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Classicità e modellazione esatta.
A proposito delle pubblicazioni concomitanti del libro di Claudio Tiberi "Architetture Periclee e classicità" e della versione 10 di Parasolid

Bernard Cache
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Fondamentalmente, le attuali rivoluzioni sulla progettazione assistita dal computer si possono ricondurre a due componenti : l'introduzione dei modellatori esatti e quella dei motori parametrici e variazionali. Tutti e due le componenti sono attualmente già implementate nei software per la meccanica, mentre la loro effettiva implementazione tarda ad arrivare per quanto riguarda i software per l'architettura. Tanto per fare un esempio, basta confrontare le ultime versioni di Mechanical Desktop, ambedue pubblicate da Autodesk, per poter valutare quanto ritardo vi sia nella strumentazione software per l'architettura. Le cause di tale sfasamento sono dovute ad una serie di cause, e soprattutto a quelle che -la fetta di mercato del CAD meccanico considerevolmente più importante di quella relativa al CAD architettonico- autorizzano gli editori di programmi a dare priorità all'innovazione in corrispondenza dei maggiori settori di vendita. Ma alla fine dei conti, viene da domandarsi se non vi sia un'altra causa fondamentale, di natura culturale, tale da far riaffiorare antiche discussioni all'interno della stessa disciplina architettonica. Noi tratteremo soltanto, oggi, della modellizzazione esatta, rimandando ad altra occasione l'esame dei motori parametrici e variazionali.

Cos'è, quindi, un modellatore esatto? Lo stesso termine presuppone che esistano altri modellatori, preliminari e inesatti? In effetti, è così. Questo perché per diverse ragioni i programmi CAD hanno inizialmente funzionato con dei modellatori poliedrici. Ciò significa che, pur dipendendo da una definizione matematica precisa, come per esempio una sfera, gli oggetti sono approssimati all'interno di un poliedro sfaccettato, forma approssimata attraverso cui tali oggetti sono sottoposti alle operazioni fondamentali del CAD, come per esempio le operazioni booleane d'intersezione, sottrazione e unione. Beninteso, si può far variare il numero delle facce per controllare la qualità dell'approssimazione ma, fondamentalmente, resta sempre uno scarto tra l'oggetto matematicamente definito ed il suo poliedro, cosa che può portare a tutta una serie di problemi nel momento in cui, per esempio, il risultato d'una intersezione tra due superfici dovrebbe essere una certa curva, che ha anch'essa una sua definizione matematica, ma che non può altro che essere individuata se non attraverso il suo poligono approssimato. A titolo di esercizio scolastico, si potrebbe citare il caso dell'intersezione d'un tubo cilindrico con un piano obliquo che dovrebbe produrre un'ellisse, di cui si può aver bisogno dei fuochi per il posizionamento di altri pezzi in un assemblaggio. In meccanica, dove gli oggetti devono esser definiti con elevatissima precisione, spesso dell'ordine di micron, ci si è posto il problema da tempo, e se ne è cercato rimedio. Ed è per questo che dall'inizio degli anni Novanta si son visti apparire dei modellatori esatti che, pur rappresentando gli oggetti sempre attraverso poliedri, conservano lo stesso la loro definizione matematica, formulazione esatta sulla quale sono praticate le operazioni booleane.

In architettura, apparentemente, non ci si confronta mai con simili problemi di precisione, almeno finché si ha a che fare con tecniche di costruzione tradizionali e non si coglieranno le possibilità offerte dalle macchine a controllo numerico. Ma, soprattutto, l'uso dei modellatori poliedrici continuerà ad esistere almeno finché gli archetipi architettonici della professione resteranno essi stessi di natura poliedrica. In effetti, quando Le Corbusier enuncia la sua formula che definisce l'architettura come "le jeu savant, clair et magnifique des volumes sous la lumière" quello che egli ha in mente sono le semplici primitive geometriche che si addicono ad una approssimazione poliedrica. In breve, quando Le Corbusier si vuole classico poiché moderno, è perché ha una certa idea di classicismo alla quale Claudio Tiberi oppone quella di "classicità".

In effetti, nell'introduzione del suo libro "Architetture Periclee e classicità", Claudio Tiberi propone una distinzione tra due concezioni dell'arte antica:
- l'una detta "classicista" basata su di un postulato di conformità della realtà a degli a priori ideali,
- l'altra, detta "classicità", secondo la quale l'attenzione alle opere porta ad una concezione problematica dell'antichità.

