(G.U. 21-8-1995, N.194)
DECRETO LEGISLATIVO 19 SETTEMBRE 1994, N.626. PRIME DIRETTIVE PER L'APPLICAZIONE.
1. PREMESSA
Sono pervenute alla scrivente numerose richieste di
chiarimenti riguardanti questioni interpretative o
applicative del decreto legislativo 19-9-1994, n.626,
concernente il miglioramento della sicurezza e salute
dei lavoratori sul luogo di lavoro.
Le considerazioni qui di seguito esposte costituiscono
un primo approccio ai problemi applicativi, derivanti
dalla rilevanza delle innovazioni apportate al sistema
di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori,
che si è ritenuto urgente ed opportuno fornire,
in considerazione della attuale fase di prima introduzione
della nuova disciplina.
Ulteriori e più analitici interventi saranno
successivamente effettuati, con l'ausilio della Commissione
consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni
- in corso di rinnovo nella sua composizione, proprio
per svolgere le nuove attribuzioni previste dall'art.26
del decreto legislativo in oggetto - e pertanto con
il confronto di tutti i soggetti interessati, autorità
pubbliche e parti sociali.
1. COLLEGAMENTO CON LA NORMATIVA PREVIGENTE.
Preliminarmente occorre rammentare che il decreto legislativo
nel suo complesso non comporta che modifiche limitate
alla precedente normativa, in quanto è soprattutto
mirato ad una diversa impostazione del modo di affrontare
le problematiche della sicurezza sul lavoro.
Le innovazioni tendono, infatti, ad istituire nell'azienda
un sistema di gestione permanente ed organico diretto
alla individuazione, valutazione, riduzione e controllo
costante dei fattori di rischio per la salute e la
sicurezza dei lavoratori, mediante:
- la programmazione delle attività di prevenzione,
in coerenza a principi e misure predeterminati;
- la informazione, formazione e consultazione dei lavoratori
e dei loro rappresentanti;
- l'organizzazione di un servizio di prevenzione i cui
compiti sono espletati da una o più persone
designate dal datore di lavoro, tra cui il responsabile
del servizio - che può essere scelto anche nell'ambito
dei dirigenti e dei preposti - e che possono in alcuni
casi essere svolti direttamente dal datore di lavoro.
La legislazione precedente quindi rimane in vigore,
salvo i casi di espressa o tacita abrogazione, quale
termine obbligatorio di riferimento per l'attuazione
delle specifiche misure di sicurezza.
2. LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO.
Presupposto della nuova disciplina è, come detto,
l'individuazione di tutti i fattori di rischio esistenti
in azienda e delle loro reciproche interazioni, nonché
la valutazione della loro entità, effettuata,
ove necessario, mediante metodi analitici o strumentali.
A tale riguardo appare opportuno riportare di seguito,
ai fini di una uniforme comprensione dei termini usati,
le definizioni dei termini "pericolo", "rischio"
e "valutazione del rischio" così come
accettati a livello comunitario:
- pericolo: proprietà o qualità intrinseca
di un determinato fattore (per esempio materiali o
attrezzature di lavoro, pratiche e metodi di lavoro
ecc.) avente il potenziale di causare danni;
- rischio: probabilità che sia raggiunto il limite
potenziale di danno nelle condizioni di impiego, ovvero
di esposizione, di un determinato fattore;
- valutazione del rischio: procedimento di valutazione
della possibile entità del danno, quale conseguenza
del rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori
nell'espletamento delle loro mansioni, derivante dal
verificarsi di un pericolo sul luogo di lavoro.
Si comprende così che la valutazione del rischio
è lo strumento fondamentale che permette al
datore di lavoro di individuare le misure di prevenzione
e di pianificarne l'attuazione, il miglioramento ed
il controllo al fine di verificarne l'efficacia e l'efficienza.
