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32



"32:Beijing/New York"
Issue 1 Winter 2003
Issue 2 Summer 2003


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DA UN BREVE COLLOQUIO CON YEHUDA SAFRAN. "Accade raramente di essere invitati a definire la nostra attività in uno spazio ampio ed aperto come questa pagina. Uno spazio fluttuante, senza ormeggi o segnali, eccetto il desiderio di sentire la nostra voce, le tracce di una futura memoria, una rovina?" L'editoriale a firma di Yehuda Safran apre così la prima delle 32 pagine che compongono "32:Beijing/New York".

32 spazi ampi ed aperti pensati per accogliere suggestioni, pensieri e riflessioni su quanto avviene all'interno dell'enorme spazio compreso tra Pechino e New York che si chiama mondo. 32 cm x 32 cm è il formato delle 32 pagine: "uno stratagemma formale che ci consente di lavorare sui testi come su un progetto, con tutte le implicazioni materiali e concettuali" (Yehuda Safran). "New York si racconta e lo stesso fa Pechino: la rivista è in buona parte fatta a New York e stampata e prodotta in Cina. Loro, gli editori, trattengono 10.000 copie e noi ne riceviamo 5.000" (Yehuda Safran).

"32" è organizzata per nodi: 32 nodi, ciascuno contenuto all'interno di una pagina, a formare una struttura rizomatica, non gerarchica e non lineare, dove gli argomenti, benché non palesemente correlati tra loro, trovano infinite connessioni, intessendo una rete di pensieri e informazioni. Non sezioni o temi, dunque, ma sguardi sulla realtà, "linee di pensiero dinamiche" sulle "influenze necessarie" dell'architettura contemporanea. Una struttura rizomatica di questo tipo consente una lettura per plateaus e permette di trovare relazioni e di instaurare un continuum di feedback tra realtà apparentemente distanti. È questa secondo Deleuze la sola struttura che raggiunge una assoluta "comprensione della molteplicità". Scritta in inglese e cinese, le lingue più parlate nel mondo, 32 è una sorta di "rete aperta" -suggerisce Steven Holl nella conferenza di presentazione della rivista al White Column di New York- che come la doppia elica del DNA si presta ad infinite evoluzioni/interazioni di idee/informazioni, offrendo numerosi piani di lettura. "Niente è prevedibile: il gruppo editoriale continua a cambiare. Gli argomenti proposti non vengono mai di fatto rigettati ma semplicemente slittati al numero successivo e sottoposti alla differente chimica delle discussioni del nuovo gruppo editoriale" (Steven Holl).

[02feb2004]











Copertina e doppie pagine del numero 1.










Copertina e doppie pagine del numero 2.
La relazione tra gli Stati Uniti ed i paesi situati al di là del Pacifico è una storia fatta di migrazioni, scambi commerciali, influenze culturali, rese più intense dall'insperata recente apertura del paese più popoloso del mondo ai mercati occidentali. Da un lato la produzione a basso costo, dall'altro il velocissimo processo di modernizzazione avviato solo qualche anno fa, attraggono in Asia investimenti colossali. Si sa, più che la storia può il mercato: la nuova Cina costruisce dal nulla megalopoli ad un ritmo senza precedenti. L'immane sforzo verso il progresso cancella secoli di storia e tradizioni, per creare una nuova immensa radura sulla quale piantare grattacieli e centri commerciali. "Esiste una vasta porzione di umanità per la quale vivere senza storia non è un problema. Potremmo andare oltre: vivere senza storia per qualcuno è una avventura appassionante. Questa osservazione dovrebbe portarci a rivedere un certo numero di dogmi e teorie dell'architettura e dell'urbanistica, e magari a riesaminare la validità (o meno) di uno dei dispositivi più importanti del ventesimo secolo: la tabula rasa, l'idea di partire da zero, senza la quale negli anni venti gli architetti del modernismo come Le Corbusier credevano che niente fosse possibile. Questa posizione chiaramente mostra un estremo ottimismo, un ottimismo che i decenni successivi hanno completamente demolito. Forse abbiamo bisogno di riaffermare l'uso della tabula rasa - forse dovremmo essere più selettivi nelle strategie urbane, piuttosto che rimanere dei conservativi ansiosi incapaci di teorizzare il nuovo". Questo afferma Rem Koolhaas nel suo studio su Pearl River - provocando nella cultura architettonica lo stesso dirompente impatto che qualche decennio prima ebbe il suo Delirious New York. Impossibile non subire il fascino del nuovo delirio.

