il 1o ottobre 1983 non potranno conseguire la
concessione in sanatoria.
Ai fini di una adeguata dotazione di opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, le varianti potranno prevedere
l'utilizzazione di spazi sia interni sia esterni all'insediamento,
anche attraverso demolizioni, espropriazioni e diverse
utilizzazioni delle costruzioni esistenti; come si
evince anche dagli artt. 29, 30 e 32, lettera b) della
legge.
E' appena il caso di rilevare che gli insediamenti abusivi
realizzati su aree soggette a vincolo di inedificabilità
- e pertanto non suscettibili di sanatoria, secondo
il disposto dell'art.33 - non possono essere oggetto
di varianti di recupero.
Quanto agli insediamenti ricadenti in zona sismica,
deve rilevarsi che le regioni non possono stabilire
criteri di recupero in contrasto con le disposizioni
statali in materia. Per quanto riguarda, comunque,
la sanatoria dei singoli immobili abusivi, è
necessario far riferimento alla normativa emanata con
il decreto ministeriale 15-5-1985, in attuazione dell'art.35,
comma 4, della legge n.47 del 1985.
La disposizione dell'art.29 che prevede la ridefinizione
della normativa regionale in materia di contributo
di concessione, limitatamente al recupero degli insediamenti
abusivi, non coincide perfettamente con la analoga
disposizione, contenuta nell'art.37 e riguardante la
generalità delle concessioni in sanatoria. Deve,
tuttavia, ritenersi che l'art.37 prevalga sull'art.29,
sia per la maggiore completezza e articolazione della
regolamentazione della materia, sia per la portata
più generale, che comprende anche le ipotesi
disciplinate dalla norma relativa agli insediamenti
abusivi.
Quanto agli oneri di urbanizzazione e al contributo
di concessione deve farsi presente che i comuni che
intendessero formare le varianti di recupero, in carenza
della legge regionale prevista dall'art.29 dovrebbero,
comunque, osservare le disposizioni emanate dalla regione
in attuazione dell'art.37 della legge n.47 del 1985.
Deve, infine, farsi presente - come si preciserà
meglio illustrando l'art.32, lettera b) - che le opere
abusive comprese in un insediamento da recuperare possono
ottenere la concessione in sanatoria soltanto qualora
risultino non in contrasto con le previsioni delle
varianti di recupero, che destinino le aree su cui
le opere medesime insistono ad edifici o spazi pubblici.
Tuttavia, la domanda di concessione deve essere presentata
entro il termine prescritto - 30 novembre 1985 anche
se la variante non sia stata ancora adottata o approvata.
2. FACOLTA' ED OBBLIGHI DEI COMUNI (art.30)
Per agevolare l'attuazione delle varianti di recupero
la legge prevede una serie di disposizioni dirette
ad eliminare alcuni degli ostacoli che il comune può
incontrare nell'iter di acquisizione degli immobili
necessari per l'esecuzione di opere ed impianti pubblici.
E' previsto, innanzitutto, che in luogo dell'indennità
di espropriazione, i proprietari di lotti di terreno
destinati a spazi o impianti pubblici con le varianti
di recupero possono chiedere l'assegnazione di equivalenti
lotti nell'ambito dei piani di zona per costruirvi,
singolarmente o riuniti in cooperative, la propria
prima abitazione.
La norma necessita di alcuni chiarimenti. In primo luogo
deve ritenersi che il lotto a disposizione nel piano
di zona sostituendo l'indennità di espropriazione
- debba essere ceduto in proprietà e non assegnato
in diritto di superficie.
Quanto all'equivalenza dei lotti deve ritenersi che
questa debba avere carattere non economico, ma urbanistico.
E pertanto, il confronto non deve essere effettuato
tra i valori economici dei lotti (che, in ambedue i
casi corrispondono all'indennità di espropriazione)
ma tra le potenzialità urbanistiche: e pertanto
si dovrà assegnare al proprietario espropriando
- ovvero a più proprietari riuniti in cooperativa
- lotti sui quali si possa realizzare un volume edilizio
equivalente a quello realizzabile nell'insediamento
abusivo - secondo la densità media di questo
- con il limite della quantità sufficiente e
costruirvi la prima abitazione. L'esplicito riferimento
alla prima abitazione esclude anche al proprietario
espropriando di vaste aree possano essere assegnate
più aree di quelle necessarie e sufficienti
a soddisfare le esigenze abitative primarie: per l'acquisizione
della parte eccedente dovrà provvedersi con
il normale procedimento espropriativo.
Anche i proprietari degli edifici da demolire possono
chiedere l'assegnazione - anche qui si tratterà
di cessione in proprietà - di un lotto di terreno,
nell'ambito del piano di zona, per costruirvi la propria
prima abitazione. In questo caso l'assegnazione del
lotto sostituirà l'indennità di espropriazione,
per la parte relativa al terreno, mentre l'espropriazione
del fabbricato sarà effettuata secondo le norme
vigenti.
Una sola osservazione appare necessaria in ordine alla
norma del comma 1, secondo la quale per far fronte
alle richieste di lotti edificabili, i comuni che adottano
le varianti di recupero sono tenuti a provvedere alla
formazione dei piani di zona, anche se a ciò
non obbligati dalle vigenti disposizioni.
La legge pone un obbligo di provvedere nel senso sopraddetto.
Tuttavia, l'abolizione del limite massimo del 40% e
il riferimento agli "opportuni" ampliamenti,
sembra significare che l'obbligo posto ai comuni è,
in realtà, quello di mettere a disposizione
dei proprietari espropriandi lotti di terreno edificabili:
cosicché, se non esistessero richieste in tale
senso, ovvero se il comune potesse soddisfarle nell'ambito
del piano di zona vigente o, al limite, con aree del
patrimonio comunale, potrebbe risultare non necessario
- né obbligatorio - redigere o ampliare il piano
di zona.
3. SANATORIA DELLE OPERE ABUSIVE: CATTERISTICHE GENERALI (art.31)
La legge n.47 del 1985 prevede una sanatoria ampia e
comprensiva sia per ciò che riguarda i soggetti
legittimati a chiedere la sanatoria medesima, sia per
ciò che concerne le opere sanabili.
La sanatoria ha carattere automatico, nel senso che
al sindaco è sottratta ogni discrezionalità
nelle determinazioni di competenza quando si verifichino
le condizioni poste dalla legge: il rilascio della
concessione è pertanto da considerare atto dovuto.
La sanatoria, inoltre, è onerosa, essendo subordinata
alla corresponsione di una somma a titolo di oblazione.
Quanto al tempo, la sanatoria riguarda le opere abusive
in qualsiasi momento realizzate, con il limite del
1o ottobre 1983, quale termine per l'ultimazione dei
lavori assoggettabili a sanatoria.
3.1. I SOGGETTI LEGITTIMATI (art.31)
La legge riconosce la legittimazione ad agire per conseguire
la sanatoria a diverse categorie di soggetti.
Sono, innanzitutto, legittimati i proprietari delle
opere abusive. A questo riguardo - trattandosi di espressione
di immediata comprensione - deve soltanto farsi presente
che, in situazione di condominio, spetterà non
soltanto all'amministrazione condominiale presentare
l'istanza di sanatoria, per le parti comuni, ma anche
ai singoli condomini.
Possono, inoltre, conseguire la sanatoria tutti i soggetti
che hanno titolo, ai sensi della legge 28-1-1977, n.10,
a richiedere la concessione edilizia o l'autorizzazione.
Si tratta di titolari di un diritto reale sul bene,
diverso dal diritto di proprietà, quale l'usufrutto,
l'uso, l'abitazione, il diritto di superficie, di enfiteusi,
ecc. ma anche di altri soggetti che, comunque, avrebbero
potuto o potrebbero chiedere la concessione o l'autorizzazione.
Infine, con espressione molto ampia e comprensiva, il
comma 3 dell'art.31 precisa che può chiedere
la concessione o l'autorizzazione in sanatoria <<ogni
altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria
medesima>>.
Ciò significa che la facoltà di ottenere
la sanatoria è soggetta all'unico limite dell'esistenza
di un interesse che la legge non qualifica, ma che
discende dal particolare rapporto del soggetto con
l'opera abusiva, ovvero col proprietario di questa.
Può affermarsi in breve, che sono legittimati
tutti i soggetti che dalla sanatoria dell'abuso possono
trarre un vantaggio giuridico od economico.
Pertanto, potrà chiedere la sanatoria il conduttore
che, di fronte all'inerzia del proprietario e nel timore
della ingiunzione della sanzione demolitoria ritenga
di assumere l'iniziativa; potranno prendere l'iniziativa
i congiunti o i rappresentanti di assenti, di immigrati,
di malati, di minori; potrà presentare istanza
il creditore che abbia interesse a rendere pienamente
commerciabile un bene del debitore; il socio di cooperativa
che abbia avuto l'assegnazione provvisoria; il proprietario
dell'area sulla quale è stata realizzata la
costruzione abusiva; il detentore dell'immobile a titolo
precario, ecc.
A parte vanno poi considerati coloro che sono legittimati
a presentare la domanda di concessione in sanatoria,
in nome e per conto del titolare del bene, quali rappresentanti
legali e volontari, secondo il disposto dell'art.47-bis
della legge n.47 del 1985.
La legge, comunque, è chiara nell'attribuire
l'onore della sanatoria al responsabile dell'abuso;
poiché, infatti, precisa che <<gli altri
soggetti interessati>> hanno diritto a rivalersi
nei confronti del proprietario, per quanto concerne
le spese sostenute per il pagamento sia dell'oblazione,
sia del contributo di concessione, ove dovuto.
Altri soggetti esplicitamente legittimati a chiedere
la sanatoria sono il titolare della concessione, il
committente, il costruttore, il direttore dei lavori.
L'art.38 della legge n.47 del 1985 precisa, infatti,
che tali soggetti, se intendono fruire dei benefici
penali previsti dallo stesso art.38 e dell'articolo
successivo, possono presentare al comune autonoma domanda
di oblazione. In tal caso, si verificherà un
cumulo di istanze per la stessa unità immobiliare
anche se alcune intese ad ottenere la concessione,
altre a fruire dei benefici penali, essendo l'estinzione
del reato strettamente personale ai sensi dell'art.182
del codice penale.
3.2. AMMINISTRAZIONI STATALI O EQUIPARATE (art.31)
Non debbono, invece, presentare istanza di sanatoria
ai sensi della legge n.47 del 1985 i soggetti che non
sono tenuti a munirsi di licenza edilizia, concessione
o autorizzazione comunale per realizzare le opere di
competenza.
Si tratta delle amministrazioni statali o ad esse equiparate,
nonché degli <<enti istituzionalmente
competenti>> le cui opere sono sottratte alla
concessione comunale perché sottoposte al controllo
urbanistico statale nei modi previsti dall'art.29 della
legge urbanistica n.1150 del 1942 fino al dicembre
1977 e, successivamente, dall'art.81 del decreto del
Presidente della Repubblica n.616 del 1977.
Non vi è dubbio che anche l'attività edificatoria
di tali amministrazioni ed enti può risultare
in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia
e che tale illegittimo comportamento deve essere riportato
nell'ambito della norma. Ma, per raggiungere questo
fine deve provvedersi secondo il procedimento stabilito
dalla vigente legislazione: e cioè i soggetti
pubblici interessati debbono presentare al Ministero
dei lavori pubblici istanza intesa ad ottenere, ora
per allora, la prescritta autorizzazione, che sarà
rilasciata, ove ricorrano le condizioni previste, dopo
l'espletamento della procedura di cui all'art.81.
Quando le amministrazioni abbiano realizzato opere o
interventi su immobili di cui non siano proprietarie
(ad es.: presi in locazione) l'istanza per ottenere
in sanatoria l'autorizzazione può essere presentata
soltanto dalle amministrazioni medesime e non dal proprietario
dell'immobile, il quale certamente non ha titolo per
ottenere il provvedimento ex art.81 del decreto del
Presidente della Repubblica n.616 del 1977.
E' da ritenere, peraltro, che il proprietario possa
chiedere al sindaco la concessione in sanatoria, per
conservare, al momento del rilascio da parte dell'amministrazione
statale, l'immobile con le modifiche strutturali e
d'uso realizzate da detta amministrazione, di fatto
o in base ad autorizzazione. Ciò, ovviamente,
alle condizioni stabilite per la sanatoria della legge
n.47 del 1985: stante che la facoltà di operare
in modo "difforme dalle prescrizione e dai vincoli
delle norme o dei piani urbanistici ed edilizi"
riconosciuta dall'art.81 del decreto del Presidente
della Repubblica n.616 del 1977 alle amministrazioni
statali, può incontrare, per il privato, il
limite posto dalle disposizioni della menzionata legge
che prevedono l'insanabilità o la sanabilità
condizionata delle opere eseguite in zone vincolate.
3.3. L'OGGETTO DELLA SANATORIA (Art.31)
Come si è detto, la legge prevede una sanatoria
ampia anche sotto il profilo oggettivo. Salvo quanto
si dirà a proposito delle condizioni ed esclusioni
previste dagli artt. 32 e 33, possono essere sanate
le "costruzioni" e le "Altre opere":
cioè non solo gli edifici, ma anche i manufatti
di ogni tipo, e le opere di urbanizzazione. Si tratta,
insomma, per usare l'espressione dell'art.1 della legge
n.10 del 1977 di tutte le opere che comportano trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio.