In tale contesto, naturalmente, si potrà confermare
le misure di prevenzione già in atto, o decidere
di modificarle, per migliorarle in relazione alle innovazioni
di carattere tecnico od organizzativo sopravvenute
in materia di sicurezza.
L'atto finale di detta procedura è costituito
dal documento ex art.4, secondo comma, documento che
diviene punto di riferimento del datore di lavoro,
e di tutti gli altri soggetti aziendali che intervengono
nelle attività rivolte alla sicurezza.
Premesso che restano nella sfera delle autonome determinazioni
del datore di lavoro l'individuazione e l'adozione
dei criteri di impostazione ed attuazione della valutazione
dei rischi - della quale è chiamato a rispondere
in prima persona - si ritiene comunque utile illustrare
con qualche maggior dettaglio quanto disposto dal citato
art.4, secondo comma.
Si ricorda inoltre che, per le piccole e medie aziende,
è in via di predisposizione il decreto interministeriale
che recherà, come previsto dall'art.4, nono
comma, le procedure standardizzate per gli adempimenti
documentali relativi alla valutazione del rischio.
Riguardo alla relazione sulla valutazione (art.4, secondo
comma, lettera a), si dovranno fornire indicazioni
almeno su:
- le realtà operative considerate, eventualmente
articolate nei diversi ambienti fisici, illustrando
gli elementi del ciclo produttivo rilevanti per l'individuazione
e la valutazione dei rischi, lo schema del processo
lavorativo, con riferimento sia ai posti di lavoro,
sia alle mansioni ed ogni altro utile dato;
- le varie fasi del procedimento seguito per la valutazione
dei rischi;
- il grado di coinvolgimento delle componenti aziendali,
con particolare riferimento al rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza. A tale proposito si rammenta che
le modalità di elezione del rappresentante per
la sicurezza dovranno essere stabilite dalla contrattazione
collettiva, e soltanto in subordine dal Ministero del
lavoro, se venisse comunicata l'impossibilità
di raggiungere un accordo, circostanza per ora non
verificatasi. A tale proposito si chiarisce che la
valutazione del rischio deve comunque essere effettuata
entro la scadenza stabilita, anche se la consultazione
del rappresentante per la sicurezza non potesse essere
effettuata che in epoca successiva;
- le professionalità e risorse interne ed esterne
cui si sia fatto eventualmente ricorso.
Per quel che concerne i criteri adottati (art.4, secondo
comma, lettera a), si dovranno fornire indicazioni
almeno su:
1) pericoli e rischi correlati;
2 le persone esposte al rischio prese in esame, nonché
gli eventuali gruppi particolari (a tale riguardo si
precisa che per gruppi particolari si devono intendere
quelle categorie di lavoratori per i quali, rispetto
alla media dei lavoratori, i rischi relativi ad uno
stesso pericolo sono comparativamente maggiori per
cause soggettive dipendenti dai lavoratori medesimi,
evidenziate, naturalmente, a seguito della valutazione
dei rischi);
3) i riferimenti normativi adottati per la definizione
del livello di riduzione di ciascuno dei rischi presenti;
4) gli elementi di valutazione usati in assenza di precisi
riferimenti di legge (norme di buona tecnica, codici
di buona pratica, ecc.), per giungere alle medesime
conclusioni di cui ai punti 3 e 4.
Relativamente alle indicazioni sulle misure di protezione
e prevenzione definite (art.4, secondo comma, lettera
b), sarà opportuno illustrare:
- gli interventi risultati necessari a seguito della
valutazione, e quelli programmati per conseguire una
ulteriore riduzione di rischi residui;
- le conseguenti azioni di informazione e formazione
dei lavoratori previste;
- l'elenco dei mezzi di protezione personali e collettivi
messi a disposizione dei lavoratori.
Relativamente al programma di attuazione delle misure
di prevenzione (art.4, secondo comma, lettera c), sarà
opportuno illustrare:
- l'organizzazione del servizio di prevenzione e protezione;
- il programma per l'attuazione ed il controllo dell'efficienza
delle misure di sicurezza poste in atto;
- il piano per il riesame periodico od occasionale della
valutazione, anche in esito ai risultati dell'azione
di controllo.
