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ArchINT |
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ArchINT 8. "Architettura INTERSEZIONI" ottobre 2000 £20.000 rivista semestrale Dreossi editore, Pordenone, Italia http://brezza.iuav.it/dpa archint@iuav.it |
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L'esplorazione attraverso la contemporaneità, indagata riflettendo sulla matrice generativa della
superficie, riprende una questione centrale, apparentemente superata e contraddittoria rispetto all'innovazione e alla complicazione formale delle recenti produzioni mediatiche e digitali o all'incontrollabile mutazione urbana delle megalopoli e del territorio globale. Quasi fuori tempo, il tema trattato riporta invece all'interno della disciplina e del mestiere la scelta del modo in cui porsi o confrontarsi con una delle componenti più delicate dell'esercizio progettuale. In particolare, se a essere preso come referente è un modello statico, puramente discorsivo, connesso al solo significato di apparenza, affaccio o diaframma, il rischio di affrontare il tema del valore della superficie come prevalenza ordinatrice dell'attuale programma compositivo, porta a vuote e parziali conclusioni. Curato da Giovanni Corbellini e supportato da una serie di scritti orientati su diversi settori tematici, dalle giovani esperienze delle neoavanguardie olandesi, ai glaciali panneggi urbani dei fotogrammi romani di Stephenson, fino al design dell'automobile e alle sculture dello spazio di Chillida, l'ottavo fascicolo del Dipartimento di Progettazione architettonica di Venezia genera un percorso a ritroso, di ispezione sull'oggetto architettonico e sui suoi derivati, spostando la chiave di lettura dei vari palinsesti "dal volume all'interfaccia". In realtà, come in un gioco di specchi, il ribaltamento concettuale produce una visione tautologica dei sistemi e dei dispositivi di classificazione del materiale esaminato. L'ipotesi discussa considera la superficie come elemento compositivo, non obbligatoriamente costretta a generarsi nelle sole due dimensioni: non solo intesa come pelle o strato, traslando la definizione ottocentesca del rivestimento già formulata da Gottfried Semper. Altri sono i significati possibili e le sue applicazioni sperimentali. I modi di intendere il termine di interfaccia sono duplici: strutturata nella forma di prospetto o schermo, lamina protettiva dell'involucro, sulla quale incidere segni e scritture; o usarla nella sua capacità di distorcere il paesaggio, di piegarsi e incrinarsi, trasmutandosi in organismo complesso. Nel primo caso, il progetto non parte dall'assunzione dell'architettura generata morfologicamente nello spazio, come permette la macchina informatica, ma, in maniera ancora classica e prospettica, decide di usare la facciata come veicolo di comunicazione di personali linguaggi espressivi o come impianto sul quale applicare regole di disposizione dei pieni rispetto ai vuoti, di calibrazione della luce, di luogo per armonizzare e proporzionare le parti costitutive. Chiari, a tal proposito, sono gli esempi riportati delle azzardate soluzioni dei gruppi Max.1 e NL Architects o delle tessiture controllate di Fraziano. È un approccio indubbiamente deciso a rafforzare il ruolo urbano del progetto, il suo farsi quinta scenica del panorama metropolitano. Indipendentemente dall'impiego di materiali sofisticati e abbaglianti, di luminose insegne pubblicitarie o di eleganti congegni mediatici, ma semplicemente, legati alla formulazione del concetto di prospetto architettonico come elemento archetipo della composizione. Nel secondo caso, esplicitamente espressivi sono i disegni di n!studio: lavorare sulle superfici non significa misurare l'architettura escludendone la spazialità e l'interiorità o negare il ruolo generativo della pianta. I progetti come infrastruttura, o i contenitori di funzioni distinte e separate, seguono una logica materica, distintiva, quasi di codice genetico del suolo. Qui la superficie è espressa come un concetto di derivazione rispetto al contesto, destabilizzante e di manipolazione della crosta terreste, intesa come vera facciata orizzontale del paesaggio. Il deciso taglio analitico introdotto da questo fascicolo di ArchINT dimostra lucidamente come gli orientamenti del progetto siano oscillanti, liberi, aperti a diversissime interpretazioni. Proprio questo messaggio, una volta stabiliti gli ambiti restrittivi dei casi esaminati, corrisponde alla volontà di circoscrivere un metodo di lettura didattico all'interno di limiti operativi chiari e riconducibili ai fondamenti tradizionali e canonici della disciplina architettonica. Matteo Agnoletto agnoletto@architettura.it |
[20oct2001] | |||
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