Per illustrare la sua idea, Tiberi esamina due traduzioni di un passaggio del filosofo presocratico Policleto:
"to eu para micron dia pollon arithomov ginetai". "I presocratici. Testimonianze e frammenti" Bari 1975, 40, B, 2
Una traduzione legata alla problematicità di quest'aforisma sarebbe "La riuscita dipende da una piccolezza, che è decisiva in mezzo ai molti rapporti di proporzione". C'è qualcosa che sfugge al numero, e le costruzioni pericletiane ne danno prova ripetutamente. Diametralmente opposta, Tiberi segnala la traduzione di J.J. Pollit in "Early classical art in a Platonic Universe" in cui l'autore pone l'accento sui "numerosi rapporti di proporzione", omette "le piccolezze" e traduce "to eu" non più come "riuscita" ma come "perfezione ideale" per darci: "la percezione dipende essenzialmente dai numerosi rapporti di proporzione". Per giustificare la sua traduzione, Pollit si rifà a dei testi che indicherebbero come i greci davano per acquisita l'esistenza di forme perfette (eidos) assai prima che i filosofi ne definissero la teoria. E Pollit parla di armonia, di a-temporalità, di perfezione. Gli ingredienti di ogni classicismo sono tutti qui riuniti, ma le opere dicono ben altro.

Osserviamo che siamo qui davanti ad un'opposizione tra:
- razionalismo classico in cui gli effetti sono proporzionali alle loro cause
- e razionalismo caotico in cui una piccolissima variazione può avere delle conseguenze sproporzionate.

Più precisamente, Tiberi si lega all'architettura appoggiandosi al relativamente recente "Studio per il restauro del Partenone redatto nel 1989 dagli archeologi M. Korres e C. Bouras. Al primo sguardo questo edificio sembrerebbe obbedire ad una perfetta simmetria, ma un esame più approfondito rivela che il vestibolo (pronao) è 11 cm più profondo della sala dei tesori (opistodomo) rompendo la simmetria trasversale dell'opera. Si tratta quindi di sapere cosa ne è di questa leggera asimmetria, che si aggiunge ad una serie di altre anomalie tali per cui il diametro delle colonne del pronao che è di 6 cm inferiore a quello dell'opistodomo. Questa "piccolezza" è a maggior ragione più preoccupante tanto se si tiene conto che Manolis Korres, responsabile del restauro del Partenone, riporta come l'esame endoscopico confermi quello che già annunciavano alcuni indizi visibili a occhio nudo, vale a dire che all'inizio della costruzione la profondità del pronao ed il diametro delle sue colonne erano uguali a quelli dell'epistodomo. Davanti a questo cambiamento in corso d'opera, Korres non ha distolto lo sguardo per rimettersi alla contingenza del cantiere. I fronti est ed ovest sono stati concepiti in maniera diversa. Le pretese anomalie non sono affatto degli incidenti, ma sono state volute nello stesso processo di costruzione. Il Partenone: un work in progress!! La classicità è una sintesi d'ordine e di distanza dall'ordine.

Questa conclusione diventa sempre più plausibile nel momento in cui si considerano gli ordini di grandezza usati dai greci per eseguire le famose correzioni ottiche citate da Vitruvio. Quello che un'attitudine classicista persiste nel qualificare come una "deviazione dalle strette regole della geometria" ci sembra al contrario testimoniare una perfetta maestria. Rilevati solo a partire dal XIX secolo, pur essendo assai spesso impercettibili ad occhio nudo, si individuano generalmente tre tipi di "affinamenti" la cui regolarità dimostra che non si ha a che fare con una incapacità, bensì di effetti perfettamente controllati.

Il primo tipo consisteva nell'introdurre una leggerissima curvatura sui principali spigoli del tempio: il basamento (lo zoccolo a tre livelli, l'ultimo dei quali è lo stilobate), la trabeazione e la base del frontone. La convessità così introdotta presenta una freccia dell'ordine da 2 a 11 cm, vale a dire una correzione di ordine millesimale. Marie Christine Hellmann ci ricorda che, già testimoniato in Egitto, questo affinamento è visibile a partire dal VI secolo nel tempio di Apollo a Corinto, e sembra esser stato colto pienamente nel V e IV secolo, soprattutto nell'architettura religiosa, come il Partenone ed i Propilei sull'Acropoli di Atene. Questa curvatura che non scompare nell'epoca romana, poteva essere ottenuta con metodi più o meno empirici, come quello della cordicella tesa da un capo all'altro della facciata in questione. La curvatura doveva avere delle ragioni sia pratiche -favorire il defluire delle acque verso l'esterno- che estetiche, correggendone l'illusione di schiacciamento dato dalle linee rette di fuga.