Il documento in questione dovrà poi essere accompagnato
da ogni utile documentazione, in particolare da quella
specificamente indicata nei singoli titoli e capi del
decreto legislativo.
E' appena il caso infatti di sottolineare che ogni qualvolta
in una normativa particolare riguardante la sicurezza
sul lavoro, quali il decreto legislativo 15-8-1991,
n.277 o i titoli specifici contenuti nello stesso decreto
legislativo 626/1994, si richieda una specifica valutazione
di un rischio particolare, detta valutazione dovrà
essere integrata come complemento essenziale nella
più generale valutazione del rischio di cui
si parla nell'art.4, secondo comma.
3. ENTRATA IN VIGORE DELLE NUOVE NORME.
Il decreto in questione ha disposto decorrenze differenziate
della applicazione di alcune delle norme ivi contenute.
Si deve innanzitutto ricordare che il decreto legge
31-1-1995, n.26 ha differito al 1o marzo 1995 l'applicazione
delle disposizioni aventi decorrenza inferiore a tre
mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in
esame.
Occorre poi soprattutto sottolineare che il termine
del 27 novembre 1995, fissato dall'art.96, entro il
quale il datore di lavoro deve assolvere a tutti gli
obblighi disposti dall'art.4, non è da considerare
una proroga generalizzata, surrettiziamente implicita
nel decreto stesso, senza una precisa motivazione tecnica.
Infatti, nel fissare tale scadenza, si è doverosamente
tenuto conto dei tempi tecnici necessari all'organizzazione
del nuovo sistema di prevenzione da parte del datore
di lavoro, sistema che prevede passaggi organizzativi
e strumentali complessi, anche al fine di un loro coordinato
adempimento, nell'ottica di sistema prima ricordata.
Quindi, per tutte le disposizioni che si traducono in
specificazione degli aspetti organizzativi, funzionali
all'assolvimento degli obblighi posti dall'art.4, la
decorrenza dell'obbligo di attenersi a tali disposizioni
è fissata alla data del 28 novembre 1995, in
vista della quale naturalmente il datore di lavoro
avrà cura di avviare e portare avanti le procedure
necessarie, secondo un'adeguata programmazione temporale
e finanziaria.
Sono quindi entrate in vigore soltanto quelle disposizioni
che configurano situazioni giuridiche, siano esse obblighi
o diritti, tali da non richiedere la preventiva attivazione
di adempimenti di natura organizzativa.
Ciò non significa naturalmente che, nelle more
dell'entrata in vigore del disposto dell'art.4, si
realizzi una sorta di vacanza di qualsiasi forma di
tutela nei confronti del lavoratore, in quanto - come
già si è osservato - continuano ad aver
vigore tutte indistintamente le norme della precedente
legislazione, ivi comprese - fino al 27 novembre -
anche quelle abrogate, considerato non solo che la
tutela della salute è un diritto costituzionalmente
garantito, ma che il datore di lavoro ha comunque un
obbligo generale di salvaguardia della integrità
psicofisica dei lavoratori, ai sensi dell'art.2087
del codice civile.
Titolo I
4. SIGNIFICATO DEL TERMINE "STABILIMENTO".
E' opportuno chiarire che il termine "stabilimento",
che peraltro compare esclusivamente all'art.2, primo
comma, lettera b) è stato usato nella medesima
accezione lessicale del termine "unità
produttiva" che appare nella successiva lettera
c) e in altre numerose disposizioni del decreto legislativo
in esame.
Infatti, dal momento che detto provvedimento comprende
nel suo campo di applicazione tutte le attività
di produzione di beni o servizi esercitate da soggetti
privati o pubblici, è sembrato più appropriato
riferirsi all'unità produttiva, intesa a sua
volta come la struttura dell'azienda produttrice di
beni o di servizi, dotata di autonomia tecnico-funzionale
e l'uso del termine stabilimento nella citata lettera
a), è dovuto solamente ad una non completa armonizzazione
lessicale del testo.