Quanto agli abusi, sono suscettibili di sanatoria le
opere eseguite senza licenza o concessione edilizia,
o autorizzazione, o in difformità dalle stesse;
oppure in base a titolo annullato, decaduto o divenuto
inefficace o nei confronti sia in corso procedimento
di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede
giudiziaria o amministrativa.
A questo ultimo riguardo deve rilevarsi che il riferimento
alla licenza, concessione edilizia o autorizzazione
"prescritte da norme di legge o di regolamento"
esclude dalla necessità della sanatoria poiché
non si tratta di opere abusive le costruzioni realizzate
prima dell'entrata in vigore della legge urbanistica
del 1942 nei comuni nei quali il regolamento edilizio
non prescriveva l'obbligo della licenza edilizia. Nello
stesso senso è anche l'ultimo comma dell'art.31,
che precisa che sono soggette alla sanatoria le opere
ultimate prima del 1o settembre 1967 - cioè
quelle comprese nella prima fascia temporale di cui
alla tabella allegata alla legge n.47 del 1985 - quando
ai sensi non solo della legge urbanistica del 1942,
ma anche dei regolamenti edilizi comunali era richiesto
il rilascio della licenza di costruzione.
Per quanto riguarda le costruzioni realizzate prima
dell'entrata in vigore della legge urbanistica del
1942 - la quale è stata la prima a prevedere
sanzioni penali in caso di costruzione in assenza di
licenza edilizia o in difformità da questa -
non sembra che esse siano soggette alla sanatoria ove
si consideri che nei loro confronti viene meno l'oggetto
fondamentale dell'istituto e cioè l'illecito
penale.
La sanatoria può essere chiesta anche quando
il titolo a costruire, ancora non annullato, sia sottoposto
a procedimento di annullamento o di declaratoria di
decadenza in sede giudiziaria o amministrativa. La
disposizione riguarda opere che potrebbero essere state
realizzate legittimamente e che tali potrebbero risultare
a conclusione del procedimento. Tuttavia il legislatore
ha ritenuto di dare all'interessato la facoltà
di uscire dall'incertezza connessa con il procedimento
liberandosi, attraverso la sanatoria, da ogni timore
circa la sorte del bene contestato.
Secondo il disposto dell'art.43 la sanatoria è
applicabile anche ai provvedimenti sanzionatori ancora
in corso: cioè a quelli ancora in termini per
l'impugnazione, a quelli nei cui confronti essa sia
pendente nonché a quelli inoppugnabili ma non
ancora eseguiti.
Nell'ipotesi di annullamento del titolo abilitante la
realizzazione dell'opera, oggetto della domanda di
sanatoria dovrà necessariamente essere l'intera
opera la quale per effetto della misura caducatoria
va considerata abusiva perché priva del titolo
fin dall'origine. Nell'ipotesi di decadenza o di titolo
successivamente divenuto inefficace, considerata la
irretroattività dei relativi provvedimenti,
la sanatoria dovrà invece essere richiesta solo
per la parte di opera realizzata dopo che sia intervenuta
la decadenza o l'inefficacia.
3.4. LA DATA DI ULTIMAZIONE (art.31)
La data entro la quale le opere debbono essere ultimate,
per essere ammesse alla sanatoria, è il 1o ottobre
1983.
La legge dà una definizione di ultimazione (diversa
da quella usata dall'art.4 della legge n.10 del 1977,
che considera ultimate le opere "abitabili o agibili")
da valere soltanto per la legge n.47 del 1985 e che
fa riferimento all'esecuzione del rustico e al completamento
della copertura.
Quanto all'espressione "rustico" essa comprende,
oltre alla muratura portante - negli edifici realizzati
con sistemi tradizionali - e l'intelaiatura in cemento
armato o in travi in acciaio, anche le tamponature
perimetrali.
Non può escludersi, tuttavia, che possa considerarsi
ultimato un edificio privo delle tamponature, quando
le chiusure esterne siano previste non in laterizio
ma in materiali o strutture prefabbricate da applicare:
quali potrebbero essere vetrate che formano parete
o infissi che chiudono le aperture dell'intelaiatura.
Il rustico, insieme alla copertura, deve, comunque,
essere tale da rendere bene individuabile il volume
dell'edificio: in aggiunta al volume così definito
non è ammissibile alcuna addizione, salvo i
volumi tecnici che, come è noto, debbono, per
la loro funzione, essere realizzati al di fuori del
corpo dell'edificio e che, pertanto, non concorrono
a formare cubatura.
La copertura potrà risultare costituita dal tetto
ovvero dal solaio dell'ultimo piano realizzato: dovrà,
in ogni caso, concorrere a definire il volume dell'edificio.
La legge stabilisce anche che, per le opere interne
abusive e per quelle non destinate alla residenza,
l'ultimazione corrisponde al completamento funzionale
delle opere medesime. Esse, pertanto, possono essere
completate "al rustico" e cioè senza
le finiture civili, ma debbono essere tali da permetterne
l'uso in relazione alla funzione cui sono destinate.
L'indicazione, contenuta nella legge, di un termine
riferito all'ultimazione per poter accadere alla sanatoria
comporta il divieto di completare le opere che, alla
data stabilita, non erano ultimate nel senso indicato
dalla legge medesima. Qualora, dopo il 1o ottobre 1983,
il responsabile dell'abuso avesse continuato i lavori,
la sanatoria potrebbe essere richiesta soltanto per
la parte realizzata prima di tale data, sempreché
la parte aggiuntiva sia enucleabile e autonoma, rispetto
alla restante costruzione, così da poter essere
sottoposta al regime sanzionatorio previsto dalla legge
n.10 del 1977. Altrimenti, quando quella aggiuntiva
costituisca la parte più rilevante della costruzione,
tale da caratterrizzarla tipologicamente o strutturalmente,
l'edificio deve essere considerato totalmente realizzato
dopo la data di riferimento.
A questo proposito deve farsi presente - come già
accennato - che l'art.43 stabilisce una deroga al principio
generale, nel senso che le opere "non ultimate"
nel senso indicato dal comma 2 dell'art.31, per effetto
di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali,
possono non solo ottenere la sanatoria, ma anche essere
completate <<limitatamente alle strutture realizzate
e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro
funzionalità>>.
La diversa terminologia usata ("struttura realizzata"
e non "rustico e copertura ultimata", come
al comma 2 dell'art.31); nonché il fatto che
i lavori di completamento possono riguardare la "funzionalità"
delle strutture, mostrano come il legislatore abbia
avuto una particolare considerazione per i soggetti
che abbiano ottemperato al provvedimento di sospensione.
Infatti, le "strutture" nelle costruzioni
in cemento armato o in travi di ferro non comprende
anche le tamponature; ed inoltre l'art.43 non chiede
la loro previa ultimazione. Anzi, esso consente il
completamento funzionale delle strutture in qualsiasi
stato si trovino "realizzate" fino a renderle
adatte a svolgere la funzione cui erano destinate.
Per le opere di cui al comma 5 dell'art.43 il tempo
di commissione dell'abuso è determinato dalla
data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale
di sospensione dei lavori: purché, ovviamente,
questo sia intervenuto entro il 1o ottobre 1983.
Quando esistano provvedimenti del tipo ora detto, o
altri atti o certificazioni provenienti da pubblici
poteri, l'accertamento del tempo di commissione dell'abuso
non crea problemi.
Quando, invece, manchi un provvedimento avente data
certa, che individui tale momento, l'interessato potrà
dimostrare, attraverso la documentazione in suo possesso
(fatture per la fornitura di materiale, fattura di
aziende erogatrici di servizi pubblici, ecc.), la veridicità
della sua affermazione ovvero, in mancanza di tale
documentazione, potrà presentare un atto notorio
o un atto sostitutivo di atto notorio.
Comunque, il comune potrà accertare la data di
effettiva ultimazione dei lavori nei modi che riterrà
più opportuni.
4. OPERE COSTRUITE SU AREE SOTTOPOSTE A VINCOLO (art.32)
L'art.32 pone, innanzitutto, un principio generale: e cioè che il rilascio della concessione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Si tratta di vincoli la cui tutela è affidata alla discrezionale valutazione dell'amministrazione che può consentire, negare o sottoporre a condizioni l'edificazione o, comunque, la trasformazione del territorio. La norma non si riferisce, pertanto, alle destinazioni di piano, il cui rispetto è assicurato dal comune nell'esercizio dei suoi poteri, ma ai vincoli posti da amministrazioni diverse da quella comunale.
4.1. IL MOMENTO DELL'IMPOSIZIONE DEL VINCOLO (art.32)
L'art.32 non precisa in quale momento il vincolo deve
essere stato imposto, perché sorga la necessità
di acquisire il parere favorevole dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo medesimo. La norma,
anzi usa una espressione ampia ma che non ne definisce
sicuramente l'ambito di applicazione ("opere eseguite
su aree sottoposte a vincolo") che necessita di
interpretazione sulla base dei princìpi generali.
E' il principio che trova applicazione quando si tratti
di concessioni di edificare è che esse (comprese
quelle in sanatoria) sono rilasciate sulla base della
normativa urbanistica vigente al momento del rilascio.
Pertanto, nessuna questione sorge quando il vincolo
preesisteva alla realizzazione dell'opera abusiva e
permane tuttora: alla violazione della normativa urbanistica
si aggiunge quella del vincolo e, conseguentemente,
è necessario acquisire il parere dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo medesimo.
Quando l'opera abusiva è stata realizzata in
contrasto con un vincolo poi venuto meno, e pertanto
inesistente al momento della concessione in sanatoria
ovvero della formazione del silenzio- assenso di cui
al comma 12 dell'art.35, il comma 1 dell'art.32 non
trova applicazione e nessun parere deve essere richiesto:
l'amministrazione, d'altra parte, non avrebbe la potestà
di negare un parere favorevole, quando il vincolo non
esistesse al momento dell'esame dell'opera abusiva.
Quando, invece, il vincolo è intervenuto dopo
la realizzazione dell'opera abusiva è necessario
chiedere il parere previsto dall'art.32, che sarà
rilasciato tenendo conto della esistenza del vincolo
in parola. Si tratta, infatti, di opere che, in precedenza
- mancando della concessione o essendo state realizzate
in difformità da questa - non avevano giuridica
esistenza; e, pertanto, in occasione della richiesta
di concessione in sanatoria, debbono essere valutate
secondo la normativa vigente al momento del relativo
rilascio.
L'art.32, peraltro, lascia al discrezionale apprezzamento
dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo
la determinazione in ordine al parere. Tale amministrazione,
cioè, deve sempre valutare l'opera in relazione
agli interessi da tutelare: cosicché potrebbe
rilasciare parere favorevole alla concessione in sanatoria,
anche quando il vincolo previsto comportasse la inedificabilità
assoluta.
4.2. IL PARERE DELLE AMMINISTRAZIONI PREPOSTE ALLA TUTELA
DEL VINCOLO (art.32).
Il parere delle amministrazioni competenti è
per il comune obbligatorio - nel senso che esso non
può provvedere senza aver preso cognizione del
parere - e vincolante ai fini del rilascio della concessione
in sanatoria.
Trattandosi di un sub-procedimento è, di norma,
compito del comune chiedere alla competente amministrazione
il parere: e ciò significa anche che ricade
sul comune la responsabilità del rilascio della
concessione in conformità a tutti i pareri necessari.
Tuttavia, ciò non esclude che l'interessato possa
assumersi il compito di chiedere direttamente all'amministrazione
competente il parere necessario. In tale caso, egli
deve allegare alla domanda di concessione il parere
già ottenuto; altrimenti, allegherà copia
conforme della istanza, rivolta all'amministrazione
che tutela il vincolo, affinché il comune possa
conoscere l'esito della istanza in parola: poiché,
trascorsi 180 giorni dalla presentazione, il parere
si intende reso in senso negativo ed il comune non
può rilasciare la concessione in sanatoria.
In ogni caso, il privato invia al comune tante copie
di domande (con relativa documentazione) quanti sono
i vincoli di cui gli risulti l'esistenza.
Nei casi in cui sia il comune a chiedere il parere,
deve farlo con modalità che permettano di individuare
una data certa, appunto perché tale data è
quella dalla quale decorre il termine di 180 giorni
sopradetto. Il comune, inoltre, è tenuto a comunicare
il parere negativo - espresso o tacito - e la conseguente
reiezione della domanda di sanatoria, all'interessato,
il quale potrebbe esperire i rimedi giurisdizionali
avverso il provvedimento dell'amministrazione preposta
alla tutela del vincolo.
Il parere dell'amministrazione preposta alla tutela
del vincolo, se non rilasciato nel termine di 180 giorni
comporta, come si è detto, silenzio-rifiuto.
Esso è elemento importante nel procedimento
di sanatoria, perché condiziona sia la ripresa
dei lavori, sia la formazione del silenzio-assenso
sull'istanza di concessione in sanatoria: e, pertanto,
sarà opportuno che le competenti amministrazioni
provvedano tempestivamente, anche perché il
silenzio-rifiuto immotivato originerebbe un contenzioso,
che vedrebbe l'amministrazione soccombente.
