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Domus



"Domus"
n. 867, marzo 2004

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DELL'ARCHITETTURA E DEL MONDO. A due mesi dall'uscita della nuova "Domus", e dopo un mese di critiche e di presentazioni, vale forse la pena ripartire dall'editoriale che, tra primo e secondo numero, funziona ancora come dichiarazione di intenti e come risposta preventiva al gioco dei commenti che da gennaio ha impegnato gli architetti italiani. "Idee e aspirazioni che non confluiscano unicamente nelle pratiche del progettare... lo spazio come sensore di fenomeni altrimenti invisibili... un'architettura che non sia solo un magazzino di prototipi, ma anche un modo –uno dei più efficaci– per capire il mondo e per raccontarlo". Incuriosisce allora capire qual è il mondo che racconta/racconterà "Domus" e cosa può voler dire raccontare il mondo attraverso l'architettura.

Un mondo fatto di spazi abitati. Città, mari e cieli solcati dai transiti e disegnati dai modi di abitare, dove il collegamento tra due punti non è necessariamente la via più breve e dove la precisione delle rotte non serve ad evitare collisioni; progetti per grandi eventi, che intercettano gli interessi di residenti, turisti e amministratori, tanto che le ragioni dell'architettura sembrano svanire di fronte ai compromessi di un'"urbanistica nebulosa"; case d'autore nelle quali madri, padri, figli e nonni sperimentano modi di condividere gli spazi, solo evocando condizioni di sovraffollamento urbano; paesaggi banali rivelati da storie criminali e paesaggi "glocali" contagiati da epidemie planetarie; inaugurazioni e archistar; conversazioni tra intellettuali; manipolazioni artistiche della realtà; oggetti che generano altri oggetti. Un mondo a puntini, che raffigurano individualismi di massa, e un mondo di reti, che rappresentano sistemi di relazione tra luoghi, persone e saperi, e che tengono insieme detective dello spazio impegnati ad esplorarlo e a descriverlo attraverso gli strumenti di discipline che cooperano, ciascuna a partire dalla propria crisi.


"Domus" 866, gennaio 2004. La copertina-editoriale del primo numero della nuova serie diretta da Stefano Boeri.

Dietro ad ognuno degli articoli di "Domus" si intuiscono le crepe del pezzo di mondo che rappresenta. Eppure la descrizione è apparentemente neutrale. Nel rivendicare un atteggiamento indiziario, la rivista semina a sua volta indizi che sarebbe interessante raccogliere e provare ad esplorare. Se in questo mondo "siamo tutti testimoni oculari" quale può essere il senso dell'investigazione? Quale il progetto implicito nella descrizione? Se, come insegnano i geografi, che di descrizione si occupano per mestiere, la geografia può essere tanto la conferma di un ordine costituito quanto l'esplorazione di ordini emergenti, ribadire –ancora- una necessità di descrizione può equivalere a ribadire il valore "sovversivo" di una geografia che sia allo stesso tempo descrizione e critica dell'esistente e che, smascherando le crepe dell'ordine costituito, faccia posto per gli ordini nuovi.

Se l'architettura deve raccontare il mondo, allora il modo di raccontare l'architettura può diventare una questione di contenuto. Descrivere i progetti anche attraverso i soggetti e le ragioni che li determinano e li abitano può servire a dire qualcosa in più. E quindi l'intervista, l'inchiesta, la fotografia -che potrebbe diventare sempre di più racconto autonomo e parallelo- e perfino il fotoromanzo, possono rappresentare dei percorsi di ricerca sulla comunicazione importanti per una cultura architettonica e urbana che voglia impegnarsi in un tentativo di ricongiungimento con la società.

[17mar2004]

"Domus" 867, febbraio 2004.
 
Ma valgono anche questi come indizi di una dialettica che non può che attuarsi su un piano più profondo, come in quella Triennale del '68 nella quale architetti ed artisti si confrontavano sulla società del grande numero e nella quale la società -divisa- si scontrava sul terreno dell'architettura. Riallacciarsi a quell'evento può servire ad interrogarsi sui temi e i modi di un confronto attuale tra architettura e società, a riaffermare delle urgenze e dei contesti per l'architettura, contesti fisici e contesti culturali, che possono essere oggi non meno controversi di allora.

La trasformazione disciplinare di questi anni passa per la trasformazione fisica delle città, che pone le questioni del paesaggio, dell'abusivismo e dell'autorganizzazione, della moltitudine -anticipata allora-, dello spazio pubblico, della partecipazione; e passa per la trasformazione delle scuole, che impone riflessioni di metodo e di contenuto tra nuovi ordinamenti e nuovi insegnamenti, e che forma generazioni nomadi che moltiplicano i loro riferimenti rimodulando continuamente la loro identità. E passa poi per la trasformazione della comunicazione, per i siti dove si formano immaginari comuni e pezzi di percorso condivisi, e per i luoghi della critica, divisa tra divulgazione e approfondimento. In un momento nel quale le architetture d'autore approdano –finalmente– anche ai giornali femminili, tanto più può avere senso per una rivista di settore costruire uno spazio critico intorno alle architetture, interpretandole come visioni progettuali di una realtà fatta di questi ed altri temi. Ripartire da Price e dall'attualità del processo come forma di progetto è un modo per inaugurarlo, attendendo visioni nuove.

E d'altra parte non si può dire che quello di "Domus" sia il mondo. È il mondo di un direttore che riversa in questa esperienza interessi e metodi di ricerca maturati altrove, collaborazioni già sperimentate e un sistema a rete che può ampliarsi e modificarsi a seconda delle occasioni, e che si riflette in quel diagramma di produzione che lascia immaginare –o ricordare– gruppi di indagine territoriale che sperimentano le "tortuosità" di modelli urbani non codificati, e fa pensare a intercambiabilità di ruoli, come nel caso di Steven Holl progettista e critico, e sembra poter accogliere tutti le voci e tutte le combinazioni di una declinazione del mondo al plurale.

La struttura flessibile, estensibile e soprattutto democratica del diagramma non corrisponde però alla struttura effettiva della rivista. Ed è probabilmente su questa divaricazione che dovrà giocarsi il suo assestamento, sul consolidamento di alcune presenze fisse che stabiliscono la linea editoriale, assumendosi l'onere di indirizzare la discussione –cosmopolitica- sui molti mondi che aspira a raccontare per tenerli, come scrive Latour, in una casa sola.

Fabrizia Ippolito
ippolito@unina.it
 

la pagina riviste è curata da
Matteo Agnoletto. per proporre
o recensire pubblicazioni scrivete a
agnoletto@architettura.it


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