5. MEDICO COMPETENTE.
In relazione alla definizione di tale figura professionale,
nell'art.2, primo comma, lettera d), giova precisare
che non si è inteso estendere - in una sede
del resto solo definitoria e pertanto impropria - l'area
di intervento del medico competente, generalizzandola
a tutti i settori di cui all'art.1.
L'area di intervento del medico competente è
quindi quella definita nell'art.16, primo comma, ove
si precisa che la sorveglianza sanitaria, effettuata
dal medico competente ai sensi del successivo secondo
comma, è richiesta solo nei casi previsti dalla
normativa vigente, cioè quando la legislazione
precedente (o anche quella di futura emanazione) faccia
espressa previsione dell'intervento del medico competente,
come ad esempio nel caso della tabella allegata all'art.33
del decreto del Presidente della Repubblica n.303/1956,
del decreto legislativo n.277/1991, ovvero dei titoli
V, VI, VII ed VIII del decreto legislativo 626/1994
di che trattasi.
6. Art.6 OBBLIGHI DEI PROGETTISTI, FABBRICANTI, FORNITORI,
INSTALLATORI
In relazione all'art.6 si precisa che, nel caso della
locazione finanziaria - considerato che oggetto del
contratto è una prestazione di natura esclusivamente
finanziaria come già desumibile dalla legge
2-5-1983, n.178, di interpretazione autentica dell'art.7
del decreto del Presidente della Repubblica n.547/1955
- il locatore finanziario è tenuto ad accertarsi
unicamente che il bene locato sia accompagnato dalla
relativa certificazione o documentazione prevista dalla
legge.
Peraltro tale interpretazione esclude che possano essere
considerati alla medesima stregua degli operatori finanziari
di cui alla citata legge n.178/1983, anche i soggetti
che esercitano il cosiddetto "leasing operativo",
cioè i fabbricanti che cedono in locazione finanziaria
il bene da loro stessi prodotto.
Resta comunque fermo l'obbligo dei locatari, quando
siano datori di lavoro, di ottemperanza alle disposizioni
del decreto legislativo in esame.
In linea generale poi, si precisa che l'art.6 è
già entrato in vigore.
7. PREVENZIONE INCENDI.
In materia di prevenzione e protezione antincendi di
cui al capo III e all'art.30, terzo comma, fino all'emanazione
dei decreti previsti dall'art.13:
a) i luoghi di lavoro ricompresi nelle tabelle A e B
del decreto del Presidente della Repubblica 26-5-1959,
n.689, e nella tabella annessa al decreto ministeriale
16-2-1982, e successive modificazioni ed integrazioni
e, pertanto, soggetti all'obbligo di controllo da parte
dei competenti organi periferici del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco, rimangono assoggettati alle normative
e procedure vigenti a fini antincendio;
b) i luoghi di lavoro non ricompresi nella precedente
lettera a), sono assoggettati alle specifiche disposizioni
previste dalla normativa vigente in materia [decreto
del Presidente della Repubblica n.547/1955, decreto
del Presidente della Repubblica n.128/1959, decreto
del Presidente della Repubblica n.320/1956 ecc.].
8. INFORMAZIONE E FORMAZIONE DEI LAVORATORI.
Premesse che relativamente agli obblighi di informazione
e formazione dei lavoratori, sanciti dagli artt. 21
e 22, l'adempimento non può che essere richiesto
a partire dal 28 novembre 1995, dovendosi le relative
attività incentrare proprio sugli esiti complessivi
della valutazione dei rischi e delle conseguenti misure
di protezione adottate, si ritiene peraltro di dover
richiamare l'attenzione sulla necessità di fornire
una tempestiva informazione ai lavoratori sui principali
contenuti del decreto legislativo in argomento, soprattutto
per quanto riguarda gli aspetti relativi alla consultazione
e partecipazione dei lavoratori di cui al capo IV,
in rapporto alla necessità di consentire agli
stessi l'adozione delle determinazioni di propria competenza.