4.3. I VINCOLI (art.32)
Il comma 2 dell'art.32 stabilisce, poi, che sono sanabili
le opere eseguite abusivamente su aree vincolate dopo
la loro realizzazione, purché si verifichino
alcune condizioni.
La prima categoria cui la norma fa riferimento è
quella delle opere realizzate lettera a) in difformità
dalla normativa antisismica: e la condizione è
che l'edificio sia staticamente idoneo o che lo divenga
a seguito di un intervento di adeguamento realizzato
in conformità alle disposizioni del decreto
del Ministro dei lavori pubblici in data 15-5-1985.
La lettera b) riguarda le costruzioni realizzate in
contrasto con le previsioni urbanistiche di destinazione
ad edifici o spazi pubblici: e, la condizione di sanabilità
consiste in un evento futuro, poiché tali costruzioni
dovranno risultare non in contrasto con le varianti
di recupero urbanistico che i comuni formeranno nel
rispetto dei criteri stabiliti dalle regioni ai sensi
del capo III della legge n.47 del 1985. Nell'ipotesi
della lettera b), pertanto, il responsabile dell'abuso
deve presentare istanza di concessione in sanatoria
nei termini stabiliti dall'art.35 conseguendo gli effetti
collegati a tale presentazione e al versamento dell'oblazione;
ma potrà ottenere la concessione solo dopo l'approvazione
della variante di recupero.
E' da ritenere, a questo riguardo, che le regioni e
i comuni debbano provvedere, ai sensi dell'art.29,
rispettivamente, a disciplinare la formazione delle
varianti di recupero (comma 1) o a formare tali varianti
(comma 3) prima del rilascio delle concessioni in sanatoria
e quindi, prima del termine di cui all'art.35, comma
12, trascorso il quale si forma il silenzio- assenso
sulla domanda di concessione. Altrimenti - e cioè
dopo il rilascio esplicito e implicito della concessione
- l'opera abusiva sarà considerata sanata e
pertanto legittima a tutti gli effetti, compresi quelli
espropriativi: non troverà applicazione, cioè
il disposto dell'art.16 della legge 22-10-1971, n.865,
secondo il quale, quando sull'area esproprianda insiste
un'opera abusiva, l'indennità è determinata
in base al valore della sola area.
Deve farsi presente - in relazione alla sentenza n.92
del 1982 della Corte costituzionale - che, trascorso
il termine quinquennale di efficacia delle norme urbanistiche
che prevedono la destinazione ad edifici o spazi pubblici,
cessa il relativo vincolo; e pertanto viene a mancare
il contrasto ipotizzato dall'art.32, lettera b), della
legge n.47 del 1985, e le opere abusive debbono essere
considerate come realizzate su area già vincolata
sulla quale il vincolo è venuto meno. Il comune,
tuttavia, potrebbe confermare il vincolo con la variante
di recupero.
Infine (lettera c) sono sanabili le costruzioni realizzate
nelle fasce poste a protezione del nastro stradale,
a condizione che non costituiscano minaccia alla sicurezza
del traffico. I criteri per stabilire se esista tale
minaccia e se, perciò, la concessione in sanatoria
debba essere negata, possono indicarsi come segue:
A) ABUSI SINGOLI SU STRADA IN RETTILINEO.
Quando l'abuso sia costituito da un fabbricato di piccole
dimensioni su strada diritta senza intersezioni, curve
o singolarità plano-volumetriche prossime, la
concessione edilizia in sanatoria sarà ammissibile
ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 m, ovvero
almeno metà della larghezza della strada, se
superiore tale frazione a 5 m.
B) ABUSI "SINGOLI" SU INTERSEZIONE STRADALE
Sarà opportuno assumere una perimetrazione flessibile
con valori minimi e massimi, entro i quali l'amministrazione
comunale, sentito l'ente proprietario della strada,
possa adottare le sue determinazioni:
- valore minimo: lo stesso di cui al punto a);
- valore massimo: quello di cui al decreto ministeriale
1-4-1968, n.1404 ma con distacchi limitati ad una sola
lunghezza.
Al di fuori di tali valori, la concessione in sanatoria
sarà comunque negata.
C) ABUSI PLURIMI O DI DIMENSIONI NOTEVOLI SU STRADA
IN RETTILINEO
Non potranno essere rilasciate concessioni quando manchi
un distacco pari almeno alla metà dei valori
di cui alla tabella dell'art.4, del D.M. 1-4-1968,
n.1404.
D) ABUSI PLURIMI SU INTERSEZIONE STRADALE.
Sarà opportuno considerare una fascia avente
la dimensione:
- minima: corrispondente all'art.5 del decreto ministeriale
1- 4-1968, n.1404 con distacchi limitati ad una sola
lunghezza;
- massima: il valore integrale dell'art.5 dello stesso
decreto ministeriale.
Al di sotto di detti valori minimi non appare possibile
alcuna concessione in sanatoria.
E) ABUSI SINGOLI O PLURIMI IN CORRISPONDENZA DI CURVE,
DOSSI, DISUNIFORMITÀ PLANO-VOLUMETRICHE.
L'ampia diversificazione dei casi in concreto riscontrabili
suggerisce di conferire l'accertamento della "minaccia"
alla valutazione documentata delle amministrazioni
comunali e degli enti proprietari delle strade, fermo
restando il minimo inderogabile di cui al comma 3 dell'art.19
della legge 6-8-1967, n.765. Naturalmente, le amministrazioni
dovranno tenere massimo conto della casistica degli
incidenti verificatisi in dette zone.
Si ritiene, inoltre, essenziale prescrivere che nei
casi c), d) ed e), le amministrazioni comunali subordinino
il rilascio della concessione in sanatoria alla destinazione
a parcheggio, mediante atto d'obbligo in forma pubblica,
della intera fascia residua tra strada ed edificio:
a destinazione privata per quanto richiesto dall'art.18
della legge 6-8-1967, n.765, e dall'ultimo comma dell'art.26
della legge n.47 del 1985, ed anche a destinazione
pubblica ove nei fabbricati coesistano attività
commerciali, artigianali o produttive.
Comunque, il rilascio della concessione, per le costruzioni
nelle fasce di rispetto stradale, è subordinato
anche al parere favorevole dell'ente proprietario della
strada.
Quando le condizioni indicate non si verifichino, le
opere abusive sono da considerarsi non suscettibili
di sanatoria; e pertanto, nei loro confronti trovano
applicazione le disposizioni del capo I.
Per le opere abusive realizzate da privati su aree di
proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali,
senza titolo che abiliti al godimento del suolo, il
rilascio della concessione o dell'autorizzazione in
sanatoria è subordinato anche alla disponibilità
dell'ente a concedere onerosamente l'uso del suolo
su cui insiste la costruzione.
Le opere in questione, tuttavia, ai sensi dell'art.33
della legge, sono insuscettibili di sanatoria anche
dopo aver eventualmente ottenuto la concessione del
suolo in tutti i casi in cui ricadono in zone sottoposte
a vincolo di inedificabilità ovvero, ai sensi
dell'art.32, sono sanabili soltanto se si verifichino
le condizioni ivi previste.
5. OPERE NON SUSCETTIBILI DI SANATORIA (art.33)
L'indicazione delle opere abusive non suscettibili di
sanatoria, contenuta nell'art.33 comprende il contrasto
con <<ogni... vincolo che comporti la inedificabilità
delle aree>>. Quest'ultima dizione contenuta
nella lettera d) deve considerarsi di carattere residuale
con la conseguenza che le lettere precedenti sono meramente
esemplificative.
L'ampiezza dell'indicazione è evidente anche
in relazione alla inclusione, tra i vincoli tutelati,
di quelli imposti non solo dalle leggi, statali e regionali,
ma anche da strumenti urbanistici.
Le opere in questione, tuttavia, debbono essere state
realizzate dopo l'imposizione del vincolo, per essere
insuscettibili di sanatoria.
Là dove l'opera sia stata realizzata prima dell'imposizione
del vincolo si è evidentemente al di fuori dell'art.33
ma non per questo al di fuori di ogni fattispecie limititativa.
Si ritiene infatti che debba farsi applicazione della
norma di carattere generale contenuta nel primo comma
dell'art.32, con la conseguenza che i vincoli assumono
un contenuto e una efficacia analoghi a quelli parziali.
Le opere realizzate su immobili vincolati ai sensi della
legge n.1089 del 1939 sono di sanabilità condizionata,
poiché la loro esclusione dalla sanatoria si
verifica soltanto nella ipotesi in cui siano incompatibili
con la tutela prevista dalla menzionata legge.
Tale valutazione non può che competere all'autorità,
come individuata ai sensi dell'art.32, il cui parere
negativo - sempre in analogia con quanto previsto in
quest'ultimo articolo - sarà vincolante ai fini
della sanatoria.
Non si ritiene invece possibile anche l'applicazione
in via estensiva della speciale disciplina del silenzio-rifiuto
e pertanto nei casi di omissioni dovrà farsi
luogo ai princìpi generali dell'istituto (domanda
più diffida).
Pertanto, il giudizio di insanabilità non può
competere al comune ma, come per le opere di cui al
comma 1 dell'art.32 è di spettanza dell'amministrazione
preposta alla tutela del vincolo: il comune (o l'interessato)
dovranno, pertanto, chiedere il parere previsto dalla
disposizione ora menzionata.
Il recupero di opere abusive in contrasto con vincoli
di inedificabilità mediante variante allo strumento
urbanistico generale, deve considerarsi inammissibile
tutte le volte che il vincolo medesimo è posto
da leggi statali o regionali; è, invece, da
ritenere consentito quando esso è previsto dal
piano regolatore. Solo in questa ultima ipotesi il
comune può "disporre" (modificandolo
o eliminandolo) del vincolo preesistente, emanazione
della sua volontà.
Per le opere non suscettibili di sanatoria si applicano
le sanzioni del capo I ed in particolare la demolizione,
stante la preminente esigenza di assicurare la salvaguardia
dei valori tutelati col vincolo.
6. SOMMA DA CORRISPONDERE PER OTTENERE LA CONCESSIONE IN SANATORIA: L'OBLAZIONE (art.34)
La legge subordina il conseguimento della concessione
o dell'autorizzazione in sanatoria al pagamento di
una somma all'erario (oblazione) e, nei casi previsti,
di un'altra somma al comune (contributo di concessione).
Quanto all'oblazione, la somma unitaria a metro quadrato
di superficie da corrispondere è indicata nella
tabella allegata alla legge, che prevede sette tipologie
di abuso e tre fasce temporali.
La somma da versare è determinata - peraltro,
in via provvisoria - dal soggetto che presenta l'istanza
di concessione in relazione alla superficie dell'opera
o della parte dell'opera abusivamente realizzata; alla
tipologia dell'abuso; al momento in cui l'abuso è
stato realizzato. La legge, inoltre, per tener conto
di particolari aspetti, oggettivi e soggettivi, dell'abuso
e diversificare conseguentemente l'oblazione, prevede
alcuni correttivi, maggiorativi o diminutivi, da applicare
al valore tabellare.
A) LA TABELLA
Le tipologie degli abusi sono ordinate, nella tabella,
in scala decrescente, a partire da quella di maggior
gravità.
La tipologia 1 riguarda le opere realizzate in assenza
di titolo o in difformità da questo, e, comunque,
non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici sia al momento in cui i
lavori furono iniziati, sia al momento in cui la domanda
di concessione viene presentata.
La tipologia 2 riguarda le opere abusive, nel senso
ora detto, al momento dell'inizio dei lavori, ma conformi
alla normativa urbanistico-edilizia alla data di entrata
in vigore della legge n.47 del 1985. Ricadono in tale
tipologia di abuso, pertanto, le opere che sono diventate
conformi a seguito di varianti allo strumento urbanistico,
purché approvate non semplicemente adottate
- al momento dell'entrata in vigore della legge: ivi
comprese le varianti di recupero formate dai comuni,
nelle regioni - quali il Lazio e la Sicilia - che hanno
già legiferato in materia, quando i comuni abbiano
già deliberato tali varianti e queste siano
state approvate.
La tipologia 3 riguarda gli abusi formali: cioè
le opere realizzate in assenza di titolo, ma conformi
alla normativa vigente all'inizio dei lavori. La concessione
in sanatoria, pertanto, può essere richiesta
e rilasciata anche se, all'entrata in vigore della
legge o al momento della presentazione dell'istanza,
la disciplina urbanistica della zona interessata è
mutata, così che l'opera abusiva soltanto formalmente
al momento dell'inizio dei lavori è, attualmente,
in contrasto sostanziale con la normativa ora vigente.
La tipologia 4 riguarda interventi abusivi eseguiti
su edifici esistenti - a suo tempo realizzati in base
a regolare licenza o concessione - che non abbiano
comportato aumento della superficie utile o del volume
assentito; opere di ristrutturazione edilizia realizzate
senza titolo; modifiche di destinazione d'uso.