Altro affinamento notevole, il più diffuso e senza dubbio il più noto: il profilo delle colonne, chiamato in greco entasis. Nel VI secolo si vede distintamente nei templi dell'Italia del sud e della Sicilia, poi coinvolge più debolmente gli edifici greci, come il tempio di Afaia a Egina, il Partenone, l'Héphaisteion o i Propilei di Atene, nelle loro colonne ioniche e nei supporti dorici. Nelle epoche classica ed ellenistica il rigonfiamento, che non supera mai il diametro inferiore del fusto, si attesta tra lo 0.9 ed il 2.4% della sua altezza (1.6% nel Partenone). Nella basilica di Poseidonia in Sicilia, dove se ne trova il primo esempio, la curvatura massima è situata leggermente al di sopra del fusto, mentre in seguito, nelle epoche ellenistica e romana, essa si troverà alla metà e maggiormente al di sotto della metà misurata sull'altezza, ad 1/3 o a 2/5. Tale entasis conferisce alle colonne di Poseidonia un andamento francamente spanciato, che impedisce di accettare la dimostrazione della correzione ottica letta da Vitruvio: piuttosto che un tentativo di evitare l'illusione dell'inflessione della linea retta, l'entasis ha potuto mettere in evidenza, all'origine, un gusto estetico ed un effetto stilistico, tali da dare l'impressione che le colonne tendano (questa è l'idea contenuta nella parola entasis) i loro muscoli al di sopra del basamento.

A tali affinamenti di curvatura occorre aggiungere l'obliquità delle colonne, il cui asse è inclinato verso l'esterno -essendo quelle degli angoli più spesse (al Partenone più di 4 cm) per apparire meno gracili- e lo spessore dei muri che diminuisce dal basso verso l'alto, inclinandosi la loro faccia esterna verso l'interno, così come gli stipiti delle porte. L'edificio guadagna così un senso di densità e di stabilità.

Se si considera l'insieme degli edifici greci, la presenza di tali affinamenti non è affatto diffusa: la maggior parte non li hanno conosciuti o non ne hanno applicato che un solo aspetto. Certo, la lista si allungherebbe se si prendessero in considerazione come affinamenti altre particolarità quali la parte inferiore delle colonne non scanalata, oppure l'applicazione della guaina di protezione sulla finitura superficiale dei blocchi murati, lasciando qua e là dei grossi elementi oppure una superficie sbozzata, ben delimitata da una cesellatura periferica: in breve, tutto ciò rileva un gusto molto raffinato per il "non-finito", al quale si conferisce valore estetico. Ma è proprio nel Partenone che i tre principali affinamenti, difficili da applicare e costosi per via dell'esclusione della standardizzazione dei blocchi, sono stati messi in opera nel modo più evidente.

A questo punto Claudio Tiberi passa a commentare una seconda grande opera di uno dei due architetti del Partenone, Ictino, appunto: il santuario di Apollo Epikourios a Bassae (430 AC). Dopo lo ultime ricerche archeologiche, illustrate da un rilievo del 1995, occorre rivedere "l'idea romantica del XIX secolo che concepiva il tempio isolato nella solitudine e nella natura selvaggia dei monti dell'Arcadia. Esattamente al contrario, l'opera era circondata da edifici arcaici e classici e fu costruita al posto di costruzioni più antiche". Claudio Tiberi aggiunge poi, citando il commentario di Bertrand Russel sul "cogito ergo sum" di Cartesio: "sarebbe difficile riunire un tanto grande numero di errori in così poche parole". Il razionalismo classico riduce il reale, ne ignora la complessità. Se l'allusione di Tiberi a Cartesio è indiretta e resta isolata ad un livello generale, la sua osservazione è tuttavia estremamente pertinente nell'articolazione dei rapporti tra architettura e filosofia del VII secolo, l'età classica per eccellenza, per lo meno in Francia.