Dunque, instaurare con la Cina un dialogo in fatto di architettura può sì avere origine dalla curiosità per un crescente fenomeno -sia esso l'euforia della modernizzazione o l'evoluzione del mercato globale- ma può piuttosto nascere da un desiderio di partecipazione, dalla necessità di registrare i disagi e gli entusiasmi causati da mutazioni incontrollabili; o ancora, invertendo il punto di vista, può derivare dalla necessità di osservare ciò che sta accadendo per portarlo su un piano teorico e stabilire paralleli e nuove chiavi di interpretazione di tematiche inerenti più in generale il campo dell'architettura. Come dicono i cinesi, per poter vedere la montagna devi allontanarti da essa il più possibile. Poiché Pechino è esattamente al capo opposto del globo rispetto a New York, ci consente di considerare l'intera terra compresa tra esse il nostro obiettivo.

D'altra parte, ciò che unisce/separa due realtà situate ai lati opposti del globo non può misurarsi solo come distanza fisica. "32:Beijing/New York" copre piuttosto una distanza temporale, una distanza dettata dalle diverse condizioni storiche e sociali, un gap che la velocità delle nuove tecnologie e le logiche di mercato consente di colmare in un arco di tempo breve quanto un decennio. Allo stesso tempo registra una differenza di intenti e di aspettative che "distanziano", appunto, un occidente riflessivo, ripiegato su se stesso, che stenta a rinascere dalle proprie ceneri, ed un paese, la Cina, che incenerisce per poter da quelle ceneri derivare l'energia di cui l'urgente aspirazione al progresso necessita.

I Ching: "il numero 32 significa continuità (il tuono e il vento) - il Tuono serve a spaventarti e a scioccarti. Tuttavia, questa forza non può raggiungere la Terra, poiché il Vento tranquillo ti protegge. Finché il Vento è presente, puoi dormire sonni tranquilli". E' un vento di rottura, invece, quello che attraversa la Cina, ben più potente di quello che sospingeva l'Angelus Novus del modernismo. Un vento che in un solo colpo spazza via il passato, il vecchio mondo rurale e la Cina della Rivoluzione Culturale, attestando ad un tempo l'indipendenza della modernità asiatica da quella dell'occidente capitalista. La corsa folle verso il progresso ed il consumismo si traveste di rosso mascherandosi dietro uno strano ibrido ideologico. È una corsa verso il nuovo per il nuovo, e a tutti i costi: il risultato è straniante.

"L'epoca dell'architettura in Cina è arrivata allo stesso tempo della globalizzazione e commercializzazione. Il capitale di tutto il mondo ha trovato qui la più potente ed economica forza lavoro ed un mercato dalle potenzialità infinite, gli architetti di tutto il mondo scoprono che le città qui stanno con passione inseguendo la gloria monumentale dell'architettura" (Zhang Yiwu, "32:Beijing/New York" n. 2, 2003). La velocità con cui si ergono intere città non consente il ricorso ad alcuna pianificazione o strategia urbanistica tradizionale: l'unica strategia possibile è quella del post-planning; mentre agli architetti, pochi peraltro, è dato solo di adeguarsi alle pressioni del mercato e di seguire il ritmo di una progettazione frenetica. I cinesi non hanno alcuna politica riguardo all'architettura. Non la considerano intellettualmente e ideologicamente di alcuna importanza o conseguenza. Stanno distruggendo senza rimorso o preoccupazione buona parte del passato. Non abbiamo possibilità di intervenire, ma possiamo compiere tutti i possibili sforzi nel nostro campo dentro e fuori la Cina (Yehuda Safran).

A causa della Rivoluzione Culturale, oggi gli architetti cinesi beneficiano dell'assenza di qualunque "autorità professionale" - spiega Yehuda Safran. Peraltro, "essi non hanno le affinità simboliche con l'occidente che i giapponesi hanno sviluppato nel secolo passato. Qualcuno, però, come Liu Jiakun, sta rapidamente entrando in un complesso dialogo, talvolta silenzioso, con gli interlocutori occidentali" (Yehuda Safran, "32:Beijing/New York" n. 2, 2003).

L'architettura, al pari di qualsiasi altra forma di arte, supera distanze, gap storici, barriere ideologiche e si costruisce come storia universale. Se la mostra Alors, la Chine?, organizzata nel giugno dello scorso anno al Centre Pompidou di Parigi, è il segnale più manifesto di questo dialogo, "32:Beijing/New York" ne rappresenta un campo di confronto continuo ed aperto.

Se un'intenzionalità emerge dai due primi numeri della rivista, la si può sintetizzare così: "Scrivere non ha nulla a che fare con il manifestare. Ha a che fare con il rilevare, il descrivere mappe, perfino di realtà ancora da venire" (Gilles Deleuze).

Antonella Mari
antonellamari@tin.it
 

la pagina riviste è curata da
Matteo Agnoletto. per proporre
o recensire pubblicazioni scrivete a
agnoletto@architettura.it


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