Ricadono nel primo gruppo di interventi le modifiche
della sagoma che abbiano lasciato invariata superficie
e volume assentiti; le lievi traslazioni dell'edificio,
che non siano tali da comportare totale difformità
dalla licenza o dalla concessione, ecc. Ai fini del
calcolo dell'oblazione non vanno comunque, computati
- secondo il disposto dell'art.51 - i volumi tecnici
e i manufatti realizzati negli stabilimenti, indicati
dalla norma ora citata, anche se per tali opere deve
essere chiesta la concessione in sanatoria, quando
siano state realizzate senza titolo.
Quanto al mutamento della destinazione d'uso, quello
preso in considerazione al punto 4 della tabella allegata
alla legge è il mutamento accompagnato da opere,
che può definirsi strutturale; mentre quello
funzionale - cioè senza realizzazione di opere
- non forma oggetto di sanatoria.
Ciò è dimostrato dagli atti parlamentari
e dalla stessa legge n.47 del 1985. Innanzitutto, la
previsione di una oblazione per tali mutamenti, che
esisteva nella versione del disegno di legge approvata
dalla Camera dei deputati, è scomparsa nel successivo
iter parlamentare. In secondo luogo, l'art.25, ultimo
comma, della legge riduce entro ambiti precisi e limitati
la facoltà dei comuni di disciplinare, eventualmente,
il mutamento funzionale di destinazione d'uso.
La soluzione adottata dal legislatore appare, d'altra
parte, equilibrata in relazione ai contrasti giurisprudenziali
che si erano verificati vigente la precedente legislazione.
Inoltre, per essere rilevante ai fini che qui interessano,
il mutamento di destinazione d'uso deve implicare variazione
tipologica degli standards previsti dal decreto ministeriale
2-4-1968.
Ciò premesso, deve precisarsi che, di norma,
rientrano nella tipologia di abuso 4 le modifiche,
con opere, relative a superfici o volumi residenziali
- come tali computati ai fini del rilascio della originaria
licenza o concessione - che abbiano ricevuto altra
destinazione: così ad esempio, la trasformazione
di una abitazione in studio professionale.
Non rientrano invece nella tipologia 4 ma in quella
1 - od eventualmente nella 2 o nella 3 - le trasformazioni,
con opere, di superfici o volumi non computati ai fini
del rilascio del titolo originario, in superfici o
volumi destinati alla residenza o all'uso produttivo.
Così, ad esempio, ricadrà nella tipologia
1 (o 2 o 3) la trasformazione di soffitte, cantine,
stenditoi o lavatoi coperti (ove il regolamento edilizio
non li ricomprenda nei volumi considerati ai fini del
computo dell'indice di edificabilità) in abitazione;
nella stessa tipologia ricadrà la chiusura di
spazi aperti (ad esempio: balconi) anche con pareti
vetrate; o la chiusura di portici o di altri spazi
aperti individuati da pilastri. In questi casi - poiché
la modifica di destinazione ha comportato non solo
un uso diverso, ma anche l'aumento del volume o della
superficie utile - dovrà essere corrisposto
anche il contributo di concessione, nella misura stabilita
dalle disposizioni regionali.
Le tipologie 5 e 6 riguardano ambedue gli abusi consistenti
in opere di restauro e risanamento conservativo eseguite
senza titolo in difformità da questo: quando
tali opere sono realizzate nei centri storici - purché
non si tratti di interventi finalizzati all'adeguamento
igienico, che ricadono nella tipologia 6 - sono assoggettati
alla più onerosa oblazione prevista per la tipologia
5.
La tipologia 7 prevede le opere di manutenzione straordinaria
realizzate senza titolo o in difformità da questo;
le opere o modalità di esecuzione non valutabili
in termini di superficie o di volume; le varianti in
corso d'opera.
Quanto alle opere di manutenzione straordinaria, rientrano
nella tipologia quelle che riguardano l'esterno degli
edifici e, comunque, quelle che non rientrano della
categoria delle "opere interne" di cui all'art.26.
Per le opere non valutabili in termini di superficie
o di volume (ad esempio: scale, apertura o chiusura
di vani per finestre o porte; piccole pensiline, ecc.)
deve farsi presente che l'oblazione prevista deve essere
pagata una sola volta, anche se nell'ambito della stessa
unità immobiliare siano stati effettuati più
abusi dello stesso tipo: quando, ad esempio, siano
stati aperti due vani finestra; ovvero sia stata chiusa
una finestra e aperta un'altra. Quando, tuttavia, per
la quantità delle opere e per il loro collegamento
funzionale, anche con opere interne, l'intervento realizzato
debba considerarsi ricadente in altra tipologia di
abuso (ad esempio ristrutturazione edilizia) la richiesta
di concessione in sanatoria non potrà riguardare
le singole opere (non valutabili in termini di superficie
o di volume) ma l'intervento complessivo realizzato.
Infine, nella tipologia 7 ricadono abusi previsti anche
in altre tipologie, quando siano stati commessi in
corso d'opera. Le opere debbono avere le caratteristiche
indicate all'art.15 della legge n.47 del 1985; per
esse la concessione in sanatoria è necessaria,
in quanto non è stata richiesta l'approvazione
prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
o, meglio, prima del rilascio del certificato di abitabilità,
come precisa il comma 12 dell'art.15 della legge n.10
del 1977 vigente quando le opere venivano realizzate.(art.2
L.47/85).
Quanto alle note della tabella deve farsi presente che
la nota 1 era stata introdotta nel disegno di legge
quando la oblazione veniva calcolata in percentuale
del contributo di concessione, determinato, secondo
i parametri regionali, alcune volte in base alla superficie
ed altre volte in base al volume. L'oblazione, così
come è configurata nella legge approvata, fa,
invece, esclusivo riferimento alla superficie.
Deve, infine, sottolinearsi che la nota 4 precisa che
l'oblazione non può essere, in nessun caso,
corrisposta in misura inferiore a quella prevista per
la tipologia settima.
b) I COEFFICIENTI CORRETTIVI
Come si è detto, la legge prevede alcuni coefficienti
maggiorativi o diminutivi dell'oblazione, per tener
conto di situazioni soggettive ed oggettive.
Speciale considerazione è riservata, alla prima
casa: (il cosiddetto abusivismo di necessità)
per la quale l'oblazione ai fini del rilascio della
concessione è ridotta di un terzo.
Tale riduzione è concessa purché si verifichino
due condizioni. La prima è che l'abitazione
sia stata "eseguita o acquistata" dal soggetto
che presenta l'istanza; e pertanto il richiedente deve
essere il proprietario dell'immobile da sanare. Non
possono, conseguentemente, chiedere il beneficio della
riduzione soggetti che usufruiscono dell'opera abusiva
come "prima abitazione" ma a titolo diverso
dalla proprietà (locazione, uso, abitazione,
ecc.) anche se legati al proprietario da vincoli di
parentela; né può chiedere tale beneficio
il proprietario di uno o più alloggi che abbia
destinato questi a "prima abitazione" di
parenti, anche in primo grado.
La seconda condizione è che il richiedente la
sanatoria risieda nell'unità immobiliare per
la quale ha presentato la relativa domanda; a meno
che si tratti di opera ultimata, ma non completata,
ai sensi dell'art.31 e, pertanto, non abitabile.
La riduzione si applica per unità immobiliari
di qualsiasi superficie - purché non si tratti
di abitazioni di lusso, ovvero classificate catastalmente
A1 - limitatamente ai primi 150 mq. Pertanto, il calcolo
dell'oblazione, quando l'abitazione superi la misura
ora indicata, dovrà essere effettuato distinguendo
le superfici in relazione al diverso regime cui sono
sottoposte.
Una ulteriore riduzione, pari al 50 per cento dell'importo
già ridotto, è concessa ai soggetti -
anche in questo caso non può trattarsi che dei
proprietari - che stipulano con il comune la convenzione
o l'atto di obbligo per determinare canoni di locazione
e prezzi di vendita delle unità immobiliari,
costituenti prima abitazione.
La riduzione di un terzo e quella connessa al convenzionamento
si applicano, ai fini della determinazione dell'oblazione,
per intere unità immobiliari costituenti prima
abitazione e non per abusi consistenti in ampliamenti,
interventi sul patrimonio edilizio esistente, ecc.
pur realizzati in una prima abitazione. Anche per la
prima abitazione vale il disposto della nota 4 della
tabella, circa l'importo minimo da corrispondere.
Il normale convenzionamento, ai sensi degli artt. 7
e 8 della legge n.10 del 1977, che consente di ottenere
la riduzione del contributo di concessione alla sola
quota commisurata alle opere di urbanizzazione, può,
invece, essere chiesto da qualsiasi soggetto che presenti
l'instanza di concessione in sanatoria, alle condizioni
previste dalle convenzioni comunali.
Quanto alle maggiorazioni, quella del comma 2 è
generale: essa si applica, cioè, a tutte le
opere abusive aventi superfici superiori a quelle indicate
nel comma medesimo; a meno che non si tratti degli
abusi indicati al quinto comma, per i quali è
prevista una specifica disciplina delle riduzioni e
delle maggiorazioni.
Deve, infine, farsi presente, quanto alle maggiorazioni
previste per le superfici, che esse si applicano alle
singole opere abusive aventi specifica rilevanza e
autonomamente utilizzabili e costituenti, di norma,
una unità immobiliare; e non al complesso delle
opere eventualmente realizzate dal soggetto istante
nell'ambito del comune o dell'intero territorio nazionale.
Quando, tuttavia, le opere abusive costituiscano un
complesso unitario, sia pure suddiviso o suddivisibile
in più unità immobiliari, le maggiorazioni
previste dal comma 2 si applicano all'intera opera
abusiva, almeno fino a quando questa resti nella disponibilità
del costruttore o, comunque, di un unico proprietario.
E pertanto dovranno essere sommate, ai fini della maggiorazione
dell'oblazione le superfici di singole unità
immobiliari comprese nello stesso edificio o quelle
degli edifici compresi in una lottizzazione abusiva;
non così per quelle di unità immobiliari
ubicate in zone diverse, sia pure appartenenti allo
stesso proprietario. Invece, le maggiorazioni relative
alla superficie si applicano quando il richiedente
la sanatoria sia l'acquirente- proprietario di più
unità immobiliari ubicate in una singola "opera
abusiva".
7. RATEIZZAZIONI (art.36)
L'oblazione può essere rateizzata. Tutti i soggetti
che presentano la domanda di sanatoria possono corrispondere
l'oblazione in tre rate: una al momento della presentazione
della domanda pari alla metà e le altre due,
maggiorate del 10 per cento in ragione di anno, rispettivamente
nei successivi 120 e 60 giorni. Ma quando l'abuso costituisce
la prima abitazione, il responsabile dell'abuso medesimo
può ottenere una rateizzazione maggiore: 16
rate trimestrali per chi abbia i requisiti di reddito
per essere assegnatario in locazione di un alloggio
di edilizia pubblica sovvenzionata e 8 rate, egualmente
trimestrali, quando il reddito sia quello previsto
per accedere ai mutui agevolati dell'edilizia residenziale
pubblica.
Il numero di rate sopraindicato è il massimo
concesso dalla legge; ma - stante il limite minimo
di importo di ciascuna rata, fissato in 150.000 lire
- quando l'importo dell'oblazione non sia elevato,
la rateizzazione fruibile potrà risultare contenuta
in un numero minore di trimestralità.
Anche per la rateizzazione vale quanto si è detto
a proposito delle riduzioni dell'oblazione per la prima
abitazione: e cioè che essa non si applica quando
si tratti di ampliamenti, interventi su fabbricati
esistenti, ecc.
Deve, infine, farsi presente che il disposto dell'art.4
del decreto legge 22-7-1985, n.356, che fissa la prima
rata dell'oblazione in una somma pari alla metà
dell'oblazione, non trova applicazione quando la rateizzazione
è effettuata nelle ipotesi previste ai commi
1 e 2 dell'art.36.
8. IL CONTRIBUTO DI CONCESSIONE (art.37)
Oltre la somma da corrispondere all'erario a titolo
di oblazione, il responsabile dell'abuso deve versare
al comune il contributo di concessione (art.37). Questo
è dovuto per le opere abusivamente realizzate
dopo l'entrata in vigore della legge n.10 del 1977,
purché non sia stato versato in precedenza:
come può verificarsi quando una costruzione
sia stata eseguita in base a concessione edilizia,
ma in totale difformità dal titolo ottenuto.
La misura del contributo e le modalità di versamento
sono stabilite dalle leggi regionali che possono modificare
le precedenti disposizioni in materia.
Un contributo concessorio, in misura non superiore a
quello commisurato alle opere di urbanizzazione, può,
inoltre, esser previsto, sempre con legge regionale,
anche per il periodo precedente all'entrata in vigore
della legge n.10 del 1977, compreso tra il 1o settembre
1967 e il 30 gennaio 1977.
E' da far presente che i soggetti indicati all'art.6
(titolare della concessione, committente, costruttore,
direttore dei lavori), i quali presentano autonoma
domanda di oblazione ai sensi e per gli effetti dell'art.38
della legge n.47 del 1985, non debbono corrispondere
il contributo di concessione, che resta a carico del
richiedente la concessione; e ciò anche in relazione
al principio - affermato dal Consiglio di Stato e divulgato
dal Ministero dei lavori pubblici con la circolare
del 30-7-1981, n.1669 - secondo il quale il contributo
di concessione ha natura di corrispettivo per le opere
di urbanizzazione che il comune ha tenuto a realizzare
e, pertanto, non può essere riscosso più
di una volta.