In effetti, nel suo rimaneggiamento della teoria dell'architettura alla luce della filosofia cartesiana, Claude Perrault, membro dell'Accademia Reale delle Scienze, sarà portato a rifiutare totalmente la nozione di correzione ottica per stabilire la sua teoria convenzionale delle proporzioni. Il suo punto obiettivo principale era quello di rimettere in gioco i tradizionali fondamenti della teoria delle proporzioni che insistono sulla teoria delle corde vibranti, conosciute dopo Pitagora, per trasporre l'armonia musicale degli intervalli d'ottava nei rapporti tra misure geometriche, dal momento che si tratta di numeri interi. Tutta la sua argomentazione poggia sulla nozione di "misura". In effetti, Claude Perrault riprende le variazioni rilevate su diversi monumenti dell'antichità per stabilire che le proporzioni visive non possono pretendere la stessa precisione delle armonie musicali. Non essendo esatte, le proporzioni architettoniche perdono il loro fondamento acustico, ed i consigli di Vitruvio e dei suoi epigoni non avrebbero potuto rilevare che pure convenzioni. Ma giustamente, per prendere in contropiede i suoi oppositori, Claude Perrault è portato a rifiutare l'argomento delle correzioni ottiche, che potevano rendere esplicite le divergenze tra proporzioni teoriche e dimensioni reali.

Al settimo capitolo della seconda parte dell'Ordonnance, intitolata "Abuso nell'alterazione delle proporzioni", Perrault confuta sistematicamente il recupero delle proporzioni attraverso le correzioni ottiche. Gli scarti tra le proporzioni prescritte e le proporzioni misurate non possono essere attribuiti a delle correzioni ottiche, poiché queste non hanno ragione d'esistere. Inizialmente Perrault dimostra come in generale, nella maggior parte dei casi, tali divergenze tra teoria e pratica non fossero intenzionali e che, nei rari casi in cui accadeva, questo non portava che a delle aberrazioni. Le correzioni ottiche non sono necessarie, poiché i sensi non possono essere ingannati. "la perfezione dei sensi è tale che nessuno crede una torre distante è più piccola di un dito se questo, posto davanti all'occhio, la maschera. Ancora, nessuno confonderebbe un cerchio visto di scorcio per un ovale o, reciprocamente, un ovale per un cerchio". Su questo punto particolare Perrault controbatte Juan Caramuel de Lobkowitz (1), il quale concepisce il proprio contro-progetto per il colonnato di San Pietro sulla base delle deformazioni ellittiche della sezione delle colonne, in modo da conservarne lo stesso profilo apparente. Più in generale, Perrault riprende le tecniche barocche del trompe l'œil per contestare il loro abuso della "certezza della vista". È questo un punto fondamentale del cartesianesimo, per il quale il cogito si basa esplicitamente sul rifiuto dell'ipotesi di un Dio ingannatore. La certezza del soggetto che prende coscienza di se stesso nell'atto del pensare non può essere un'illusione, altrimenti Dio non sarebbe quello che è, infinitamente buono e perfetto. Pertanto, nella sua critica alle correzioni ottiche, Perrault si allinea a Cartesio per salvare le evidenze fino al rischio di arrivare, a sua volta, a contraddirsi. Questo perché da un lato il suo attacco era fondato sulla gran tolleranza dell'occhio nella sua valutazione delle proporzioni visive, in confronto all'estrema acuità dell'orecchio nella percezione delle armonie acustiche, e dall'altro la sua difesa poggiava sulla certezza della vista che non si lascia mai ingannare dalle correzioni ottiche. "Le proporzioni non possono essere modificate senza che noi ce ne accorgiamo". In fin dei conti, le alterazioni prese per delle correzioni ottiche non potevano essere che degli errori d'esecuzione in cantiere. Vediamo quindi fino a che punto queste "piccolezze", come le chiama Claudio Tiberi, minacciano la ragione classica fino ai suoi fondamenti più metafisici.