Analogamente, in vista della necessità di procedere
tempestivamente alla adeguata formazione di tutti i
lavoratori, si sottolinea che entro la suddetta scadenza
dovrà essere programmato uno specifico piano
di formazione, che comprenda tutti gli elementi necessari
per la sua attuazione, e che sia - come detto - articolato
in modo coerente ai risultati della valutazione dei
rischi.
9. VIGILANZA SULLE INDUSTRIE ESTRATTIVE.
Appare inoltre opportuno sottolineare che l'art.23,
rubricato "Vigilanza", non ha operato alcun
trasferimento delle attuali competenze in materia e,
pertanto, il riferimento a quelle del settore minerario,
attribuite al Ministero dell'industria, non include
quelle relative alle industrie estrattive di 2 categoria
(cave) che sono di competenza delle regioni.
Titolo II
10. LUOGHI DI LAVORO.
Si precisa che l'applicazione delle disposizioni contenute
nel titolo II decorre:
a) dal 1o gennaio 1996 per i luoghi di lavoro utilizzati
anteriormente al 27 novembre 1994;
b) dal 1o marzo 1995 per i luoghi di lavoro utilizzati
per la prima volta a partire dal 27 novembre 1994.
Può essere utile sottolineare che il termine
di cui all'art.33 quattordicesimo comma (1o marzo 1995),
si riferisce esclusivamente ai luoghi di cui alla precedente
lettera b).
Per quanto concerne le specifiche disposizioni (art.30,
commi 4, 5 e 6) dettate a tutela dei lavoratori portatori
di handicap, si precisa che - ferma restando l'applicazione
delle disposizioni concernenti l'abbattimento delle
barriere architettoniche (decreto del Presidente della
Repubblica n.384/1978, legge n.13/1989 e relativo regolamento
di attuazione approvato con decreto ministeriale n.236/1989,
legge n.104/1992) - esse devono essere attuate solo
nel caso in cui siano effettivamente presenti detti
lavoratori.
Inoltre, ove si rendessero necessarie, nei casi suddetti,
le misure di cui al sesto comma, relative ai luoghi
di lavoro già utilizzati prima del 1o gennaio
1993, esse dovranno essere adottate nei tempi congrui
alla realizzazione degli interventi necessari.
Titolo III
11. USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO.
Per quel che riguarda le prescrizioni concernenti l'uso
delle attrezzature di lavoro, si rammenta che il datore
di lavoro, in conformità all'art.36, è
già tenuto ad adeguare le attrezzature di lavoro
alle disposizioni dei commi 5, 6 e 7 del suddetto articolo.
Titolo IV
12. USO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE.
A tale riguardo, fermo restando che l'adempimento degli
obblighi di cui all'art.43 decorre dal 28 novembre
1995, si ricorda che, ove prima di tale data si rendesse
necessario l'acquisto di dispositivi di protezione
individuale, il datore di lavoro dovrà comunque
attenersi, nella scelta, alle prescrizioni dell'art.42.
Titolo V
13. MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI.
L'adempimento degli obblighi disposti dal presente titolo
a carico del datore di lavoro (vedasi art.48), presupponendo
necessariamente una valutazione delle modalità
e della dinamica degli atti fisici del lavoratore,
nonché dell'ambiente di lavoro, decorre dal
28 novembre 1995.
Titolo VI
14. USO DELLE ATTREZZATURE MUNITE DI VIDEOTERMINALI.
In ordine alla disciplina sull'uso dei videoterminali
(titolo VI), è opportuno precisare, in via preliminare,
che l'articolo rubricato "Definizioni", così
come gli analoghi articoli degli altri titoli del decreto
legislativo in esame, è stato mutuato dalla
normativa comunitaria, in base alla quale le definizioni
individuano il campo di applicazione oggettivo e soggettivo,
ossia l'ambito all'interno del quale devono essere
attuate le disposizioni via via recate dalle norme
del relativo titolo.