9. PROCEDIMENTO PER LA SANATORIA - LA DOMANDA DI CONCESSIONE (art.35)
Il procedimento per ottenere la concessione o l'autorizzazione
in sanatoria inizia con la presentazione della domanda
al comune. Tale domanda deve essere fatta esclusivamente
sui modelli n.47/85 predisposti dal Ministero dei lavori
pubblici e stampati a cura dell'Istituto Poligrafico
e Zecca dello Stato, approvati con decreto ministeriale
19-7-1985.
I modelli sono predisposti in quattro versioni, in relazione
alle singole tipologie di abuso relative ad opere ad
uso residenziale (mod. 47/85-A per le tipologie 1,
2, 3; mod. 47/85-B per le tipologie 5 e 6; mod. 47/85-C
per la tipologia 7) in una versione relativa alle opere
non destinate alla residenza, per tutte le tipologie
(modello 47/85-D); oltre ad un modello riepilogativo
(modello 47/85-R) delle domande presentate. Essi possono,
pertanto, soddisfare ogni esigenza, per quanto riguarda
le dichiarazioni degli interessati. Nulla vieta, tuttavia,
che in casi specifici - ove si ritenga opportuno fornire
altri dati oltre quelli richiesti, ovvero segnalare
particolari situazioni che non trovano spazio nei modelli
- si alleghi al modello uno o più fogli aggiunti,
debitamente firmati, con l'indicazione degli elementi
e dati integrativi.
I modelli sono stampati in un esemplare per il comune
e in due copie, una per il Ministero dei lavori pubblici,
l'altra per il contribuente. L'esemplare per il comune
e la copia per il Ministero sono inseriti nella busta
appositamente predisposta e stampata; la copia per
il Ministero deve essere trasmessa dal comune alla
prefettura che provvederà a farla pervenire
al competente Ministero.
La domanda deve essere presentata entro il termine perentorio
del 30 novembre 1985. Essa può pervenire al
comune anche per posta, attraverso plico raccomandato
con avviso di ricevimento.
Nei casi in cui il richiedente la concessione intenda
ottenere copia conforme della domanda presentata -
ad esempio per i fini di cui al comma 2 dell'art.40
della legge - deve rivolgersi, di norma, al comune,
che è tenuto a rilasciarla. Qualora, tuttavia,
l'interessato abbia necessità di ottenere tale
documento in tempi più brevi di quelli occorrenti
al comune, può provvedere diversamente: ad esempio,
mediante notifica; oppure presentando al notaio, per
l'autentica della firma, l'originale ed una copia della
domanda di concessione e chiedendo al comune di apporre
il proprio timbro e numero di protocollo, senza attestazione
di conformità, sulla copia autenticata.
La legge prevede due ipotesi particolari, nelle quali
è consentito presentare la domanda entro termini
diversi da quello generale. La prima ipotesi considera
la eventualità che il titolo a costruire - relativamente
ad opere ultimate entro il 1o ottobre 1983 - venga
annullata ovvero dichiarato decaduto o inefficace dopo
l'entrata in vigore della legge n.47 del 1985. In tal
caso è assegnato all'interessato un termine
di 120 giorni, a partire dalla data di notifica del
provvedimento per presentare la domanda.
A questo riguardo deve farsi presente che l'art.31 stabilisce
che possono chiedere la concessione in sanatoria coloro
"nei cui confronti sia in corso procedimento di
annullamento di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria
o amministrativa". Il termine di cui all'art.35
riguarda, pertanto, i procedimenti di annullamento
o di dichiarazione di decadenza o di inefficacia iniziati
prima dell'entrata in vigore della legge n.47 del 1985;
non quelli eventualmente instaurati, anche entro il
30 novembre 1985, avverso provvedimenti comunali o
regionali di annullamento o di declaratoria di decadenza,
emessi dagli organi competenti.
La seconda ipotesi è prevista dall'art.40, secondo
il quale, quando l'abuso non riguardi totale difformità
o assenza del titolo, la domanda di concessione in
sanatoria può essere presentata entro un anno
dall'entrata in vigore delle legge n.47 del 1985, sia
pure dietro pagamento di una oblazione doppia rispetto
alla norma.
La domanda di concessione in sanatoria deve essere presentata
per singole unità immobiliari, così come
accatastate ovvero suscettibili di accatastamento.
Le connessioni tra singole unità immobiliari
- nel senso indicato all'art.34 - che possono portare
al cumulo delle superfici ed alla maggiorazione dell'oblazione
debbono risultare dal modello utilizzato.
Qualora si verificasse che, in un edificio abusivo composto
di più unità immobiliari alcuni proprietari
soltanto provvedano a chiedere la concessione in sanatoria,
nulla vieta che la sanatoria venga rilasciata per una
parte soltanto dell'edificio. Ai soggetti che hanno
presentato l'istanza di concessione sarà accordato
- alle condizioni di legge - il certificato di abitabilità;
ai soggetti inerti saranno applicate le sanzioni, secondo
il disposto dell'art.40, che consisteranno nella gratuita
acquisizione delle unità immobiliari non sanate.
9.1. LA DOCUMENTAZIONE (art.35)
Alla domanda debbono essere allegati alcuni documenti.
Il primo tra essi è costituito dalla prova dell'eseguito
versamento dell'oblazione. Esso va effettuato esclusivamente
sui moduli di conto corrente postale appositamente
predisposti e in distribuzione presso gli uffici postali.
Quanto alla documentazione tecnica, l'art.35 non prescrive
la presentazione del progetto, ma soltanto che siano
allegate alla domanda la descrizione delle opere, le
dichiarazioni sullo stato dei lavori, la documentazione
fotografica, ecc.
Deve, tuttavia, rilevarsi che la documentazione prodotta
deve essere tale da consentire al comune di rilasciare
la concessione o l'autorizzazione in sanatoria richiesta.
D'altra parte essa deve dare all'interessato la certezza
del suo diritto: solo la chiara documentazione di ciò
che è stato sanato lo metterà al riparo
da futuri accertamenti di abusi presunti e gli darà
la possibilità di ottenere i provvedimenti eventualmente
necessari per modificare l'opera sanata. Inoltre, quando
l'opera è ultimata al rustico, ma non è
completata, è necessario rappresentare al comune,
che deve rilasciare la concessione, come l'opera sarà
completata nella distribuzione interna, nelle finiture,
ecc.
E' pertanto da ritenere - fermo restando che, ai sensi
del comma 9 dell'art.35 il comune può chiedere
integrazioni dei documenti presentati - che, quanto
meno per le prime tre tipologie di abuso sia opportuno
se non necessario, presentare anche il progetto delle
opere. Il modello di domanda, comunque, è corredato
da una busta che può contenere anche gli atti
progettuali.
Tornando alla documentazione esplicitamente prescritta
dall'art.35, deve farsi presente che la "descrizione
delle opere" di cui alla lettera a) - necessaria
sia per le costruzioni ultimate ma non completate sia
per quelle abitabili o agibili - è effettuata
correttamente compilando in tutte le sue parti il modello
di domanda di concessione predisposto dal Ministero
dei lavori pubblici.
La documentazione della lettera b) riguarda, invece,
essenzialmente - anche se non unicamente - le opere
ultimate al rustico ai sensi del comma 2 dell'art.31
ma non ancora completate. La dichiarazione sullo stato
dei lavori, corredata dalla documentazione fotografica
e la perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato
delle opere quando l'opera abusiva superi i 450 mc.-
sono necessarie per individuare con certezza la consistenza
delle opere da sanare, quando le opere medesime non
siano ancora completate.
Quanto alla certificazione attestante l'idoneità
statica delle opere, essa deve essere sempre presentata,
quando l'opera abusiva superi i mc.450 e deve riguardare
anche l'intero edificio nei casi in cui l'opera medesima,
avente volume superiore alla detta misura, faccia parte
di un edificio di maggiori dimensioni, per l'evidente
ragione che un carico supplementare influisce sulla
statica dell'intero edificio.
Quando un edificio abusivo superi il volume in questione,
ma sia formato da più unità immobiliari,
tutte inferiori a detta misura ed appartenenti a diversi
proprietari, la certificazione relativa allo stato
delle opere e all'idoneità statica deve essere
presentata dall'amministrazione condominiale, ove esista;
ovvero da uno dei proprietari anche per gli altri.
Il sindaco, comunque, può condizionare il rilascio
delle singole concessioni in sanatoria alla presentazione
di detta certificazione.
I soggetti che intendono chiedere la riduzione della
oblazione per la prima abitazione debbono inoltre allegare
(lettera c) un certificato di residenza. Nel caso in
cui l'alloggio ultimato non sia abitabile, perché
incompleto, l'interessato potrà allegare una
dichiarazione per affermare di aver eseguito - prima
del 1o ottobre 1983 - o acquistato l'unità immobiliare
allo scopo di destinarla a propria prima abitazione
e di assumere l'obbligo di abitarla appena completata.
Gli stessi soggetti, se intendono ottenere la rateizzazione
prevista dall'art.36 sono tenuti a presentare anche
la dichiarazione dei redditi. I responsabili di opere
abusive destinate alla produzione allegano alla domanda
un certificato della competente camera di commercio
dal quale risulti che la sede dell'impresa - nel senso
di luogo nel quale si svolge l'attività produttiva,
non di sede legale - è situata nei locali per
i quali si chiede la concessione in sanatoria. Ciò
ai fini dell'applicazione del disposto del comma 5
dell'art.34, e, in particolare, per determinare le
riduzioni dell'oblazione previste in relazione alle
superfici coperte complessive, che appunto spettano
a chi utilizzi l'opera per attività produttive
e non al costruttore - venditore dell'opera o all'imprenditore
che non utilizza i locali abusivi per lo svolgimento
della sua attività. Le maggiorazioni dell'oblazione,
invece, colpiscono, comunque, il soggetto che richiede
la sanatoria.
Deve, solo, precisarsi che le imprese agricole, le quali
non sono iscritte alla camera di commercio, in sostituzione
del certificato camerale, possono presentare altra
attestazione, quale, ad esempio, quella riguardante
la qualifica di coltivatore diretto rilasciata dal
comune, ovvero analoga dichiarazione delle organizzazioni
professionali o sindacali dell'agricoltura, ecc.
Infine, tutti coloro i quali chiedono la concessione
in sanatoria, devono allegare la prova dell'avvenuta
presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione
necessaria per l'accatastamento; ovvero, quando l'accatastamento
sia già avvenuto, la relativa certificazione.
Qualora il professionista incaricato di rilasciare la
certificazione statica non ritenga l'opera "collaudabile"
l'interessato deve presentare un progetto di adeguamento,
anch'esso redatto da un tecnico abilitato.
Tale progetto - stante il limitato tempo a disposizione
- può essere presentato anche separatamente
dalla domanda: ma, comunque, entro 120 giorni da questa.
Il comma 6 dell'art.35 precisa, infatti, che entro
tale termine "l'interessato integra, ove necessario,
la domanda a suo tempo presentata". Pertanto,
nella ipotesi ora fatta, l'interessato dovrà,
nel presentare la domanda, dichiarare la inidoneità
statica della costruzione, ed il proprio intendimento
di presentare un progetto di adeguamento; nei 120 giorni
successivi presenterà il progetto preannunziato;
al momento della ultimazione dell'intervento di adeguamento
presenterà la certificazione di idoneità
statica; il rilascio della concessione seguirà
la presentazione della detta certificazione.
Quanto al progetto in questione, deve precisarsi che
la sua qualificazione "di adeguamento" sta
a significare che esso deve prevedere interventi sulle
strutture che non modifichino l'edificio nella sua
consistenza volumetrica e di superficie; e che, anzi,
conservi le strutture già realizzate, pur rendendole
staticamente idonee in relazione alla loro funzione.
Non sarebbe, pertanto, ammissibile non solo un ampliamento
dell'esistente, ma neppure una demolizione e ricostruzione,
quando le strutture fossero talmente inidonee, da non
poter essere rese staticamente collaudabili mediante
opere di adeguamento.
Deve sottolinearsi - a proposito sia della certificazione
statica che del progetto di adeguamento - la rilevanza
e la delicatezza del compito affidato al professionista.
Detta certificazione sostituisce, infatti, a tutti
gli effetti, gli accertamenti, in ordine alla idoneità
statica, al cemento armato, al rispetto delle norme
sismiche, altrimenti attribuiti agli uffici statali
e regionali. Si tratta, in concreto, del trasferimento
al professionista di compiti normalmente spettanti
ad uffici pubblici. Questi ultimi peraltro sono senz'altro
autorizzati ad effettuare tutti gli interiori accertamenti
ritenuti necessari.
Come si è detto, il comma 6 dell'art.35 dà
la facoltà all'interessato di integrare, nei
120 giorni successivi alla presentazione della domanda,
la domanda medesima. La disposizione, insieme a quella
del comma 9 che faculta il sindaco ad invitare, ove
lo ritenga necessario, l'interessato ad integrare la
documentazione presentata, rende palese che la presentazione
della domanda è soggetta ad un termine perentorio,
ma che l'incompletezza della documentazione non è
motivo di invalidità della domanda medesima.