Giustamente Claudio Tiberi si difende dall'apparire come un romantico che oppone all'ordine classicista un disordine anticlassicista. Tiberi usa una formula eccellente: "questi ultimi, classicismo e anticlassicismo, che in un'area del pensiero si oppongono l'un l'altro, si oppongono ambedue a ciò che pensiero non è: forse il fatto è che gli uomini non sono in grado di dominare, essi sono quel che sono, sfuggono ad ogni regola". Formula estremamente problematica che, nell'attuale contesto scientifico, evoca sia i problemi della non-calcolabilità che quelli del caos determinista. Ma anche nella stessa antichità, questa attenzione alla piccola variazione era stata già il principio del De natura rerum di Lucrezio, con il suo concetto di "clinamen". E presso lo stesso Cartesio il solito capro espiatorio del "prêt à penser", Peguy, andava ripetendo la teoria dei turbini e degli atomi uncinati che formavano un fantasioso contrappunto ad un cogito troppo severo. Al punto che e così bene che, onore al merito, noi non seguiremo Claudio Tiberi nella sua conclusione troppo amara. Della classicità greca, il capolavoro di Ictino a Bassae sarebbe stato il canto del cigno: dopo il quale, in conseguenza del trionfo antico di una certa forma di pensiero, non avremmo avuto altro che "classicismo" e "anticlassicismo" per tutti i secoli successivi; e lo spazio sarebbe divenuto ideologico, irrimediabilmente. Al contrario, questa classicità, non ha cessato di operare sotterraneamente, nel cuore stesso della ragione classica, e non si renderà mai abbastanza gloria a Michel Serres per averci aperto gli occhi nel ristabilire la genealogia (2) delle teorie del caos che riscoprono gli avventurieri del cyberspazio. Possiamo anche dire che il classico non fa altro che a incorporare all'ordine uno scarto, una piccola fluttuazione che si introduce nella caduta dei neri atomi di Lucrezio o nella caduta dei carichi di Vitruvio, fino a esplodere nelle volute barocche. Determinista, la Ragione mostra due facce. Classica, proporziona gli effetti alle cause. Caotica, amplifica piccole cause per dare vita ad esiti sproporzionati. Da dettaglio costruttivo, le mensole diventano volute decorative.

Ma torniamo agli strumenti dell'architettura dell'oggi e, precisamente, all'integrazione tardiva dei modellatori esatti rispetto alla meccanica. Se i programmi per l'architettura si sono accontentati così a lungo di modellatori poliedrici è perché effettivamente nella realtà costruita, così come nella cultura architettonica contemporanea, gli oggetti architettonici sono di natura essenzialmente poliedrica. La stessa idea di architettura moderna può essere ricondotta ad un principio di estrusione. A partire da quest'aspetto, per descrivere la maggior parte degli elementi architettonici i modellatori poliedrici sono molto più efficaci, non foss'altro che in termini di dimensione dei dati utilizzati, rispetto ai modellatori esatti. Da cui la reticenza di chi sviluppa i programmi a introdurre dei modellatori esatti in questo campo. A dire il vero, i programmi per l'architettura devono basarsi su dei modellatori misti che assicurino il passaggio fluido dal modo poliedrico al modo esatto. Ma non si potrebbero accusare i programmatori informatici di non intervenire rapidamente se gli stessi architetti tardano a modificare la loro concezione generale dell'architettura scendendo nel profondo della sua natura, o della sua archeologia. Finché rimarremo sulla sfaldatura tra un'architettura avanguardista tutta blob e globuli da una parte, e un'architettura quotidiana ridotta alla nudità poliedrica dall'altra, gli editori di programmi saranno ben poco interessati a sviluppare dei modellatori misti che permetteranno l'introduzione di leggere curvature o di piccole fluttuazioni nella trama ortogonale della città. È per questo che non possiamo che apprezzare il tentativo di Claudio Tiberi, che rimette mano all'opera su delle tesi antiche, e pertanto regolarmente ignorate dagli architetti, perché stravolgono la nostra stessa concezione di ciò che è classico. Il Partenone non è un solido estruso, ma un insieme di superfici curve, talmente leggere e tenui che la loro modellizzazione richiede un grado di precisione molto elevato al punto che, per descriverlo, un modellatore esatto diventa più efficace di uno poliedrico.

Bernard Cache
OBJECTILE@wanadoo.fr







NOTE:

(1) Juan Caramuel de Lobkowitz, benedettino spagnolo (1606-1682), nato a Madrid e morto a Vigevano, teologo di rilievo, autore di una teologia morale, nella quale egli pretendeva di risolvere con le matematiche i problemi della teologia.
(2) Vedi le sue due opere "Eloge de la philosophie en langue française" e "Naissance de la physique dans le texte de Lucrèce".







Classicità e modellazione esatta
è il testo della relazione presentata da Bernard Cache al convegno La produzione dell'architettura digitale, svoltosi a Firenze il 10 dicembre 1999, nell'ambito del festival internazionale di architettura in video.

 

 


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