Tale tecnica legislativa ha il pregio di consentire,
da un lato l'immediata individuazione dell'area di
attuazione della normativa (ed in questo corrisponde,
in parte, alla usuale definizione di "campo di
applicazione" dell'ordinamento italiano) e dall'altro
consente una più snella articolazione interna
delle varie norme, in quanto, una volta indicato in
premessa il significato che assumono i vari termini,
si evitano faticose ripetizioni nonché possibili
equivoci interpretativi.
Ciò premesso, si fa presente che l'art.51, primo
comma, lettera c), nel definire il lavoratore come
colui che utilizza un'attrezzatura munita di videoterminale
in modo sistematico ed abituale, per almeno quattro
ore consecutive giornaliere, dedotte per pause di cui
all'art.54, durante l'intero arco della settimana lavorativa,
definisce automaticamente il campo di applicazione
soggettivo di tutto il titolo.
Conseguentemente il citato art.54 rubricato "Svolgimento
quotidiano del lavoro" disciplina, sempre nei
confronti dello stesso lavoratore, il regime delle
interruzioni (pause o cambiamento di attività).
Analogamente il successivo art.55 prevede la sorveglianza
sanitaria soltanto per i suddetti lavoratori. Riguardo
ai posti di lavoro, sempreché siano utilizzati
dai lavoratori di che trattasi, essi devono essere
adeguati alle prescrizioni contenute nell'allegato
VII ai sensi e con le modalità previste dall'art.58.
Appare così evidente che l'intenzione del legislatore
è stata quella di assicurare specifiche misure
preventive in favore di coloro per i quali sussistono
rischi per la salute prevedibili in base ai dati scientifici
disponibili.
Tali dati evidenziano che il rischio da attività
su VDT è significativo solo quando il lavoratore
vi sia addetto "regolarmente, durante un periodo
significativo del suo lavoro normale" (Direttiva
90/270/CEE, art.2, lettera c).
Il legislatore italiano ha ritenuto, sulla base dei
dati scientifici attualmente disponibili, che ciò
avvenga solo quando si riscontrino le condizioni riportate
nella citata definizione di lavoratore di cui all'art.51
del decreto legislativo n.626/1994.
Quanto alla decorrenza delle norme, l'art.58 stabilisce
che a partire dal 1o marzo 1995 i nuovi posti di lavoro,
quali definiti all'art.51 lettera b), devono essere
conformi all'allegato VII.
A tale proposito si fa presente che, a causa di un errore
materiale - che si provvederà a correggere con
un successivo decreto legislativo di integrazione -
l'allegato VII contenente le prescrizioni cui devono
rispondere i posti di lavoro con videoterminale, è
mancante della parte riguardante l'ambiente e l'interfaccia
elaboratore-uomo; si ritiene peraltro opportuno, nelle
more dell'emanazione del decreto legislativo di integrazione,
riportare in questa sede detta parte (si veda nelle
pagine seguenti), in quanto utile termine di riferimento,
soprattutto con riguardo agli aspetti ergonomici, ai
fini della valutazione del rischio e della individuazione
delle relative misure di prevenzione.
Va precisato infine, che le disposizioni in questione
non hanno introdotto alcuna forma obbligatoria di certificazione,
e conseguente marcatura, attestanti la rispondenza
delle attrezzature ai requisiti individuati dall'allegato
suddetto, in particolare a quelli ergonomici.
La conformità delle apparecchiature facenti parte
del posto di lavoro e quindi anche del piano di lavoro,
sedie ecc., è data dal rispetto delle norme
nazionali di buona tecnica UNI e CEI applicabili, alle
quali dovrebbe far riferimento il fabbricante, e inoltre
le stesse individuano il livello di fattibilità
tecnologica per l'applicazione concreta delle misure
di prevenzione e protezione.