Il comma 7 dell'art.35 riguarda le costruzioni abusive,
realizzate in comprensori lottizzati: in questa ipotesi
non è sufficiente il versamento dell'oblazione
per ottenere il rilascio della concessione in sanatoria,
ma è necessario anche assumere, mediante convenzione,
l'impegno a partecipare, per la quota di spettanza,
agli oneri di urbanizzazione dell'intero comprensorio.
9.2. IL COMPLETAMENTO DELLE OPERE ULTIMATE (art.35)
Trascorsi 120 giorni dalla presentazione della istanza
l'interessato può completare l'opera ultimata,
purché abbia versato la seconda rata dell'oblazione.
E' da ritenere, in relazione alla lettera della legge,
che le due condizioni - pagamento della seconda rata
dell'oblazione e decorso del termine - debbano essere
ambedue presenti e non sia sufficiente, perciò,
pagare due rate dell'oblazione per chiedere al comune
di iniziare i lavori.
Quanto al pagamento, deve rilevarsi che, a seguito del
decreto legge 22-7-1985, n.356, che ha portato l'importo
della prima rata alla metà dell'intera oblazione,
l'interessato deve corrispondere i tre quarti della
intera somma per poter iniziare i lavori di completamento.
I soggetti che fruiscono della rateizzazione prevista
dall'art.36 corrisponderanno, rispettivamente, due
sedicesimi e due ottavi dell'intero; ma, se non vorranno
anticipare i versamenti trimestrali, dovranno attendere
6 mesi per iniziare i lavori.
Il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione
in sanatoria può completare i lavori <<sotto
la sua responsabilità>>.
E ciò sta a significare che tocca all'interessato
controllare il rispetto della normativa e del progetto
presentato al comune. Tra l'altro, deve ottenere il
parere di cui al comma 1 dell'art.32, ove necessario;
e deve accertarsi che l'opera non ricada in una delle
ipotesi di insuscettibilità della sanatoria
di cui all'art.33.
Il comune - cui l'interessato deve notificare il proprio
intendimento, ha 30 giorni per intervenire, nel senso
di comunicare eventuali fatti ostativi all'esecuzione
dei lavori; ma il decorso del termine non priva il
comune - anche inerte - dei suoi poteri di vigilanza
e di repressione, pur dopo l'esecuzione dei lavori.
L'esecuzione dei lavori di completamento quando l'opera
non sia suscettibile di sanatoria, ovvero l'esecuzione
di modifiche delle strutture ultimate ai sensi dell'art.31
o l'aver disatteso il parere sfavorevole della competente
amministrazione, comportano l'applicazione delle sanzioni
previste al capo 1 della legge n.47 del 1985.
Quanto al parere delle amministrazioni competenti alla
tutela del vincolo, spetta all'interessato avanzare
la relativa richiesta e trasmettere al comune il parere
ottenuto.
9.3. IL PROCEDIMENTO IN SEDE COMUNALE (art.35)
Il comma 9 disciplina il procedimento in sede comunale.
Il sindaco è tenuto a fare gli accertamenti
che ritenga opportuni e che varieranno in relazione
allo stato dell'opera. Egli, comunque, può chiedere
all'interessato i documenti a suo avviso indispensabili
ai fini del rilascio della concessione o dell'autorizzazione:
sempre, tuttavia, considerando che il titolo richiesto
è - verificandosi le condizioni di legge - un
atto dovuto. E, pertanto, andrebbe oltre il consentito
il sindaco che chiedesse documentazione relativa a
condizioni o ad esclusioni non previste dalla legge;
ovvero che subordinasse il rilascio della concessione
al verificarsi di tali condizioni. Il sindaco, comunque,
potrà sempre richiedere documentazione tecnica
relativa all'opera, a cominciare dal progetto; nonché
altri documenti o elaborati intesi ad individuare l'opera
in tutte le sue caratteristiche.
E' da rilevare che il disposto del comma 9 ribadisce
l'interpretazione prima data, secondo la quale la documentazione
può essere presentata fino a quando il comune
non abbia deciso in ordine all'istanza: la quale non
è invalida per la incompletezza della documentazione.
Il sindaco è tenuto anche a verificare l'esattezza
dell'oblazione determinata provvisoriamente dal presentatore
della domanda e a rideterminarla in via definitiva:
sotto questo profilo egli è responsabile nei
confronti dell'erario del mancato controllo.
Eseguiti, così, i dovuti accertamenti, il sindaco
rilascia la concessione in sanatoria, determinando
anche il relativo contributo che, diversamente dall'oblazione,
deve essere corrisposto all'atto del ritiro della concessione;
salva la rateizzazione che, secondo il disposto della
legge regionale sarà accordata all'interessato
che ne abbia fatto richiesta.
La legge precisa che il sindaco non può rilasciare
la concessione ove l'interessato non abbia versato
l'intero importo della oblazione, ivi compreso il conguaglio
eventualmente richiesto al momento della determinazione
definitiva dell'oblazione medesima. Egli, pertanto
deve ricevere la prova del versamento e conservarla,
poiché, in relazione al disposto dell'art.40,
comma 1, la mancata effettuazione dell'oblazione fa
considerare la domanda di concessione come non presentata
e comporta l'applicazione delle sanzioni del capo I.
Da ciò deriva che, nel caso in cui l'interessato
chieda la rateizzazione prevista prima di aver completato
il versamento dell'oblazione.
Il procedimento per il rilascio della concessione deve
considerarsi completamente definito dal comma 9 dell'art.35,
nel senso che il sindaco non è tenuto a sottoporre
la domanda agli organi tecnico-consultivi, ed in particolare
alla commissione edilizia: fermo restando che non gli
è preclusa la facoltà di sentire, quando
lo ritenga opportuno, il parere di uffici o della stessa
commissione.
La legge prevede il cosiddetto "silenzio-assenso"
che si forma trascorsi 24 mesi dalla presentazione
della domanda di concessione in sanatoria. Sono escluse
dall'applicazione della norma, ovviamente, le opere
insuscettibili di sanatoria; per quelle sanabili previo
parere favorevole dell'autorità competente alla
tutela del vincolo il termine di 24 mesi decorre dal
momento della emissione di tale parere. E' evidente
che il silenzio-assenso non si forma in caso di parere
negativo o di mancata emissione del parere entro 180
giorni dalla richiesta, che equivale a parere negativo.
Inoltre, secondo la norma generale, la concessione
si ha per rilasciata a condizione che l'interessato
provveda anche al pagamento dell'intera oblazione,
nonché del contributo di concessione. Quanto
a detto contributo l'interessato provvede a calcolarlo
in via provvisoria - così come prevede anche
l'art.8 della legge n.94 del 1982 - salvo conguaglio.
Il comma 14 precisa che, rilasciata la concessione in
sanatoria, deve essere rilasciato anche il certificato
di abitabilità o di agibilità, a speciali
condizioni. Esso, cioè può essere rilasciato
anche in deroga alla normativa regolamentare, purché
siano osservate le disposizioni vigenti in materia
di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi
e degli infortuni.
Per l'applicazione del disposto del comma 14 più
che cercare di individuare le norme derogabili è
preferibile considerare inderogabili le norme di legge
o regolamentari in materia di sicurezza e di prevenzione
degli incendi: la mancata osservanza delle altre, infatti,
non costituirà ostacolo al rilascio del certificato
in questione. Conseguentemente tra le norme derogabili
sono da considerare quelle relative alle altezze interne
delle abitazioni, ivi comprese quelle dell'art.34 della
legge n.457 del 1978 - che "prevalgono sulle disposizioni
dei regolamenti edilizi vigenti" - le quali hanno
carattere regolamentare, anche se i relativi regolamenti
di esecuzione sono previsti dalla legge.
E' anche da rilevare che l'abitabilità o l'agibilità
è in relazione all'uso dichiarato o presunto:
ad esempio, un locale che non potrebbe essere considerato
agibile, se destinato a cinema, per l'inosservanza
della normativa di prevenzione degli incendi, potrebbe
ottenere il certificato di agibilità se fosse
destinato a deposito non aperto al pubblico.
10. LE "OPERE INTERNE" (art.26)
L'art.26 prevede una particolare disciplina per una
categoria di opere definite - "interne" -
che non trova riscontro nella precedente legislazione.
La nuova disciplina è intesa a semplificare
e snellire la realizzazione di tali opere: esse, cioè,
non sono soggette né alla concessione né
alla autorizzazione essendo sufficiente darne notizia
al sindaco, mediante la presentazione di una relazione
a firma di un professionista abilitato alla progettazione.
La disposizione dell'art.26 non è di agevole
applicazione in quanto le opere in questione coincidono,
almeno in parte, con gli interventi di recupero così
come definiti dall'art.31 della legge n.457 del 1978.
E' pertanto necessario per una corretta applicazione
della norma, individuare esattamente la categoria delle
opere interne, prima attraverso l'esame della stessa
norma e, successivamente, con il raffronto tra il disegno
che ne fornisce l'art.26 e le definizioni dell'art.31
della legge n.457 del 1978.
E' da rilevare preliminarmente che le opere in questione
possono interessare sia le singole unità immobiliari
(gli alloggi, in caso di edilizia residenziale, i manufatti
costituenti catastalmente una unità immobiliare
negli altri casi) sia l'intera costruzione.
Ciò premesso si può affermare con certezza
che esse, dovendo rispettare la sagoma e i prospetti
dell'intera costruzione, non possono assolutamente
riguardare l'aspetto esterno del fabbricato, compresa
la copertura; da ciò deriva che non possono
essere considerate "opere interne" aperture,
aggetti, chiusure di balconi, ecc.: in definitiva non
possono essere mutati o alterati l'assetto architettonico
e l'estetica dell'edificio, sia pure mediante semplici
fregi.
Il rispetto degli strumenti urbanistico-edilizi adottati
e approvati è una ovvia necessità. Poiché
si tratta di operare su edifici esistenti, il mancato
rispetto degli strumenti - soprattutto di disciplina
edilizia - potrebbe derivare, ad esempio da modifiche,
anche lievi, della distribuzione dello spazio interno
all'unità immobiliare tali da comportare la
realizzazione di vani di dimensioni insufficienti ad
assicurare condizioni ottimali di areazione o illuminazione.
La norma esclude, inoltre, dalla categoria delle opere
interne quelle che comportano aumento delle superfici
utili e del numero delle unità medesime.
Circa la superficie - stante che la norma si riferisce
alle costruzioni e non solo alle unità immobiliari
- deve ritenersi che siano consentiti ampliamenti di
tali unità nell'ambito della costruzione, mediante
accorpamento totale o parziale di unità contigue.
Non costituisce, comunque, aumento della superficie
utile l'eliminazione o lo spostamento di pareti interne
o di parti di esse.
L'aumento del numero delle unità immobiliari,
attraverso il frazionamento di quelle preesistenti,
invece, è espressamente escluso dalle "opere
interne" poiché comporta un maggior "peso"
urbanistico: è di tutta evidenza, infatti, che
un maggior numero di unità immobiliari comporta
la presenza, nella costruzione e nella zona, di un
maggior numero di famiglie o di altri utenti, con conseguenze
di carattere urbanistico, più o meno sensibili.
Quanto alla esclusione, della categoria delle opere
interne, di quelle necessarie per attuare la modifica
della destinazione di uso, della costruzione o di singole
unità immobiliari, deve farsi presente, che
la esclusione va letta e interpretata alla luce dell'ultimo
comma dell'art.25.
Nei centri storici, inoltre, i lavori progettati possono
essere considerati opere interne solo se rispettino
le caratteristiche originarie sia strutturali, sia
tipologiche, sia funzionali delle costruzioni e delle
unità immobiliari.
Quanto alla prescrizione secondo la quale le opere interne
non debbono recare pregiudizio alla statica dell'immobile,
essa non può significare il divieto di operare
sulle strutture: poiché altrimenti non si comprenderebbe
la necessità dell'intervento del professionista
abilitato alla progettazione. La disposizione va correttamente
interpretata nel senso che gli interventi sulle strutture
debbono essere tali da evitare ogni pregiudizio, sotto
il profilo statico.
La semplificazione procedurale prevista dall'art.26
non si applica quando si tratti di immobili vincolati
ai sensi delle leggi di tutela n.1089 e n.1497 del
1939. Al riguardo deve precisarsi che, quando, l'immobile
è solo parzialmente vincolato, l'inapplicabilità
riguarda soltanto la parte vincolata.
Così illustrata la norma, è necessaria
qualche considerazione sui rapporti tra le "opere
interne" e gli interventi sul patrimonio edilizio
esistente, come definiti dall'art.31 della legge n.457
del 1978.
In realtà la categoria delle "opere interne",
attraversa tutte le definizioni della disposizione
ora menzionata, pur senza esaurirle; con l'esclusione,
soltanto della "ristrutturazione urbanistica"
che, come tale, comporta trasformazione, appunto, urbanistica
del territorio.
