Sopralluoghi

Sulla Bicocca, dieci anni dopo

di Alessandra Bordieri




Lo scorso 10 maggio si è svolto presso la Fondazione dell'Ordine degli Architetti della Provincia di Milano un incontro con Vittorio Gregotti per un bilancio sugli esiti urbanistici ed architettonici del progetto Bicocca, dieci anni dopo. Hanno preso parte al dibattito Stefano Boeri e Fabio Terragni. Riportiamo una cronaca di Alessandra Bordieri.




[26may2001]
Un progetto pensato nel 1985, quasi vent'anni fa, ma ancora in corso di realizzazione. Sono 750.000 metri quadrati di intervento, uno dei più imponenti d'Europa e per terminarlo ci vorrà ancora un paio d'anni.

È la riconversione dell'ex area industriale Bicocca-Pirelli, che lo studio Gregotti Associati sta portando a termine nel primo hinterland milanese e di cui si è parlato all'Ordine degli Architetti di Milano, insieme a Vittorio Gregotti, Stefano Boeri e Fabio Terragni. A quasi dieci di distanza dall'inizio del cantiere si è cercato di capire cosa c'è di attuale nel progetto di Gregotti e se questo tentativo di riconfigurare un brano di metropoli sia ancora valido, nel momento in cui proprio a Milano si va incontro alla conversione di altre aree da tempo dismesse, come l'Ansaldo, su progetto di David Chipperfield, e l'ex scalo ferroviario di Porta Vittoria, sul quale verranno chiamati a esprimersi dieci progettisti. 

Mentre sullo schermo scorrevano diapositive dei cantieri e dei disegni per Bicocca, Vittorio Gregotti ha fatto un vero e proprio racconto di architettura, una narrazione del progetto, dall'idea iniziale di aprire il recinto della fabbrica, alle suggestioni che gli sono venute dalla cultura industriale milanese e in particolare da Mario Sironi. Suggestioni che poi si sono trasformate negli enormi isolati, di dimensione ancora industriale, che oggi formano la maglia ordinatrice di quella cittadella che è la nuova Bicocca Pirelli. Un progetto quello di Gregotti per Bicocca di assoluta continuità con la forma urbana al contorno, il disegno della parte di città è studiato per diventare l'elemento regolatore per il tessuto frastagliato, slabbrato, disperso della periferia nord milanese. Per quest'area Gregotti ha individuato un sistema insediativo stabile, che si ancorasse ai tracciati esistenti e bloccasse la forma della città cercando una ricucitura del tessuto, una ricomposizione delle parti nell'intero, una ricostruzione del margine, attraverso un disegno per recinti. 

Un procedimento progettuale questo che rischia di cadere nell'utopia, come ha notato Stefano Boeri, un progetto che si spiana la strada a forza di tracciati regolatori fissi, senza curarsi della condizione di incertezza in cui si muove oggi l'architettura e ancora di più il progetto urbano. Forse perché già dieci anni fa il progetto Bicocca si dimostrava indifferente al cambiamento che interessava la città contemporanea e che ora è sempre più insistente. È un'osservazione questa che non ha trovato risposta in Vittorio Gregotti il quale, con grande abilità oratoria, è riuscito a trasformare l'articolata critica in un inno alla libertà del progettista, un desiderio di quell'architettura delle minoranze oggi dimenticata da una società che è sempre più una “maggioranza” omogenea.

Le critiche però arrivano anche da parte dei cittadini e degli utenti oggi di Bicocca, rappresentati in questo caso da Fabio Terragni, che ha riconosciuto il valore culturale del progetto, soprattutto nella difficoltà di affrontare la dismissione di una fabbrica mitica come la Bicocca Pirelli, una delle maggiori concentrazioni operaie e produttive del nord Italia. E in questo senso la sfida della riconversione ha ammesso Terragni è riuscita, nel restituire un ruolo produttivo all'intera area, con l'integrazione di funzioni per la cultura e la ricerca. Ma non è bastato a fare di Bicocca quel nuovo centro della periferia milanese che si prefiggeva il progetto: l'accessibilità è scarsa sia al trasporto pubblico che a quello privato, e comunque ogni giorno 25.000 studenti devono cercare di raggiungere le aule universitarie; così come sono insufficienti i servizi pubblici, soprattutto in relazione allo spazio urbano circostante, forse anche perché non c'è assolutamente quel mix funzionale tanto propugnato da Gregotti. Università, aziende, centri di ricerca e residenza chiudono alla sera, Bicocca si svuota e dopo il tramonto la cittadella resta deserta.

Un progetto che sembra sempre più interpretare obiettivi privati, quelli della Pirelli, e sempre meno quelli pubblici, ma spacciato dal progettista come un grande intervento di dimensione pubblica. Tant'è vero che anche gli spazi pubblici sono vuoti perfino di giorno, per la dimensione enorme che travalica quella di una piazza e dilata all'estremo lo spazio, privandolo del comfort necessario per utilizzarlo, e per quella mancanza di verde che è già un problema per la città di Milano, ma che lo diventa ancora di più in interventi nuovi così imponenti, come ha lamentato Terragni. Ma la risposta di Gregotti è stata lapidaria: su 750.000 mq di intervento 250.000 sono di verde.

Ma un'altra osservazione di Stefano Boeri poteva far riflettere Vittorio Gregotti, che poteva chiedersi dove sta il principio di variazione nel suo progetto. Bicocca si presenta come un esperimento di un principio di diversità rispetto alla città consolidata e a quella estesa, ma in fondo diventa un tentativo di introiezione della variazione. E questo intriga ma preoccupa, ha continuato Boeri. Intriga lo sforzo di manifestare parti della propria esperienza poetica in un unico grande insieme, ma preoccupa che non esista variazione su questo tema, se non su se stessi.

Intriga la magnificenza civile che si trova nel luogo, negli edifici, negli spazi pubblici, nei grandi portali che segnano gli ingressi, nelle enormi piazze dell'università. Ma preoccupa come questa magnificenza civile non fosse ricercata da Gregotti, che ha sempre dichiarato di non aver voluto per Bicocca un'architettura monumentale, ma solo una buona edilizia civile, non “un'architettura da tenori”, ma “un'architettura del coro”. Senza rendersi conto, come ha concluso Boeri, che stava trasformando un intera parte di città in un monumento, un pezzo di tessuto sta diventando un monumento alla poetica del suo unico progettista.

Alessandra Bordieri
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