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d'Architettura





d'Architettura
Rivista italiana d'architettura
Federico Motta editore
Italia, 2002
direttore responsabile: Giovanni Leoni
Euro 14,00

http://www.d-architettura.it/
dA@mottaeditore.it
Ha recentemente ripreso le pubblicazioni, rinnovata sotto gli auspici e come emanazione della struttura di AIda, Agenzia Italiana di architettura, la rivista "d'Architettura". A presentazione della nuova testata, Arch'it pubblica un testo di presentazione di Giovanni Vaccarini, membro dell'associazione.


Era il maggio 1990 quando, ancora studente, compravo il n. 1 di "d'Architettura"; Pino Scaglione (il fondatore della testata) con Vito Cappiello intitolava significativamente il loro primo editoriale "molteplicità".

Molteplici erano gli obiettivi di questa nuova rivista, che, dalla facoltà di architettura di Pescara, sentivo molto vicina ad un clima culturale in trasformazione e di grande fermento. Tra gli obiettivi mi sembrava importante riportare al centro dell'attenzione il dibattito sul ruolo delle scuole di architettura e quello dei giovani architetti; il ruolo dell'architettura mediterranea nel panorama europeo ed internazionale; il rapporto tra progetto e costruzione; il ruolo dei maestri e dei contemporanei, come figure capaci di indicare e tracciare le strade del progetto.








[15may2002]


Obiettivi così ambiziosi che hanno riempito le mie aspettative di studente e forse sono stato uno dei primi abbonati della giovane rivista.





Con lo stesso entusiasmo ed aspettative, insieme agli amici dell'Agenzia italiana di Architettura, a circa dodici anni di distanza ho seguito la riedizione di questa prestigiosa testata, anche questa volta con obiettivi molteplici. Il primo è quello di tornare a parlare di architettura italiana; in Europa ma (sic) soprattutto in Italia; riscoprire la voglia di confrontarsi e di dibattere intorno ai temi del progetto e del costruire.



Nell'affollato panorama dell'editoria di settore, nel momento in cui si ha la voglia di aggiungere un nuovo strumento, con l'ardire di volersi dedicare all'architettura italiana, inevitabilmente alcune domande si pongono. La prima è proprio sull'architettura italiana, architettura che al momento sembra affannata esclusivamente ad osservare ricerche e sperimentazioni elaborate altrove, la domanda è su come individuare, da dove e come cominciare a definire i temi di ricerca e dunque innescare sperimentazioni che connotino (seppur ovviamente all'interno di un quadro che non può che essere quello internazionale) la specificità territoriale culturale, semantica italiana.



Possiamo provare a darci molte risposte - già è un dato iniziare a discutere - personalmente auspico la rivisitazione degli archivi, progetti e realizzazioni di molti architetti degli anni 50 e 60 che hanno segnato in maniera indelebile quegli anni con le loro architetture. Penso a Ignazio Gardella, Luciano Baldessarri, Luigi Moretti, Ugo Luccichenti - solo per citarne alcuni - architetti forse più conosciuti dai nostri colleghi olandesi o nordamericani che da noi stessi.



Negli anni 50 e 60 avveniva un fenomeno importante, un sodalizio a tutti i livelli > ricerca > progetto > costruzione > gestione economica e politica - tra l'architetto (l'architettura) e il processo di progettazione e costruzione. Gli architetti erano presenti con eguale impegno ed autorevolezza nella ricerca e nel complesso processo di costruzione, ciò ha generato un periodo di estremo interesse in cui l'architetto ha assunto un ruolo sociale primario, ruolo che ha visto realizzate ricerche la cui attualità può essere riscontrata ancora oggi (vedi il padiglione Breda di Luciano Baldassarri 1952).
 




Attualmente, credo, di intravedere un'occasione storica simile a quella degli anni 50-60 : 
- l'Italia ha riscoperto il valore della qualità (non mi soffermo a descrivere le declinazioni possibili di un termine così sfuggente); 
- si sta avviando una stagione di concorsi (importante opportunità e scommessa);
- si sono innescati dei meccanismi economici che stanno portando sul mercato occasioni di progetto impensabili dieci anni addietro.

Davanti a tutto ciò le questioni sono molteplici e sostanzialmente credo che si possano ricondurre alla capacità, da architetti, di gestire la qualità nella complessità; complessità culturale del progetto ma anche la complessità che pervade tutto il processo architettonico, dallo schizzo al collaudo dell'opera. Questa complessità ci porterà sicuramente a ripensare molte delle nostre posizioni, ma ci dovrà rapidamente portare a pensare modi, strumenti e metodi di gestione del progetto.



UN'ULTIMA QUESTIONE. Uno dei rischi, più volte paventato, del parlare di architettura italiana è quello di cadere in un bieco provincialismo. Personalmente credo che questo problema non esiste, non esiste per diverse ragioni. Pensare ad una provincia o ad una periferia significa pensare ad un centro, un centro in cui si elabori l'architettura che poi viene irradiata dal centro verso la periferia - la provincia - nella cui periferia non si possa che in qualche modo applicare, declinare nella realtà locale le elaborazioni predisposte dal centro.



Cosa accade in una società in cui non vi è più un centro?
La struttura sociale, culturale, economica e politica non è più strutturata per centri ma secondo una rete (e nodi) che cancella e sovverte qualsiasi struttura gerarchica organizzata secondo un centro. Questa nuova struttura/rete ormai è pervasiva. Decine di società strategiche, nei più vari settori, possono nascere o localizzarsi pressochè ovunque generando fenomeni per cui, solo per fare alcuni esempi, la Permasteelisa leader mondiale in strutture ad altissima tecnologia è nata e si è sviluppata nella provincia di Treviso o può accadere che una piccola società abruzzese possa essere in grado di fornire la tecnologia ed il know how per realizzare il padiglione degli ospiti nella tenuta di Philip Johnson a New Kanaan.

D'altro canto, non ci meravigliano affatto di considerare Souto De Moura (un architetto che ha progettato e costruito soltanto in una regione del Portogallo) o Peter Zumthor architetti inseriti pienamente nel dibattito internazionale anche se fortemente legati ad un territorio o una provincia. Dunque forse questo è soltanto un problema italiano, di identità e di appartenenza culturale, appartenenza che è relativa ad una rete globale tanto quanto alla capacità di inserirsi in ambiti territoriali definiti.

I miei migliori auguri vanno al direttore Giovanni Leoni. 
Buon lavoro.


Giovanni Vaccarini
giovannivaccarini@tin.it
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la pagina riviste è curata da
Matteo Agnoletto

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