Sono pertanto, da esaminare i rapporti tra le opere
in questione, da una parte e gli interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo,
ristrutturazione edilizia, dall'altra. E ciò
è necessario in quanto la legge n.47 del 1985,
disciplinando agli artt. 9 e 10 tali interventi, ne
considera il carattere concorrente con le "opere
interne" tanto che i due citati articoli iniziano
con l'espressione <<fermo restando quanto disposto
dal successivo art.26>>.
Va chiarito anzitutto che gli interventi di manutenzione
ordinaria che coincidono, quando sono interni, con
le opere in parola, sono sottratti ad ogni controllo
comunale, sia pure nella forma della notizia; essi
infatti godevano già di questo regime di totale
libertà e non è pensabile che il nuovo
intervento legislativo abbia voluto assoggettarli al
controllo pubblico.
Gli interventi di manutenzione straordinaria, invece
- sottoposti ad autorizzazione comunale - possono considerarsi
"opere interne" sempreché non riguardino
l'esterno dell'edificio, se è vero che - come
prima si è detto - anche il rinnovo di parti
strutturali può essere realizzato con il procedimento
di cui all'art.26.
Quanto agli interventi di restauro e risanamento conservativo,
la parte di essi che non comporta modifiche di destinazione
d'uso - anche nel senso di nuove destinazioni "compatibili"
con l'organismo edilizio - e che non comporti l'eliminazione
di elementi estranei a tale organismo, almeno quando
si tratti di elementi che modifichino la sagoma, è
assoggettabile alla disciplina dell'art.26. E' ovvio
che tale disciplina non trova applicazione nel caso
di restauro di immobili vincolati.
Infine, la ristrutturazione edilizia soggetta a concessione
di edificare. E' da ritenere che nell'insieme sistematico
di opere che costituiscono tale intervento, alcune
- quando non riguardino né sagoma né
prospetti - possono rientrare nella categoria delineata
dall'art.26. Così, il ripristino o la sostituzione
di alcuni elementi costitutivi dell'edificio o la modifica
o l'inserimento di impianti. Tuttavia tali opere non
possono essere considerate "interne" quando
hanno la finalità tipica della ristrutturazione
edilizia, che è quella di giungere ad un organismo
edilizio in tutta o in parte diverso dal precedente.
Altrimenti si arriverebbe alla conclusione che, attraverso
le opere interne non si può modificare la destinazione
d'uso, ma è consentito trasformare completamente
l'edificio.
Deve, comunque, farsi presente che opere complesse,
cioè comportanti interventi di diverso tipo
e ampiezza, realizzate in una unità immobiliare
o in una costruzione, non possono essere disarticolate
e denunziate separatamente, quando tra esse esista
un rapporto di funzionalità. Così, non
è ammissibile presentare la relazione sulle
opere interne e, separatamente, chiedere la concessione
per l'apertura di una o più finestre o per la
realizzazione di altri interventi esterni, funzionali
o comunque, contestuali a dette opere: è necessario,
in questa ipotesi, chiedere, a seconda dei casi, l'autorizzazione
per la manutenzione straordinaria o la concessione
per la ristrutturazione edilizia. Così pure,
non possono essere denunciate come opere interne, con
successive relazioni, quelle intese a realizzare un
organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.
Ancora, non può essere denunziato come opera
interna un intervento, in sé "neutro"
ma che, di fatto, prelude ad un mutamento di destinazione
d'uso ed è da questo seguito.
La normativa relativa alle opere interne riguarda ogni
tipo di edilizia - residenziale e non - come risulta
chiaramente dall'espressione "costruzioni"
usata all'art.26.
In particolare, per ciò che concerne l'edilizia
industriale, deve farsi presente che sono da considerare
opere interne quelle eseguite entro il perimetro degli
impianti o degli stabilimenti, purché aventi
le caratteristiche indicate nella circolare di questo
Ministero in data 16-11-1977, n.1918. Ciò in
quanto tale circolare, in relazione alla specificità
della tipologia edilizia e dell'attività svolta,
fornisce una interpretazione ampia dell'intervento
"manutenzione ordinaria" che appare corrispondente
alla nozione di "opere interne" secondo il
disposto dell'art.26.
Come si è detto, la legge prevede che il proprietario,
al momento dell'inizio dei lavori presenti una relazione
firmata da un professionista abilitato alla progettazione
<<che asseveri le opere da compiersi e il rispetto
delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie
vigenti>>.
Il documento da presentare consiste, pertanto, in una
semplice relazione, che potrebbe non essere accompagnata
da planimetrie, con la quale il professionista "assevera"
- cioè, afferma in base ad un necessario accertamento
- quali sono le opere da compiersi. Con la sottoscrizione
della relazione egli dichiara responsabilmente, inoltre,
che le opere da realizzare hanno le caratteristiche
indicate all'art.26 ed in particolare che esse sono
state progettate in modo da rispettare le norme di
sicurezza e quelle igienico-sanitarie vigenti.
La relazione dovrà essere presentata in duplice
esemplare al comune il quale apporrà su quello
restituito al presentatore l'attestazione di copia
conforme; tale esemplare sarà esibito sul luogo
dei lavori e attesterà l'avvenuta denunzia delle
opere. La relazione potrà essere anche spedita
con raccomandata con avviso di ricevimento.
La mancata presentazione della relazione è punita
con la sanzione pecuniaria prevista per le opere eseguite
senza autorizzazione, ridotta di un terzo.
11. OPERE INTERNE REALIZZATE PRIMA DELL'ENTRATA IN VIGORE
DELLA LEGGE (art.48)
La facoltà di regolarizzare con procedura semplificata
le "opere interne" è data dalla legge
n.47 del 1985 anche a quanti hanno realizzato tali
interventi prima dell'entrata in vigore della medesima
legge - prima, cioè, del 17 marzo 1985 - o li
avessero in corso a tale data. Il legislatore, avendo
stabilito all'art.26, che le "opere interne"
sono sottratte alla concessione ed all'autorizzazione,
ha ritenuto di estendere la nuova disciplina alle opere
della stessa natura realizzate in passato. Peraltro,
ha previsto forme ancora più semplici, per la
relativa denuncia, poiché, in luogo della relazione
asseverativa del professionista, richiede soltanto
una "relazione descrittiva delle opere realizzate"
inviata al sindaco mediante raccomandata con avviso
di ricevimento entro il 31 dicembre 1985.
La nozione di "opere interne" è stata
chiarita al punto 10, cui si rinvia. Quanto alla relazione,
essa deve essere firmata dal proprietario dell'unità
immobiliare o della costruzione o da altro avente titolo
(amministratore del condominio, rappresentante di un
ente, usufruttuario, ecc.) anche senza l'assistenza
di un professionista.
E' appena il caso di rilevare che quanti abbiano presentato
la relazione a firma del professionista, ai sensi dell'originario
art.48, prima delle modifiche apportate alla legge
n.47 del 1985 dal decreto legge n.146 del 1985 convertito
nella legge 21-6-1985, n.298, non debbono ripresentare
alcuna relazione.
Quella dell'art.48 può considerarsi una speciale
forma di sanatoria, in quanto interventi che in precedenza
erano soggetti, quanto meno, ad autorizzazione, possono,
pur in mancanza del titolo, essere regolarizzati con
la presentazione del documento suddetto. Per tale sanatoria
non trova applicazione il termine del 1o ottobre 1983
stabilito dalla legge n.47 del 1985 per l'ultimazione
dell'opera: il disposto dell'art.48 riguarda infatti
tutte le opere realizzate prima dell'entrata in vigore
della legge ovvero in corso alla data del 17 marzo
1985.
Il termine entro cui deve essere presentata la relazione
è perentorio, nel senso che l'inerzia del proprietario
protratta fino al 31 dicembre 1985 lascia le opere
nella situazione in cui si trovavano alla data di entrata
in vigore della legge: e cioè restano abusive
se tali erano al momento della loro realizzazione.
Come si è già accennato illustrando l'art.26,
in caso di interventi complessi che comprendano anche
"opere interne" queste ultime non possono
essere scorporate del complesso dei lavori e denunciate
separatamente, quando tra le opere eseguite esista
un rapporto di funzionalità.
Infatti, quando il complesso delle opere configuri uno
degli interventi definiti all'art.31 della legge n.457
del 1978, sottoposti ad autorizzazione o concessione,
è tale intervento che deve essere denunciato;
e quando si tratti di opera realizzata prima del 1o
ottobre 1983, non possono essere presentate separatamente
la relazione di cui all'art.48 e la domanda di concessione
in sanatoria per le altre opere abusive, ogni volta
che detto rapporto di funzionalità sussista.
Il rapporto in questione può mancare quando le
varie categorie di opere siano state eseguite in parti
nettamente distinte della costruzione; ovvero quando
esse siano state realizzate in tempi diversi, e così
distanziati tra di loro, da escludere ogni relazione
di continuità.
In questi casi, tuttavia, il presentatore della domanda
di concessione in sanatoria dovrà allegare al
modello 47 del 1985 indirizzato al comune, insieme
con l'altra documentazione necessaria, anche la relazione
di cui all'art.48. Il comune, quando accerti che tra
l'opera abusiva per la quale si chiede la sanatoria
e le "opere interne" di cui alla relazione
esista un rapporto di funzionalità, determina
in via definitiva l'importo della oblazione ai sensi
dell'art.35, comma 9, della legge n.47 del 1985, secondo
l'abuso effettivamente commesso. Se, invece, accerti
che la domanda in rapporto alla relazione, per la rilevanza
delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, è
da considerare dolosamente infedele applica le sanzioni
di cui al capo I.
12. MANCATA PRESENTAZIONE DELL'ISTANZA (art.40)
L'art.40 disciplina gli effetti della mancata presentazione
della domanda di concessione.
Il comma 1 considera tre distinte ipotesi, in relazione
ad opere abusive realizzate in totale difformità
ovvero in assenza di licenza o concessione:
a) la mancata presentazione della domanda nei termini;
b) la presentazione nei termini di una domanda dolosamente
infedele;
c) il mancato versamento della somma dovuta a titolo
di oblazione.
In queste ipotesi all'abuso commesso si applicano non
più le sanzioni amministrative vigenti al momento
dell'inizio dei lavori, ma quelle del capo I della
legge n.47 del 1985, le quali, come è noto,
sono più articolate e rigorose di quelle precedenti:
non si applicano, invece, le nuove sanzioni penali
- pure collocate nel capo I - per il principio della
irretroattività di tali sanzioni.
Quanto alla ipotesi di cui alla lettera a) la domanda
deve essere presentata entro il 30 novembre 1985 sugli
appositi modelli 47/1985 predisposti dal Ministero
dei lavori pubblici. Qualora la domanda sia stata presentata
irritualmente - anche su carta legale, ma non sul prescritto
modello - deve essere riprodotta, nel termine suddetto,
in conformità a quanto si è ora precisato:
ferma restando la validità della prima agli
effetti degli artt. 35 e 40.
Alla domanda debbono essere allegati i prescritti documenti;
ma la mancanza di uno o più di essi - come si
è già accennato - non rende invalida
l'istanza, stante che l'art.35 della legge n.47 del
1985 prevede la possibilità di integrare l'atto
entro 120 giorni della sua presentazione e attribuisce
al sindaco la facoltà di chiedere l'ulteriore
documentazione necessaria.
Diversa dalla ritardata presentazione della documentazione
(che, comunque, deve essere stata tutta presentata
prima del rilascio della concessione) è la mancanza
della documentazione, la inesattezza delle notizie
o delle dichiarazioni, ecc. lettera b).
In tal caso la domanda si considera come non presentata:
sempreché tali omissioni o inesattezze siano
di tale rilievo da far considerare la domanda medesima
"dolosamente infedele". Deve, perciò,
trattarsi non di semplice errore, sia pure grave, ma
del deliberato proposito di alterare la reale consistenza
ed essenza dell'opera abusiva; ovvero di nascondere
altri importanti elementi, anche relativi all'istante.
Il mancato versamento della somma dovuta a titolo di
oblazione lettera c) può determinare l'applicazione
delle sanzioni di cui al capo I anche quando sia parziale.
Nel versamento è compreso, ovviamente, anche
l'eventuale conguaglio da corrispondere al momento
del rilascio della concessione.
Nelle tre ipotesi suddette spetta al sindaco applicare
le sanzioni di cui al capo I ed inoltre: controllare
che la domanda sia stata tempestivamente e ritualmente
presentata; valutare se la domanda debba considerarsi
dolosamente infedele; controllare che l'oblazione sia
stata versata.
Nelle ipotesi diverse da quelle ora illustrate (e cioè
quando si tratti di abusi minori) la tardiva presentazione
della domanda, purché non oltre un anno dall'entrata
in vigore della legge n.47 del 1985 - e cioè
entro il 17 marzo 1986 - comporta il pagamento dell'oblazione
in misura doppia.
Il comma 2 dell'art.40 stabilisce che sono nulli gli
atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi
ad edifici o alle unità immobiliari che li compongono,
quando da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante,
gli estremi della licenza o della concessione; ovvero,
in caso di opere abusive, gli estremi della concessione
in sanatoria o copia conforme della relativa domanda
corredata dalla prova dell'avvenuto versamento delle
prime due rate dell'oblazione. Per gli edifici iniziati
prima dell'entrata in vigore della legge n.765 del
1967 - cioè prima del 1o settembre 1967 - è
sufficiente presentare una dichiarazione sostitutiva
di atto notorio, attestante, appunto, che l'opera è
stata iniziata prima di tale data.