2. AMBIENTE
a) Spazio.
Il posto di lavoro deve essere ben dimensionato e allestito
in modo che vi sia spazio sufficiente per permettere
cambiamenti di posizione e di movimenti operativi.
b) Illuminazione.
L'illuminazione generale e/o l'illuminazione specifica
(lampade di lavoro) devono garantire un'illuminazione
sufficiente ed un contrasto appropriato tra lo schermo
e l'ambiente, tenuto conto delle caratteristiche del
lavoro e delle esigenze visive dell'utilizzatore.
Fastidiosi abbagliamenti e riflessi sullo schermo o
su altre attrezzature devono essere evitati strutturando
l'arredamento del locale e del posto di lavoro in funzione
dell'ubicazione delle fonti di luce artificiale e delle
loro caratteristiche tecniche.
c) Riflessi e abbagliamenti.
I posti di lavoro devono essere sistemati in modo che
le fonti luminose quali le finestre e le altre aperture,
le pareti trasparenti o traslucide, nonché le
attrezzature e le pareti di colore chiaro non producano
riflessi sullo schermo.
Le finestre devono essere munite di un opportuno dispositivo
di copertura regolabile per attenuare la luce diurna
che illumina il posto di lavoro.
Il rumore emesso dalle attrezzature appartenenti al/ai
posto/i di lavoro deve essere preso in considerazione
al momento della sistemazione del posto di lavoro,
in particolare al fine di non perturbare l'attenzione
e la comunicazione verbale.
e) Calore.
Le attrezzature appartenenti al/ai posto/i di lavoro
non devono produrre un eccesso di calore che possa
essere fonte di disturbo per i lavoratori.
f) Radiazioni.
Tutte le radiazioni, eccezion fatta per la parte visibile
dello spettro elettromagnetico, devono essere ridotte
a livelli trascurabili dal punto di vista della tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori.
g) Umidità.
Si deve fare in modo di ottenere e mantenere un'umidità
soddisfacente.
3. INTERFACCIA ELABORATORE/UOMO
All'atto dell'elaborazione, della scelta, dell'acquisto
del software, o allorché questo viene modificato,
come anche nel definire le mansioni che implicano l'utilizzazione
di unità videoterminali, il datore di lavoro
terrà conto dei seguenti fattori:
a) il software deve essere adeguato alla mansione da
svolgere;
b) il software deve essere di facile uso e, se del caso,
adattabile al livello di conoscenze e di esperienza
dell'utilizzatore; nessun dispositivo di controllo
quantitativo o qualitativo può essere utilizzato
all'insaputa dei lavoratori;
c) i sistemi debbono fornire ai lavoratori delle indicazioni
sul loro svolgimento;
d) i sistemi devono fornire l'informazione in un formato
e ad un ritmo adeguato agli operatori;
e) i principi dell'ergonomia devono essere applicati
in particolare all'elaborazione dell'informazione da
parte dell'uomo.
Titolo VII
15. PROTEZIONE DA AGENTI CANCEROGENI.
Ai fini della protezione da agenti cancerogeni (titolo
VII), il datore di lavoro che utilizza agenti cancerogeni,
quali definiti dall'art.61, è tenuto, ai sensi
del successivo art.62, ad evitare o ridurre l'utilizzazione
dell'agente cancerogeno sul luogo di lavoro, mediante
le seguenti misure, indicate in ordine prioritario
e tutte correlate strettamente alla loro effettiva
fattibilità tecnica:
a) sostituzione dell'agente con altro agente che, nelle
condizioni in cui viene utilizzato, non è nocivo
o lo è meno;
b) impiego di un agente in un sistema chiuso;
c) riduzione dei livelli di esposizione dei lavoratori.
