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Villa Medici senza frontiere


di Gabriele Mastrigli



La Ville, le Jardin, la Mémoire 1998-2000 / Le Jardin 2000
Académie de France, Villa Medici
Roma 22 giugno-24 settembre 2000
A cura di Laurence Bossé, Carolyn Christov-Bakargiev, Hans Urlich Obrist



[10jul2000]
E' ben più di un sottile fil rouge quello che collega la 7a. Biennale Architettura di Venezia, inaugurata il 18 giugno scorso tra i Giardini e l'Arsenale, e la terza "tappa" della mostra antologica di arte contemporanea "La Ville, le Jardin, la Mémoire" aperta a Roma nel giardino di Villa Medici appena tre giorni dopo.

Lo si registra, innanzitutto, nel comune meccanismo espositivo, con un ampio parterre naturale punteggiato da piccoli edifici (i padiglioni nazionali a Venezia, gli atelier degli artisti a Roma). Si struttura nel taglio concettuale ed eco-sensibile di entrambe le mostre, con una forte attenzione alle (ormai non più) nuove tecnologie informatiche. Si consolida con la presenza, nella lunga lista dei partecipanti alla rassegna romana, di nove architetti, sei dei quali invitati anche a Venezia (gli italiani A12, Boeri e Stalker, Zaha Hadid, il cinese Yung Ho Chang ma anche Cedric Price che compare alla Biennale in una delle quaranta video interviste).

Lo sguardo eticamente estetico sulla metropoli contemporanea che domina nelle installazioni veneziane si irrobustisce a Roma tra i pini e i boschetti di bambù di Villa Medici. Con una nuova ottimistica ed appassionata sensibilità per "le cose che crescono" gli artisti e gli architetti ospitati dalla villa interpretano il tema del giardino inteso come "ponte" tra natura e cultura. Dalle piante, dunque, alla "città" metropolitana, "fluida ed in continua mutazione, luogo fisico e virtuale dove si costituisce e si modifica l'identità delle persone e delle comunità mediante i loro attraversamenti e la creazione di molteplici percorsi".

Complice la bellezza estrema, sofisticata e un po' decadente dello spazio che ospita la mostra, ciò che rimane in secondo piano, a Roma come a Venezia, è forse la dimensione più quotidiana e "generica" dell'esperienza urbana. Tanto difficile per l'arte, che in questo scarto di sensibilità trova spesso le sue ragioni, quanto necessaria per l'architettura, che proprio in questa genericità ha, nella metropoli, il suo interlocutore più diffuso.

Chissà che la Cabane éclatée à l'obélisque, il parallelepipedo di specchi di Daniel Buren che recinge la fontana centrale, da "riflettore" antimonumentale del giardino circostante non si possa allora trasformare nell'emblematico monumento al contenitore anonimo e tecnologico della metropoli più edilizia e periferica.

Gabriele Mastrigli
gabriele.mastrigli@iol.it






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