Pertanto la nullità - ed il divieto di rogare
e stipulare gli atti in parola - deriva, nel primo
caso, dalla mancata dichiarazione relativa agli estremi
del titolo a costruire ovvero di quella riguardante
la sanatoria; nel secondo caso dalla mancata attestazione
che la costruzione esisteva, o cominciava ad esistere,
ad una certa data.
Sono esclusi dalla nullità - e possono essere
rogati - gli atti di costituzione, modificazione ed
estinzione di diritti di garanzia o di servitù.
Conseguentemente, sono legittimi i trasferimenti di
edifici derivanti da procedure esecutive immobiliari,
individuali o concorsuali; e quelli derivanti da procedure
di amministrazione straordinaria e di liquidazione
coatta amministrativa. Quando le opere trasferite risultino
abusive, ma siano sanabili ai sensi del capo IV della
legge n.47 del 1985, l'aggiudicatario potrà
presentare la domanda di concessione in sanatoria entro
il 31 dicembre 1986. Dopo tale data cessa la possibilità
di chiedere la sanatoria; pertanto, l'opera conserva
il suo carattere abusivo e nei suoi confronti trova
applicazione il sistema sanzionatorio del capo I della
legge.
13. DIRITTI DEGLI ACQUIRENTI DI IMMOBILI (art.47)
La disposizione dell'art.47 riconosce ad ogni acquirente
di immobili o di parte di essi - anche sulla base di
contratto preliminare di vendita (compromesso), purché
con sottoscrizione autenticata - il diritto di prendere
visione, presso gli uffici comunali, di ogni documentazione
- di carattere urbanistico ed edilizio - riguardante
l'immobile stesso e di ottenere le relative certificazioni.
L'eventuale rifiuto da parte della amministrazione
comunale di far esaminare la documentazione o di rilasciare
le certificazioni rientranti nella sfera di competenza
comunale, deve risultare da atto scritto e deve essere,
ovviamente, puntualmente motivato. Contro tale rifiuto
potranno, pertanto esperirsi i rimedi giurisdizionali.
La norma ha lo scopo di dare all'acquirente la possibilità
di effettuare un controllo della regolarità
urbanistico-edilizia dell'immobile acquistato. Peraltro,
il controllo è successivo all'acquisto: cosicché
l'interessato ha soltanto la possibilità di
adire le vie legali per ottenere la riparazione del
danno subito.
La vigente legislazione offre, peraltro, anche la possibilità
di un controllo preventivo del titolo in base al quale
è stata realizzata l'opera oggetto di compravendita.
L'art.31, comma 9, della legge urbanistica n.1150 del
1942, così come sostituito dall'art.10 della
legge ponte n.765 del 1967, stabilisce, infatti, che
<<chiunque può prendere visione presso
gli uffici comunali della licenza edilizia e dei relativi
atti di progetto>>.
14. PROCEDIMENTI IN CORSO (art.43)
Come è stato già osservato, la sanatoria
ha un ambito di applicazione assai ampio: l'art.43
ne è una conferma. Esso, infatti, precisa che
l'esistenza di procedimenti sanzionatori non ancora
eseguiti o nei cui confronti penda l'impugnazione non
impedisce il conseguimento della sanatoria. Il comma
2 dà anche una definizione dei provvedimenti
inoppugnabili - da valere per la legge n.47 del 1985
- che sono quelli per i quali è intervenuta
la decisione del Consiglio di Stato, anche se sia ancora
pendente il ricorso alla Corte di cassazione per motivi
attinenti alla giurisdizione.
La disposizione, pertanto, riguarda tutte le sanzioni
pecuniarie, di demolizione, di acquisizione gratuita
- irrogate ma non ancora eseguite - e pertanto, dalla
data di presentazione della domanda di sanatoria, non
può pretendersi la riscossione di somme per
sanzioni pecuniarie; deve cessare la demolizione, anche
se già iniziata; non può proseguire l'iter
per l'acquisizione gratuita degli immobili abusivi,
a meno che non sia intervenuta immissione in possesso
del manufatto.
Il solo limite posto dalla legge è che le somme
già versate non sono ripetibili e che, comunque,
le sanzioni già eseguite restano ferme. Le somme
in questione possono, tuttavia, essere scomputate dal
contributo di concessione: non perciò, dall'oblazione,
che deve essere corrisposta per intero.
15. DICHIARAZIONI DEI RAPPRESENTANTI (art.47-bis)
Le dichiarazioni richieste dalle varie disposizioni
della legge n.47 del 1985, ivi compresa la domanda
di concessione in sanatoria, possono essere rese, in
luogo del proprietario o di altro avente titolo, da
rappresentanti legali o volontari. Come è noto,
la rappresentanza legale trova la sua fonte nella legge,
quella volontaria o negoziale discende dalla volontà
del rappresentato, e si concreta nella procura.
La procura - sia speciale, riferita alla materia della
legge n.47 del 1985 sia generale - abilita il procuratore
a rilasciare, in nome e per conto del rappresentato,
ogni e qualsiasi dichiarazione da rendersi ai sensi
della legge medesima. Il senso della disposizione è
appunto quello di considerare la procura - purché
non limitata esplicitamente ad una parte della materia
- comprensiva della facoltà di rilasciare tutte
le dichiarazioni previste dalla legge in parola.
16. SANATORIE REGIONALI (art.49)
Coloro che abbiano già ottenuto la sanatoria
in base alla normativa regionale, possono detrarre
l'importo versato dal contributo di concessione previsto
dal comma 1 dell'art.37 della legge n.47 del 1985.
Si tratta dei responsabili di abusi commessi nel Lazio
e nella Sicilia, le uniche regioni che abbiano legiferato
in materia prima dell'entrata in vigore della legge
statale.
La detrazione riguarda, inoltre, le opere abusive realizzate
dopo il 30 gennaio 1977, come si evince dal richiamo
al comma 1 dell'art.37, che fa riferimento alla necessità
di corrispondere detto contributo "ove dovuto"
cioè dopo l'entrata in vigore della legge Bucalossi.
L'oblazione spettante allo Stato deve, pertanto, essere
versata integralmente e nei tempi stabiliti; la detrazione
di cui all'art.49 avverrà al momento della determinazione
e del versamento del contributo di concessione, contestualmente
al rilascio della concessione.
17. OPERE DEMOLITE (articolo aggiunto dall'art.8-quater della legge di conversione)
La disposizione aggiunta con la legge del 21-6-1985,
n.298, di conversione del decreto legge n.146 del 1985
(art.8-quater) prevede la non punibilità, né
in sede amministrativa, né in sede penale, di
coloro i quali abbiano demolito o eliminato le opere
abusive, entro la data di entrata in vigore della legge
medesima.
La norma, inserita come è nella legge n.47 del
1985, riguarda esclusivamente le opere realizzate entro
il 10 ottobre 1983: non quelle successive, per le quali
la normativa in materia di sanatoria non trova applicazione.
Essa, tuttavia, è molto ampia, poiché
attribuisce alla demolizione effetti estintivi dei
reati e degli illeciti amministrativi, non solo urbanistico-edilizi,
ma anche relativi ad altri aspetti, tutelati da leggi
speciali, quali quelli paesistici, storici, archeologici.
Ovviamente, la demolizione non sarà sufficiente
a rendere imperseguibile il responsabile dell'abuso
ogni qualvolta la norma sanzionatoria non colpisca
soltanto il comportamento abusivo, ma abbia riguardo
anche al danno arrecato al bene tutelato: quando, ad
esempio, l'opera, abusivamente realizzata su area a
vincolo archeologico, abbia arrecato un danno al relativo
patrimonio, la sua eliminazione non può sanare
l'illecito commesso.
18. DETERMINAZIONE DELLE SUPERFICI (art.51)
Il comma 1 dell'art.51 precisa che - ai fini del calcolo
dell'oblazione - il computo delle superfici è
effettuato secondo i parametri indicati agli artt.
2 e 3 del decreto ministeriale emanato il 10-5-1977
per la determinazione della parte del contributo di
concessione ragguagliato al costo di costruzione: in
esso sono definite la superficie complessiva e quella
utile abitabile.
Il provvedimento ministeriale riguarda, peraltro, solo
gli edifici destinati alla residenza: e pertanto, per
quelli aventi diversa destinazione la superficie -
sempre ai fini del calcolo dell'oblazione - dovrà
essere calcolata sulla base di normali misurazioni,
pur tenendo conto di alcuni criteri che emergono dal
provvedimento in parola, quali l'esclusione dal computo
di murature, pilastri, ecc.
Soltanto per le opere realizzate nelle zone agricole
- residenze e locali per lo svolgimento dell'attività
produttiva - in funzione della conduzione del fondo
e delle esigenze produttive dei coltivatori diretti
o degli imprenditori agricoli a titolo principale la
legge stabilisce che le relative superfici sono considerate
"per servizi e accessori" ai sensi del menzionato
art.2 del decreto ministeriale. E, pertanto, esse sono
da considerare solo per il 60% del totale.
Il comma 3 precisa che non sono computati i volumi tecnici
delle costruzioni. Al riguardo, si rinvia alla circolare
di questo Ministero in data 31-1-1973, n.2474, che
definisce i volumi tecnici.
19. ISCRIZIONE AL CATASTO (art.52)
L'art.52 disciplina l'iscrizione al catasto degli immobili
di nuova costruzione e di quelli realizzati entro la
data di entrata in vigore della legge n.47 del 1985
e ancora non dichiarati ai fini di tale iscrizione.
Al comma 1, con disposizione innovatrice che intende
evitare, per l'avvenire, ritardi ingiustificati nella
iscrizione al catasto, si stabilisce che la relativa
dichiarazione deve essere effettuata prima del rilascio
del certificato di agibilità; e che copia di
essa deve essere allegata alla domanda intesa ad ottenere
tale certificato. La norma, pertanto, vieta al comune
di rilasciare il certificato in questione quando manchi
la prova dell'avvenuta dichiarazione al catasto.
Quanto alle opere ultimate prima dell'entrata in vigore
della legge n.47 del 1985, l'art.52 pone il termine
del 31 dicembre 1985 per provvedere alla denunzia delle
opere non iscritte e delle variazioni non registrate:
trascorso tale termine è dovuto il diritto fisso
di L. 250.000.
Fermo restando che sono in ogni caso da denunziare le
opere di nuova costruzione, nonché quelle comportanti
variazioni nel numero delle unità immobiliari
- per frazionamento o funzione - deve precisarsi che
non tutte le variazioni debbono essere registrate;
ma solo quelle che comportino mutamento dello stato
dei beni per quanto riguarda la consistenza e l'attribuzione
della categoria e della classe.
E' noto che la consistenza, per le unità abitative,
(gruppo A) è indicata in "vani" con
dei limiti di superficie predeterminati per ciascuna
categoria, e, in alcuni casi, anche per la classe;
per le unità del gruppo "B" (alloggi
collettivi e simili) la consistenza è indicata
in metri quadrati e per le unità del gruppo
"C" (attività commerciali e simili)
in metri cubi.
E' noto altresì che il classamento viene stabilito
in funzione delle caratteristiche estrinseche ed intrinseche
dell'unità immobiliare.
Pertanto, alcune variazioni nello stato possono non
avere rilevanza ai fini della determinazione della
consistenza e dell'assegnazione del classamento.
Ad esempio, le lievi modifiche interne - quali lo spostamento
di una porta o di un tramezzo che pur variando la superficie
utile dei vani interessati non modifica il numero dei
vani e la loro funzionalità - non hanno rilevanza
catastale. Diversamente, quando si operi una ridistribuzione
degli spazi interni, si doti la unità immobiliare
di servizi o infine si modifichi l'utilizzazione di
superfici scoperte, quali balconi o terrazze.
Deve, infine, farsi presente che sono dichiarabili per
l'assunzione nell'archivio catastale non solo i fabbricati
abitabili o agibili ma anche quelli in corso di costruzione,
quando l'interessato abbia necessità di individuare
in modo univoco con un indicatore catastale fabbricati
o loro porzioni non ancora ultimati, oggetto di negozi
giuridici; od anche quando - come nel caso previsto
all'art.35, comma 3, lettera d), della legge n.47 del
1985 - la dichiarazione al catasto di opere non ancora
abitabili o agibili sia prevista da disposizioni di
legge.
L'accatastamento deve essere chiesto dal proprietario
o dal possessore dell'unità immobiliare. In
casi eccezionali, potrà, tuttavia, presentare
la relativa istanza anche il soggetto diverso dal proprietario,
che intenda presentare la domanda di concessione in
sanatoria: in tale ipotesi, l'interessato esibirà
soltanto la documentazione in suo possesso, mentre
spetterà all'UTE chiedere al proprietario l'ulteriore
documentazione che risultasse necessaria.
Si confida che, anche con l'ausilio della presente circolare,
i competenti uffici statali, regionali e soprattutto
comunali, vorranno fornire ai cittadini tutta la opportuna
assistenza ai fini di una corretta applicazione della
legge.
Questo Ministero, comunque, è disponibile per
ogni ulteriore chiarimento che risultasse necessario.
(c) 1996 Note's