Al riguardo si evidenzia che tali obblighi non possono
prescindere dalla valutazione del rischio di cui agli
artt. 4 e 63 quando sia necessaria la individuazione
delle condizioni in cui gli agenti sono utilizzati
o la valutazione dell'entità del rischio cui
il lavoratore è potenzialmente esposto nell'esercizio
delle proprie specifiche attività. Si deve infatti
considerare che, per quanto riguarda la valutazione
del livello di esposizione dei lavoratori, per individuare
misure valide ed efficaci, condizione preventiva e
necessaria è la determinazione quantitativa,
dato che le informazioni dell'etichetta e l'allegato
VIII afferiscono alla sola classificazione della pericolosità
delle sostanze ovvero preparati o processi.
Occorre inoltre tener presente che, quando ci si trovasse
di fronte a misure di prevenzione di particolare complessità
e rilevanza sotto il profilo tecnico ed organizzativo,
non si potrebbe che consentire tempi congrui per la
adozione e pertanto per l'assolvimento dei relativi
adempimenti.
Tali esigenze riconducono, per le ragioni esposte al
punto 3 della presente circolare, alla scadenza del
27 novembre 1995.
E' appena il caso di ricordare che, nelle more, il datore
di lavoro è comunque tenuto al rispetto delle
prescrizioni dell'art.20 del decreto del Presidente
della Repubblica 19-3-1956, n.303.
Il datore di lavoro è invece già tenuto
ad attuare le disposizioni dettate dagli artt. 67 e
68 per i casi di esposizioni non prevedibili e per
le operazioni lavorative particolari, trattandosi di
puntualizzazioni di obblighi già disciplinati
dalla precedente legislazione.
L'esigenza di indicare chiaramente e immediatamente
la pericolosità dei sistemi, preparati o procedimenti
di cui all'allegato VIII, pone il problema del tipo
di segnaletica da usare, atteso che per questi, né
la legge 29-5-1974, n.256, né il decreto del
Presidente della Repubblica n.524/1982 prevedono specifiche
forme di contrassegno.
In tali casi il datore di lavoro può provvedere
ad assolvere ai suoi obblighi, laddove previsti (vedasi
art.66, commi 4 e 68, comma 1, n.2), utilizzando il
segnale di pericolo generico previsto dal punto 1)
dell'allegato II del citato decreto del Presidente
della Repubblica n.524/1982, integrato da un cartello
complementare con le indicazioni di un potenziale rischio
cancerogeno.
Titolo VIII
16. PROTEZIONE DA AGENTI BIOLOGICI.
Il titolo VIII ha sottoposto ad una disciplina specifica
l'uso degli agenti biologici nell'ambiente di lavoro.
Al riguardo occorre evidenziare che l'impiego confinato
di una particolare specie di agenti biologici, ossia
dei microorganismi geneticamente modificati e l'emissione
deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente
modificati, sono stati disciplinati anche a fini di
tutela dell'ambiente esterno e della popolazione, rispettivamente
dai decreti legislativi numeri 91 e 92 del 3-3-1993.
Le indicazioni utili ad agevolare una omogenea applicazione
delle suddette normative saranno oggetto di apposita
circolare, essendo necessario un approfondito esame
delle possibili interconnessioni, attualmente in corso
nelle sedi competenti.
In linea generale, per quel che riguarda le disposizioni
in materia di comunicazione ed autorizzazione di cui
rispettivamente agli artt. 76 e 77, può essere
utile precisare che le stesse si intendono riferite
anche al datore di lavoro che già esercita le
attività ivi menzionate.
In ordine poi all'art.86 che, nell'introdurre l'obbligo
della sorveglianza sanitaria nei confronti dei lavoratori
esposti a rischio nelle attività con uso di
agenti biologici, ne disciplina altresì le relative
modalità, si fa presente che, sempre per un
mero errore materiale, l'articolo in questione è
carente degli ultimi quattro commi, il quinto dei quali
è poi richiamato nel successivo art.87: si provvederà
a colmare tale lacuna con il decreto legislativo di
integrazione di cui si è già fatto cenno.
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